Gesù della Storia, Storia di Gesù/Capitolo 1

Indice del libro

Contesto, famiglia e formazione

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La cosiddetta Terza Ricerca del Gesù storico (o Third Quest) è stata caratterizzata da una varietà di ritratti. Gesù è stato raffigurato come un rabbino, un saggio, un profeta, un filosofo (forse persino un cinico), un uomo santo e un Messia. Ciò che si nasconde dietro queste discrepanze è una mancanza di consenso sul contesto e valutazioni diverse dei materiali di origine. Il presente Capitolo tratterà tre aree importanti del background di Gesù: (1) contesto, (2) famiglia e (3) formazione.[1] Di particolare interesse sarà l'entità dell'ebraicità o ellenizzazione della Galilea ai tempi di Gesù e la questione di quanto Gesù fosse ben preparato nelle Scritture.

Contesto

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Mappa della Galilea

La Galilea dei primi anni del primo secolo EV era profondamente ebraica, sebbene fosse presente una sottile patina di cultura greco-romana.[2] Ricca di risorse agricole e situata in una posizione strategica, la Galilea era una regione su cui l'Impero romano manteneva un fermo controllo politico, alternativamente attraverso governanti clienti (vale a dire la dinastia erodiana) o attraverso l'amministrazione diretta dei governatori romani. La Galilea misura circa 69 km da nord a sud e circa 49 km da est a ovest. Sebbene la maggior parte di questo territorio abbia un'altitudine compresa tra 600 m e 1200 m sul livello del mare, il Lago di Genezaret (o popolarmente Mar di Galilea), lungo circa 21 km (da nord a sud) e largo 5-11 km, è situato a circa 215 m sotto il livello del mare. Al tempo di Gesù il lago sosteneva (e sostiene ancora) una fiorente industria della pesca (cfr. Strabone, Geog. 16.2; Plinio, Nat. Hist. 5.15; Flavio Giuseppe, Guerra giudaica 3.506–508; Marco 1:16-20; Luca 5:1-10; Giovanni 21:1-11).

Lo sviluppo delle principali città di Tiberiade (sulla riva occidentale del lago di Genezaret) e Sefforis (circa 6 km a nord-ovest di Nazareth), e la scoperta di un'imponente architettura e di manufatti greco-romani, hanno portato alcuni studiosi a esagerare l'entità dell'ellenizzazione della Galilea. Di conseguenza, alcuni hanno suggerito che il popolo ebraico della Galilea non fosse per la maggior parte rigoroso nell'osservanza della propria fede e che le filosofie greco-romane, incluso il cinismo, fossero influenti anche tra la popolazione ebraica.[3]

Questa interpretazione delle prove archeologiche ha contribuito all'ipotesi che Gesù sia stato significativamente influenzato dall'idioma e dal pensiero cinici. Uno studioso conclude assurdamente che "Cynic analogy repositions the historical Jesus away from a specifically Jewish sectarian milieu and toward the Hellenistic ethos known to have prevailed in Galilee" (Mack 1988:73; cfr. Mack 1987, in particolare 17-18), mentre un altro afferma fantasiosamente che "the historical Jesus was, then, a peasant Jewish Cynic. His peasant village was close enough to a Graeco-Roman city like Sepphoris that sight and knowledge of Cynicism are neither inexplicable nor unlikely" (Crossan 1991:421).

Tuttavia, sono proprio i dati archeologici che non confermano questa interpretazione, soprattutto in riferimento a Sefforis. Tra i resti faunistici che risalgono a prima del 70 EV gli archeologi non hanno trovato praticamente ossa di maiale, il che è inspiegabile se dobbiamo immaginare la presenza di una significativa popolazione non ebraica. Al contrario, dopo il 70 EV e dopo una crescita considerevole della popolazione non-ebraica, le ossa di maiale arrivano a rappresentare il 30 percento dei resti faunistici. Finora sono stati dissotterrati oltre cento frammenti di vasi di pietra, indicando ancora una volta una popolazione ebraica interessata alla purezza rituale (cfr. Giovanni 2:6). Coerente con questa preoccupazione è la presenza di molti miqvaot, o piscine rituali per il bagno purificatorio. Le monete coniate a Sefforis durante questo periodo non raffigurano l'immagine dell'imperatore romano o di divinità pagane (come era comune nella monetazione di questo periodo). Al contrario, nel secondo secolo a Sefforis furono coniate monete con le immagini degli imperatori Traiano (98-117 EV) e Antonino Pio (138-61), e delle divinità Tyche e della triade capitolina. Infatti, durante il regno di Antonino Pio la città adottò il nome Diocaesarea, in onore di Zeus (Dio) e dell'imperatore romano (Cesare). Infine, un ostrakon ebraico e diversi frammenti di lampada con l'immagine della menorah (il candelabro a sette bracci) e risalenti al primo secolo EV, insieme all'assenza di strutture tipicamente presenti in una città greco-romana (come templi pagani, ginnasio, odeum, ninfeo o santuari e statue), portano alla ferma conclusione che Sefforis ai tempi di Gesù fosse una città completamente ebraica.[4]

In tutta la Galilea la distribuzione di ceramiche ebraiche e non-ebraiche è molto suggestiva. Mentre i nonebrei acquistavano ceramiche ebraiche, gli ebrei della Galilea non acquistavano né utilizzavano ceramiche prodotte da nonebrei. Di conseguenza, ceramiche ebraiche che risalgono a prima del 70 EV si trovano nei settori ebraici e nonebraici dentro e intorno alla Galilea, mentre le ceramiche nonebraiche sono limitate ai settori nonebraici. Questi modelli di distribuzione suggeriscono fortemente che il popolo ebraico della Galilea fosse scrupoloso nell'osservanza delle leggi sulla purezza.

