Storia della letteratura italiana/Letteratura religiosa del XIII secolo

Storia della letteratura italiana

Tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo sorge, soprattutto in Umbria, una letteratura in versi a carattere religioso scritta nei vari dialetti locali e per lo più anonima. Si tratta di una produzione rivolta prevalentemente ai laici e ai ceti popolari (prosegue infatti, per tutto il Medioevo e oltre, l'uso del latino per i trattati teologici). Proprio a questo filone religioso si deve la prima opera in volgare con uno specifico carattere letterario, cioè il Cantico di Frate Sole o Cantico delle creature di Francesco d'Assisi, databile attorno al 1225.

Alla letteratura religiosa del Duecento si deve però un altro genere molto importante: la laude. Si è soliti collocarne la nascita al 1256, al tempo in cui sorge a Perugia, sotto la guida di Raniero Fasani, la Confraternita dei Disciplinati che usava come mezzo di espiazione la flagellazione pubblica.[1] Il rito veniva accompagnato da canti corali che avevano come schema la canzone a ballo profana. Attraverso le laude − liriche drammatiche, pasquali o della Passione a seconda dell'argomento religioso trattato − il movimento si diffonde in tutta l'Italia del nord e raggiunge persino l'Europa centrale, ma i centri principali rimangono Perugia e Assisi. È tuttavia con Jacopone da Todi che la lauda assume una dimensione artistica.

Francesco d'Assisi

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Giotto, San Francesco rinuncia alle vesti, Basilica Superiore di Assisi

«La prima grande figura che incontriamo proprio sulla soglia della nostra letteratura del Duecento è quella di San Francesco d'Assisi» come scrivono sia Giuseppe Petronio[2] sia Natalino Sapegno.[3] Di Francesco d'Assisi ci sono giunte alcune operette in latino e un cantico, scritto in volgare umbro, conosciuto come il Cantico delle Creature o Il Cantico di Frate Sole, che può essere considerato il primo testo in volgare italiano di alto valore poetico.[4]

La vita

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Giovanni detto Francesco nasce nel 1182 ad Assisi, figlio del ricco mercante Pietro Bernardone. Conduce una giovinezza spensierata fino a quando, nel 1204, cade prigioniero durante la guerra tra Assisi e Perugia e ha una prima crisi religiosa. Tornato a casa, inizia a occuparsi di poveri e ammalati, spendendo denaro in opere di bene. La sua nuova sensibilità viene però contrastata dal padre, che lo porta al giudizio della corte vescovile. In quell'occasione Francesco si spoglia pubblicamente dei propri abiti e rinuncia ai beni paterni, iniziando l'attività di apostolato. In breve raccoglie alcuni seguaci e compone una Regola, che ottiene una prima approvazione da parte di papa Innocenzo III nel 1210. Per i suoi frati sceglie il nome di «minori» in segno di umiltà; contemporaneamente si forma anche il ramo femminile dell'ordine, fondato da Chiara d'Assisi. Dopo un viaggio in Terra Santa per diffondere il Vangelo, torna in Italia, dove nel 1223 ottiene da Onorio III l'approvazione della Regola definitiva. Muore pochi anni dopo, nel 1226, ad Assisi.[5]

Il cantico di Frate Sole

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Il Cantico è stato composto con ogni probabilità nell'ultima fase della vita del santo, quando soffriva di una malattia agli occhi. È una preghiera composta da 33 versetti privi di un metro preciso, che esalta Dio e il creato, mostrando la bellezza e la bontà del sole, degli astri, dei quattro elementi, ma anche della sofferenza umana e della morte.[4] Secondo Natalino Sapegno, «il tipo di prosa ritmica e ritmata, che nella divisione irregolare dei versetti, sembra riecheggiare le forme della liturgia non trova rispondenza nella letteratura italiana contemporanea».[6]

Francesco dimostra di possedere, oltre a una profonda cultura religiosa, anche la conoscenza della letteratura cortese, evidente nei termini cortesi con cui esprime il suo rapporto con la povertà (definita come sua «amante») e nell'abitudine di chiamare se stesso e i suoi compagni ioculatores Domini, cioè «giullari del Signore».[4]

La letteratura francescana

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Dopo la morte di Francesco nasce una fiorente letteratura francescana che prosegue anche nel Trecento.

Le Vitae del santo

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La letteratura francescana produce numerose biografie del santo scritte in latino e presto tradotte in volgare. Si ricordano soprattutto le due vite scritte da Tommaso da Celano: la Legenda prima, che viene scritta per commissione del papa Gregorio IX nel 1229, e la Legenda secunda. A un autore anonimo si deve invece la Legenda trium sociorum, redatta non come una vera biografia ma come una sequenza di episodi eccezionali, compiuti da Francesco e dai suoi tre compagni (Leone, Rufino e Angelo), secondo il modello dei Fioretti. C'è poi lo Speculum perfectionis, redatto da uno scrittore anonimo.

La seconda biografia del santo di carattere ufficiale è quella scritta da Bonaventura da Bagnoregio per incarico dell'Ordine dei Frati Minori, intitolata Legenda maior. Infine, ci sono gli Actus beati Francisci et sociorum eius, scritti tra Duecento e Trecento da frate Ugolino di Monte Santa Maria, e considerati la prima fonte dei Fioretti in volgare.[7]

Le mistiche nozze di San Francesco con Madonna Povertà

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« Comandò allora Madonna Povertà che fossero imbanditi nelle scodelle cibi caldi. Ed ecco fu portata una sola scodella piena d'acqua fredda perché tutti vi attingessero il pane. »
(Da Sacrum commercium sancti Francisci cum Domina Paupertate, autore ignoto[8])

Si deve a un autore ignoto, che da alcuni critici viene individuato in Giovanni Parenti, un'opera scritta in forma di allegoria nel 1227 dal titolo Sacrum commercium sancti Francisci cum domina Paupertate (Le mistiche nozze di San Francesco con Madonna Povertà), opera che influenza sia le future biografie del santo, sia autori come Giotto e Dante. Di Dante troviamo infatti nel canto XI del Paradiso il panegirico di san Francesco, dove vengono evidenziate le nozze del santo con la Povertà.

