Sezione XII

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Il Simbolismo. Tra natura e allegoria (Sale 21 e 22)

Sono presenti 17 opere che documentano le diverse declinazioni e la diffusione del Simbolismo in Italia tra Otto e Novecento.

 
177. Luigi Rossi, La scuola del dolore, 1895

La vicenda collezionistica dell’opera ebbe avvio con la I Esposizione Internazionale d’Arte della città di Venezia del 1895 dove fu acquistata dalla Casa Reale italiana. Entrata a far parte delle raccolte della Villa Reale di Monza, condivise le vicende della dispersione della collezione dei Savoia seguita al secondo conflitto mondiale, e riapparve sul mercato antiquariale solo nel 1966, quando la Cassa di Risparmio ne dispose l’acquisto. Fin dalla sua prima apparizione la critica riconobbe nel dipinto un caposaldo della pittura verista, in seguito inviato all’Esposizione Universale di Parigi del 1900. Il duraturo consenso goduto dall’opera è, inoltre, attestato dalle repliche autografe destinate a prestigiose collezioni private e dalle numerose varianti ad acquerello. La grande tela fu preceduta dalla presentazione all’Esposizione Straordinaria Nazionale e Internazionale di acquerelli del 1893 e, l’anno successivo, alla Triennale di Milano di un acquerello intitolato Dolore e Curiosità, attualmente disperso. Nella redazione finale del quadro i due stati d’animo coincidono con la disperazione della donna accovacciata sulle scale e con lo stupore dei bambini alla vista della scena, stretti attorno alla ragazzina poco più grande di loro. Nella semplice variazione del titolo si può riconoscere l’evoluzione, ormai compiuta, della pittura di Luigi Rossi verso un’interpretazione simbolica degli usuali temi di ispirazione sociale, cui contribuì l’intensa frequentazione del poeta Gian Pietro Lucini. All’apparizione dell’acquerello, infatti, fece seguito, nel 1894, il componimento in versi di Lucini, intitolato La Prima Orma, che riconosceva nel soggetto l’impronta indelebile lasciata nell’infanzia dalla prima esperienza del dolore. Un’interpretazione in chiave simbolica che certamente influì sulla definizione del titolo dell’opera, ricordata tra quelle che il poeta vide nel suo compiersi. Il tema dell’infanzia derelitta, ancora condotto nei dettami della pittura di genere di impronta verista, assunse così una dimensione e un significato universali.

  • 178. Alessandro Milesi, La traversata (La partenza del marinaio), 1901
 
178. Alessandro Milesi, La traversata (La partenza del marinaio), 1901

Il dipinto proviene dalla collezione della galleria d’arte fondata a Firenze da Luigi Pisani, dispersa nel 1914. In questa circostanza una parte della raccolta fu acquistata dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma mentre la restante, alla quale apparteneva il dipinto di Milesi, fu venduta durante l’asta organizzata a Milano presso la Galleria Pesaro. L’opera, datata 1901, è da considerarsi una replica di Pope! (1897, collezione privata) con la quale Milesi partecipa alla II Esposizione internazionale d’arte della città di Venezia. Il soggetto ebbe molta fortuna e il pittore ne eseguì almeno un’altra versione, datata 1916 e conservata a Firenze presso la Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, mentre una replica di minori dimensioni (In attesa della gondola, 1897) è nelle collezioni del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci” di Milano. Il dipinto appartiene alla stagione più matura del pittore, quando egli si allontana dalle scene aneddotiche della pittura di genere per giungere a una rinnovata attenzione nei confronti della vita popolare veneziana e dei sentimenti che la animano: a questo periodo, compreso tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del nuovo secolo, appartengono La barca del papà (Milano, Galleria d’Arte Moderna) esposto a Milano nel 1891 e Sposalizio a Venezia (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna) premiato a Venezia nel 1897. Nel dipinto in Collezione una donna con i suoi due figli è ritratta sul molo di Santa Croce, lungo il Canal Grande a Venezia e sulla sponda opposta si intravede la Ca’ da Mosto, tra i più antichi palazzi della città. Se nel dipinto del 1897 il titolo rimandava al nome dialettale usato a Venezia per chiamare il gondoliere dei traghetti, nella Traversata, che pure raffigura la stessa scena, il titolo allude alla separazione di un marinaio dai propri cari. In entrambi i casi il pittore dà grande risalto al carattere drammatico della scena attraverso il gesto della mano protesa oltre il molo, gesto che vuol essere un richiamo per il traghettatore in Pope! mentre qui è il saluto alla nave già lontana. La traversata si differenzia dall’opera del 1897 anche per le tonalità più chiare, soprattutto nei riflessi delle acque che si arricchiscono di bianchi e di blu.

