Indice del libro

Marina Abramović

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« Guardavo spesso le nuvole mentre ero sdraiata sull'erba, e un giorno la mia vista è stata improvvisamente interrotta da aerei, che sono apparsi dal nulla e hanno lasciato un bellissimo schema nel cielo. In quel momento, mi sono resa conto che tutto poteva essere usato per creare e che non c'era motivo di limitarmi alla pittura in studio. »
(Marina Abramović[1])
 
Marina Abramović nel 2018
 
Marina Abramović e Ulay, Innsbruck, Galerie Krinzinger (1978).
 
Artist Is Present (2010)

Marina Abramović (in serbo Марина Абрамовић; n. 30 novembre 1946 a Belgrado) è una performer serba naturalizzata statunitense, che con le sue arte indaga sul rapporto tra l'artista e il suo pubblico e l'antagonismo tra quelli che sono i limiti del corpo e le capacità della mente. Nella sua ricerca di una trasformazione emotiva e spirituale, resiste al dolore autoinflitto, all'affaticamento e alla perdita di conoscenza, al pericolo, usando l'interrazione con il pubblico come fonte di energia. Attiva dagli anni '60 del XXesimo secolo, Abramović ha aperto la strada all'uso della performance art come forma d'arte visiva, influenzando in modo decisivo la sua storia (viene definita la «nonna della performance art»[2]) e la critica della raffigurazione del corpo femminile nella cultura occidentale.

Biografia

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Figlia di Vojin Abramović e Danica Rosić, entrambi partigiani nella seconda guerra mondiale, era nipote di un patriarca della chiesa ortodossa Serba, proclamato successivamente santo[3]. Dal 1965 al 1973 studia all'Accademia di belle arti di Belgrado e nel 1976 si trasferisce ad Amsterdam dove, durante un programma televisivo dedicato alla performance art presentato alla Galleria d'arte Appel, incontra l'artista tedesco Frank Uwe Laysiepen in arte Ulay, con il quale instaura un sodalizio artistico e sentimentale che dura per 12 anni, dal 1976 fino al 1988. È il 30 novembre, giorno del compleanno di entrambi[2].

Ricerca artistica

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In coppia con Ulay, arte e vita, estetica ed etica, non possono essere separati, ma sono parte di un progetto unitario, Abramović ha creato performance incentrate sui temi del dolore, della sofferenza (considerata un percorso di rasserenamento necessario, Relation in movement alla Biennale di Venezia nel 1976), dell'amore (la serie di Polaroid che ritre i due artisti in pose teatrali in Anima mundi del 1983 e Modus vivendi, 1984-85, dove interpretano archetipi del mondo femminile e maschile), raggiungono profondi stati meditativi attraverso il contatto con culture diverse, in seguito ai viaggi in Australia, America e Asia (serie Night sea crossing, 1982-84). Dopo l'ultimo progetto elaborato insieme a Ulay, The Great Wall walk (1988), che consisteva nel attraversare la Grande muraglia cinese - partendo ognuno da un estremo, per incontrarsi al centro e dirsi addio, dopo 90 giorni e 2000 km percorsi a piedi -, con la serie di sculture in rame e quarzo chiamate "oggetti transizionali", Abramović ha continuato da sola la propria ricerca di un'energia concentrata nelle pietre e nei metalli, coinvolgendo il pubblico presente e invitandolo a scoprire la stessa energia (Green dragon del 1988, Black dragon del 1990)[4].

  • Attraversare i muri. Un'autobiografia, con James Kaplan, Bompiani (2018)
  • 7 deaths of Maria Callas, Damiani (2020)

Film biografici

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  • Marina Abramović - The Artist Is Present di Matthew Akers, documentario (2012).
  • The space in between: Marina Abramović and Brasil di Marco del Fiol (2016).