Inoltre, le azioni del popolo ebraico in questa regione non confermano l'interpretazione cinica o ellenistica. Le rivolte che ebbero luogo dopo la morte di Erode il Grande (4 AEV), dopo la rimozione di Archelao e il censimento romano (6 EV) e la rivolta di Gerusalemme che istigò la grande rivolta (66-70) indicano tutte un profondo risentimento ebraico per la presenza pagana in Israele nel suo complesso, ma anche in Galilea (cfr. Hengel 1989b). Alcuni dei leader di spicco di queste varie ribellioni ebraiche provenivano dalla Galilea (Horsley 1996:179). Quindi le prove – archeologiche, letterarie e storiche – mostrano che nonostante una presenza greco-romana in alcuni luoghi, l'ebraismo galileo tentò consapevolmente e a volte violentemente di mantenere la sua identità religiosa e i suoi confini. Inoltre, non ci sono prove archeologiche o letterarie di una presenza cinica in Galilea nella prima parte del primo secolo.

Le azioni intraprese da alcune figure ebraiche sono di per sé indicative del grado di impegno nei confronti dell'eredità biblica di Israele e della futura redenzione. Ciò è visibile nell'attività di Giovanni (c. 28 EV), che esortò i suoi confratelli ebrei a farsi battezzare "nel fiume Giordano" (Marco 1:2-8). Questa azione, così come il riferimento a "queste pietre" (Matteo 3:9 Luca 3:8), potrebbe benissimo essere stata parte di un motivo-Giosuè che prevedeva una riconquista della Terra Promessa (cfr. Giosuè 4:3,20-21). Allo stesso modo, in seguito sentiamo parlare di Teuda (c. 45 EV), che convocò i poveri a raccogliere i loro beni e a unirsi a lui al Giordano, le cui acque sarebbero state divise al comando del profeta (Flavio Giuseppe, Ant. 20.97–98; Atti 5:36), e dell'uomo ebreo senza nome proveniente dall'Egitto, che convocò i fedeli al Monte degli Ulivi, affinché potessero guardare le mura di Gerusalemme che crollavano (Flavio Giuseppe, Ant. 20.169–70; Atti 21:38). Gli scritti prodotti dopo che Roma ottenne il controllo della Palestina, come i Salmi di Salomone (in particolare i capitoli 17-18), desideravano ardentemente l'espulsione dei gentili dalla terra di Israele. Queste tipologie bibliche e le richieste di rinnovamento testimoniano il forte desiderio da parte di molti ebrei di purificare e restaurare la loro terra sacra. Fu in questo ambiente completamente ebraico che si sviluppò Gesù.

Famiglia

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È convenzionale datare la nascita di Gesù al 4 AEV o un po' prima. Questa data si basa sull'evangelista Matteo, la cui narrazione suggerisce che Gesù nacque poco prima della morte di Erode il Grande (cfr. Matteo 2:1,19). Tuttavia, l'associazione fatta dall'evangelista della nascita di Gesù con gli ultimi giorni del regno di Erode potrebbe riflettere una tipologia Mosè-Gesù. Proprio come il faraone cercò di distruggere il promesso salvatore degli schiavi ebrei, così il malvagio Erode — tristemente famoso per l'esecuzione di membri della famiglia, tra cui il figlio maggiore Alessandro, solo pochi giorni prima della morte del re stesso — cercò di distruggere il salvatore di Israele (Matteo 2:1-18; cfr. Esodo 2:1-10). È stato anche suggerito che Gesù potrebbe essere nato verso la fine del regno di Erode Archelao (Luca 1:5),[5] al tempo del controverso censimento "quando Quirinio era governatore della Siria" (Luca 2:1-2).[6] Data l'accuratezza dell'evangelista lucano in altre questioni relative alla cronologia e alle figure in carica, questa proposta alternativa non dovrebbe essere scartata troppo frettolosamente. È quindi possibile che Gesù sia nato nel 6 EV e abbia iniziato il suo ministero a metà dei suoi vent'anni (invece che a metà dei trenta).

Gesù crebbe a Nazareth, anche se potrebbe benissimo essere nato a Betlemme,[7] come affermano i racconti dell'infanzia in qualche modo indipendenti di Matteo e Luca. Durante il suo ministero, Gesù torna a Nazareth, dove alcuni residenti si chiedono: "Non è costui il carpentiere [ho tektōn], il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?" (Marco 6:3). Essere definito "figlio di Maria" solleva interrogativi sulla paternità di Gesù. Non sorprende quindi che Matteo riformuli la domanda offensiva: "Non è egli forse il figlio del carpentiere? [ho tou tektōnos huios]?" (Matteo 13:55). Gesù è qui identificato come il figlio di Giuseppe il carpentiere. Non solo viene rimosso lo stigma della sua dubbia nascita, ma Gesù viene anche allontanato dalla sua umile occupazione.

Tektōn dovrebbe forse essere tradotto "falegname" o, forse meglio, "costruttore" (cfr. LSJ; MM; BAG nota anche un caso di "scalpellino/stoneworker"). Recenti scavi archeologici forniscono indicazioni preliminari di mestieri molto attivi a Nazareth, tra cui la pigiatura dell'uva e il taglio della pietra. Sono state identificate anche terrazze agricole. L'affermazione di Gesù secondo cui il suo "giogo è dolce" potrebbe in effetti alludere al suo mestiere (Matteo 11:30; lett. "utile" [chrēstos], forse significa "ben adatto").

