Saeculum Mirabilis/Capitolo 2

Indice del libro
Ritratto di Albert Einstein, di Leonid Pasternak (1924)

I fondamenti del pensiero modifica

La difficoltà di Einstein modifica

Dopo aver esaminato il ruolo di Einstein nel discorso pubblico del suo tempo, passiamo ora alle qualità intellettuali ed emotive distintive che egli apportò a questi dibattiti. Per quanto condividesse molte idee con i suoi colleghi internazionalisti liberali, non c'era modo di nascondere le differenze tra loro che derivavano dal temperamento, dalle origini sociali e nazionali, nonché dall'istruzione e dall'esperienza di vita più in generale. Una qualità che differenziava Einstein da tutte le altre figure esaminate nel Capitolo precedente era che, nonostante il mezzo con cui lavoravano professionalmente fosse il linguaggio, quello specifico di Einstein era la matematica. Certo, anche Russell poteva rivendicare la matematica, ma con l'inizio della Prima guerra mondiale si allontanò decisamente dalla sua precedente specializzazione in filosofia della matematica verso le aree meno tecniche della filosofia generale e sociale. Il Premio Nobel di Russell, assegnato nel 1950, era dopotutto per la letteratura. Einstein, premiato nel 1921, fu per i servizi alla fisica e soprattutto per la sua scoperta della legge dell'effetto fotoelettrico.1 Il linguaggio, il discorso pubblico, era, per così dire, la seconda lingua di Einstein. Che il suo primo linguaggio fosse la matematica ebbe un effetto decisivo sui suoi rapporti con il pubblico.

Biografi e commentatori hanno spesso lottato per riconciliare Einstein, il personaggio pubblico, con Einstein lo scienziato, che, a causa dell'astrusità delle sue scoperte, proiettava un'aura di lontananza e mistero. Uno dei primi biografi osservò che per molti "the word ‘Einstein’ [was] equivalent to ‘incomprehensible’".2 Inevitabilmente l'incomprensibilità si riferiva alla sua teoria della relatività. Persino le divulgazioni, di cui ce n'erano molte sin dall'inizio, non ultima quella di Einstein stesso, che fu pubblicata nel 1916, solo un anno dopo il completamento della Teoria Generale, fecero scervellare i lettori.3 Era sufficiente per la maggior parte dei non-scienziati sapere che Einstein aveva rimodellato le nozioni di tempo e spazio; la sua teoria aveva lo status di metafora piuttosto che di conoscenza del funzionamento dell'universo. Servendo come magazzino di nuove immagini associate al cambiamento rapido e sconcertante dopo la Prima guerra mondiale, la teoria della relatività "resonated with changed class and sex relations and with new technologies of mass entertainment during the early 1920s, becoming an apt symbol for an uncanny modern world in which exciting possibilities were matched by new risks and hazards".4

Lo stesso Einstein si oppose all'applicazione della teoria della relatività a sfere più ampie. In un famoso scambio con l'arcivescovo di Canterbury durante una conversazione a cena a Londra nel 1921, Einstein respinse il suggerimento, reso popolare dal politico e filosofo Visconte Haldane, che la teoria della relatività avrebbe fatto "a great difference to our morale [or in some accounts ‘morals’]". Einstein ribatté: "Relativity makes no difference... It is purely abstract science". Sarebbe avventato considerare questa osservazione come il pensiero completo o definitivo di Einstein sulla questione dei rapporti tra scienza ed etica o tra scienza e religione. Più tardi nella sua vita, come vedremo, riflettè molto su questo problema, anche se non coinvolse i dettagli della teoria della relatività stessa. Potrebbe essere stata la modestia, come suggerisce Ronald Clark, a pronunciare la sua risposta all'arcivescovo, sebbene alcuni anni dopo abbia ripetuto l'affermazione in modo un po' più esteso, sottolineando quanto spesso la relatività fosse fraintesa.5 Più probabilmente era proprio questa preoccupazione che la teoria della relatività nelle mani dei non-scienziati avesse poca relazione con la cosa reale a spingerlo a resistere alla sua più ampia applicazione. Altri, tra cui alcuni fisici, insistettero tuttavia nel fare collegamenti tra la teoria della relatività e le altre sfere della vita, come era del tutto naturale e prevedibile.6 Come poteva la mente umana resistere al tentativo di adattarsi a quella che in effetti era una nuova cosmologia? Il purismo di Einstein è, tuttavia, indicativo della difficoltà concettuale e tecnica della teoria stessa, soprattutto che potesse esprimersi pienamente solo nel linguaggio della matematica. La sua versione "popolare" era minimamente matematica, ma comunque in luoghi ostici ai non-matematici. In breve, per Einstein tradurre la teoria in un linguaggio che i laici potessero facilmente comprendere sarebbe stato travisarla.

Al contrario, Einstein espresse le sue opinioni politiche ed etiche con un linguaggio comprensibile a tutti, e sperò certamente che avrebbero fatto differenza. Nella sfera della politica e dell'etica Einstein si rivolse naturalmente ai modi di pensiero e di espressione popolari. È significativo che, come abbiamo visto, Einstein dovesse raccomandare agli educatori la storia del mondo di H. G. Wells piuttosto che il lavoro di uno storico "scientifico" professionista. Sicuramente questo non era solo perché Wells era un abile comunicatore, ma anche perché proponeva una filosofia del progresso liberale congeniale a Einstein, e questo in un momento in cui alcuni storici professionisti mettevano in dubbio la "Whig interpretation of history" come non sufficientemente rigorosa, parziale al pensiero teleologico ed eccessivamente desiderosa di dare giudizi morali.7 Può sembrare irrilevante che al di fuori della scienza Einstein non abbia applicato principi scientifici, ma il divario è così evidente da richiedere una spiegazione. Dopotutto, ci si potrebbe aspettare che un atteggiamento scientifico si ripercuota in una certa misura su questioni politiche e di altro tipo. Qual è esattamente il rapporto tra la sua scienza e la sua politica?

Il paradosso di Einstein modifica

Fin dall'inizio ci troviamo di fronte a un paradosso che sta alla radice del suo essere. Una metà del paradosso assume la forma di una disgiunzione radicale tra i processi mentali che utilizzava per affrontare problemi scientifici e quelli che impiegava per affrontare questioni morali, sociali e politiche. Abbiamo già fatto riferimento nel Capitolo 1 alla sua stessa percezione del divario tra le sue idee scientifiche e morali nella risposta che diede a un corrispondente che voleva stabilire la natura morale della ricerca scientifica. Scrisse: "My scientific work is motivated by an irresistible longing to understand the secrets of nature and by no other feelings. My love for justice and the striving to contribute to the improvement of human conditions are quite independent from my scientific interests".8 Questo Einstein sembra essere un individuo compartimentalizzato i cui sé separati operavano quasi indipendentemente l'uno dall'altro. L'altra metà del paradosso sta nell'apparentemente irriducibile unità dell'essere che egli proietta nell'ambito delle sue attività. Einstein non si comportava come un individuo diviso o nonintegrato. Un amico di Einstein ribadì: "the combination of that vast... inner detachment [which lay behind his scientific work] and enormous ethical commitment was a very wonderful thing because it was totally integrated into one flesh and bones and I think that’s a very rare thing".9

Questa impressione di integrazione andò ben oltre il volto che presentava al mondo; si estendeva ad alcuni dei suoi presupposti filosofici più basilari. C'è una lotta per unità, armonia e semplicità in tutta la gamma del pensiero di Einstein, sia in campo fisico che non-scientifico. Nel suo lavoro scientifico la spinta all'unità e all'armonia è forse più visibile nella ricerca di una teoria dei campi unificata, che collegherebbe la teoria generale della relatività con l'elettromagnetismo per produrre un quadro generale di comprensione per tutte le forze fisiche basilari; nel campo non-scientifico lo stesso impulso è visibile nella sua difesa del governo mondiale o, come preferiva dirlo, di una "supranational authority" che mitigasse gli effetti distruttivi e divisivi della concorrenza tra le nazioni. La semplicità era allo stesso modo un valore centrale per Einstein nella scienza come in altre sfere. L'essenza della teoria della relatività, disse a un giornalista durante la sua prima visita negli Stati Uniti, era "the logical simplicity with which it explained apparently conflicting facts in the operation of natural law".10 Più in generale, la semplicità era al centro del suo atteggiamento nei confronti della vita. Nel suo credo personale, "The World As I See It" (1931), disse: "I... believe that a simple and unassuming life is good for everybody, physically and mentally".11 In tutti i suoi scritti non scientifici cercò la chiarezza e l'immediatezza dell'espressione. Tuttavia, la semplicità che cercava parimenti nella sua vita intellettuale e quotidiana non è da confondere con l'immagine popolare, o meglio la caricatura, di lui come un genio infantile, il maldestro innocente cervello che inciampò nelle grandi verità della natura e divenne, nel parole del profilo "Person of the Century" di Time magazine: "the cartoonist’s dream come true".12 La semplicità di Einstein era una qualità morale composta sia da fiducia in se stessi e modestia sia da una notevole immunità a ciò che gli altri pensavano di lui, negativo o positivo che fosse.

