Storia della letteratura italiana/Poesia comico-realistica

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Oltre alla linea dominante nella lirica italiana, che dalla scuola siciliana porta allo stilnovo, si sviluppano nel Duecento anche altre esperienze poetiche, che utilizzano uno stile basso e trattano elementi della vita quotidiana, ripresi da una realtà spesso volgare e degradata. È una poesia comica che si propone di rovesciare gli schemi e i canoni della produzione elevata, allo scopo di farne una caricatura grottesca.[1]

Caratteristiche modifica

I manuali di letteratura indicano questo tipo di produzione con vari termini: «realistica», «giocosa», «burlesca», «borghese», «comico-realistica».[2] Una pluralità di nomi che mette in luce la difficoltà di definire un insieme molto variegato di autori, accomunati da due elementi: la distanza dalla linea poetica che dalla poesia provenzale arriva allo stilnovo attraverso la lirica siciliana, e il ricorso a temi legati alla quotidianità, adoperando un lessico vicino a quello della lingua parlata. Va quindi precisato che il termine «comica» attribuito a questa poesia deve essere inteso nel senso medievale, cioè come lirica umile,[3] che utilizza uno stile basso. Anche l'aggettivo «realistica», d'altra parte, non indica l'intenzione di rappresentare direttamente la realtà, ma più semplicemente che siamo di fronte a una poesia che si riferisce alla quotidianità.[1]

Questi poeti si rifanno a una tradizione antica, che affonda le sue radici nella letteratura mediolatina (si pensi ai versi goliardici raccolti nei Carmina Burana) e in altre letterature romanze: quella della parodia, cioè la descrizione attraverso un linguaggio nobile di soggetti vili. I valori cortesi vengono ribaltati per mostrare il loro risvolto deformato e ridicolo. Si hanno così caricature di persone conosciute, rappresentazioni dell'amore sensuale (che prende il posto di quello cortese idealizzato), descrizioni di donne volgari (invece delle nobili dame), invettive, ingiurie, riferimenti a sentimenti poco nobili. La letteratura illustre rimane comunque il punto di riferimento, come dimostra la sottile costruzione formale dei componimenti, lontana dalla produzione popolare giullaresca.[1] Inoltre, non tutto ciò di cui parla il poeta comico è espressione di fatti accaduti o sentimenti realmente provati; al contrario, si tratta di temi divenuti topici proprio per questo tipo di lirica, che vengono sviluppati dall'autore indipendentemente dal suo vissuto.[3]

Per il suo anticonformismo e il rifiuto delle gerarchie sociali, la poesia comica dà voce a temi come l'emarginazione e il dissenso – preludendo, dall'altro lato, alla successiva poesia carnevalesca umanistica. I risultati più riusciti si hanno però in Francia, in particolare con François Villon.[1] Tra i poeti di lingua italiana, i più celebri sono Rustico di Filippo, Cecco Angiolieri e Folgóre di San Gimignano; si possono ricordare inoltre Pietro dei Faitinelli (Lucca, 1280 circa – 1349), Bindo Bonichi (Siena, 1260 – Siena, 3 gennaio 1337), Pieraccio Tedaldi (Firenze, circa 1285 – circa 1353), Immanuel Romano (Roma, 1261 circa – Fermo, dopo il 1328).

Rustico di Filippo modifica

 

Il più antico autore riconducibile a questa corrente di cui si abbia notizia è Rustico di Filippo, detto il Barbuto, nato a Firenze attorno al 1230 e morto fra il 1291 e il 1300. Ha avuto contatti con altri poeti – come Palamidesse di Bellindote, Bondie Dietaiuti, Iacopo di Léona, Brunetto Latini (che gli dedicherà il Favolello) – ed è considerato uno dei più rappresentativi poeti di della lirica comico-realistica, per la «rude energia» che anima i suoi componimenti. Ci sono giunti 58 suoi sonetti, dei quali alcuni sono riconducibili allo stilnovo e 29 sono di tipo comico, scritti con un registro linguistico molto ampio, che spazia dai termini aulici a quelli popolani.[4]

Cecco Angiolieri modifica

 

