Storia della letteratura italiana/Gian Giorgio Trissino
Poeta e tragediografo, Gian Giorgio Trissino è uno dei più importanti intellettuali del Cinquecento. Oltre a svolgere attività diplomatiche per conto del papato, si interessò di linguistica e architettura, entrò nel merito del dibattito sulla lingua e fu mentore di Palladio.
Biografia
modificaGiovanni Giorgio Trissino nasce a Vicenza l'8 luglio 1478 da antica e nobile famiglia. Suo nonno Giangiorgio combatté nella prima metà del XV secolo il condottiero Niccolò Piccinino, che al servizio dei Visconti di Milano invase alcuni territori vicentini, e riconquistò la valle di Trissino, feudo avito.[1] Anche suo padre Gaspare era uomo d'armi e colonnello al servizio della Repubblica di Venezia e sposò Cecilia Bevilacqua, di nobile famiglia veronese, nel 1468. Ebbe un fratello, Girolamo, scomparso prematuramente, e tre sorelle: Antonia, Maddalena andata in sposa al padovano Antonio degli Obizzi, Elisabetta, poi suor Febronia delle Benedettine.[2][3]
Trissino studia greco a Milano sotto la guida di Demetrio Calcondila[4][5] e filosofia a Ferrara sotto Niccolò Leoniceno. Da questi maestri impara l'amore per i classici e la lingua greca, che tanta parte avranno nella sua produzione letteraria. Alla morte di Calcondila nel 1511, Trissino fa murare una targa[6] nella chiesa di Santa Maria della Passione a Milano, dove è sepolto il suo maestro.[7]
Il 19 novembre 1494 sposa Giovanna, figlia del giudice Francesco Trissino, lontana cugina[8], da cui avrà cinque figli: Francesco (1500 - 1514), Cecilia (nata nel 1495, visse 20 giorni), Gaspare (nato nel 1497, visse 10 giorni), Vincenzo (nato nel 1502, visse 10 giorni) e Giulio (1504 - 1576). Giulio, di salute cagionevole, sarà avviato dal padre alla carriera ecclesiastica e, dopo il suo soggiorno a Roma presso la corte del papa Clemente VII, diventerà arciprete della cattedrale di Vicenza, ma poi sarà sospettato di simpatie per le teorie calviniste.[9]
Tra la fine del XV e i primi decenni del XVI secolo Trissino intraprende diversi viaggi tra Venezia, Bologna, Mantova, Firenze e Roma, dove si ingrazia le simpatie dei papi Leone X, Clemente VII e infine Paolo III. I pontefici lo inviano come proprio ambasciatore presso il Doge di Venezia, la corte dei Gonzaga e soprattutto l'imperatore, dapprima Massimiliano I e successivamente Carlo V. Spesso quindi viaggia tra la Germania e Roma, recando le rispettive ambascerie ai diversi potenti. Tuttavia a causa del suo sostegno all'impero, posizione interpretata in chiave anti-veneziana, viene temporaneamente esiliato. È in questo periodo che perde molti dei suoi cari (la moglie Giovanna nel 1505, il suo maestro Calcondila nel 1511, il primogenito Francesco nel 1514 e le tre sorelle rispettivamente nel 1512, 1515, 1516).
Contando sul fatto che il figlio Giulio è ben avviato nella gerarchia ecclesiastica, rientrato a Vicenza Trissino sposa il 26 marzo 1523 Bianca,[10][11] figlia del giudice Nicolò Trissino e di Caterina Verlati, già vedova di Alvise di Bartolomeo Trissino (morto a 45 anni nel 1522).[12] Da Bianca avrà due figli: Ciro (1524 - 1574) e Cecilia (1526 - 1542). La nomina di Ciro a erede universale scatena le ire di Giulio che per lungo tempo lotterà in tribunale contro il padre e il fratellastro. Anche a seguito delle divergenze causate dai cattivi rapporti con Giulio, la coppia si separa nel 1535, quando Bianca si trasferisce a Venezia, dove morirà il 21 settembre 1540[13].