 
Max Planck nel 1930

Anche la facoltà di intuizione era pertinente ad entrambe le sfere della sua attività. Quando discutono del percorso intrapreso da Einstein verso la teoria della relatività, gli scienziati annotano regolarmente gli straordinari salti intuitivi che lo portarono da un'impasse concettuale verso una soluzione.13 Lo stesso Einstein disse, in una conferenza che celebrava il sessantesimo compleanno di Max Planck, che "the supreme task of the physicist is to arrive at those universal elementary laws from which the cosmos can be built up by pure deduction. There is no logical path to these laws; only intuition, resting on sympathetic understanding of experience, can reach them".14 Einstein, che era un oratore instancabile, descriveva i suoi processi di pensiero come prevalentemente non verbali nella fase creativa e spesso basati su immagini e forme visive; anzi, suggerì che legare concetti troppo strettamente a parole particolari, i cui significati erano diventati stantii e fissi, fosse fonte di molti errori nella scienza.15

I principi di Einstein in politica ed etica sembrano anche fortemente dipendenti dall'intuizione, nel senso che erano radicati in presupposti profondi che erano considerati ovvi. Tuttavia, c'è una differenza nel ruolo che l'intuizione gioca nei due reami della sua attività, che ci porta dall'altra parte del paradosso di Einstein: la sensazione che ci siano due Einstein. I percorsi dall'intuizione alle conclusioni finali sono ben distinti nelle due sfere della sua attività intellettuale. A differenza delle sue intuizioni scientifiche, i suoi principi intuiti nell'etica, nella società e nella politica sono raramente messi in discussione. Mentre le sue intuizioni scientifiche sono punti di partenza per spiegazioni di anomalie nel mondo naturale o elementi costitutivi per immagini dettagliate di come funzionano i sistemi fisici, nella vita sociale e politica i principi morali intuiti, come li trattava Einstein, sono verità evidenti. C'è un resoconto sorprendente fatto da Ernst G. Straus sulle differenze nel modo in cui Einstein trattava le idee scientifiche e quelle politiche. In qualità di studente e assistente di Einstein per diversi anni negli anni '40, Straus fu in grado di osservare Einstein da vicino. Einstein disse a Straus: "There are absolutely no good ideas in politics. The ideas are all obvious, the only problem is to get people to act on them". Straus rifletté:

« [Einstein] would turn every scientific idea in all directions, never ceasing to look at it from a new angle, to criticize it again, to pick it up again, and to examine it. In his political ideas, on the other hand, he felt that the idea is clear, the only problem is to state it. I think that the constant preoccupation that marked his scientific work simply did not happen in his political and social thought.16 »

Cosa dobbiamo pensare del paradosso sopra descritto? La sua apparente mancanza di riflessività nel campo dell'etica e della politica, rispetto al suo studio della fisica, significa forse che le sue idee sociali e politiche sono quindi di scarso rilievo? Dobbiamo intendere l'apparente spaccatura in Einstein semplicemente come un fatto della sua vita su cui sorvoliamo rapidamente o come qualcosa che richiede una spiegazione? Guardando dall'altra parte del paradosso, c'è davvero un'unità alla base del suo pensiero in entrambi i campi o è semplicemente un riflesso dell'urgenza dei commentatori di legare tutti i fili in una disperata ricerca di coerenza nel loro argomento? Se c'è unità, come è meglio descriverla e spiegarla?

L'argomento dell'unità modifica

C'è chiaramente molto da dire sul lato dell'unità e dell'integrazione, più ovviamente nell'integrazione manifesta della personalità di Einstein. Come è già stato suggerito, non era turbato da dubbi sulla sua identità di scienziato o di essere etico e politico. L'una attività raramente influiva sull'altra in un modo che gli causasse difficoltà, con la singolare eccezione del suo ruolo indiretto nell'inizio del Progetto Manhattan, e in questo caso le difficoltà nacquero meno da un qualsiasi conflitto nella sua mente che dall'irritazione per il modo in cui il suo ruolo fu ritratto pubblicamente. Più tipico del collegamento tra il suo ruolo di scienziato e la sua attività politica è stata la sua presidenza del Emergency Committee of Atomic Scientists negli anni '40 e più in generale le sue campagne a favore del disarmo nucleare e della pace mondiale nell'immediato dopoguerra. Qui la sua competenza scientifica e il senso di responsabilità pubblica si rafforzarono a vicenda. Se è vero che a volte era irritato dal tempo e dall'energia che questo comitato gli costava, non aveva dubbi nella sua mente sull'importanza della causa, che era quella di educare il pubblico sulle questioni atomiche e in particolare sul pericolo di una guerra nucleare.

Altri fisici avevano scelte più difficili da fare rispetto a Einstein. In quanto teorico fondamentale, in ogni caso estraneo alla fabbricazione della bomba atomica, non si trovò di fronte al tipo di scelta affrontata da alcuni fisici del Progetto Manhattan per i quali la consapevolezza di aver contribuito a creare l'arma più distruttiva mai vista provocò decisioni che cambiano la vita. Leo Szilard, una figura chiave all'inizio del Progetto Manhattan – fu determinante nel sollecitare Einstein a redigere la lettera a Roosevelt nel 1939 – e anche nella fabbricazione della bomba stessa, dopo la guerra passò alla biologia molecolare per orrore verso la distruttività delle armi nucleari. Uno scienziato molto più giovane del Progetto Manhattan, Józef Rotblat, passò alla fisica medica e per il resto della sua lunga vita fece una campagna per il disarmo nucleare. Ricevette il Premio Nobel per la Pace nel 1995. Einstein riuscì a rimanere in un certo senso al di sopra della battaglia in virtù della sua età, profilo scientifico e temperamento.

Un'altra caratteristica del carattere di Einstein che mantiene l'accento sull'unità del suo essere è la sua capacità in tutti i campi della sua attività intellettuale e politica di distinguersi dalla massa. La sua indipendenza d'animo si manifestò sin dall'inizio in seguito al trasferimento dei genitori in Italia quando aveva solo 15 anni, lasciandolo a Monaco alle cure di parenti lontani per completare gli studi superiori. Con allarme dei suoi genitori, dopo poco tempo decise di lasciare la Germania. Sembra che un membro della famiglia gli abbia suggerito di completare la sua formazione presso il Politecnico Federale Svizzero di Zurigo, ma la decisione su cosa studiare fu presa dallo stesso Einstein. A questo punto era già preso dalla passione per la fisica che in seguito portò avanti la sua carriera.17 Importante quanto la passione, tuttavia, era la sua capacità di mettere in discussione i presupposti più fondamentali della sua materia, di seguire le sue argomentazioni ovunque potessero portare e di mantenere le sue conclusioni di fronte allo scetticismo o all'aperta opposizione dei colleghi scienziati. Per quanto Einstein fosse rispettoso dei suoi più grandi predecessori e contemporanei, non si tirò mai indietro dal mettere in discussione le loro conclusioni. La misura della sua fiducia in se stesso è ampiamente illustrata dalla produzione delle famose carte del 1905 nel campo della fisica teorica che intraprese mentre lavorava presso l'ufficio brevetti di Zurigo. La teoria della relatività speciale, che relegava le precedenti certezze della visione del mondo newtoniana a quella di un caso speciale all'interno di un quadro molto più ampio e complesso, era solo il più noto dei quattro contributi fondamentali. Di pari significato furono i saggi sull'effetto fotoelettrico, che fu infatti l'argomento che gli valse il Premio Nobel nel 1921, e sull'equivalenza massa-energia, che sfociò nella formula più citata nella scienza: E=mc² . Un ulteriore documento fornì la spiegazione più completa fino ad oggi del moto browniano. Ognuno di questi documenti, preso da sé, sarebbe stato considerato di fondamentale importanza. Nel loro insieme costituiscono una sfida sorprendente alle ipotesi esistenti sugli argomenti centrali della fisica.

Einstein mostrò un'analoga indipendenza mentale nella sua etica e politica. Anche qui si dimostrò in grado di ergersi al di fuori del consenso prevalente e di adottare posizioni radicali che lo rendevano spesso vulnerabile agli attacchi dell'establishment. Come abbiamo visto, era uno dei pochissimi suoi coetanei che protestarono contro la Prima guerra mondiale e continuò con lo stesso spirito per il resto della sua vita a prendere posizioni di opposizione su grandi questioni pubbliche, in particolare quelle legate a guerra e armamenti. Abbracciò anche una serie di altre cause impopolari, inclusi i diritti civili dei neri in America, molto prima che la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti del 1954 stimolasse il movimento verso la desegregazione.

 
Max Born (ca. 1935)

Tuttavia, Einstein non era un bastian contrario inveterato né un oppositore dell'autorità per il gusto di farlo. La sua indipendenza mentale non lo rendeva automaticamente contrario. Volle sempre riconoscere i contributi dei suoi grandi predecessori scientifici, i deceduti da tempo come Newton, Faraday e Maxwell e i vivi come Max Planck, Hendrik A. Lorentz e altri. Scrisse nel 1921: "The theory of relativity may indeed be said to have put a sort of finishing touch to the mighty intellectual edifice of Maxwell and Lorentz". La teoria, osservò, non costituiva un atto rivoluyzionario "but the natural continuation of a line that can be traced through centuries".18 Anche in politica, Einstein, sebbene eminentemente in grado di sfidare l'autorità su questioni di principio, era pronto ad accogliere una leadership illuminata quando la incontrava, ovviamente nel caso di Franklin Roosevelt, per il quale provava sincera ammirazione e affetto. "I’m so sorry Roosevelt is president—otherwise I would visit him more often", disse Einstein a un amico.19 In una dichiarazione commemorativa dopo la morte di Roosevelt nell'aprile 1945, Einstein scrisse che "for all people of good will Roosevelt’s death will be felt like that of an old and dear friend. May he have a lasting influence on our thoughts and convictions".20 Che questo fosse qualcosa di più di un semplice sentimento è chiaro dal suo appoggio alla spinta fondamentale della politica estera statunitense sotto Roosevelt e dal suo corrispondente sgomento per ciò che seguì sotto Truman. Einstein era uno di quelli convinti che con la morte di Roosevelt sarebbe morta anche ogni possibilità di una politica "ragionevole" nei confronti dell'Unione Sovietica.21 In breve, Einstein aveva una mente tutta sua in politica come in fisica.