Non si dovrebbe supporre che Gesù o la sua famiglia fossero poveri, o che Gesù fosse un contadino. La libertà con cui Gesù conduceva il suo ministero itinerante, anche se richiedeva un certo sostegno (cfr. Luca 8:1-3), indica una certa misura di mezzi finanziari. A Gesù succede il fratello Giacomo come patriarca della giovane chiesa, il che indica ancora una volta più una posizione borghese che un background contadino. In effetti, alcuni dei discepoli di Gesù erano uomini benestanti: uno era un esattore delle tasse (Marco 2:14), altri due erano figli di un uomo che impiegava braccianti e possedeva almeno una barca da pesca (Marco 1:19-20).

Ci sono indicazioni significative che la famiglia di Gesù non approvasse il suo ministero. L'aperta ostilità tra Gesù e la sua famiglia è appena mascherata nel racconto marciano (Marco 3:20-35; cfr. Marco 6:1-6; Giovanni 7:5), che gli evangelisti di Matteo e Luca si sforzano di mitigare. Sebbene si debba riconoscere che questo ritratto ostile possa essere dovuto in parte alla teologia marciana, fu con ogni probabilità la risurrezione (1 Corinzi 15:7) a modificare l'opinione della sua famiglia e a portare alla nomina o all'assunzione di autorità del fratello Giacomo sul movimento lanciato da Gesù.[8]

Formazione

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Le prove sono convincenti e indicano che Gesù fu formato nel contesto della fede storica di Israele, come mediata dalle Scritture, come letta e interpretata nella sinagoga. Gesù era a conoscenza della grande storia di Israele e abbracciò pienamente la visione redentrice dei Profeti. Il suo messaggio, "il regno di Dio è vicino" (Marco 1:14-15), è tratto da Isaia (ad esempio 40:9: "Ecco il vostro Dio!"; 52:7: "Il tuo Dio regna!"), come parafrasato nel Targum aramaico: "Il regno del tuo Dio è rivelato!"

Gesù pregò le preghiere della sinagoga, probabilmente ancora una volta in aramaico e anche in ebraico. Il parallelo più vicino alla nota preghiera del Padre nostro (Matteo 6:9-13, Luca 11:2-4: "Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il Tuo nome, venga il Tuo regno...") è la preghiera aramaica chiamata Qaddish: "Sia magnificato e santificato il Suo grande nome... e venga il Suo regno durante la vostra vita...".

Questi punti a loro volta supportano l'opinione ampiamente diffusa che la lingua madre di Gesù fosse l'aramaico, la lingua che aveva dominato il Mediterraneo orientale per secoli. Sebbene il greco si fosse diffuso dopo la conquista di Alessandro, e sia ampiamente attestato in iscrizioni, papiri e fonti letterarie,[9] ai tempi di Gesù la maggior parte degli ebrei parlava aramaico e altri, forse nel sud, parlavano ebraico.[10]

Le testimonianze suggeriscono anche fortemente che Gesù frequentasse la sinagoga e che fosse osservante della Torah, anche se la sua comprensione della legge orale era significativamente diversa da quella di altri, come di alcuni farisei. I vangeli descrivono Gesù come un uomo che dibatteva frequentemente sul significato della Scrittura o sulla legittimità di vari aspetti della legge orale. Quanto esperto di Scrittura era Gesù? Sapeva leggere? Alcuni membri del North American Jesus Seminar non pensano che Gesù sapesse leggere (Funk 1998:274). Il Seminar tende anche a pensare che le citazioni e le allusioni alla Scrittura siano opera della chiesa primitiva, non di Gesù.[11] Tale questione deve essere presa in considerazione.

Non è facile stabilire fino a che punto Gesù sapesse leggere. Ci sono due passaggi nei Vangeli che suggeriscono che fosse in grado di leggere, mentre un terzo potrebbe suggerire che non potesse. Il primo passaggio è Luca 4:16-30, che descrive Gesù che legge dal rotolo di Isaia e poi predica un'omelia. La maggior parte degli studiosi esita a trarre conclusioni definitive da questo brano a causa della sua relazione con il brano parallelo in Marco 6:1-6, che non dice nulla sulla lettura della Scrittura. Il secondo passaggio è Giovanni 8:6, che dice che Gesù si chinò e scrisse nella polvere con il dito. Il problema qui è che con ogni probabilità questo brano (vale a dire Giovanni 7:53-8:11) non è originale.[12] Anche se il brano è accettato come conservazione di una genuina reminiscenza di qualcosa che Gesù fece, non ci dice nulla di certo sulla capacità di leggere e scrivere di Gesù. Potrebbe non aver fatto altro che scarabocchiare.

Il terzo brano, Giovanni 7:15, è preso da alcuni per dimostrare che Gesù era in effetti analfabeta. Alcuni a Gerusalemme si chiedono: "Come mai costui conosce le Scritture, senza avere studiato?" Letteralmente, chiedono come "conosce le lettere" (grammata oiden), "non avendo studiato" o "non avendo imparato" (mē memathēkōs). Ma il riferimento qui è alla mancanza di una formazione formale da scriba, non al fatto di non aver avuto alcuna istruzione. Gesù non si è seduto ai piedi di un rabbino o di un saggio qualificato e riconosciuto. Incontriamo la stessa cosa negli Atti, che descrive la reazione delle autorità religiose ai discepoli di Gesù: "Vedendo la franchezza di Pietro e di Giovanni e considerando che erano senza istruzione [agrammatoi] e popolani [idiōtai], rimanevano stupefatti riconoscendoli per coloro che erano stati con Gesù" (Atti 4:13). Le parole agrammatoi e idiōtai non dovrebbero essere tradotte come "senza istruzione e illetterati", come in alcune versioni classiche. Essere agrammatos significa mancare di formazione scribale (cfr. LSJ), ed è di fatto l'opposto di grammateus ("scriba"; cfr. Barrett 1994–98:2.233–34). Essere agrammatos non significa necessariamente non essere in grado di leggere.