Trissino manifesta il proprio fervente sostegno all'Impero dedicando a Carlo V il suo poema epico L'Italia liberata dai Goti, completato nel 1527 e pubblicato nel 1547. Nel febbraio 1530 a Bologna, nel corso dell'incoronazione di Carlo V a re d'Italia e Sacro Romano Imperatore, ha il privilegio di reggere il manto pontificale a Clemente VII[14][15][16] e nel 1532 Carlo lo nomina conte palatino e cavaliere dell'Ordine Equestre della Milizia Aurata.[17]
Intanto nella villa di Cricoli alle porte della città, già dei Valmarana e dei Badoer e acquistata nel 1482 dal padre Gaspare,[18] si raduna una delle più prestigiose accademie vicentine.[19] Trissino partecipa insieme a Pietro Bembo e Bernardo e Giovanni Rucellai al dibattito sulla questione della lingua italiana, sostenendo il valore degli apporti locali contro la mera diffusione del volgare fiorentino trecentesco, e propone l'introduzione di lettere dell'alfabeto greco per meglio identificare la pronuncia delle parole, specificamente le e e o aperte o chiuse, oltre alla distinzione tra u e v e l'uso della z al posto della t nelle parole terminanti in ione.
Muore a Roma l'8 dicembre 1550 ed è sepolto nella chiesa di Sant'Agata alla Suburra.
Le opere letterarie
modificaTrissino appartiene a quel gruppo di letterati per i quali l'arte è interpretazione dei classici, ricreando le forme elleniche nei generi moderni. È fautore di un classicismo integrale, conforme ai principi aristotelici, che espone nelle sei parti della sua Poetica (1562), una ambiziosa sistemazione di tutti i generi letterari, ognuno ricondotto a precise regole di struttura, stile e metrica.
Le opere poetiche di Trissino sono coerenti con questa rigorosa concezione di letteratura: così la Sofonisba (composta nel 1514-1515, pubblicata nel 1524) fu la prima tragedia in una lingua europea ad essere definita regolare (ossia composta secondo le regole aristoteliche) e strutturata secondo i canoni della tragedia greca classica.[20] Pur ispirandosi a Tito Livio, guarda alla Grecia classica e il metro utilizzato, l'endecasillabo sciolto, vuole essere una imitazione del trimetro giambico. La prima rappresentazione documentata[21] della Sofonisba si ebbe in francese, nel 1554 nel castello di Blois, davanti alla corte reale di Caterina de' Medici. In lingua originale venne recitata per la prima volta nel 1562, durante il carnevale di Vicenza, messa in scena dall'amico Andrea Palladio.
Trissino compone anche una raccolta di Rime volgari (1529), con interessanti esperimenti metrici, e la commedia I simillimi (1548), fortemente ispirata ai Menaechmi di Plauto. Il suo impegno maggiore è però L'Italia liberata dai Goti (1527, pubblicata nel 1547), un laborioso poema, sempre in endecasillabi sciolti, di 27 libri sulla guerra tra l'imperatore bizantino Giustiniano I e gli Ostrogoti che in quel tempo occupavano gran parte dell'Italia (535-539, la cui la fonte fu lo storico bizantino Procopio di Cesarea). L'opera si apre con una dedica a Carlo V, nella quale Trissino dichiara che i celebri testi classici di Aristotele e Omero debbano essere l'esempio da imitare per la corretta composizione del poema moderno. La narrazione della guerra, condotta dal generale Belisario tra duelli e scontri intervallati da lunghi discorsi pronunciati dai vari personaggi, fa da sfondo a situazioni amorose che rimandano a Dante e Petrarca accompagnate da antiche divinità mitologiche trasformate in angeli cristiani (come Palladio, Nettunio, Saturnio) e da un gioco di magie e incantesimi ripresi dalla tradizione cavalleresca precedente[22].