Performance

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in coppia con Ulay
  • Relation in space, Biennale di Venezia (1976)
  • Relation in time, Galleria - studio G7 di Bologna (1976)
  • Breathing in/Breathing out, Belgrado (1977)
  • Imponderabilia, Galleria d’Arte Moderna di Bologna (1977)
  • AAA-AAA, studio di registrazione senza pubblico a Liegi (1978)
  • Rest energy, performance registrata su video (1980)
  • Nightsea crossing conjunction, ambientazioni diverse all'aperto e al chiuso (1981-1987)
  • Anima mundi (1985)
  • Modus vivendi (1985)
  • Lovers: The Great Wall Walk, Grande muraglia cinese (1988)
individuali (selezione)
  • la serie Rhythms (1973-1974)[4]
  • Freeing the Body (1975)
  • Art Must Be Beautiful, Artist Must Be Beautiful (1975)
  • Lips of Thomas (Star on Stomach) (1975)[5]
  • Lips of Thomas (1975)
  • Role Exchange (1975)
  • Freeing the voice (1976)
  • Freeing the Memory (1975)
  • Green dragon (1988)
  • Black dragon (1990)
  • Biography (1994)[4]
  • Cleaning the house (1995)
  • Marking the Territory, IMMA (1996)
  • Balkan Baroque (1997)
  • Cleaning the mirror, Guggenheim Museum (1995)[6]
  • The Artist is present, MoMa (2010)
  • 512 Hours, Serpentine Gallery (2014)
  • The Cleaner, Moderna Museet (2017)
  • Holding the Milk, Coro della Maddalena (2017)[7]
  • Più grande di me. Voci eroiche dalla ex-Jugoslavia, MAXXI (2021)

Riconoscimenti

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  • Leone d'Oro, XLVII Biennale di Venezia (1997)
  • Niedersächsischer Kunstpreis (2002)
  • New York Dance and Performance Awards (The Bessies, 2002)
  • Associazione Internazionale dei Critici d'Arte, Best Show in a Commercial Gallery Award (2003)
  • Decorazione austriaca per la scienza e l'arte (2008)
  • Dottorato onorario in arti, Università di Plymouth, Regno Unito (2009)
  • Premio per la leadership culturale, Federazione americana delle arti (2011)
  • Dottorato Honoris Causa in Arti, Instituto Superior de Arte, Cuba (2012)
  • Premi alla carriera, Podgorica, Montenegro (2012)
  • Premio dei fratelli Karić (categoria arte e cultura, 2012)
  • Medaglia d'Oro al Merito, Repubblica di Serbia (2021)
  • Premio Principessa delle Asturie nella categoria Arti (2021)[8]

Julia Bardsley

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(IT)
« Sono una creatura teatrale, cresciuta a teatro, ma ho trovato la cornice teatrale convenzionale soffocante e riduttiva. »

(EN)
« I'm a theatre creature, brought up in the theatre, but I found the conventional theatre frame stifling and reductive. »
([9])

Julia Bardsley è una performer britannica il cui lavoro è noto per l'uso sperimentale delle performance da solista e dei personaggi, dei video elaborati e dei lavori scenografici nel contesto dell'arte visiva. Bardsley ha iniziato la sua carriera come regista teatrale, scrivendo e adattando opere per il palcoscenico, per passare poi sl lavoro innovativo che l'ha resa "una forza importante nel teatro sperimentale britannico e nell'arte dal vivo"[10], nella sua collaborazione - una combinazione tra teatro, performance e fotografia - con la designer Aldona Cunningham negli anni '90[11]. Direttrice artistica del Leicester Haymarket & Young Vic Theatres dal 1991 al 1994, tiene lezioni alla Queen Mary, all'Università di Londra e all Central Saint Martins, nel 2007 ha ricevuto un dottorato onorario da parte della Middlesex University[12]. Dalla fine degli anni '90 in poi i suoi film e video sono stati selezionati per festival cinematografici internazionali e rappresentati in collezioni come il Lux Artists Films, la University of the Arts, la British Artists' Film and Video Study Collection.

Lavori (selezione)

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  • The Divine Trilogy (2003-2009)
  • Improvements on Nature: a Double Act (2009)
  • meta_Family (2010/2011)
  • Medea: dark matter events (2012-)

Anne Bean

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(IT)
« La performance è un ponte perché arte e vita coesistano. »

(EN)
« Performance is a bridge for art and life to co-exist. »
(Su Paris Photo[13])

 
Anne Bean nel 2016

Anne Bean è una performer zambiana naturalizzata britannica che si occupa di installazioni, sculture, sound art e performance art. Figura centrale nella scena live art inglese, Bean è un'artista difficile da classificare[14]. Il suo lavoro consisteva in una vasta gamma di media tra cui proiezioni di diapositive, disegno e fotografia, video e suono che utilizzavano una varietà di materiali, dal fuoco ai palloni meteorologici, dal vento al vapore. A partire dal 1970, presso location differenti tra loro, come luoghi d'arte, festival, siti in Europa, America, Asia, Anne ha presentato progetti solisti e collaborativi di arte visiva statica, suono e performance.