Essere un idiōtēs significa essere al di fuori della corporazione, o al di fuori del gruppo, come in 1 Corinzi 14:16,23,24, dove Paolo si riferisce all'“profano” o all'“ non iniziato” come un idiōtēs. In contrasto con gli scribi e i sacerdoti formati professionalmente, l'idiōtēs è un laico.[13] In 2 Corinzi 11:6 Paolo dice di sé stesso: “E se anche sono rozzo [idiōtēs] nel parlare...”. Idiōtēs può anche riferirsi a un popolano, in contrapposizione alla regalità.[14] L’idiōtēs è l'inesperto (in riferimento a qualsiasi professione o mestiere) o il popolano (in contrapposizione a un sovrano) e sembra essere l'equivalente dell'ebraico hedyōṭ, come si vede in m. Moed Qatan 1.8 ("Chi è inesperto [ha-hedyōṭ] può cucire secondo il suo solito modo, ma l'artigiano può fare solo punti irregolari") e m. Sanhedrin 10.2 ("Tre re e quattro popolani [hedyōṭōt] non hanno alcuna parte nel mondo a venire...").

I commenti in Giovanni 7:15 e Atti 4:13 non devono essere intesi come se implicassero che Gesù e i suoi discepoli fossero analfabeti. In effetti, il senso opposto è probabilmente quello voluto. Vale a dire che, nonostante non avessero ricevuto un'istruzione formale, Gesù e i suoi discepoli dimostrano una notevole abilità nella conoscenza della Scrittura e la capacità di interpretarla e difendere le proprie opinioni. Questi testi, più di Luca 4:16-30 e Giovanni 8:6, danno un certo sostegno alla probabilità che Gesù sapesse leggere e scrivere.

Sebbene non vi siano prove inequivocabili dell'alfabetizzazione di Gesù, vi sono notevoli prove contestuali e circostanziali che suggeriscono che con ogni probabilità egli sapesse leggere e scrivere. Innanzitutto, dovremmo tenere a mente la natura della fede ebraica stessa. È incentrata sulla Scrittura, che narra la storia sacra di Israele, una storia che il popolo ebraico è esortato a conoscere e a insegnare ai propri figli. Secondo lo Shemà (שְׁמַע‎), che tutti gli ebrei osservanti della Torah erano/sono tenuti a recitare quotidianamente, i genitori dovevano insegnare ai propri figli la Torah (Deuteronomio 4:9;6:7;11:19;31:12-13; cfr. 2 Cronache 17:7-9; Qoelet 12:9), persino adornare gli stipiti delle porte con lo Shemà (Deuteronomio 6:9;11:20).[15]

Secondo Filone e Flavio Giuseppe, contemporanei di Gesù, i genitori ebrei insegnavano ai loro figli la Torah e come leggerla. Filone sostiene che "tutti gli uomini custodiscono le proprie usanze, ma questo è particolarmente vero per la nazione ebraica. Sostenendo che le leggi siano oracoli concessi da Dio ed essendo stati addestrati in questa dottrina fin dai loro primi anni [ek prōtēs hēlikias], portano le somiglianze dei comandamenti custoditi nelle loro anime" (De Legatione 210). È improbabile che la formazione di cui parla qui non includesse l'alfabetizzazione di base. Flavio Giuseppe, tuttavia, è più esplicito: "Soprattutto siamo orgogliosi dell'educazione dei nostri figli [paidotrophian] e consideriamo come il compito più essenziale della vita l'osservanza delle nostre leggi e delle pratiche pie, basate su di esse, che abbiamo ereditato" (Ag. Ap. 1.60). E dice più avanti: "[La Legge] ordina che [ai bambini] venga insegnato a leggere [grammata paideuein], e che imparino sia le leggi che le azioni dei loro antenati..." (Ag. Ap. 2.204). Flavio Giuseppe arriva a dire che "la maggior parte degli uomini, lungi dal vivere in conformità con le proprie leggi, difficilmente sa cosa siano... Ma, se qualcuno della nostra nazione venisse interrogato sulle leggi, le ripeterebbe tutte più prontamente del suo stesso nome. Il risultato, quindi, della nostra profonda conoscenza delle leggi fin dal primo albore dell'intelligenza è che le abbiamo, per così dire, incise nelle nostre anime" (Ag. Ap. 2.176, 178). Ciò potrebbe non essere troppo lontano dalla verità, poiché Agostino afferma che Seneca fece un'osservazione simile: "Gli ebrei, tuttavia, sono consapevoli dell'origine e del significato dei loro riti. La maggior parte delle (altre) persone attraversa un rituale senza sapere perché lo fa" (De Civitate Dei 6.11).[16]

Si può ammettere che Filone e Flavio Giuseppe stiano dipingendo quadri idealistici e forse abbiano in mente famiglie benestanti che possono permettersi il lusso di un'istruzione formale per i loro figli. Ma sarebbe un errore supporre che la ricerca dell'istruzione, inclusa soprattutto l'alfabetizzazione, fosse limitata alla classe superiore o ai professionisti. Nella storia dei sette figli martirizzati (cfr. 2Macc 7) non abbiamo motivo di immaginare una famiglia della classe superiore. Nella versione presentata in 4 Maccabei la madre ricorda ai figli l'insegnamento del padre: "Egli, mentre era ancora con voi, vi ha insegnato la Legge e i Profeti. Vi ha letto di Abele, ucciso da Caino, di Isacco, offerto in olocausto, e di Giuseppe, in prigione. Vi ha parlato dello zelo di Fineas, vi ha insegnato di Anania... Vi ha ricordato la Scrittura di Isaia che dice... [Isa 43:2]... Vi ha cantato il salmo di Davide che dice... [Sal 34:19]... Ha recitato il proverbio di Salomone che dice... [Prov 3:18]... Ha affermato la parola di Ezechiele [Ez 37:3]... Né ha dimenticato il cantico che Mosè insegnò che dice... [Deut 32:39]" (4 Maccabei 18:10-19). Il ritratto è idealizzato, certo — ma affinché abbia un valore persuasivo nella società ebraica, deve essere realistico.