Il risultato è un tentativo forse pedante e a volte un po' noioso di recuperare i valori dell'epica classica (grandezza e generostà d'animo, nobiltà e gloria), con un'attenzione estrema alla corretta applicazione delle regole aristoteliche più che alla fluidità della narrazione. La solennità dell'argomento epico si scontra con la prosaicità dello stile e del metro, per cui questo lavoro viene ricordato più per gli apporti accademici: la letteratura del Trissino era un'arte in cui lo studio e la tecnica della metrica prevalgono sull'ispirazione e sul sentimento. La visione di un mondo superiore di eroi solenni e composti nella dignità del loro ideale e della loro missione, tipicamente aristocratico, anticipava le preoccupazioni morali della Controriforma[23].
Le ricerche linguistiche
modificaI suoi interventi nel campo della linguistica suscitarono vivaci reazioni nel mondo letterario dell'epoca. Scrisse Il castellano, dialogo immaginario tra Filippo Strozzi e Giovanni Rucellai, (1529) per una tesi "cortigiana-italianista" che sosteneva l'idea d'una lingua formata dagli elementi comuni a tutte le parlate dei letterati della penisola. Questa teoria, concorrente di quelle avanzate da Bembo e Machiavelli, era appoggiata dalla novità della pubblicazione, sempre nel 1529, della sua traduzione del De vulgari eloquentia di Dante Alighieri che Trissino ha il merito di far riemergere dall'oblio. Alla sua tesi si dimostrarono particolarmente sensibili (e ostili) i letterati toscani.
Accese discussioni avevano suscitato le sue proposte di riformare l'alfabeto italiano, che ha raccolto nell'Epistola de le lettere nuovamente aggiunte alla lingua italiana (1524). Trissino suggeriva l'adozione di alcune vocali e consonanti dell'alfabeto greco al fine di disambiguare suoni diversi resi allora (e ancor oggi) con la medesima grafia: e e o aperte (ε e ω) e chiuse, z sorda e sonora (ζ), nonché la distinzione delle i e u con valore di vocale o di consonante (j, v). In seguito avrebbe riproposto questa idea (sebbene ricorrendo a grafie diverse) anche l'accademico della Crusca Anton Maria Salvini, sempre senza successo. Accolta fu invece la proposta del Trissino di utilizzare la z al posto della t nelle parole che finiscono in ione.
La riforma trissiniana è rimasta un prezioso documento delle differenze di pronuncia tra toscano e lingua cortigiana perché l'autore applicò i suoi criteri grafici nel pubblicare l' Epistola, la Sofonisba e Il Castellano. La conseguente maggior difficoltà di lettura non favorì la diffusione dei suoi scritti e portò diverse critiche da parte degli autori suoi contemporanei, ma se si riflette sul fatto che la poesia epica adottò definitivamente l'endecasillabo sciolto con le celeberrime traduzioni dell' Eneide di Annibal Caro (1566), dell' Iliade di Vincenzo Monti (1810) e dell' Odissea di Ippolito Pindemonte (1822), che il nome di lingua italiana ebbe la meglio su fiorentino o toscano e infine che l'ortografia accolse la distinzione tra i e j e quella tra u e v oltre all'uso della z al posto della t come detto, si può concludere che le ambizioni normative di Trissino trovarono il meritato successo[24].
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Note
modifica- ↑ Bernardo Morsolin Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato del secolo XVI, 1878, pagg 3-4.
- ↑ Pierfilippo Castelli, La Vita di Giovan Giorgio Trissino, 1753, pagg 2-3.
- ↑ Bernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato del secolo XVI, 1878, pagg 4-7.
- ↑ Pierfilippo Castelli, La Vita di Giovan Giorgio Trissino, 1753, pag 4.
- ↑ Bernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato del secolo XVI, 1878, pagg 26 e seguenti.