C'è un'altra caratteristica comune dell'approccio di Einstein alla scienza e alla politica che merita di essere menzionata: una certa testardaggine nel mantenere un'idea anche quando c'erano molte prove contro di essa. In politica, per Einstein, i fondamenti generalmente non erano in discussione; i valori centrali, come abbiamo visto, erano ritenuti evidenti, anche se circostanze alterate potevano imporre cambiamenti tattici (come nell'area del pacifismo, che sarà trattata in un Capitolo successivo). Nella scienza, nonostante l'infinita ingegnosità con cui Einstein lottò con la teoria della relatività, sarebbe arrivato un punto, raggiunto nel dibattito con Niels Bohr e altri sulla meccanica quantistica, in cui si sarebbe semplicemente bloccato e rifiutato di muoversi. Non avrebbe accettato l'elemento di casualità richiesto dalla teoria statistica della meccanica quantistica né dalla teoria dell'incertezza che sembrava negare l'esistenza indipendente di un mondo fisico conoscibile. "He [God] does not play dice", scrisse in una lettera al suo amico Max Born — enunciazione che, presa in profondità, si rivelerà comunque vera...se concediamo a Dio una mente infinita!22

L'Einstein compartimentalizzato modifica

Tuttavia, una volta che questi punti sono stati esplicati riguardo all'unità del carattere e dell'approccio di Einstein in tutta la gamma delle sue attività, si raggiunge un limite oltre il quale possono essere addotte solo più generalità. A un livello di dettaglio significativo, la fisica non illumina la politica; né il contrario. Più significative per la comprensione dei suoi contributi distintivi sono le differenze nei modi in cui operò in ambito scientifico e altrove.

La convinzione di Einstein che la sua scienza e i suoi valori politici avessero radici abbastanza diverse era una caratteristica della sua mente e della sua personalità che lasciò perplessi alcuni osservatori che presumevano che dovessero essere interdipendenti. C'è un esempio sorprendente, anche se eccentrico, di questo in uno scambio di lettere con uno studioso indiano che lo rimproverava per la sua ammirazione pubblicamente espressa per Gandhi. Un certo professor Kahol chiese nel dicembre 1949, all'indomani dell'assassinio di Gandhi: "how a rationalist like you could have even the slightest regard for an irrationalist of the type of Gandhi..." Inoltre, continuò Kahol, Einstein sapeva forse che gli assassini di Gandhi erano grandi ammiratori di lui [Einstein], avevano studiato le sue teorie mentre erano in prigione e che tra gli oggetti restituiti alle loro famiglie dopo le loro esecuzioni c'era "‘a great deal of scientific and mathematical literature, especially the Theory of Relativity"?23 Come lo psicologo che scrisse ad Einstein chiedendogli se avesse pensieri umanitari quando pensava alla relatività, il professor Kahol presumeva che ci dovesse essere una semplice consonanza tra il pensiero scientifico e politico di Einstein: un credente nella validità della logica matematica e nell'esistenza di una realtà fisica indipendente dal soggetto umano doveva sicuramente respingere l'irrazionalismo di uno come Gandhi. Einstein rispose con toni senza dubbio più educati e moderati di quanto in effetti pensasse: "I can well understand your attitude but cannot agree with it. It is true that Gandhi was to some extent anti-rationalist or at least a man who did not believe in the independent value of knowledge. But the unique greatness of Gandhi lies in his moral fervour and in his unparalleled devotion to it".24 Naturalmente, in questo scambio c'era molto più di una discussione su scienza ed etica, almeno da parte del professor Kahol. Divenne chiaro da due lettere successive a Einstein, alle quali Einstein non rispose, che Kahol era un fanatico, convinto che Gandhi non fosse diverso da Hitler se non nei suoi vestiti e nella sua "smoke-screen of non-violence".25 Per i nostri scopi, tuttavia, il significato dello scambio sta nella riaffermazione di Einstein del primato dei valori morali nel suo approccio alle questioni non-scientifiche e nel suo rifiuto di elidere la scienza con questioni politiche ed etiche.

 
Sigmund Freud (1926)

Un'illustrazione più sostanziale della differenza tra il trattamento di Einstein delle idee etiche e il suo modo di fare scienza risiede nel suo scambio pubblico di lettere con Sigmund Freud sulle cause della guerra. In questo caso, Freud era lo scienziato che applicava il metodo a un problema sociale e psicologico, mentre lo scienziato Einstein era appena in evidenza. A Einstein fu chiesto dall'Istituto Internazionale di Cooperazione Intellettuale della Società delle Nazioni di impegnarsi in uno scambio pubblico di opinioni con una personalità di sua scelta su un argomento di grande importanza per il futuro della civiltà. Scelse di invitare Freud a discutere la domanda: "Is there any way of delivering mankind from the menace of war?" Einstein aprì lo scambio con una breve lettera che poneva una serie di domande esponendo inoltre una serie di ipotesi. In un certo senso iniziò alla fine del problema offrendo una soluzione. Posto che la guerra fosse il risultato di un conflitto tra nazioni, Einstein affermò poi quello che chiamava l'"assioma" che "the quest for international security involves the unconditional surrender by every nation, in a certain measure, of its liberty of action—its sovereignty that is to say..." Solo allora, attingendo liberamente allo stesso Freud come per invogliare lo psicoanalista a prendere l'avvio, considerò i "strong psychological factors" che stavano dietro il mancato raggiungimento della soluzione voluta. Tra questi spiccava la "brama di potere" che portava alcuni umani ad affermare il dominio sugli altri, producendo disuguaglianze nella società e il governo nelle mani di piccole consorterie. Ma le radici dell'aggressività non erano tutte nella struttura sociale. I governanti erano in grado di sfruttare le emozioni delle masse così facilmente perché "man has within him a lust for hatred and destruction". Infine, rifletté cupamente che non era bene che l'intellighenzia mettesse in ballo la ragione, perché "they are most apt to yield to these disastrous collective suggestions, since the intellectual has no direct contact with life in the raw but encounters it in its easiest synthetic form—upon the printed page".26

Tralasciando il fatto che quest'ultimo punto apparentemente contrasta con gli sforzi da lui regolarmente compiuti per portare le opinioni di intellettuali come lui sulle questioni pubbliche del giorno, ciò che colpisce nella sua lettera è il grado in cui l'analisi è guidata dal punto finale dell'argomento: in questo caso la convinzione che solo un'autorità sovranazionale può risolvere la questione della guerra. Il problema non è se abbia ragione o torto, ma piuttosto il contrasto con la procedura di Freud. Quella di Freud è l'opposto di quella di Einstein in quanto Freud inizia con le fonti della violenza nelle prime forme di società umane in cui si trovano le condizioni più primitive. Quando arriva alla proposta di Einstein per il controllo centrale del sistema politico internazionale, le carte sono già impilate contro la soluzione di Einstein. Anche una tale soluzione "ideale", sottolinea Freud, dovrebbe fare molto affidamento sulla violenza affinché funzioni. In realtà, Freud si sforza di stabilire un terreno comune con Einstein per quanto può, e questo è ciò che ci si aspetterebbe da un'impresa come questa. Fa approcci empatici sull'idea di un controllo sovranazionale e suggerisce che entrambi sono arrivati ​​a una destinazione simile per rotte diverse. Ma l'agenda di Freud e la sua metodologia sono essenzialmente differenti, come Freud ben sapeva. Scrive Freud:

« You are interested, I know, in the prevention of war, not in our theories, and I keep this fact in mind. Yet I would like to dwell a little longer on [the] destructive instinct which is seldom given the attention that its importance warrants. »

Segue una discussione dettagliata sul "death instinct" e sulla sua relazione con l'"erotic instinct".