La pietà popolare espressa nella più antica tradizione rabbinica è coerente con le testimonianze di Filone e Flavio Giuseppe. I saggi ingiungono: "procurati un insegnante" (m. Abot 1.16; cf. 1.6). Nel detto attribuito a Judah ben Tema, l'alfabetizzazione è considerata la norma: "A cinque anni [si è idonei] per la Scrittura, a dieci per la Mishnah, a tredici per [osservare] i comandamenti [cioè bar mitzvah]..." (m. Abot 5.21; cfr. b. Ketub. 50a: "Non accettare un allievo di età inferiore ai sei anni; ma accettane uno dall'età di sei anni e riempilo [di conoscenza] come un bue"). Altrove nella Mishnah leggiamo che "i bambini... dovrebbero essere istruiti... affinché abbiano familiarità con i comandamenti" (m. Yoma 8.4). Troviamo un'ingiunzione simile nel midrash tannaitico sul Deuteronomio: "Una volta che un bambino inizia a parlare, suo padre dovrebbe conversare con lui nella lingua santa e dovrebbe insegnargli la Torah, perché se non lo fa è come se lo avesse seppellito" (Sifre Deut. §56 [su Deut. 11.19]; cfr. t. Qidd. 1.11: "Qual è il dovere del padre verso suo figlio?... insegnargli la Torah").[17] Se un figlio non ha l'intelligenza per porre a suo padre le domande appropriate riguardanti il ​​significato della Pesach, suo padre deve istruirlo (m. Pesach 10.4). C'è una discussione halakhica che presuppone chiaramente che i bambini sappiano leggere la Scrittura (cfr. m. Meg. 4.5–6; t. Šabb. 11.17: "Se un minorenne regge la penna..."; Soperim 5.9: norme relative alla produzione di estratti della Scrittura per i bambini). Una delle prime cose che un nuovo proselito deve imparare è l'alfabeto ebraico, avanti e indietro (b. Šabb. 31a, in riferimento a Hillel). La tradizione rabbinica contiene numerosi riferimenti alle scuole, nel senso che ogni sinagoga e villaggio aveva almeno una scuola.[18] La natura idealistica e tendenziosa di questo materiale spesso non è adeguatamente apprezzata.[19] Sulla base principalmente della tradizione rabbinica, Shmuel Safrai conclude che "la capacità di scrivere era abbastanza diffusa... [ma] meno diffusa di quella di leggere che tutti possedevano".[20] Nonostante il suo uso acritico delle fonti rabbiniche, la conclusione di Safrai secondo cui l'alfabetizzazione era diffusa potrebbe essere più corretta che sbagliata.

Riconoscendo il valore limitato della tarda letteratura rabbinica idealizzata e le affermazioni orientate all'apologetica di Filone e Flavio Giuseppe, tre fattori generali favoriscono la probabilità dell'alfabetizzazione di Gesù: (1) le ingiunzioni della Scrittura di insegnare e imparare la Torah, (2) il valore attribuito alla Torah, di conoscere e obbedire alle sue leggi e (3) il vantaggio di essere il figlio primogenito. Alla luce di questi fattori, è probabile che Gesù abbia ricevuto almeno una certa istruzione in alfabetizzazione. La probabilità aumenta se prendiamo in considerazione le caratteristiche del suo ministero successivo.

Gesù è spesso chiamato "Rabbi" (rabbi)[21] o "Rabboni" (rabbouni),[22] o i suoi equivalenti greci "maestro" (epistata)[23] o "insegnante" (didaskalos).[24] Gesù si riferisce a se stesso in questo modo, ed è chiamato così da sostenitori, oppositori e non-partigiani. Sebbene prima del 70 EV la designazione "Rabbi" sia informale, persino vaga, e non abbia le connotazioni successive di istruzione formale e ordinazione, che si ottengono qualche tempo dopo la distruzione di Gerusalemme e del Tempio, è molto probabile che almeno una limitata alfabetizzazione fosse presupposta.

In linea con la sua designazione di “Rabbi”, Gesù e altri chiamarono i suoi seguaci più intimi “discepoli”, la cui forma greca (mathētai),[25] come quella ebraica (talmidim),[26] deriva dal termine affine “imparare” (manthanein/lamad). Questa terminologia, la cui comparsa nei vangeli non tradisce alcun accenno al fatto che fosse controversa o in qualche modo oggetto di dibattito, o il prodotto della primitiva tendenziosità cristiana, crea una forte presunzione a favore dell’alfabetizzazione di Gesù e di quella della maggior parte, se non di tutti, dei suoi discepoli.[27]. Nell'ambiente ebraico, un rabbino analfabeta che si circonda di discepoli, dibattendo di Scrittura e halakhah con altri rabbini e scribi, è difficilmente credibile. Inoltre, i numerosi parallelismi tra l'insegnamento di Gesù e la tradizione rabbinica, come anche i numerosi punti di accordo tra le rispettive interpretazioni della Scrittura, non fanno che aumentare questa convinzione (cfr. Riesner 1981; Chilton e Evans 1994b:285-98). L'insegnamento di Gesù nelle sinagoghe[28] non è facilmente spiegabile se egli non fosse stato in grado di leggere e non avesse intrapreso lo studio della Scrittura.