Con il percussionista e costruttore di strumenti Paul Burwell - uno dei membri fondatori del London Musicians Collective - ha dato vita al duo londinese Pulp e all'etichetta Pulp Music, accogliendo successivamente anche lo scultore Richard Wilson, formando insieme l'influente gruppo di performance, Bow Gamelan Ensemble, durato fino all'inizio degli anni '90[15]. Nel 2008 ha ricevuto il premio Legacy: Thinker in Residence dalla Tate Research e Live Art Development Agency[13].

(IT)
« L'arte di Anne Bean rende strano il nostro senso del tempo, della memoria, del linguaggio, del corpo e dell'identità, in particolare attraverso performance soliste e collaborative lungo un continuum vitale tra arte e vita. »

(EN)
« The art of Anne Bean makes strange our sense of time, memory, language, the body, and identity, particularly through solo and collaborative performances along a vital continuum between art and life. »
(Su England Gallery[16])

Lavori (selezione)

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  • Painting Myself Out (1973)
  • Elemental (Heat) (1974)
  • Heat (Performed for camera 1977) (1974-1983)
  • Divided Self (1974-1982)[17]
  • Dust (1978)
  • Drowned'' (1978-1980)
  • Elementals: Earth, Air, Fire, Water (1978)
  • Her voice is pollen as she was placed (1983)
  • Tourist (The Camera Makes Everyone a Tourist) (1985 ca.)
  • Anne Bean: Self Etc (2018)[16]

Quilla Constance

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Quilla Constance alla galleria Contemporary Arts nel 2015

(IT)
« Il mio nome professionale attuale è Quilla Constance... che è un personaggio artistico che coltivo e utilizzo dal 2009. Il mio nome di nascita è Jennifer Allen e il nome con il qiuale ho lavorato dal 2001 al 2009. »

(EN)
« My current professional name is Quilla Constance ... which is an art persona I've cultivated and deployed since 2009. My birth name is Jennifer Allen, and the name I operated under from 2001–2009. »
([18])

Quilla Constance "QC" è un personaggio punk militante "esotico" creato e interpretato dall'artista Jennifer Allen, performer interdisciplinare contemporanea e docente britannica. Laureata alla Ruskin School of Drawing and Fine Art nel 2001, ha conseguito un MFA presso la Goldsmiths University of London nel 2006[19][20] e successivamente ha studiato recitazione al Rose Bruford College[21]. Constance esamina le identità femminili nere nella cultura maggioritaria britannica contemporanea[22], mette in scena interventi interdisciplinari spettacoli su stereotipi e disuguaglianze di genere, razza e classe[23], che mescolano pittura, fotografia, video musicali, installazioni, costumi a conferenze e performance dal vivo, una "narrativa fisica risoluta eseguita interamente attraverso il respiro, la postura e i suoni non verbali"[24].

Lavori (selezione)

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  • Happy Christmas Mom & Dad (2006)
  • Vjazzled (2013)
  • Pukijam (2015)
  • #QC_001 (2016)
  • Celsnakar (2017)[25]
  • Teasing Out Contingencies (2020)[26]

Edoheart

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(IT)
« Il peso della nostra / povertà di immigrati ha rallentato le mie membra / come una croce o una raccolta di peccati / e non potevo adattarmi / ai modi senza ali di questo paese. / [...] / Stavo per diventare una scrittrice. / Anche allora, sapevo / di avere una memoria debole. / Avevo paura di dimenticare il mondo / nella nebbia delle sue mattine d'inverno, / di perdere la pioggia nel mare. »

(EN)
« The burden of our immigrant / poverty slowed my limbs / like a cross or collection of sins / and I could not adjust / to the wingless ways of this country. / [...] / I was going to be a writer. / Even then, I knew / I had a weak memory. / I was afraid of forgetting the world / in the fog of its own winter mornings, / of losing the rain in the sea. »
([27])

Eseohe Arhebamen o Eseohe Arhebamen-Yamasaki, conosciuta come Edoheart (n. a Zaria, Nigeria) è una performer nigeriana, poeta, ballerina, musicista e produttrice, la prima artista africana ad unire il teatro africano e quello giapponese nel cosiddetto "buto-teatro vocale"[28], dove gli artisti ballano e cantano simultaneamente in una combinazione di danza buto con il canto, la poesia, il mudra (yoga delle mani), il linguaggio dei segni, i suoni sperimentali nelle danze tradizionali del popolo Edo dell'Africa occidentale.