Forse la cosa più eloquente di tutte, Freud conclude con una domanda che, osserva, "is not mooted in your letter’", ma che lo interessa molto. Perché, chiede, protestiamo con tanta veemenza contro la guerra "instead of just accepting it as another of life’s odious importunities"? Tutto ciò che sappiamo su Einstein indica che per lui non si può concepire di intrattenere tale possibilità. La guerra è evidentemente errata. Freud, tuttavia, ha l'atteggiamento dello scienziato per il quale anche le verità apparentemente più ovvie devono essere contestate. Freud sostiene che la guerra è stata accettata nelle società umane come un'estensione del principio che "every man has a right over his own life", tuttavia, poiché l'uomo si vergogna dei suoi istinti omicidi e poiché la guerra è così distruttiva per le società umane, l'uomo ha cercato nel tempo di controllare l'istinto aggressivo. Il successo è solo parziale, tuttavia, poiché le nazioni e gli imperi continuano a cercare l'autoconservazione contro i nemici e l'estensione del loro potere. Il risultato è un lento processo di cambiamento culturale in cui vi è un "progressive rejection of instinctive ends and a scaling down of instinctive reactions". Pertanto, per una serie di ragioni culturali e storiche, gli individui e le società umane hanno iniziato a superare gli impulsi violenti provocati dagli istinti primitivi ereditati e la continuazione e l'espansione graduale di questo processo porterà nel tempo, suggerisce, alla fine desiderata. Conclude: "Whatever makes for cultural development is working also against war".27

Freud mette in chiaro che anche lui si considera un "pacifista", ma la sua disponibilità a intrattenere e ad approfondire una questione come questa – cioè che a pensarci bene potrebbe facilmente produrre un risultato diverso – indica un elemento di distacco analitico che non si riscontra nella trattazione di Einstein di questi problemi, in netto contrasto con il suo modo di fare scienza. In breve, Freud analizza le fonti della guerra nel modo in cui Einstein analizza un enigma teorico o un'anomalia osservata nel mondo fisico. Significativamente, inoltre, la visione freudiana della guerra è considerevolmente più lontana dalle questioni di politica rispetto a quella di Einstein. Freud ha investito di più nella comprensione delle fonti della guerra nella natura umana e nelle società umane che nella ricerca di modi per sbarazzarsene. La "soluzione" di Einstein è di per sé poco pratica nel tipo di tempistica abitualmente impiegata dai politici, ma il suo approccio è quello dell'attivista, per il quale la priorità chiave è portare avanti il ​​dibattito in un modo che sfidi direttamente la pratica attuale. Freud non ha in vista tale fine. La sua priorità è la comprensione scientifica.

 
Yaron Ezrahi

Ulteriori indizi sul significato della differenza tra la produzione scientifica e non scientifica di Einstein possono essere ricavati da un semplice confronto tra la pronta accessibilità dei suoi scritti sociali e politici con l'estrema difficoltà e astrattezza del suo lavoro scientifico. La sua scienza rappresenta una continua messa in discussione dei fondamenti stessi del buon senso. La meccanica dell'universo newtoniano era, al contrario, comprensibile in linea di principio a qualsiasi osservatore, anche se i suoi meccanismi dettagliati non lo erano. La scienza newtoniana era compatibile con il realismo popolare o di senso comune e, in effetti, nella persuasiva argomentazione di Yaron Ezrahi, con la democrazia che, come si sviluppò alla fine del diciottesimo secolo, era in sintonia con le "leggi della natura". Come dice Ezrahi: "the history of modern social science and particularly of political science indicates the extent to which the example of Newtonian physics, especially in its popular versions, has been transferred to the spheres of society and politics, suggestively implying that society and politics can be described and explained in terms of observable facts and objective events".28 Con la relatività e la rivoluzione quantistica, queste certezze e connessioni tra scienza e principi politici e sociali si sono dissolte. "The sciences have long departed, from the common visual and experiential domain they shared with laymen, which lent them authority and presence as critics", osserva Ezrahi.29

Non era chiaramente intenzione di Einstein coltivare l'incomprensibilità, e non risparmiò nessuno sforzo nel cercare di rendere la sua scienza comprensibile al laico, sia attraverso i suoi scritti sia attraverso l'approvazione del lavoro di altri. Né il suo stesso lavoro incarnava l'affermazione che le conclusioni di Newton fossero obsolete. "elativity does not contradict classical physics", scrisse Lincoln Barnett in uno dei tentativi di maggior successo di divulgazione della rivoluzione einsteiniana. "It simply regards the old concepts as limiting cases that apply solely to the experiences of man".30 Einstein non si stancava mai di lodare le conquiste di Newton e si preoccupava di dimostrare che, come disse in una conferenza sul 200° anniversario della morte di Newton, "the whole evolution of our ideas about the processes of nature... might be regarded as an organic development of Newton’s ideas".31 Tuttavia, non si può negare che la comprensione della struttura dell'universo fisico ora poggiava su una comprensione della nuova fisica. Era anche chiaro che il linguaggio della scienza aveva ora interrotto qualsiasi connessione avesse avuto con il linguaggio ordinario. La scienza di Newton era anche fortemente matematica, ma i suoi principi erano più facilmente traducibili in termini di comprensione comuni rispetto ai risultati della nuova fisica del primo Novecento. C'era un riconoscibile "adattamento" tra la meccanica celeste di Newton e l'osservazione empirica della natura. Nel verso memorabile di Alexander Pope nel Essay on Man (1734): "God said, ‘Let Newton be!’ and all was light". La generazione di Benjamin Franklin e Thomas Jefferson fu probabilmente l'ultima per la quale un'ampia comprensione della scienza più avanzata poteva essere considerata come parte dell'educazione generale dell'élite sociale e intellettuale. Entrambi avevano familiarità con i contorni delle scienze naturali come con la filosofia, la letteratura e la politica; Franklin, ovviamente, diede il proprio contributo alla scienza attraverso i suoi esperimenti sull'elettricità. Un secolo e mezzo dopo, nessun commercio così facile con la scienza fu possibile, non da ultimo a causa di ciò che Lincoln Barnett ha chiamato "science’s retreat from mechanical explanation toward mathematical abstraction". Anche le divulgazioni della teoria della relatività e della rivoluzione quantistica hanno messo a dura prova i cervelli di coloro che non sono formati in matematica. Barnett osserva: "In accepting a mathematical description of nature, physicists have been forced to abandon the ordinary world of our experience, the world of sense perceptions".32

Agli occhi di alcuni commentatori contemporanei la questione andava ben oltre la comprensibilità. Il giornalista e filosofo politico americano Walter Lippmann era preoccupato del fatto che, con l'avvento della fisica einsteiniana, si fosse rotto un legame storico fondamentale tra le idee politiche e le visioni prevalenti della scienza. Il newtonismo era stato sostituito dal darwinismo come moda intellettuale prevalente, e ciascuno aveva fornito una base per il pensiero politico del loro tempo, ma tale era l'impenetrabilità della fisica di Einstein che "simply does not lend itself to mythmaking, with the consequence that our political thinking today has no intellectual foundation".33 Questo evidentemente non preoccupò lo stesso Einstein, per il quale nessuna nuova idea della scienza, tanto meno la sua fisica, sembrava necessaria come base per le sue idee politiche. Gli scritti non scientifici di Einstein abitano un universo newtoniano in cui si possono osservare cause ed effetti, in consonanza con un reame pubblico in cui le grandi decisioni vengono dibattute e prese allo scoperto. Susan Neiman ha ragione nell'acclamare il "subversive Einstein" degli scritti sociali e politici come "a genuine Enlightenment hero", ma l'affermazione ha un'ulteriore piccantezza se riflettiamo sul fatto che la sua scienza puntava lontano dai presupposti fiduciosi e trasparenti dell'Illuminismo verso un mondo nuovo e meno prevedibile.34 Nel frattempo, ironia della sorte, molti scienziati sociali stavano imparando dalla rivoluzione scientifica dell'inizio del ventesimo secolo e portando le scienze sociali professionali in nuovi reami di complessità e astrusità tecnica e concettuale. Il loro linguaggio, in parte imitando il crescente prestigio delle scienze naturali, era sempre più lontano dal linguaggio ordinario. Einstein, invece, scelse nei suoi scritti sociali e politici di comunicare liberamente. Rimase un newtoniano in politica anche quando gettò le basi scientifiche per l'epoca per la quale il suo stesso nome divenne l'etichetta: l’età di Einstein.

Dietro la differenza di linguaggio nelle due sfere di attività di Einstein c'è una distinzione filosofica. Il suo orientamento verso le questioni etiche e le relative questioni sociali e politiche conservava una qualità emotiva che egli desiderava eliminare il più possibile dal suo studio della natura. I concetti usati per costruire spiegazioni scientifiche coerenti, disse, "are not expressing emotions, since the scientist is concerned with relations which are thought to exist independently of the searching individual".35 Anche se questo non significa che la scienza come metodo è irrilevante per l'etica – "ethical premises play a similar role in ethics to that played by axioms in mathematics"36 – la scienza può essa stessa, afferma Einstein, fornire solo mezzi, non obiettivi.37 In termini di filosofia della scienza, Einstein era un realista inveterato per il quale la verità delle affermazioni sul mondo naturale era di un ordine diverso dalle verità dell'etica. Le prime erano vere indipendentemente dai desideri o dall'esperienza degli individui, mentre le seconde derivavano, scrisse, "from our inborn tendencies to avoid pain and annihilation, and from the accumulated emotional reaction of individuals to the behaviour of their neighbours".38 Le nozioni etiche, cioè, sono tratte proprio dall'esperienza; sono i risultati, in parte appresi direttamente e in parte accettati dall'autorità, dell'esperienza di ciò che funziona in circostanze particolari per garantire la sopravvivenza di una società.