In questo contesto la figura più complessa e ricca è però quella di Cecco Angiolieri. Nato probabilmente a Siena attorno al 1260 da una famiglia nobile di orientamento guelfo, partecipa all'assedio del castello di Turri in Maremma (1281), ma viene più volte multato per essersi allontanato dal campo senza permesso. Tra il 1282 e il 1291 è infine condannato per non aver rispettato il coprifuoco e nel 1291 è coinvolto in un'accusa di ferimento. È bandito da Siena due volte, probabilmente per motivi politici: la prima nel 1300, e la seconda attorno al 1303. Nella sua vita sregolata si rivela anche un pessimo amministratore dei propri beni, tanto che alla sua scomparsa i figli rifiuteranno l'eredità per non accollarsi i suoi debiti. Muore poco prima del 1312.[4]

Attorno alla figura di Cecco Angiolieri è stata dipinta l'immagine di un vagabondo gaudente, una leggenda alimentata da lui stesso e dalle sue opere. Gli sono attribuiti circa 130 sonetti, una ventina dei quali è però ritenuta spuria. D'altra parte, come scrive Petronio, il ritratto di sé che ci danno i suoi componimenti doveva corrispondere in parte alla realtà: «odio violento per i genitori, odiati soprattutto per la loro gretta avarizia; inclinazione potente alla crapula [...]; passione sensuale per una donna, Becchina, indifferente a lui e cupida soltanto al suo denaro; fastidio della moglie brontolona».[5] Si tratta comunque di elementi esagerati, spinti all'estremo per raggiungere una «epicità del comico».[5]

Il testo più noto di Cecco Angiolieri è un plazer, il sonetto S'i' fosse fuoco. Il componimento ruota attorno a una serie di affermazioni contro la famiglia, la società, la religione, la politica, in una crescente accentuazione iperbolica e truculenta. Si tratta però di un gioco letterario, che infatti viene smorzato nella terzina finale con un semplice invito ai godimenti immediati:

« S’i’ fosse Cecco, com’ i’ sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
le zop[p]e e vecchie lasserei altrui. »

È però presente anche una grande cura formale, come dimostrato dalla struttura simmetrica del sonetto, in cui si nota soprattutto l'uso dell'anafora (cioè la ripetizione della frase S'i' fosse all'inizio di ogni verso), che imprime al testo un ritmo martellante, ulteriormente scandito dalla presenza della cesura in nove versi su quattordici (S’i’ fosse fuoco, // ardereï ’l mondo;). Cecco inoltre è considerato l'iniziatore di un filone che avrà notevole fortuna, quello di autori come Pulci, Folengo, Ruzante, che si caratterizza per gli atteggiamenti dissacratori, l'attenzione per i personaggi irregolari, la contrapposizione tra la realtà materiale e la spiritualità.[6]

Folgóre di San Gimignano modifica

 

Altro importante autore riconducibile alla corrente comico-realistica è Folgóre da San Gimignano, vissuto tra il XIII e il XIV secolo. Dei 32 sonetti che gli sono attribuiti, scritti tra il 1309 e il 1317, 14 compongono una corona che spiega come trascorrere lietamente i mesi dell'anno, una seconda corona di 8 sonetti è dedicata ai giorni della settimana e i restanti celebrano le virtù cavalleresche e trattano di contese politiche.

L'opera di Folgóre è permeata da nostalgia per l'età della «cortesia», che è stata cancellata dalla società mercantile, la quale non conosce l'arte dello spendere e del donare. A questa mancanza cerca di porre rimedio con i suoi componimenti, in cui spiega come passare il tempo avendo un signorile distacco dall'avarizia. Nei suoi sonetti canta lo sfarzo, la magnificenza, ma anche l'imborghesimento dell'antica cortesia, che si adatta allo stile di vita del Comune e trova nella città il luogo dove si può realizzare.[7] Al modello di vita proposto dalla borghesia viene dunque contrapposto quello cortese, e il mondo feudale viene idealizzato e presentato come un luogo di evasione. Non mancano però gli elementi caricaturali e parodistici, così come un gusto fortemente realistico.[8]

A questi sonetti risponderà il giullare aretino Cenne da la Chitarra con la Risposta per contrarî ai sonetti de' mesi di Folgore da San Geminiano.

Note modifica

  1. 1,0 1,1 1,2 1,3 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, L'età cortese e comunale, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 52.
  2. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 69.
  3. 3,0 3,1 Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 70.
  4. 4,0 4,1 Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 72.
  5. 5,0 5,1 Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 73.
  6. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, L'età cortese e comunale, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 124.
  7. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 75.
  8. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, L'età cortese e comunale, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 53.