I Fioretti di san Francesco

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La vita di san Francesco e dei suoi discepoli è narrata anche nei Fioretti, un'opera generalmente attribuita, anche se con qualche dubbio, a frate Giovanni dei Marignoli. Si tratta molto probabilmente di un volgarizzamento trecentesco degli Actus beati Francisci et sociorum eius. San Francesco viene presentato come un nuovo Cristo, e i suoi gesti vengono raccontati seguendo lo stesso schema narrativo del Vangelo. Lo stile è semplice e limpido, nel solco della letteratura francescana che, nata nel Duecento, si rivela ancora fervida nel corso del Trecento. Alcuni passi sono rimasti famosi, come la predica agli uccelli o la storia del lupo di Gubbio.[9]

Le laude

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Tra i più importanti generi della letteratura religiosa ci sono le già ricordate laude, componimenti che cantano le lodi dei santi, di Cristo e della Madonna, e che vengono spesso raccolte in manoscritti chiamati "laudari" (raccolte di laude) per le confraternite religiose. Sono spesso testi poetici scritti sotto forma di dialogo, veri e propri drammi sacri che venivano recitati in ricorrenze religiose di una certa importanza con un accompagnamento musicale.

Le laude di questo periodo sono quasi tutte anonime e vengono soprattutto dalla Toscana, dall'Umbria, dalle Marche, dall'Abruzzo e dall'Italia settentrionale e conservano, nella povertà della loro struttura sintattica, un carattere molto semplice ma estremamente sincero. Vengono narrati gli episodi del Vangelo di maggior effetto, come i miracoli di Gesù e le vite della Vergine e dei santi. Tra le descrizioni meglio riuscite e piene di religioso e commosso sentimento, c'è quella della Vergine che guarda in contemplazione il Bambin Gesù e il pianto della Madre ai piedi della croce.

Jacopone da Todi

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Jacopone da Todi ritratto da Paolo Uccello, 1435-36. Duomo di Prato

La poesia religiosa raggiunge però il suo apice con Jacopone da Todi e con lo Stabat Mater, una lauda dialogata che mescola parole del volgare umbro e latinismi, con una struttura metrica che ripropone i modelli della poesia dotta.

La vita

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Poche sono le notizie sulla vita di Jacopone, per lo più ricavate dalle sue opere. Nato a Todi tra il 1230 e il 1236 dalla famiglia nobile dei Benedetti, studia diritto a Bologna ed esercita come avvocato e notaio a Todi. Si allontana dalla sua città nel 1268 in seguito alla conversione. Leggenda vuole che questa sia avvenuta in seguito alla morte della moglie, avvenuta a causa del crollo di un pavimento durante una festa da ballo. Jacopone avrebbe così scoperto che la donna indossava un cilicio, uno strumento di penitenza. Dopo aver trascorso dieci anni in umiltà come mendicante, diventa frate laico francescano, si lega ai cardinali Pietro e Iacopo Colonna e svolge un'intensa polemica contro la corruzione all'interno della Chiesa. Lo scontro degenera durante il pontificato di Bonifacio VIII: Jacopone è prima scomunicato e poi arrestato in seguito all'assedio di Palestrina nel 1298. È liberato da Benedetto XI, successore di Bonifacio, nel 1303; ritiratosi nel convento di San Lorenzo di Collazzone, vi muore nel 1306.[10]

 

Le opere di Jacopone risentono della sua travagliata vita, e in particolare del contrasto tra le gerarchie ecclesiastiche e il francescanesimo pauperistico. Fortemente legato alla mistica medievale, rinnega tutto ciò che è legato al corpo e alle cose terrene per mostrare la negatività del mondo. La vita umana è segnata dal male, dalla morte, dal vizio, da sentimenti e affetti privi di autenticità, tutti elementi descritti con crudo realismo in dialetto umbro. Anche la sua esperienza ascetica è di conseguenza tormentata, e la ricerca di Dio passa attraverso l'umiliazione di sé. Di fronte ai valori propugnati dalla società, Jacopone sceglie la malattia e la follia («O Segnor, per cortesia, / manname la malsanìa»). A questo si accompagna la critica contro la Chiesa di Roma e lo sfruttamento materiale della religione («O papa Bonifazio, molt'ai iocato al mondo»).[11]

  1. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 44.
  2. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 41.
  3. Natalino Sapegno, Compendio di storia della letteratura italiana, vol. I, Firenze, La Nuova Italia, 1956, p. 52.
  4. 4,0 4,1 4,2 Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 64.
  5. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 41.
  6. Natalino Sapegno, Compendio di storia della letteratura italiana, vol. I, Firenze, La Nuova Italia, 1956, p. 53.
  7. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 43.
  8. Il brano è tratto dalla volgarizzazione del testo da Carlo Salinari e Carlo Ricci, Storia della letteratura italiana con antologia degli scrittori e dei critici, Bari, Laterza, 1991, p. 215.
  9. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, pp. 43-44.
  10. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 70-71.
  11. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 71-72.