Certo, dietro tali affermazioni sommarie si nascondono volumi di possibile dibattito sulle origini precise e sullo sviluppo dell'etica, ma il punto principale dovrebbe essere chiaro: le idee di Einstein sui rapporti tra scienza ed etica presupponevano una disgiunzione radicale tra affermazioni di fatto e affermazioni di valore. La posizione di Einstein rappresentava il "buon senso" della questione in grande stile. Per la maggior parte delle persone, la scienza è un reame a parte in cui la conoscenza è certa, priva di opinioni e pregiudizi. Che per la maggior parte delle persone tali certezze siano assunte sulla fiducia, mentre per scienziati come Einstein siano la conseguenza del pensiero e dell'esperimento, non nega il terreno comune tra le loro posizioni. Mentre nella sua scienza Einstein sfidò la comprensione comune nei modi più radicali e sconvolgenti, nel suo approccio ai problemi della vita sociale e dell'etica (se non necessariamente nel contenuto effettivo delle sue opinioni politiche) rimase con la comprensione comune che si atteneva a idee piuttosto "semplici" e intuitive di giusto e sbagliato, buono e cattivo — idee che avevano una facile diffusione nel mercato della vita pubblica e potevano essere prontamente sostenute o contrastate. Privo delle sue dimensioni filosofiche e intriso delle sue qualità personali uniche, il realismo di Einstein era il suo passaporto per influenzare il reame pubblico.

Torniamo così, per un percorso indiretto, al primo polo del paradosso di Einstein: il senso della sua unità d'essere. O meglio, si arriva alla conclusione che esiste una possibile riconciliazione tra l'Einstein compartimentalizzato e quello integrato. I due elementi possono essere considerati complementari. Come fisico era l'immagine stessa di ciò che lo scienziato era comunemente considerato — un individuo di suprema intelligenza che trafficava in idee che erano ai margini della comprensione ma erano ritenute fondamentali. In quanto essere etico e politico, aveva un istinto per il nucleo emotivo di un problema e un senso intuitivo di come comunicare quella comprensione. Se avesse interpretato lo scienziato nei suoi commentari su questioni di politica ed etica, se, vale a dire, per ripetere le parole di E. G. Straus, "he had turned every... idea in all directions, never ceasing to look at it from a new angle, to criticize it again, to pick it up again, and to examine it" — è dubbio che avrebbe raggiunto il pubblico in quel modo. In breve, Einstein si conformava agli stereotipi popolari sia dello scienziato che del filosofo grezzo le cui espressioni non erano tanto opinioni personali quanto espressioni di verità generali. Nonostante tutte le loro evidenti differenze, ciò che lo scienziato e il filosofo grezzo avevano in comune era una visione che andava oltre il personale.

Il paradosso di Einstein in pratica modifica

 
Fritz Haber (ca. 1919)

La curiosa compresenza nella personalità di Einstein di compartimentazione e integrazione si manifestò forse in modo più sorprendente nella capacità di tollerare quelle che per molti sarebbero state contraddizioni inaccettabili nel reame della pratica. Abbiamo notato la sua intransigente opposizione allo scoppio della Prima guerra mondiale, avvenuta proprio nell'anno in cui fu chiamato a Berlino per ricoprire uno degli incarichi più prestigiosi nel suo campo. Nella sua qualità di membro dell'Accademia Reale Prussiana delle Scienze, era un impiegato dell'Impero tedesco. Inoltre, ricopriva incarichi di Professore presso l'Università Friedrich-Wilhelm e Direttore dell'Istituto di Fisica sotto gli auspici della Società Kaiser Wilhelm. Così, in un momento in cui la guerra lo poneva politicamente ai margini, era al centro dell'establishment scientifico tedesco. In più, durante la guerra mantenne relazioni amichevoli con figure di spicco come il fisico Max Planck e il chimico fisico Walther Nernst, che insieme erano stati determinanti nel portare Einstein a Berlino nel 1914 ed erano entrambi ferventi patrioti tedeschi. Forse la cosa più significativa è che ci fu poco affievolimento nella sua amicizia con il chimico Fritz Haber, che guidò lo sforzo tedesco per produrre gas velenoso durante la guerra. Né Haber era semplicemente uno scienziato dietro le quinte. Supervisionò personalmente il primo utilizzo del gas cloro da parte dei tedeschi nel 1915 durante la Prima battaglia di Ypres.39 La guerra dimostrò, come ha affermato uno dei suoi biografi, "Einstein’s remarkable gift for dividing his life into separate compartments, with the result that his political beliefs put no serious strain on his scientific work or his personal relations".40 C'era un processo a due vie coinvolto nell'equilibrio di Einstein: collaboratori stretti come Planck, Nernst e Haber non volevano che la politica si frapponesse tra loro ed Einstein più di quanto non volesse Einstein, e questo per ragioni personali oltre che scientifiche. Tolleravano o ignoravano le sue opinioni politiche, proprio come lui faceva con le loro. In quanto dissidente, Einstein era in una posizione apparentemente esposta nei confronti dei poteri costituiti, ma riuscì a sopravvivere quasi indenne, non ultimo perché non era cittadino tedesco, ma sicuramente anche perché, una volta fatta la protesta iniziale, Einstein non dava dichiarazioni incendiarie e poiché era troppo prezioso per le autorità. In effetti, Einstein diede un contributo allo sforzo bellico tedesco tramite il suo lavoro sulla bussola giroscopica, uno strumento che facilitava la navigazione nei sottomarini dove le bussole magnetiche convenzionali non funzionavano. Scrive il biografo di Einstein Albrecht Fölsing: "It seems odd that, as a convinced pacifist, Einstein was evidently indifferent to the military implications of such work". Il punto ha ancora più forza se si considera il ruolo bellico dei sottomarini tedeschi nel portare la guerra in mare a nuovi estremi distruttivi e nel provocare l'ingresso in guerra degli Stati Uniti.

Esploreremo la natura del pacifismo di Einstein in un Capitolo successivo; per il momento è sufficiente notare che la "stranezza" osservata da Fölsing è in linea con il modello di compartimentazione già discusso nell'approccio di Einstein alla scienza e alle questioni etiche. Non era una novità accidentale del suo carattere, bensí fondamentale. Einstein seppe risolvere contraddizioni potenzialmente dannose, mentre George Nicolai, che aveva redatto il Manifesto agli europei che Einstein aveva firmato nel 1914 e che continuò ad agitarsi per il pacifismo durante tutta la guerra, fu costretto a fuggire dalla Germania.41

La compartimentalizzazione in questo contesto potrebbe essere variamente descritta come pragmatismo o tradimento di principio. Ciò che è notevole nel caso di Einstein è che nessuna delle due etichette sembra appropriata poiché presuppongono che Einstein considerasse le due sfere come dipendenti l'una dall'altra. Quale che fosse la conclusione vista dall'esterno, Einstein era apparentemente inconsapevole di qualsiasi potenziale contraddizione tra le sue convinzioni e le sue azioni. La nozione di contraddizione sembra essere in contrasto con il temperamento di Einstein, ed è a livello di temperamento piuttosto che strettamente di idee che il paradosso di Einstein deve essere compreso e forse risolto.

Una questione di temperamento: il personale e il politico modifica

La complessa divisione tra gli approcci di Einstein alla scienza e alla politica era evidentemente una caratteristica fondamentale della sua prospettiva mentale. Un rapporto altrettanto profondo e complesso esisteva tra Einstein l'individuo privato ed Einstein il personaggio pubblico. Non è vero che il divario pubblico/privato corrisponde direttamente al divario scienza/politica. Nonostante tutta l'intensa privacy della ricerca scientifica, il lavoro di Einstein scienziato aveva evidenti dimensioni pubbliche. Allo stesso modo, Einstein, il personaggio politico, era attento a conservare aree di discrezione e privacy. Era ansioso di non essere del tutto assorbito da cause e campagne. Saliente era l'esistenza stessa di queste polarità: scienza e politica, privato e pubblico. In effetti, parte dell'eccitazione che Einstein generava sia nella sfera scientifica che in quella politica potrebbe essere stata la presenza di forze di opposizione nella sua natura e la sua capacità di sfruttarle appieno senza le mosse compromettenti in cui la maggior parte delle persone si impegna. Abbiamo esaminato la scienza e la politica; passiamo ora al sé privato e pubblico di Einstein.

Dietro ogni affermazione formale di una visione del mondo c'è una disposizione emotiva di base verso il mondo stesso. Einstein sapeva essere di una franchezza disarmante su questi fondamenti. Scrisse nel 1931: "My passionate sense of social justice and social responsibility has always contrasted oddly with my pronounced lack of need for direct contact with other human beings and human communities. I am truly a ‘lone traveller’ and have never belonged to my country, my home, my friends, or even my immediate family, with my whole heart."42 Forse questo non è altro che l'egoismo del genio: la concentrazione adamantina sul compito da svolgere che relega tutto il resto in una posizione secondaria. Ma non era certo un eremita e in effetti ottenne sempre nutrimento essenziale dalla comunità di scienziati nel suo campo, sia da coloro che lo circondavano immediatamente sia attraverso un'ampia corrispondenza con scienziati di tutto il mondo. La gente lo cercava, anche se non sempre ricambiava il favore. Inoltre, sebbene custodisse gelosamente la sua privacy, ciò chiaramente non avveniva a scapito dell'empatia per le sofferenze dell'umanità in generale. Quando le sue empatie erano impegnate, accettava facilmente la sfida delle occasioni pubbliche. Pur custodendo gelosamente il suo tempo di lavoro e spesso rifiutando le richieste di partecipare a riunioni pubbliche o conferenze, spesso inviava lettere e dichiarazioni pubbliche e, in alcune occasioni, accettava interviste o programmi radiofonici. Tuttavia, poiché non ricopriva cariche pubbliche e non rappresentava alcun partito, aveva il lusso di apparire nelle vesti di un privato, non contaminato dai compromessi associati alla vita pubblica. Ci si poteva fidare di Einstein perché apparentemente non aveva interessi personali in campo oltre al desiderio di fare la cosa giusta.