Edoheart è la discendente di una famiglia reale del Regno di Benin.[29]; la nonna materna è la principessa Theresa Maria Nodumwenben Osazuwa[30], principessa del popolo Edo, e il bisnonno Osazuwa Eredia, padre della principessa Theresa Osazuwa, era Oba n'Ugu (re di Ugu).

Lavori (selezione)

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  • Ubhi's Song (2000)
  • Perhaps I Will Dry in the Sun (2000)
  • My Mother's White Shoes
  • Iye Oshodi
  • Seeding the Clouds (Ornithology Press, 2003)[31]
  • Monsoon In Ibadan (2010)
  • Sosomoneycockplease (album, 2013)
  • Dem tell me say na soso money dey (poema)
  • For The Love (EP, 2020)

Francesca Penzo e Tamar Grosz

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« La danza per noi è comunicativa, spirituale, politica, gioiosa, onesta. »
([32])

Dall'incontro tra la coreografa e performer italiana Francesca Penzo e la danzatrice e coreografa israeliana Tamar Grosz, nel 2013 nasce a Berlino FEM, progetto che ha come obbiettivo creare uno spazio per l'arte al femminile, dare visibilità al maggior numero possibile di lavori artistici e autoriali legati all'universo femminile[33].

« Ogni anno gli scienziati pubblicano la descrizione di circa 17.000 nuove specie animali. Oggi indagheremo una nuova specie: “La giovane donna indipendente” »
(Simona Perrella[34])

Nello spettacolo Esemplari Femminili (evoluzione della versione più breve intitolata Why are we so f**ing dramatic?), attraverso la metafora del documentario ispirato dal National Geographic, le due performer mettono in scena una narrazione coreografica, scientifica e ironica allo stesso tempo, dei processi che ciclicamente avvengono all'interno del corpo femminile, delle dinamiche relazionali tipiche delle donne per arrivare ad una riflessione più profonda sul ruolo della donna nella società contemporanea[35]. Per la durata di 28 giorni, le rappresentazioni costruiscono la base drammaturgica e sonora sulla quale si sviluppano poi le scene; la voce fuori campo che accompagna le diverse fasi del ciclo mestruale (voce narrante Barbara Granato, narrante LIS Rita Mazza), invita poi il pubblico a seguire le attività sul palco di questi due "esemplari femminili"[36].

Produzioni

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  • O O O O O O O (IT) (2013/2015)
  • Why are we so f**ing dramatic? (2014/2015)
  • Esemplari Femminili

Peta Lily

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Peta Lily nel 2009

(IT)
« Il Red Nose Clown si esibisce per pura esuberanza, il Dark Clown si esibisce spinto da una compulsione più severa. Il pagliaccio dal naso rosso non ha passato e ha una capacità da cartone animato di riprendersi da cadute, schiaffi e incidenti. The Dark Clown ha visto tutto, sente tutto e non ha altra scelta che "vendere" il proprio dolore per il nostro divertimento. Uno sperimenta la meraviglia, l'altro guarda l'abisso. »

(EN)
« Red Nose Clown performs out of sheer exuberance—Dark Clown performs under a harsher compulsion. The Red Nose Clown has no past and a cartoon-like ability to bounce back from pratfalls, slaps and accidents. The Dark Clown has seen it all, feels it all, and no choice but to ‘sell’ his own pain for our entertainment. One experiences wonder, the other gazes at the abyss. »
(Peta Lilly (2020)[37])