Nello stile dei saggi e dei rabbini del suo tempo, Gesù “si sedeva” quando insegnava (cfr. la discussione su quando sedersi o stare in piedi; b. Meg. 21a).[29] Inoltre, i contemporanei di Gesù lo paragonarono agli scribi, cioè alle persone istruite: “Ed erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi” (Marco 1:22). Sebbene tale paragone di per sé non dimostri che Gesù fosse istruito, supporta il ritratto dei vangeli secondo cui Gesù era un rabbino o un insegnante, il che a sua volta conferma la supposizione a favore dell’alfabetizzazione.

A volte Gesù stesso fa riferimento alla lettura della Scrittura. Chiede ai farisei che criticavano i suoi discepoli perché coglievano il grano di sabato: "Non avete mai letto che cosa fece Davide quando si trovò nel bisogno ed ebbe fame, lui e i suoi compagni?..." (Marco 2:25; cfr. Matteo 12:3). A questa pericope Matteo aggiunge: "O non avete letto nella Legge che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio infrangono il sabato e tuttavia sono senza colpa?" (Matteo 12:5; cfr. 19:4, dove Matteo arricchisce di nuovo la fonte marciana in modo simile; lo stesso è probabilmente il caso di Matteo 21:16). In un altro contesto polemico, Gesù chiede ai sacerdoti e agli anziani al potere: "Non avete forse letto questa Scrittura: La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d'angolo..." (Marco 12:10). In seguito chiede ai Sadducei, che avevano sollevato una questione sulla resurrezione: "A riguardo poi dei morti che devono risorgere, non avete letto nel libro di Mosè, a proposito del roveto, come Dio gli parlò dicendo: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e di Giacobbe?" (Marco 12:26). In una discussione con un esperto di legge (nomikos tis), che ha chiesto cosa si debba fare per ereditare la vita eterna, Gesù chiede a sua volta: "Gesù gli disse: Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?" (Luca 10:26). Troviamo nella letteratura rabbinica affermazioni come "Allo stesso modo leggete" (ad esempio b. Šabb. 97a; Ketub. 111a, 111b) o "Come leggereste questo versetto?" (ad esempio b. Ketub. 81b; Qidd. 22a, 40a, 81b). Ma la retorica di Gesù "non avete letto?" sembra essere distintiva del suo stile. E infine, anche se scartiamo Luca 4:16-30 come la rivisitazione da parte dell'evangelista di Marco 6:1-6, potrebbe comunque ricordare accuratamente l'abitudine di Gesù di leggere e spiegare la Scrittura nelle sinagoghe della Galilea: "Poi venne a Nazareth, dove era cresciuto e, com’era solito fare in giorno di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò per leggere..." (Luca 4:16, mio corsivo).

Indicazioni della capacità di leggere e scrivere di Gesù possono essere viste anche nel suo uso della Scrittura. Secondo i vangeli sinottici, Gesù cita o allude a ventitré dei trentasei libri della Bibbia ebraica[30] (contando i libri di Samuele, Re e Cronache come tre libri, non sei). Gesù allude o cita tutti e cinque i libri di Mosè, tutti e tre i profeti maggiori (Isaia, Geremia ed Ezechiele), otto dei dodici profeti minori[31] e cinque degli Scritti.[32] In altre parole, Gesù cita o allude a tutti i libri della Legge, alla maggior parte dei Profeti e ad alcuni degli Scritti. Secondo i vangeli sinottici, Gesù cita o allude al Deuteronomio circa quindici o sedici volte, a Isaia circa quaranta volte e ai Salmi circa tredici volte. Questi sembrano essere i suoi libri preferiti, sebbene Daniele e Zaccaria sembrino essere stati anch'essi preferiti. Superficialmente, quindi, il “canone” di Gesù è più o meno quello che era per la maggior parte degli ebrei osservanti della sua epoca, compresi e soprattutto i produttori dei rotoli di Qumran.[33]

Parimenti, la frequenza e l'intensità dell'impiego da parte di Gesù della tradizione aramaica nelle sue allusioni e interpretazioni della Scrittura suggeriscono un apprendimento biblico ed esegetico (se non un'alfabetizzazione), una regolare partecipazione alla sinagoga (dove si sviluppò la parafrasi aramaica, o Targum), e la conoscenza dell’istruzione rabbinica e scribale stessa.[34] La coerenza dizionale, tematica ed esegetica tra gli insegnamenti di Gesù e la tradizione aramaica emergente, è stata ben documentata e non ha bisogno di essere ripetuta qui. (Cfr. Chilton 1984b; Chilton ed Evans 1994b:299-309.)

I dati che sono stati esaminati sono più facilmente spiegabili in riferimento a un Gesù letterato, un Gesù che sapeva leggere le Scritture ebraiche, poteva parafrasarle e interpretarle in aramaico, e poteva farlo in un modo che indicava la sua familiarità con le tendenze interpretative correnti sia in contesti popolari (come nelle sinagoghe) sia in circoli professionali, persino elitari (come si vede nei dibattiti con scribi, sacerdoti al potere e anziani). Naturalmente, concludere che Gesù sapeva leggere e scrivere non significa necessariamente concludere che avesse ricevuto una formazione da scriba. I dati non lo suggeriscono. L'approccio innovativo ed esperienziale di Gesù alla Scrittura e alla fede ebraica sembra suggerire il contrario.

