Guida maimonidea/Meditazione logica
L'impulso di conoscere Dio aveva pervaso Maimonide sin da giovane.[3] Il pensiero, la riflessione, e la concentrazione della sua mente su questo più alto tra tutti i problemi aveva determinato il suo comportamento spirituale ed intellettuale in tutte le fasi della sua vita. La sua passione per la ragione, il suo anelare quasi ingenuo, la sua ricerca e introspezione nell'intuito del mistero non si fermò mai. Tuttavia nella sua mente, che non fu mai libera da emozioni profonde, il desiderio di conoscere Dio si originava non solo dall'incertezza di sentimenti vaghi ma anche dalla necessità di pensare: tale desiderio lo condusse a scandagliare le possibilità della conoscenza metafisica.[4]
Quale tecnica di meditazione utilizzò? Maimonide continuò a chiedere alla sua ragione: Come si conosce Dio? Quali caratteristiche e qualità di Dio possono essere enunciate? "Le nostre menti sono semplicemente troppo deboli per conoscere anche soltanto l'essenza del Cielo, che è, dopo tutto, un corpo in moto. L'abbiamo misurato in spanne e cubiti e, riguardo alle sue parti, siamo consci della loro misura e la maggioranza dei suoi movimenti. Sappiamo che di necessità il Cielo ha materia e forma, ma questa materia non è la stessa che noi possediamo. Quindi, non possiamo descriverla con affermazioni positive, ma solo con espressioni che non siano affermative, come: Il Cielo non è leggero né pesante, non è impressionabile o soggetto a qualsiasi influenza e pertanto non assorbe influenze, non ha sapore né odore — e altri termini negativi di tal fatta, i quali tutti sono necessari perché non conosciamo la natura di questa materia. Quale sarà quindi lo stato della nostra conoscenza quando mira a comprendere qualcosa che è immateriale, assolutamente semplice, e necessariamente esistente?" (Moreh Nevukhim I, 58). Fece il seguente esempio:
Allo stesso modo, Maimonide sperava di usare affermazioni negative per avvicinarsi alla conoscenza e al concetto di Dio.[5]
Nella sua meditazione su Dio, Maimonide prende come punto di partenza che, a parte le cose percepibili e concepibili, un essere necessariamente esistente sia presente. Di tale essere afferma che il suo non-Essere è impensabile. Poi riconosce che questo essere non esiste nello stesso modo come, per esempio, i quattro elementi, che sono corpi senza vita, e conclude: la modalità di Essere di Dio non è simile alla modalità di Essere di corpi senza vita. Poi capisce che tale essere non esiste nella stessa maniera del Cielo, che è un corpo vivente. E considera: Dio non è un corpo. Inoltre, comprende che questo essere non esiste nello stesso modo di uno degli esseri della ragione, che sono incorporei e non morti, ma sono causati. Quindi dice a se stesso: Non esiste causa che abbia prodotto Dio. Allora si rende conto che per questo essere non è abbastanza esistere per se stesso da solo ma piuttosto che da esso emanino le innumerevoli cose esistenti di questo mondo, non nel modo che il calore emana dal fuoco o la lucve dal sole, ma in modo tale che la sua agenzia dia permanenza, continuità e ordine alle cose esistenti. Capisce an che che questo essere non è impotente, ignorante, irresponsabile, e non è negligente. Inoltre, non assomiglia a nulla; e quindi conclude: È impossibile che abbia pluralità, è Uno.[5]
La negazione delle imperfezioni è l'unico mezzo intellettuale che Maimonide si permette di applicare all'atto di imparare a conoscere Dio. Egli comprende pertanto che Dio non ha qualità, che Dio non è un essere soggetto ad impressione. Dio non può subire alcuna influenza né può avere alcun effetto. Non possiede facoltà, e quindi non ha alcuna forza inerente. Né possiede un'anima, cosicché il pudore e simili, la salute e la malattia, sono a Lui alieni. Non esiste relazione tra Dio ed il tempo, tra Dio e lo spazio, tra Dio ed una cosa da Lui creata, "dato che nessun uomo dubiterà che non ci sia relazione tra cento cubiti e l'acredine del pepe, tra la saggezza e la dolcezza, o tra la modestia e l'amarezza. Come può esserci perciò alcuna relazione tra Dio ed una cosa che Egli ha creato, data l'enorme distanza tra le loro modalità d'essere?" (Ibid. I, 57).
Maimonide ha la sensazione che queste cose "quasi eludono il pensiero". Percepisce l'inadeguatezza delle "parole abituali, che sono la fonte principale dei nostri errori." Per esempio, si lamenta dell'attribuzione della pariola "eterno" a Dio: "Poiché si può chiamare eterna una cosa solo se è soggetta al tempo. Ma ciò a cui la determinazione del tempo non è attribuibile non può invero essere chiamata eterna o venuta ad essere, proprio come non si può chiamare una cosa dolce storta o dritta, un suono salato o sciapo" (Ibid. I, 57).