- ↑ L'incisione recita: DEMETRIO CHALCONDYLÆ ATHENIENSI - IN STUDIIS LITERARUM GRÆCARUM - EMINENTISSIMO - QUI VIXIT ANNOS LXXVII MENS. V - ET OBIIT ANNO CHRISTI MDXI - JOANNES GEORGIUS TRISSINUS GASP. FILIUS - PRÆCEPTORI OPTIMO ET SANCTISSIMO - POSUIT. Pierfilippo Castelli, La Vita di Giovan Giorgio Trissino, 1753, pag 5.
- ↑ Bernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato del secolo XVI, 1878, pagg 54-55.
- ↑ Bernardo Morsolin Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato del secolo XVI, 1878, pagg 13-14.
- ↑ Bernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato del secolo XVI, 1878, pagg 302 e seguenti.
- ↑ Pierfilippo Castelli, La vita di Giovan Giorgio Trissino, 1753, nota a pag 48
- ↑ Bernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato del secolo XVI, 1878, pagg 131-133.
- ↑ Come i saggi di Lucien Faggion ricordano, per preservare il patrimonio famigliare non era inusuale sposare cugini di altri rami della medesima famiglia.
- ↑ La decisione di scegliere Ciro come proprio erede ebbe ripercussioni drammatiche per diverso tempo. Oltre al trascinarsi della causa civile intentata da Giulio al padre e a Ciro, nacque una vera e propria faida tra i discendenti Trissino dal Vello d'Oro e i parenti del ramo dei Trissino più prossimo alla prima moglie, Giovanna. Le voci che fecero risalire a Ciro la denuncia anonima alla Santa Inquisizione delle simpatie protestanti di Giulio nel 1573, spinsero Giulio Cesare, nipote di Giovanna, a uccidere Ciro a Cornedo l'anno successivo, davanti a Marcantonio, uno dei suoi figli. Quest'ultimo decise di vendicare il padre, accoltellando a morte Giulio Cesare che usciva dalla cattedrale di Vicenza il venerdì santo del 1583. Nel 1588 Ranuccio Trissino, altro avversario dei Trissino dal Vello d'Oro, s'introdusse nella casa di Pompeo, primogenito di Ciro, e ne uccise la moglie, Isabella Bissari, e il figlioletto nato da poco. Si vedano al proposito vari saggi sull'argomento di Lucien Faggion, tra cui Les femmes, la famille et le devoir de mémoire: les Trissino aux XVIe et XVIIe siècles, 2006, pag 4.
- ↑ Pierfilippo Castelli, La vita di Giovan Giorgio Trissino, 1753, pag 43.
- ↑ Antonio Magrini, Reminiscenze Vicentine della Casa di Savoia, 1869, pagg 17-18.
- ↑ Bernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato del secolo XVI, 1878, pag 190.
- ↑ Bernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato del secolo XVI, 1878, pag 196.
- ↑ Nel 1537 il Trissino dovette affrontare una causa civile intentatagli dai Valmarana: negli ultimi decenni del XV secolo Alvise di Paolo Valmarana perse villa e tenuta, giocandosele col patrizio Orso Badoer, che rivendette la proprietà a Gaspare Trissino il 25 maggio 1482. Gli eredi Valmarana tentarono di riprendersela ipotizzando un vizio all'origine, ma il tribunale diede ragione ai diritti del Trissino. Si veda Lucien Faggion, Justice civile, témoins et mémoire aristocratique: les Trissino, les Valmarana et Cricoli au XVIe siècle, 2010.
- ↑ Bernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato del secolo XVI, 1878, pag 222.
- ↑ B. Morsolin, Gian Giorgio Trissino - Monografia d'un gentiluomo letterato del secolo XVI, 1894.
- ↑ Leopoldo Cicognara, Storia della scultura dal suo risorgimento in Italia fino al secolo di Canova, Giachetti, Losanna, 1824.
- ↑ Italica - Rinascimento: Giovan Giorgio Trissino, L'Italia liberata dai Gotthi di Paola Cosentino.
- ↑ voce Trissino nel sito Treccani.it L'Enciclopedia Italiana.
- ↑ Paolo D'Achille, Trissino, Giangiorgio, in L'Enciclopedia dell'Italiano.