Infine, bisogna tenere conto dell'influenza di Giovanni Battista. L'ammissione nei vangeli che Gesù fu battezzato da Giovanni è uno dei dati più certi della tradizione (Marco 1:9-11; Matteo 3:13-17; Luca 3:21-22; Giovanni 1:29-34). Ciò suggerisce che Gesù fu per un periodo di tempo un discepolo di Giovanni. Ci sono importanti indicazioni che questo sia stato il caso. La proclamazione del regno di Dio da parte di Gesù (Marco 1:14-15) è molto probabilmente emersa da una comprensione escatologica di Isaia 40 condivisa con Giovanni, poiché quest'ultimo apparentemente si appellava a Isaia 40:3 ("preparate la via del Signore") mentre il primo si appellava a Isaia 40:9 in aramaico ("il regno del tuo Dio è rivelato"). Giovanni parlava di "queste pietre" — che, come suggerito in precedenza, potrebbero aver alluso alle dodici pietre che rappresentano le tribù di Israele che Giosuè pose presso il Giordano. La nomina di dodici apostoli da parte di Gesù (Marco 3:14;6:30; Matteo 19:28; Luca 22:28-30) potrebbe aver avuto un significato simile. Infine, l'implicita affermazione fatta da Gesù di essere l'unico "più potente" dell'"uomo forte" (cioè Satana) in Marco 3:23-27 risponde con ogni probabilità all'anticipazione di Giovanni che sarebbe venuto uno "più forte" di lui (Marco 1:7). Questi punti di coerenza tra Gesù e Giovanni suggeriscono che quest'ultimo abbia svolto un ruolo importante nella formazione del primo.

Conclusione

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Il contesto, la famiglia e la formazione di Gesù indicano in ogni modo una vasta esposizione a uno stile di vita ebraico osservante della Torah. Gesù crebbe in una Galilea ebraica che abbracciava la fede dei Padri e l'insegnamento della Scrittura, una Galilea che aveva resistito alle influenze non-ebraiche, a volte violentemente. Gesù crebbe in una famiglia di artigiani con mezzi modesti ma adeguati. Ricevette un po' di istruzione, fu attivo nella sinagoga, dove la sua comprensione della Scrittura venne plasmata da una tradizione aramaica interpretativa e parafrasante, dove pregava preghiere che desideravano ardentemente l'avvento del governo di Dio. Ma la sua istruzione non si limitò alla sinagoga; a un certo punto della sua vita Gesù si unì al movimento di Giovanni Battista. Questo movimento richiedeva il pentimento nazionale e il rinnovamento alla luce dell'imminente regno di Dio. Dopo l'arresto di Giovanni, Gesù rianimò questo movimento e gli diede la sua impronta distintiva.