Questa tecnica di meditazione diede a Maimonide la possibilità di analizzare attentamente migliaia di occasioni quotidiane, in innumerevoli incontri col proprio ambiente, ed estrarre dalla conoscenza negativa il segreto che è la conoscenza stessa. Nella sua meditazione, Maimonide usò un pensiero metodico quale mezzo per ottenere una conoscenza di Dio. La sua passione di conoscere qualcosa di Dio si realizzò — non in maniera intossicante, in esuberanza emotiva, bensì in disciplinata prudenza.[5] Un suo commento suona come una vera e propria dichiarazione votiva: "Ecco perché un tal uomo si sforza per molti anni a capire la scienza e la metafisica... ma tutto è vano se il risultato di tutta questa scienza consiste nel negare una qualche nozione di Dio..." (Moreh Nevukhim I, 59). la sua gioia interiore e la sua gratitudine quando tale conoscenza si realizza viene espressa come in un inno: "Sia lodato Iddio, la cui essenza è tale che il nostro pensare è incomprensione quando riflettiamo su di Lui, la nostra sapienza è follia quando contempla come le Sue opere necessariamente procedano dalla Sua volontà, e il nostro eccedere di parole è balbettio e impotenza quando tutte le lingue desiderano glorificare gli attributi di Dio!" (Ibid. I, 58).
Maimonide, sebbene altrimenti neghi qualsiasi dichiarazione positiva su Dio, Gli attribuisce però il pensiero. Questa nozione teoricamente inconsistente, simile ad un errore di logica, è giustificata dalla sua esperienza. Sente che anche se si conclude che uno non possa parlare di pensiero riguardo a Dio, questa conclusione deriva da Dio, la fonte di ogni pensiero.[5]
La tecnica meditativa della negazione è un metodo logico. Maimonide, che sin dalla giovinezza aspirava alla conoscenza profetica come a quella filosofica, costruisce la sua meditazione con gli elementi della profezia. L'esistenza propria dell'individuo, la sua propria realtà, sono punti di partenza dai quali Maimonide desidera arrivare ad una conoscenza e comprensione di Dio. Quando i profeti parlano di Dio e gli attribuiscono ira, amore, e misericordia, si riferiscono, dice Maimonide, all'effetto di Dio nel mondo: "Per esempio, uno comprende la cura estremamente meticolosa delle sue opere nella genesi di un embrione dentro l'utero di una creatura vivente, il modo in cui Egli produce facoltà in questa creatura vivente ed in coloro che dovranno far crescere il bambino dopo la sua nascita, facoltà intese a proteggerli contro la morte e la distruzione, di salvaguardarli dal pericolo e assisterli in tutto ciò che necessita [allo sviluppo]. Poiché tale azione accade tra di noi a causa del sentimento intenso ed emotivo della misericordia, Dio è pertanto chiamato misericordioso... Similmente, nelle opere di Dio che influenzano gli uomini, vediamo che grandi e potenti calamità accadono a certe persone e le uccidono, o disastri generali distruggono intere nazioni o regioni e annientano padri, figli e nipoti senza lasciare possibilità di discendenti, e anche l'inabissarsi di territori, terremoti, ondate mortali di calore, o aggressioni di nazioni contro nazioni per sterminarsi a vicenda e devastare proprietà. Ci sono molte azioni simili che un essere umano infligge al suo prossimo, soltanto a causa di ira violenta, gelosia enorme, o appassionata vendetta di sangue; come conseguenza di tali azioni, Dio viene chiamato geloso, vendicativo, iroso e furioso" (Moreh Nevukhim I, 54).
Maimonide infine insegna "che le cose sono tutte connesse l'una con l'altra, che non c'è nulla eccetto Dio e le Sue opere — cioè, tutto quello che esiste, eccetto Lui. Non c'è quindi alcun modo di conoscere Dio, se non attraverso le Sue opere, e queste provano il Suo Essere o Esistere" (Moreh Nevukhim I, 34).[6]
Note
modifica- ↑ "In confronto alla terra e all'universo, gli uomini sono infinitamente piccoli" (Moreh Nevukhim).
- ↑ Si veda anche David Kimhi, Commento ai Salmi, Città Nuova, 1991, p. 153 n. 6.
- ↑ Questo capitolo è propedeutico al capitolo 8 della seconda parte Rinuncia e compimento. Si cerca qui di rendere il processo mentale invece del pensiero cristallizzato di Maimonide, l'atto di contemplazione invece dei suoi risultati, seguendo anche l'impostazione data da Abraham Joshua Heschel nel suo Maimonides (cit., 1982). Tale sistema, che dovrebbe in genere essere utilizzato nel presentare la filosofia medievale, si adatta in modo particolare al modo di pensare di Maimonide in origine, anche se trascura le convenzioni di attività intellettuale e di stile di scrittura del Medioevo. Cfr. anche Aviezer Ravitzky, "Maimonide Concealed Teaching in The Guide of the Perplexed: The Interpretation in the Past and Present", Al Da`at ha-Maqiom: Studies in the History of Jewish Thought, Keter Press, 1991, pp. 142-181 (in ebr.)
- ↑ Nei successivi paragrafi ed in base al testo primario di Moreh Nevukhim, si sono consultate anche le seguenti fonti secondarie: Aviezer Ravitzky, "Maimonide Concealed Teaching in The Guide of the Perplexed: The Interpretation in the Past and Present", Al Da`at ha-Maqiom: Studies in the History of Jewish Thought, Keter Press, 1991, pp. 142-181 (in ebr.); Shalom Rozenberg, "Biblical Interpretation in the Guide", Jerusalem Studies in Jewish Thought, State University of N.Y. Press, 2000; Kenneth Seeskin, Searching for the Distant God: The Legacy of Maimonides, Oxford University Press, 2000; Yair Lorberbaum, "On Allegory, Metaphor, and Symbol in The Guide for the Perplexed", Studia Judaica 16, 2008, pp. 95-106.
- ↑ 5,0 5,1 5,2 5,3 Abraham Joshua Heschel, Maimonides, Farrar, Straus and Giroux, 1983, pp. 157-162.
- ↑ Si veda anche Mishneh Torah, "Yesodeh Hatorah" II, 2; IV, 12.