 
Albert Einstein con la prima moglie, Mileva Marić

In molti casi, la combinazione di amore per la causa astratta e distacco dalle realtà locali della famiglia e degli amici può sembrare brutta, e va detto che il trattamento riservato da Einstein alla sua prima moglie non è piacevole da contemplare.43 Tuttavia, un'immagine pubblica è generalmente costituita non da verità sul carattere "reale" di un individuo famoso, ma dai risultati prodotti da un individuo più ciò che il pubblico vuole credere su tale individuo. L'immagine pubblica di Einstein era e rimane quasi inattaccabile a causa della portata dei suoi successi. Gli attacchi contro di lui – sia per le sue credenziali scientifiche da parte di fisici antisemiti come Philipp Lenard negli anni ’20 e ’30 o per motivi politici da parte di senatori americani conservatori durante la guerra fredda – generalmente andarono a vuoto. Per quanto riguarda la vita personale di Einstein, è del tutto improbabile che la sua immagine pubblica venga influenzata dal rilascio di lettere e documenti che mostrano la durezza dei suoi sentimenti nei confronti della prima moglie negli ultimi anni del loro matrimonio e l'entità delle sue infedeltà prima e durante il suo secondo matrimonio, non solo perché non riguardano direttamente la sua posizione di fisico e di saggio, ma perché i valori che prosperano nella sfera pubblica, e il livello di astrazione in cui sono espressi, sono proprio quelli che venivano naturali a Einstein.44 La vita privata di Einstein sembra incidentale rispetto alla sua posizione pubblica e, naturalmente, tali dettagli non erano ampiamente conosciuti all'epoca in cui si era affermata la sua reputazione pubblica.

C'è l'ulteriore punto che, qualunque fossero le sue proteste, Einstein era generalmente attento a come poteva essere percepito e accorto nel gestire la sua immagine pubblica. Anche nella corrispondenza personale, in cui rivelava molto di se stesso, c'è spesso un aspetto pubblico nell'immagine di sé tenuta da Einstein, come se fosse continuamente consapevole del suo sé pubblico e abituato a rispondere alle richieste delle sue opinioni su se stesso e sul mondo. Tra i suoi corrispondenti abituali c'era Max Born, collega a Berlino dal 1915 al 1919 e successivamente amico intimo, con il quale Einstein scambiò lettere per molti decenni. Nel 1949 Einstein scrisse:

« Now you ask me what my attitude is toward the simple life. I simply enjoy giving more than receiving in every respect, do not take myself nor the doings of the masses seriously, am not ashamed of my weaknesses and vices, and naturally take things as they come with equanimity and humour. Many people are like this, and I really cannot understand why I have been made into a kind of idol. I suppose it is just as incomprehensible why an avalanche should be triggered off by one particular particle of dust, and why it should take a certain course.45 (corsivo nell'originale) »

La nota dominante è l'accettazione di se stesso e apparentemente anche delle azioni degli altri e in effetti del mondo intero così com'è. Accettazione, però, evidentemente non significa passività, e qui la sua supposizione che ce ne fossero molti altri come lui è forse falsa, poiché l'accettazione del mondo da parte di Einstein si combina con una curiosità illimitata per esso e anche con un desiderio di agire in esso. In "The World As I See It" egli parla del suo "devoted striving [das ergebene Streben] to comprehend a portion, be it ever so tiny, of the Reason that manifests itself in nature".46 Con riferimento al suo impegno sociale e agli interessi politici, parla in termini simili (nella lettera già citata all'inizio di questo Capitolo) del suo "striving to contribute to the improvement of human conditions". L'accettazione e l'impegno sembrano una strana coppia, ma costituiscono due pilastri gemelli del temperamento di Einstein, un'altra di quelle apparenti contraddizioni nel carattere di Einstein che in pratica si rivelano non essere così.

C'è un modo per comprendere la relazione tra questi elementi della personalità di Einstein nella sua affermazione che "the true value of a human being is determined primarily by the measure and the sense in which he has attained liberation from the self" (corsivo nell'originale).47 Liberarsi dalla prigione delle preoccupazioni personali vuol dire liberare energie per il mondo al di fuori di sé. La lettera a Max Born esprime la prima parte di questa equazione; la seconda è espressa in modo più eloquente nell'impegno inflessibile di Einstein a lavorare per tutta la vita con l'obiettivo di comprendere la "reason that manifests itself in nature". Einstein riconobbe che potevano esserci ragioni negative per scienziati come lui nel dedicarsi a "the temple", come disse in una conferenza che celebrava il sessantesimo compleanno di Max Planck. Rivelando senza dubbio molto sulla propria costituzione psicologica, disse: "I believe with Schopenhauer that one of the strongest motives that leads men to art and science is escape from everyday life with its painful crudity and hopeless dreariness, from the fetters of one’s own ever shifting desires". Più positivamente, questi sforzi vanno nella creazione di "a simplified and intelligible picture of the world", e aggiunse che "the scientist then tries to some extent to substitute this cosmos of his for the world of experience, and thus to overcome it". Egli fa di questo cosmo "the pivot of his emotional life in order to find in this way the peace and security which he cannot find in the narrow whirlpool of personal experience".48 Significativamente, la mera esperienza personale mantiene il suo posto umile nello schema einsteiniano, anche quando egli si rivolge agli aspetti positivi nelle motivazioni dello scienziato, indicando che l'Einstein etereo da lui proiettato non era interamente una posa. In breve, nonostante le prove di grande individualità e persino idiosincrasia nella sua personalità, l'immagine di sé di Einstein e in effetti la sua immagine pubblica si basavano sulla sensazione di aver raggiunto l'emancipazione da una idiosincratica preoccupazione per il Sé. Apparentemente in contatto con principi superiori, il suo vero reame era quel punto in cui le idee si intersecavano con la religione. Sebbene indifferente alla religione organizzata, Einstein tuttavia proiettava una sensibilità religiosa che era parte integrante della sua influenza pubblica.

Andare oltre il personale: il ruolo della religione modifica

L'obiettivo scientifico chiave per Einstein era l'elaborazione dell'idea di ordine nella natura sotto forma di "Ragione". Per quanto fermi fossero gli sforzi umani per comprendere la natura, per quanto recalcitrante potesse essere la natura nel concedere i suoi segreti, Einstein non dubitava mai che ci fosse un ordine da scoprire nella natura che esistesse indipendentemente dal soggetto che percepisce. La ragione umana era limitata, ma correttamente impiegata poteva spingere oltre i confini della comprensione. Ciò significava elevarsi al di sopra del "merely personal", frase che deriva dagli appunti autobiografici che Einstein scrisse verso la fine della sua vita per un libro di saggi sul proprio lavoro. Descrivendo il suo emergere da un breve periodo di "deep religiosity" durante l'infanzia, raccontava il suo senso di liberazione, che si tradusse in "a positively fanatic [orgy of] freethinking coupled with the impression that youth is intentionally being deceived by the state through lies; it was a crushing impression". Gli divenne alquanto chiaro che...

« ...the religious paradise of youth, which was thus lost, was a first attempt to free myself from an existence which is dominated by wishes, hopes and primitive feelings. Out yonder there was a huge world, which exists independently of us human beings and which stands before us like a great eternal riddle, at least partially accessible to our inspection and thinking. The contemplation of this world beckoned like a liberation...49 »

Significativamente, la "orgy of freethinking" di Einstein si applicava su tutta la linea. Tramite la lettura di libri scientifici popolari concluse che le storie nella Bibbia non potevano essere vere. Di conseguenza, la libertà dalla religione organizzata gli aprì gli occhi sugli inganni praticati dallo Stato. Einstein sembra aver vissuto quasi un'esperienza di de-conversione in tale episodio. Eppure per tutta la vita impiegò la retorica religiosa per descrivere le emozioni che provava davanti alle meraviglie della natura. Nei suoi appunti autobiografici parlò della "holy curiosity of inquiry".50 Si sforzò di definire la religione in un modo che conservasse un significato per lui pur escludendo virtualmente l'intera credenza e pratica religiosa convenzionale.