Peta Lily, pseudonimo di Peta Wilhelmina Gottschalk (n. a Brisbane) è una mima e regista teatrale australiana, una delle performer che negli anni '80 del XXesimo secolo hanno dato vita al teatro fisico londinese. Dopo la laurea in recitazione all'Università del Queensland, inizia a lavorare come copywriter nell'ambito pubblicitario e come regista di spot radiofonici, dopodichè si trasferisce in Inghilterra per seguire lezioni di mimo con Desmond Jones al British Theatre Institute a Fitzroy Square. Nel suo percorso incontra altre due donne, la pittrice Tessa Schneideman e la burattinaia Claudia Prietzel, con le quali fonda Three Women Mime, la prima compagnia di mimo della Gran Bretagna composta da sole donne. Nel tentativo di andare oltre la forma e lo stile di Marcel Marceau e la sua classica figura del clown come "uomo qualunque", le artiste affrontano temi femminili (come la maternità e la rappresentazione delle donne nella cultura popolare), le esplorano e interpretano da una propria prospettiva. Presto il gruppo diventa un esempio di teatro alternativo di successo, partecipa al London International Mime Festival nel 1981 e 1982, si esibisce in diversi centri artistici nel Regno Unito e in tournée in Europa, vince un premio all'Edinburg Fringe Festival nel e si guadagna la copertina di Time Out Magazine[38].

Dopo un periodo di pausa (durante il quale affronta il divorzio, il cancro, la malattia e la morte della madre), nel 1999 Lily torna al lavoro da solista con l'autobiografica "trilogia anatomica" formata da Topless (1999, con il quale debutta al Lion & Unicorn Theatre e va in tournée in Grecia, Hong Kong e Australia)[39], Midriff (2002) e infine, dopo sei anni di pausa, Invocation (2008)[40]

Nel 2012 Lily realizza Chastity Belt, una "giocosa riscrittura del personaggio di Diana (Artemide) e dell'opera Lisistrata" secondo l'artista, in cui si esamina il rapporto tra la sessualità e l'autonomia femminile[40] L'obiettivo che Peta Lily persegue con la sua arte è quello di turbare il pubblico e stimolare reazioni represse, per ottenere "una rappresentazione quanto più autentica possibile della sofferenza, utilizzando le abilità della comicità (contrasto, ritmo, timbro, fraseggio, ripetizione, musicalità, ecc.) in modo che il pubblico rida, ma si senta il costo"[40].

Produzioni[41]

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Interprete

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  • Topless (1999)
  • Midriff (2002)
  • Invocation (2010)
  • Chastity Belt (2012)

Attrice

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  • Beg!, commedia horror, regia di Robert Golden, insieme a Philip Pellew (1994)[42]

Regista

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  • Je Regrette, per Sarah-Louise Young (2016)
  • Fameled, per Lost in Translation Circus (2018)
  • A Touch of Mrs Robinson, per Fiona Coffey
  • Rough Magic, per LCF al Wilton's Music Hall

Drammaturga

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  • The Porter's Daughter, al Cockpit Theatre e in tour (1994)
  • Blame, al Teatro Mechanis di Athens
  • Random Oracle, all'Unity Theatre di Liverpool (2001)[43]

Melati Suryodarmo

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(IT)
« Per Suryodarmo, la polverizzazione del carbone simboleggia la stanchezza e l'esaurimento fisico, che si uniscono allo sradicamento e al ritorno in Indonesia dopo aver vissuto per molti anni in Germania. Da qui il titolo "I am a Ghost in My Own House". »

(EN)
« For Suryodarmo, pulverising the charcoal symbolises her tiredness and physical exhaustion, which are coupled with her being uprooted and her return to Indonesia after living in Germany for many years. Hence the title "I am a Ghost in My Own House". »
(Philippe Pirotte[44])