  Per approfondire, vedi Serie cristologica e Serie delle interpretazioni.
  1. Forse la migliore valutazione moderna di questo campo di indagine si trova in Meier 1991–94:1.205-371.
  2. Cfr. Freyne 1998 e Freyne 2000; Horsley 1995 e Horsley 1996; Strange 1997. Erano presenti in Galilea, sebbene per lo più attorno al suo perimetro, diverse città greco-romane, come quelle della Decapoli. Ma da ciò non si dovrebbe dedurre che la religione della popolazione ebraica della Galilea accogliesse in modo significativo l'ellenismo.
  3. I primi resoconti archeologici sull'estensione dell'architettura urbana, parte della quale in stile greco-romano, così come il gran numero di iscrizioni greche, hanno portato ad affermazioni che la ricerca continuativa non ha invece supportato. Batey (1991:14) descrive Sefforis come una "fiorente metropoli greco-romana" al tempo di Gesù, mentre Kee (1992:15) sostiene che i resti di Sefforis mostrano "tutte le caratteristiche di una città ellenistica".
  4. Questi dettagli riassumono i resoconti presenti in Strange 1997; Chancey e Meyers 2000.
  5. Archelao non è chiamato "Erode" in Flavio Giuseppe o nel Nuovo Testamento, con la possibile eccezione di Luca 1:5. Si definisce Erode sulle sue monete e Dione Cassio lo chiama "Erode di Palestina" (cfr. 55.27.6). È vero che Luca 1:5 si riferisce a Erode come "re", e che Archelao non ha mai ottenuto questo titolo. Tuttavia, i figli di Erode il Grande, Erode Antipa ed Erode Archelao, erano occasionalmente chiamati "re", sebbene nessuno dei due abbia mai avuto questo titolo conferito loro (cfr. Marco 6:14 [Antipa]; Flavio Giuseppe, Ant. 18.93 [Archelao]; cfr. Matteo 2:22).
  6. Smith 2000. Questa data alternativa risolve alcuni problemi ma ne crea di nuovi.
  7. La maggior parte dei critici dubita che Gesù sia nato a Betlemme di Giudea. Per una recente difesa della tradizione, cfr. Smith 2000:287–91.
  8. Per una valutazione critica di tutti i testi che riguardano la questione del rapporto di Gesù con la sua famiglia, e in particolare con Giacomo, cfr. Painter 1999:11–57.
  9. Sulla portata dell'influenza greca in Palestina, cfr. Hengel 1989a.
  10. Oppure, cosa è più probabile: gli ebrei galilei parlavano un aramaico abbondantemente cosparso di ebraico, mentre gli ebrei giudei parlavano un ebraico abbondantemente cosparso di aramaico. Da notare Matteo 26:73, dove gli astanti giudei contrastano le affermazioni del galileo Pietro di non conoscere il galileo Gesù: "Il tuo accento ti tradisce". Sulla questione di quanto fosse influente il greco ai tempi di Gesù e se Gesù potesse essere stato in grado di parlare un po' di greco, cfr. Porter 2000.
  11. Funk e Hoover 1993:98: "Citations of scripture are usually a sign of the interpretative voice of the evangelist or the early Christian community. The pattern of evidence in the Gospels suggests that it was not Jesus’ habit to make his points by quoting scripture."
  12. Nei manoscritti più antichi è omesso o contrassegnato con asterischi o obeli. In altri manoscritti appare altrove nel Quarto Vangelo, e in alcuni manoscritti appare in Luca. Tuttavia, anche se il brano potrebbe non essere originale del Quarto Vangelo, la storia in sé potrebbe essere autentica.
  13. Secondo LSJ un idiōtēs è una persona comune o privata, priva di formazione e istruzione professionale.
  14. Cfr. LXX Prov. 6.8: (EN)‘the labours to which both kings and subjects [idiōtai] apply themselves’. According to Josephus, Moses say to God: ‘I am at a loss to know how I, a mere commoner [idiōtēs], blest with no strength, could either find words to persuade my people... or constrain Pharaoh’ (Ant. 2.271). This nuance is also noted in LSJ.
  15. In linea con questa aspettativa, l’autore del Testamento di Levi fa ammonire al grande patriarca i suoi figli: “Insegnate ai vostri figli anche le lettere [grammata], affinché possano comprendere per tutta la vita mentre leggono incessantemente [anaginōskontes adialeiptōs] la Legge di Dio” (T. Levi 13.2).
  16. È naturalmente possibile che il riferimento di Agostino sia a Flavio Giuseppe e non a Seneca.
  17. Cfr. anche Abot R. Nat. 6.2: ‘Il rabbino Aqiba prese un'estremità della tavoletta e suo figlio l'altra estremità della tavoletta. L'insegnante scrisse alef beth per lui e lui lo imparò; alef taw, e lui lo imparò; il libro del Levitico, e lui lo imparò. Continuò a studiare finché non imparò tutta la Torah.’ Gen. Rab. 63.10 (su Gen 25.27): ‘Il rabbino Eleazar ben Rabbi Simeon disse: “Un uomo è responsabile di suo figlio fino all'età di tredici anni”.’ Qualunque sia il valore probatorio di questa tradizione, la formazione qui immaginata è probabilmente per aspiranti saggi e rabbini, non necessariamente quella della persona media.
  18. Sull'organizzazione delle scuole pubbliche, cfr. ad esempio b. B. Bat. 21a; b. Sanh. 17b; y. Meg. 3.1 (73d); y. Ketub. 13.1 (35c) par. b. Gitt. 58a; y.H. ag. 1.7; y. Sabb. 119b; y. Ketub. 8.11 (32c). Altre tradizioni presuppongono l'educazione dei bambini all'alfabetizzazione: ad esempio b.H. ag. 15a–b; b. Hull. 95b; b. Gitt. 56a; Song Rab. 2.5.3. Alcuni hanno sostenuto che la scoperta degli abecedari indica l'esistenza di scuole; ad esempio, Millard 1985b. Gli abecedari indicano l'alfabetizzazione, non le scuole. Per una discussione di questo problema, sebbene in riferimento a periodi precedenti nella storia di Israele, cfr. Haran 1988. Townsend 1971 conclude con cautela che le scuole ebraiche in un certo numero non emersero prima della guerra di Bar Kokhba. Nel complesso, tuttavia, ci sono prove significative di alfabetizzazione nell'antico Israele e nell'Israele della tarda antichità; cfr. Millard 1985a e Millard 2000.
  19. Come asserito, per esempio, in Safrai 1974–76; Schürer 1973–87:2.415–20.
  20. Safrai 1974–76:952. Osserva inoltre (pp. 953–55), basandosi su y. Meg. 3.1 (73d); cfr. y. Ketub. 13.1 (35c), che le scuole erano collegate alle sinagoghe e che studiare la Torah era obbligatorio per i ragazzi, ma non per le ragazze.
  21. Marco 9:5;11:21;14:45 etc.
  22. Marco 10:51; Giovanni 20:16.
  23. Luca 5:5;8:24,45;9:33,49;17:13.
  24. Matteo 8:19;9:11;12.38; Marco 4:38;5:35;9:17;10:17,20;12:14,19,32; Luca 19:39; Giovanni 1:38;3:2.
  25. Marco 2:15,16,18,23;3:7,9;4:34;5:31; e Q Luca 6:20;10:23;12:22;14:26,27.
  26. M. Abot 1.1, 11; 2.8; 5.12; 6.6.
  27. Millard 2000 conclude che probabilmente non solo Gesù stesso era alfabetizzato, ma lo erano anche i suoi discepoli; e che alcuni dei suoi seguaci potrebbero aver scritto alcuni degli insegnamenti di Gesù durante il suo ministero.
  28. Matteo 4:23;9:35; Marco 1:21;6:2; Luca 4:15;6:6;13:10; Giovanni 6:59.
  29. Matteo 5:1;26:55; Marco 12:41; Luca 4:20;5:3; cfr. Matteo 23:2, dove Gesù si riferisce agli scribi e ai farisei che siedono sulla cattedra di Mosè (epi tēs Mōuseōs kathēdras).
  30. Cfr. l'utile tabulazione in France 1971:259–63.
  31. Osea, Gioele, Amos, Giona, Michea, Sofonia, Zaccaria e Malachia. Sono omessi Abdia, Naum, Abacuc e Aggeo.
  32. Salmi, Proverbi, Giobbe, Daniele e Cronache. Sono omessi Cantico dei Cantici, Rut, Lamentazioni, Ecclesiaste, Ester, Esdra e Neemia.
  33. Nei rotoli non biblici di Qumran e della regione del Mar Morto (qui sono esclusi i pesharim) il libro del Deuteronomio è citato circa ventidue volte, Isaia circa trentacinque volte e il Salterio circa trentuno volte. Vedere VanderKam 1998. I dati dei vangeli sinottici sono stati presi per oro colato. Una valutazione critica dell'autenticità del materiale porterebbe a conteggi leggermente diversi, ma l'impressione generale rimarrebbe.
  34. Viene in mente il detto rabbinico: "La Scrittura conduce al Targum, il Targum conduce alla Mishnah, la Mishnah conduce al Talmud, il Talmud conduce all'adempimento" (Sifre Deut. §161 [su Dt 17:19]). Sebbene questo detto sia posteriore a Gesù di secoli, probabilmente rispecchia in parte i concetti precedenti della pedagogia scribale.