In un articolo pubblicato sul New York Times nel 1930, Einstein postulò uno schema evolutivo composto da tre stadi di religione, passando da un primitivo sistema di credenze basato sulla paura a uno basato su un codice morale e infine alla "religione cosmica", che lasciò dietro di sé il Dio antropomorfico dei primi due stadi ed era identificato nella mente di Einstein con la profonda convinzione dello scienziato della "the rationality of the universe and.. a yearning to understand [it]".51 La scienza era quindi destinata a lasciarsi alle spalle la religione convenzionale, ma era essa stessa pervasa da un proprio sentimento religioso. In un successivo articolo parlò del "rapturous amazement at the harmony of natural law, which reveals an intelligence of such superiority that, compared with it, all the systematic thinking and acting of human beings is an utterly insignificant reflection".52 Infine , in "The World As I See It", che raggiunse un pubblico più vasto di qualsiasi altra sua dichiarazione di fede, Einstein definì la ‘vera religiosità’ come "a knowledge of the existence of something we cannot penetrate, our perception of the profoundest reason and the most radiant beauty, which only in their most primitive forms are accessible to our minds", aggiungendo che "in this sense, and in this alone, I am a deeply religious man".53

Non sorprende che, nel furioso "dibattito su Dio" del ventunesimo secolo, i creazionisti e i sostenitori del disegno intelligente abbiano colto passaggi come questi per arruolare Einstein alla loro causa, proprio come gli atei hanno cercato con uguale fervore di sostenere che i riferimenti di Einstein alla religione fossero puramente metaforici.54 In verità Einstein elude entrambe le posizioni. La questione dell'esistenza di Dio era di scarso interesse per lui nella misura in cui ciò significava credere in un essere divino personale. Questa in effetti si rivelò la caratteristica più controversa della sua più ampia discussione su scienza e religione presentata in un discorso a un simposio a New York nel 1940. Dichiarò infatti: "The main source of the present-day conflicts between the spheres of religion and science lies in this concept of a personal God... Teachers of religion must give up that source of fear and hope which in the past placed such vast power in the hands of priests".55 Non sorprende che, consegnando la credenza centrale della stragrande maggioranza dei cristiani al livello di superstizione dell'età oscura, Einstein abbia provocato un'accesa opposizione.56 In privato, Einstein era ancora più categorico e sprezzante nei confronti della religione organizzata. In una lettera scritta nel 1954 ma resa pubblica solo nel 2008, Einstein scriveva: "the word God for me is nothing but the expression and product of human frailty, the Bible a collection of noble but largely primitive myths."57

 
Bertrand Russell

Allo stesso modo, tuttavia, Einstein negava l'ateismo ed era infelice quando veniva collegato a Bertrand Russell in quella categoria. A un corrispondente che gli chiedeva informazioni sulle sue convinzioni religiose alla fine degli anni ’40, rispose: "you may call me an agnostic but I do not share the crusading spirit of the professional atheist whose fervour is mostly due to a painful act of liberation from the fetters of religious indoctrination received in youth. I prefer an attitude of humility corresponding to the weakness of our intellectual understanding of our nature and of our own being".58 Quello che chiamava sentimento religioso era associato al superamento del "merely personal". Interrogato sul concetto di Dio, disse: "I believe in Spinoza’s God who reveals himself in the lawful harmony of what exists, not in a God who concerns himself with the fates and actions of human beings".59

L'affermazione più positiva e completa della sua posizione arriva nello stesso discorso al simposio "Science, Philosophy and Religion", in cui dichiarò il suo rifiuto di un Dio personale. Com'era prevedibile, fu l'affermazione negativa a generare polemiche, ma l'affermazione contenuta nel passaggio seguente è altrettanto rivelatrice delle convinzioni di Einstein. Invece di chiedere cos'è la religione, scelse di chiedere:

« ...what characterizes the aspirations of a person who gives me the impression of being religious: a person who is religiously enlightened appears to me to be one who has, to the best of his ability, liberated himself from the fetters of his selfish desires and is preoccupied with thoughts, feelings and aspirations to which he clings because of their superpersonal value. It seems to me that what is important is the force of this superpersonal content and the depth of the conviction concerning its overpowering meaningfulness, regardless of whether any attempt is made to unite this content with a divine Being, for otherwise it would not be possible to count Buddha and Spinoza as religious personalities. Accordingly, a religious person is devout in the sense that he has no doubt of the significance and loftiness of those superpersonal objects and goals which neither require nor are capable of rational foundation.60 »

Il fatto è che, come illustra chiaramente questo brano, l'approccio di Einstein alla religione era altamente idiosincratico. Era una portata distintamente individuale e personale per un reame che si trovava al di là del personale in cui le ambizioni e i desideri dell'ego sarebbero caduti. È vero, non era del tutto coerente nelle sue opinioni. Sulla questione centrale delle fonti dell'etica, egli poté dire una volta: "A man’s ethical behaviour should be based effectively on sympathy, education, and social ties and needs: no religious basis is necessary". Un'altra volta poteva invece sostenere: "Mere thinking cannot give us a sense of the ultimate and fundamental ends. To make clear these fundamental ends and valuations, and to set them fast in the emotional life of the individual, seems to me precisely the most important function which religion has to perform in the social life of man." Forse la differenza tra queste due affermazioni possono essere riconducibili all'occasione e al tipo di pubblico: la prima in un articolo di giornale pubblicato sul Berliner Tageblatt e sul New York Times, la seconda in un discorso a un seminario teologico. Ciò che è coerente nell'intera produzione di Einstein su queste domande è l'insistenza nel mantenere la prospettiva per un senso di soggezione davanti ai misteri della natura, non solo come sentimento soggettivo ma come fondamento per l'intuizione della "Reason in nature".

Vite private e costruzione di un sé pubblico modifica

Albert Einstein riceve il suo certificato di cittadinanza americana dal Giudice Phillip Forman, 1 ottobre 1940

Dato il carattere di Einstein e la sua visione della vita, nonché gli enormi impegni derivanti dal suo status di celebrità insieme al suo desiderio di "contribute to the improvement of human conditions", quali mezzi poteva impiegare per bilanciare le richieste del pubblico con il suo bisogno di privacy? Personalità era ciò che il mondo pubblico desiderava da lui. Come poteva continuare a trascurare il suo ego, ad andare oltre il meramente personale, di fronte a un pubblico che era attratto da lui come falene verso la fiamma? Una risposta plausibile è che le circostanze della sua vita e il suo temperamento lo portarono a costruire un sé pubblico. Non si trattava necessariamente di uno sforzo cosciente, ma piuttosto di un processo di adattamento alle pressioni del ruolo che la sua fama gli imponeva di svolgere.

 
Heinrich Zangger

Non c'era, tuttavia, una semplice opposizione nella struttura di Einstein tra una vita privata senza complicazioni a casa, e una vita pubblica per la quale indossava una maschera accuratamente ideata. La sua vita privata e quella pubblica erano molto stratificate. Per quanto riguarda la vita privata, c'era una ristretta cerchia di intimi che egli conosceva fin dall'inizio della sua carriera e con i quali intratteneva un'ampia corrispondenza dopo che gli spostamenti di carriera e l'esilio li avevano separati. Alcuni di questi condividevano i suoi interessi scientifici e ne discutevano approfonditamente con lui; alcuni no. Ciò che li univa è che rimanevano su un piano rilassato e intimo. Tra loro c'era Michele Besso, un ingegnere che Einstein incontrò a Zurigo ai tempi studenteschi e che ebbe un'importante influenza sulla formulazione della teoria della relatività ristretta; il ricercatore medico Heinrich Zangger, che Einstein conobbe a Zurigo anche quando era studente; il collega fisico Max Born (con la cui moglie Einstein intratteneva una relazione civettuola), che differiva da Einstein su questioni chiave come la meccanica quantistica, la questione ebraica e lo status di celebrità di Einstein, ma rimase amico devoto per quarant'anni; e Hans Mühsam, un medico che emigrò in Palestina e divenne una fonte importante per Einstein sulle condizioni lì prima e dopo l'istituzione dello stato di Israele. Forse il più vicino di tutti fu il fisico teorico Paul Ehrenfest, che Einstein aveva conosciuto a Praga nel 1912 e con il quale era in regolare corrispondenza, esprimendo spesso le sue più profonde confidenze. Oltre al comune interesse per la fisica, Ehrenfest era un pianista, il che servì a cementare il loro stretto legame emotivo.62

 
Einstein a casa di Paul Ehrenfest (al piano) a Leiden, giugno 1920. In braccio a Einstein il figlio di Ehrenfest, Paul Jr
 
Einstein al violino con collega, durante un concerto presso la Nuova Sinagoga di Berlino, gennaio 1930

Tra le relazioni più gratificanti di Einstein c'erano quelle con musicisti dilettanti, con i quali suonava il violino per tutta la sua vita adulta. Born era un pianista e suonava regolarmente con Einstein quando vivevano a Berlino. Forse la cosa più sorprendente di tutte fu la calda amicizia di Einstein con la regina Elisabetta del Belgio, amicizia nata anche da una comune passione per la musica. Si incontrarono nel 1929 quando Einstein fu invitato a palazzo — a quel punto emerse subito che entrambi suonavano. Seguì un trio di Mozart, con una dama di compagnia che faceva la terza musicista. Si incontrarono molte volte per la musica, e dopo che Einstein era emigrato negli Stati Uniti corrisposero fino alla fine della vita di Einstein. Altra passione extracurriculare fu la vela, che coltivò sin da giovane a Zurigo, proseguendola a Berlino e poi negli Stati Uniti da Nassau Point a Long Island, dove trascorse alcune estati alla fine degli anni Trenta. In una toccante sequenza di lettere a David Rothman – proprietario di un negozio locale a Nassau Point e membro di un quartetto in cui suonava Einstein – le due passioni si intersecarono quando Rothman un'estate aiutò a organizzare il trasporto della barca a vela di Einstein da Long Island al Saranac Lake di New York.63