 
Melati Suryodarmo nel 2019

Melati Suryodarmo (n. 12 luglio 1969 a Surakarta) è una performance artist indonesiana, una delle più importanti artisti viventi dell'Indonesia[45]. Figlia di una ballerina tradizionale giavanese e di un professore di Amerta (una forma d'arte del movimento e della meditazione)[46], ha frequentato la Padjadjaran University, laureandosi in relazioni internazionali prima di trasferirsi in Germania, dove ha vissuto per 20 anni. Dal 1991 al 2002, all'Accademia di belle arti di Braunschweig - Hochschule für Bildende Künste (HBK) - studia scultura e performance art, coreografia, costumi e messa in scena, oltre alla danza buto con la ballerina e coreografa giapponese Anzu Furukawa[47]. Nel 2001 Suryodarmo consegue una laurea in belle arti e ottiene un MFA in performance art l'anno dopo. In seguito studia arte basata sul tempo con Mara Mattuschka. Dopo l'abbandono della HBK da parte di Furukawa, la sua prima insegnante, Suryodarmo ha continuato gli studi presso l'accademia, prendendo lezioni di performance art di Marina Abramović, della quale diventa in seguito l'assistente[48]. In apertura della 50esima Biennale di arte di Venezia del 2003, per tre ore e con una temperatura molto alta, Suryodarmo si esibisce nei Giardini della Biennale come "installazione vivente" insieme ai suoi compagni della classe di Abramović[49]. La gran parte delle performance di Suryodarmo sono azioni ripetute che durano decine di minuti, addirittura ore, dandole il tempo di accumulare tensione ed emozioni di base oppure scaturite dal processo di resistenza, sia fisica che psicologica all'azione che si ripete. Durante questi momenti in cui l'artista si spinge oltre i suoi limiti fisici, tra Suryodarmo e gli spettatori si sviluppa un linguaggio non verbale che affronta temi come identità, energia, relazioni tra il corpo e l'ambiente[50], si rivelano al pubblico strati emotivi profondi, vengono comunicati il concetto di tempo, il senso di perdita, di libertà, amore e cedimento[49].

Nel Dialogue With My Sleepless Tyrant (2013) realizzato all'Ark Galerie di Yogyakarta e ispiranto alla fiaba "La principessa sul pisello" di Hans Christian Andersen, in una performance di due ore, con il corpo immerso e solo la testa visibile, Suryodarmo respira regolarmente tra una pila di 18 materassi. Ma quando il peso diventa eccessivo, la performer gira il corpo e solleva i materassi fino a farli cadere, suggerendo in questo modo l'dea della liberazione delle donne dalle pressioni sociali che le vengono imposte. The Lover Across the Sea è invece un lavoro che utilizza un altro tipo di media, un video sulla vita nei villaggi di pescatori a West Sumatra, Bali e West Sulawesi, che si ispira al modo in cui le donne, lasciate a casa quando gli uomini escono in mare, esprimono il senso di lasciar andare, arrendersi, amare e sperare[49].

Rtornata in Indonesia, ha fondato Undisclosed Territory, un festival annuale di performance art. È stata la prima donna a ricoprire il ruolo di direttrice artistica della Biennale di Jakarta e nel 2022 le è stato conferito il Bonnefanten Award for Contemporary Art (BACA) da parte del Bonnefantemuseum[51].

Lavori (selezione)

