Storia della letteratura italiana/Annibal Caro
L'opera di riscoperta dei classici passò anche attraverso il lavoro di traduzione. Tra questi traduttori spicca il nome di Annibal Caro, uno dei massimi letterati dell'epoca, autore di scritti di vario genere, che approntò una parafrasi (più che una traduzione)[1] dell'Eneide di Virgilio, rimasta famosa fino ai giorni nostri.
La vita
modificaNato a Civitanova Marche il 6 giugno 1507, si forma sotto la guida dell'umanista Rodolfo Iracinto, prima di trasferirsi a Firenze per completare i suoi studi sugli scritti antichi assieme a Benedetto Varchi. Nel 1530 entra al servizio di Giovanni Gaddi, dapprima a Roma e poi a Napoli, frequentando le accademie delle Virtù e dei Vignaioli e partecipando alla accademia della nuova poesia che si proponeva di realizzare versi sia in lingua latina sia in lingua italiana. Durante il suo soggiorno partenopeo conosce pensatori quali Bernardino Telesio e Bernardo Tasso.
Dal 1543 è segretario di Pier Luigi Farnese, primo duca di Parma e di Piacenza, finché questi non è assassinato a Piacenza nel 1547. In seguito, per intercessione dei cardinali Ranuccio Farnese e Alessandro Farnese, figli del duca, gli è riconosciuto nel 1555 il cavalierato dell'Ordine di San Giovanni di Gerusalemme e, con bolla papale, gli è affidata la Commenda dei SS. Giovanni e Vittore in Selva a Montefiascone. Rimane al servizio del cardinale Alessandro Farnese dal 1548 al 1563, al quale suggerisce i soggetti per gli affreschi del Palazzo Farnese di Caprarola. Muore a Frascati il 17 novembre 1566.
Le opere
modificaAnnibal Caro fu autore di scritti tra di loro molto diversi, caratterizzati da un gusto letterario molto raffinato.[1] Utilizzando i diversi modelli messi a disposizione dalla cultura del suo tempo senza apportarvi modifiche, realizza risultati originali in cui, come scrive Ferroni, presenta «una realtà quasi astratta e raggelata, che sembra sfuggire all'occhio di chi la guarda».[2]
Il suo esordio fu segnato da una canzone scritta in onore della casa di Valois, intitolata Venite all'ombra de' gran gigli d'oro, seguita dai sonetti I Mattacchi e La Corona. Fu inoltre autore di un libro di Rime di stampo petrarchista.
Fu anche commediografo: la sua commedia Gli Straccioni è un importante esempio di teatro erudito rinascimentale che fornisce uno spaccato di Roma nel Cinquecento.
Le Lettere famigliari, costituite da circa ottocento lettere, fornirono non solo un archivio documentaristico di prim'ordine, ma anche un'importante fonte di informazioni sulla cultura rinascimentale. Nelle lettere vengono trattati tematiche letterarie e religiose, di costume e avvenimenti politici e militari.
L'Eneide di Virgilio e le altre traduzioni
modificaPer leggere su Wikisource il testo originale, vedi Eneide (Caro)
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L'opera che però gli valse la maggior fama fu la sua traduzione in endecasillabi sciolti dell'Eneide di Virgilio. Come fanno notare molti critici, tra cui Giuseppe Petronio, quella di Annibal Caro non fu però una traduzione vera e propria, ma piuttosto una rielaborazione in versi sciolti del poema, anch'essa caratterizzata dall'eleganza tipici del classicismo rinascimentale.[3] D'altra parte, scrive Ferroni, nell'opera di Caro il classicismo finisce per cristallizzarsi in un puro manierismo.[2]
Tradusse inoltre la Poetica di Aristotele, Gli amori pastorali di Dafni e Cloe di Longo Sofista e le Lettere a Lucilio di Lucio Anneo Seneca.
Note
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