Il tono delle lettere di Einstein ai corrispondenti privilegiati è affettuoso e spontaneo. Questo è Einstein in gran parte a suo agio con se stesso e con gli altri. Tuttavia, nonostante tutta la sua capacità di intimità, specialmente in giovinezza, Einstein poteva apparire distaccato e guardingo. Isaiah Berlin lo descrisse come "somewhat inaccessible emotionally".64 Trovò sempre l'intimità del matrimonio un serio ostacolo alla sua libertà e insistette su alcune regole che gli avrebbero assicurato la privacy, anche con la sua seconda moglie, Elsa. Dopo la sua morte nel 1937, riferì a Max Born: "I have settled down splendidly here [in Princeton at the Institute for Advanced Study]; I hibernate like a bear in its cave and really feel more at home than ever before in all my varied existence... this bearishness has been accentuated further by the death of my mate who was more attached to human beings than I".65 Era un sedicente solitario, osservando alcuni anni prima che il suo "sense of distance and a need for solitude... increase with the years". Qualsiasi perdita che tale isolamento potesse apportare veniva compensata "by remaining independent of the opinions, habits and judgements of others and thereby avoiding the temptation to build his inner equilibrium upon such insecure foundations".66 Il primo biografo e amico intimo di Einstein, Philipp Frank, registra che la personalità schietta e spiritosa di Einstein era attraente per molte persone, che presto lo consideravano un amico ma rimanevano poi delusi e persino estraniati quando si ritirava nel suo lavoro. Scrive Frank: "We find repeatedly that throughout his life this contrast has determined his relations to his environment".67

Una dinamica simile, anche se più complessa, operava nel suo rapporto con il dominio pubblico. Veniva spesso chiamato a fare una dichiarazione pubblica a nome di una causa o di un'altra, ma si rifiutava o forniva un messaggio che a volte non era quello richiesto. Troveremo molti di questi esempi nei prossimi Capitoli. In altre circostanze faceva il finto tonto per deviare una folla di giornalisti e creare intorno a sé un guscio protettivo. Nel diario del viaggio in America del 1930-31 racconta come, al suo arrivo a New York, fu assediato da "an army of photographers who set upon me like starving wolves... The reporters asked utterly stupid questions to which I responded with cheap jokes which were received with enthusiasm."68

L'immagine pubblica di Einstein come figura maldestra e divertente ma genio, deriva in parte da tali tattiche difensive, che usava per gestire il livello di attenzione che riceveva. Con un pubblico diverso e con mezzi di comunicazione diversi, impiegava tattiche diverse. Le registrazioni di Einstein ancora esistenti dimostrano una capacità non forzata di reagire a una varietà di contesti. All'altra estremità dello spettro rispetto allo scambio di cui sopra si trova il suo discorso a una cena tenutasi nell'ottobre 1930 al Savoy Hotel di Londra per raccogliere fondi in aiuto degli ebrei dell'Europa orientale. Einstein era l'ospite d'onore. In risposta a un lungo e arguto discorso di George Bernard Shaw, che elogiava Einstein come uno dei pochi "makers of universes" – l'elenco comprendeva Aristotele, Copernico, Galileo e Newton – Einstein rispose con un'arguzia e una raffinatezza che corrispondevano a quelle di Shaw. possedere. Elogiò la capacità di Shaw di creare figure "who resemble human nature in a way more than we do, so that we almost forget that they are not real creations but those of Bernard Shaw". Applicando allora a se stesso la licenza poetica di Shaw, Einstein concludeva: "I wish to thank you for the incomparable words you addressed to my mythical namesake, who makes my life so difficult for me, although in all his lofty ungainliness he is really deep down a harmless fellow."69 La risposta di Einstein dà un accenno alla tensione a cui lo sottoponeva il suo status di celebrità, ma mostra anche la sua capacità di essere all'altezza dell'occasione senza abbandonare l'imperativo scettico interiore che sembrava sempre oscurare il suo sé pubblico. Significava bilanciare il riconoscimento della propria statura contro l'inveterata abitudine all'autoironia, una combinazione disarmante che raramente mancava di esercitare la sua magia sul suo pubblico. In breve, Einstein era un artista quando voleva o aveva bisogno di esserlo.

Il punto è da sottolineare per la sua novità rispetto alle abitudini del tempo nella comunità scientifica. Per molti colleghi scienziati, Einstein stava infrangendo un tabù quando, sulla scia della prova sperimentale della Teoria della Relatività Generale, rilasciò numerose interviste sui giornali e fu persino disposto a consentire la pubblicazione di un libro intitolato Conversations with Einstein, un popolare esposizione delle sue idee scientifiche sulla base di colloqui con un giornalista di nome Alexander Moszkowski.70 I suoi amici intimi Max e Hedwig Born furono sconvolti e rattristati dal fatto che avesse accettato di prendere parte a un progetto del genere e fecero di tutto per cercare di convincerlo a non farlo. Le loro lettere e il successivo commento di Max Born la dicono lunga sull'atteggiamento nei confronti della pubblicità tra gli scienziati d'élite dell'epoca. "You must withdraw your permission to X for the publication of the book Conversations with Einstein" (corsivo nell'originale), supplicò Hedwig nell'ottobre 1920. "The book will constitute your moral death sentence for all but four or five of your friends. It could subsequently be the best confirmation of the accusation of self-advertisement". Max Born inviò il suo altrettanto urgente appello una settimana dopo, aggiungendo "orgive the officiousness of my letter, but it concerns everything dear to me (and Planck and Laue etc.). You do not understand this, in these matters you are a little child. We all love you, and you must obey judicious people (not your wife)."71

 
Albert Einstein con la seconda moglie, Elsa Löwenthal, in arrivo a New York a bordo della SS Rotterdam

La menzione da parte di Born della moglie di Einstein, Elsa, era particolarmente indicata, dal momento che lo stesso Born si sentiva in colpa per aver assecondato appetiti volgari in un libro semi-popolare che aveva appena pubblicato sulla Teoria della Relatività di Einstein. Desiderando pubblicare una fotografia di Einstein e una breve biografia che includesse una discussione sulla personalità di Einstein, aveva inviato la bozza a Elsa per ottenere la sua opinione, che fu entusiasta. Quando, tuttavia, il libro fu pubblicato, il collega fisico Max von Laue scrisse a Born che tali cose non appartenevano a un libro scientifico, anche se destinato a un pubblico generico. Born prese a cuore questi commenti e rimosse la fotografia e la biografia dalle edizioni successive. Tali erano i sentimenti che guidarono la sua risposta alla proposta pubblicazione di Conversations with Einstein. Anche Einstein ebbe evidentemente dei dubbi sul libro e tentò senza successo di interromperne la pubblicazione, ma fu molto meno turbato dall'episodio rispetto ai suoi amici e colleghi. Dichiarò infatti, una volta che fu chiaro che la pubblicazione non poteva essere interrotta, che si trattava di una questione che lo lasciava indifferente.72

È chiaro dalla corrispondenza Born-Einstein che la paura dell'antisemitismo, che era diffusa negli anni del dopoguerra, era un fattore significativo nell'ansia dei Born per la pubblicazione del libro. La "Jewish physics" di Einstein era già oggetto di virulenti attacchi.73 Ma la nota che arriva almeno altrettanto fortemente dai Born e dai loro colleghi scienziati è un viscerale disgusto puritano per la pubblicità, che era considerata nemica dell'etica scientifica. Il temperamento di Einstein, composto com'era da una privacy riservata, un senso attento di ciò che poteva accadere nell'arena pubblica e un'indifferenza cosmica per ciò che pensavano gli altri, lo portò in una direzione completamente diversa.

La privacy rimase un valore forte per Einstein per tutta la vita in cui le sue attività e i suoi interessi – sia scientifici che politici – lo portarono inesorabilmente nell'arena pubblica. Tuttavia, la privacy non era per lui un assoluto più di qualsiasi altro valore. Einstein possedeva la capacità di negoziare i confini tra il personale e il politico, il privato e il pubblico, per la maggior parte con facilità e notevole abilità. È sorprendente quanto velocemente, una volta che la scienza gli dava una piattaforma, Einstein sia sceso nell'arena pubblica per esprimere le sue opinioni. Indica una disposizione che era allo stesso tempo profondamente impegnata in certe cause pubbliche e generalmente a suo agio con l'esposizione che avrebbe inevitabilmente accompagnato i suoi interventi. Forse la chiave del suo successo presso il pubblico risiedeva nel resistere a diventare un rappresentante di qualcosa di diverso e più grande di lui, vale a dire nel non farsi assorbire completamente dalla politica. Einstein si sforzò sempre di rimanere l'animale politico apolitico. Mantenere il controllo della propria immagine pubblica non gli fu sempre facile, ma non cedette mai alla tentazione, che occasionalmente provava, di ritirarsi del tutto dagli impegni pubblici. Dal momento in cui la Teoria della Relatività fu confermata nel 1919, egli fu a tutti gli effetti un personaggio pubblico.

Nel periodo della Prima Guerra Mondiale solo tre articoli non scientifici sono elencati nel relativo volume Collected Papers: il Manifesto to Europeans, il saggio "My Opinion on the War" e le risposte a un questionario sul diritto di Autodeterminazione dei popoli. Nei tre anni successivi alla fine della guerra il tasso di impegno di Einstein aumentò notevolmente. Nel volume Collected Papers di questo periodo sono elencate undici voci. Significativamente, otto di loro hanno a che fare con questioni ebraiche, seconde solo alla guerra e alla pace nella panoplia di cause pubbliche einsteiniane. Nei due Capitoli successivi affrontiamo uno per uno questi argomenti.

Note modifica

(Note e riferimenti a fine libro)

  Per approfondire, vedi Serie delle interpretazioni, Serie dei sentimenti e Serie letteratura moderna.