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  • Exergie-Butter Dance (2000)
  • The Black Ball (2005)
  • I Love You (2007)
  • I am a Ghost in My Own House (2012)
  • Dialogue With My Sleepless Tyrant (2013)
  • Lologue (2014)
  1. Desirée Maida, The Cleaner di Marina Abramović arriva a Belgrado. E l'artista scrive una lettera al suo Paese, su Artribune, 16 agosto 2019.
  2. 2,0 2,1 Francesca Penzo & Tamar Grosz, su Mosaico Danza.
  3. Marina Abramović e Ulay, le performance principali, la vita, le opere, su Finestre sull'arte.
  4. 4,0 4,1 4,2 Alexandra Andresen, Abramović, Marina, su Enciclopedia Italiana - VI Appendice, 2000.
  5. Marina Abramović b.1946, su Irish Museum of Modern Art (IMMA).
  6. Nancy Spector, Marina AbramovićMarina Abramović Cleaning the Mirror #1, su Guggenheim Museum.
  7. Giuseppe Arnesano, Marina Abramović superstar ad Alba. Ecco le immagini della mostra e del talk pubblico, su Art Tribune, 30 Settembre 2017.
  8. Acta del Jurado, su fpa.es.
  9. Adam Alston, Julia Bardsley – interview for Staging Decadence, su Staging Decadence, 27 giugno 2022.
  10. Dominic Johnson, The Skin of the Theatre: An Interview with Julia Bardsley, in Contemporary Theatre Review, vol. 20, 1º agosto 2010. DOI 10.1080/10486801.2010.489045 ISSN 1048-6801
  11. Guardian Staff, Now you see them, in The Guardian, 13 ottobre 1999. ISSN 0261-3077
  12. Julia Bardsley, su Central Saint Martins, 20 giugno 2018.
  13. 13,0 13,1 Elles x Paris Photo - Anne Bean, su Paris Photo.
  14. Seaclipse, Anne Bean, su Arts Catalyst (archiviato dall'url originale il 26 aprile 2014).
  15. Anne Bean & Paul Burwell Pulp Music "Low Flying Aircraft", su Poutre apparente (archiviato dall'url originale il 3 marzo 2016).
  16. 16,0 16,1 Anne Bean, su England Gallery.
  17. Anne Bean Photography, su England Gallery.
  18. Shalini Passi In Conversation with Quilla Constance: MASH India, su Mash India, 16 marzo 2019.
  19. Quilla Constance This is Goldsmiths, su gold.ac.uk, 27 marzo 2015.
  20. Quilla Constance Goldsmiths MFA Alumni (PDF), su gold.ac.uk (archiviato dall'url originale il 10 giugno 2015).
  21. Quilla Constance Graduate Success Rose Bruford Prospectus (PDF), su Rose Bruford College (archiviato dall'url originale il 13 aprile 2021).
  22. #QC Keel Constance_alias_Jennifer Allen, su The Vaults.
  23. Open studio with Quilla Constance, su Tate Gallery.
  24. Quilla Constance Biography, su Camberwell College of Arts.
  25. Quilla Constance 'Celsnakar' Painting, su Saatchi Art.
  26. Teasing out contingencies With Quilla Constance, su Tate Gallery.
  27. Poetry. My Mother's White Shoes, su Edoheart.
  28. Vocal Styles: An Interview with Performance Artist Edoheart, in The Liberated Voice.
  29. Al Paldrok, Eseohe Arhebamen, su Diverse Universe Performance Festival, 2009.
  30. Simon Ebegbulem, Nigeria: Help! Wicked People Have Sold Our Farmlands, Now We Have Nothing to Live On, in Vanguard, 3 marzo 2007.
  31. Eseohe Arhebamen, su Softblow.
  32. Anna Quinz, Anticorpi XL e Bolzano Danza: palcoscenico per giovani coreografi italiani, su Franz Magazine, 15 luglio 2016.
  33. Francesca Penzo & Tamar Grosz, su Mosaico Danza.
  34. Simona Perrella, Fattoria Vittadini al TAN: uno sguardo alle giovani realtà della danza contemporanea, su Campa di danza, 12 dicembre 2015.
  35. Esemplari Femminili, su Teatro della Regina.
  36. Angela Lonardo, Francesca Penzo e Tamar Grosz al Tan di Napoli per indagare l'universo femminile, su Campa di danza, 17 dicembre 2015.
  37. Henry Powell, Successful Failures: Undoing Neoliberal Representation Through Interpretations of Clown (PDF), su Kingston School of Art, aprile 2020.
  38. Zoe Cunningham, Interview. Peta Lily, in An actor's life for me? : how to get started in acting, Chatham, Urbane Publications, 2017. OCLC 1064893891
  39. Thom Dibdim, Making the breast of a very bad year, in Evening News, 17 agosto 1999.
  40. 40,0 40,1 40,2 Peta Lily, Invention and Re-invention, su Total Theatre.
  41. Peta Lily, su Peta Lily, sito ufficiale.
  42. Beg!, su IMDb.
  43. Philip Key, Women's big chance to show off their talent, in Daily Post, 16 ottobre 2001.
  44. Melati Suryodarmo I am a ghost in my own house presentation, su bonnefanten.
  45. Artist's talj: Melati Suryodarmo, su Icon Gallery.
  46. Carla Bianpoen, Melati Suryodarmo, su Aware Archives of Women Artists, Research & Exibitions.
  47. Eva McGoverfi-Basa, Melati Suryodarmo, su Shangh Art Gallery.
  48. Rachel Will, Indonesia’s Maverick Performance Artist, in The New York Times, 12 giugno 2014 (archiviato dall'url originale il 13 giugno 2014).
  49. 49,0 49,1 49,2 Sylvia Tsa, Unspoken language. Melati Suryodarmo, su Art Asia Pacific, settembre/ottobre 2013 (archiviato dall'url originale il 26 ottobre 2021).
  50. Melati Suryodarmo, su Art World Database.
  51. Bonnefanten Award 2022 for Melati Suryodarmo, su Bonnefanten Award for Contemporary Art – BACA (archiviato dall'url originale il 23 ottobre 2021).

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Collegamenti esterni

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