  • 179. Cesare Laurenti, La meraviglia in attesa, 1900-1905
 
179. Cesare Laurenti, La meraviglia in attesa, 1900-1905

il dipinto è databile all’ultimo decennio dell’Ottocento quando Laurenti, probabilmente anche in seguito al lutto per la prematura scomparsa della figlia Fosca, esegue una serie di opere incentrate sulla figura femminile, come Primo dubbio (1891, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), La vedova (1896-1897, Venezia, Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro) e Calera (ubicazione sconosciuta), ritratto di una popolana delle calli veneziane molto simile al dipinto in Collezione. Il soggetto ritornerà anche negli anni seguenti ma in opere di diverso tenore come Maschera bella, ispirata secondo il nuovo gusto liberty alle figure femminili della pittura rinascimentale: il dipinto viene presentato all’Esposizione nazionale di belle arti di Milano del 1906 e riproposto l’anno seguente alla mostra individuale allestita in occasione della Biennale veneziana. Nella Meraviglia il pittore raffigura una donna in attesa del marito pescatore nei pressi del molo, ricorrendo ad una iconografia già presente nella pittura di genere di altri artisti, come i lombardi Mosè Bianchi e Leonardo Bazzaro o i veneti Luigi Nono e Alessandro Milesi, del quale ricordiamo un soggetto molto simile esposto a Venezia nel 1887 dal titolo In attesa. Laurenti ne accentua la carica emozionale anche sotto la spinta del simbolismo al quale egli si accosta in opere come il dittico La parabola (USA, Georgia, Telfair Museum of Art), esposto a Venezia nel 1895. La prevalenza di tonalità brune e violacee stese con lunghe pennellate sottolinea il carattere malinconico del soggetto ed è questo un elemento stilistico che scomparirà nelle opere degli anni successivi quando Laurenti, ricorrendo a una nuova tecnica a tempera, giungerà ad una pittura più chiara e ricca di effetti di trasparenza come in Fioritura nuova (Venezia, Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro) presentata nel 1897 alla II Esposizione internazionale d’arte della Città di Venezia.

  • 180. Alessandro Milesi, La gelosa, 1930
  • 181. Leonardo Bazzaro, Orazione a Chioggia, 1897
 
181. Leonardo Bazzaro, Orazione a Chioggia, 1897

Nel 1897 Leonardo Bazzaro partecipa con Orazione (a Chioggia) alla II Esposizione internazionale d’arte della città di Venezia dove è accolto da una critica generalmente poco entusiasta a causa del soggetto non nuovo nella sua produzione artistica. Il tema del compianto tradotto in una fusione lirica di figure e paesaggio aveva infatti già ispirato Ave Maria (Milano, Galleria d’Arte Moderna) databile al 1882, sebbene nella diversa ambientazione della Certosa di Pavia, e sempre nel 1897 ricorre in Pace ai naufraghi (ubicazione ignota), premiato quello stesso anno con la medaglia d’oro alla III Triennale di Milano e presentato all’Esposizione universale di Parigi del 1900. Come in Pace ai naufraghi, Bazzaro dipinge una giovane vedova che piange il marito naufrago, sullo sfondo di un paesaggio lagunare condotto con quella maestria che fa del pittore uno dei principali esponenti del naturalismo lombardo. Questo soggetto continuerà a essere più volte replicato dall’artista negli anni seguenti, con ampio successo di mercato, arricchendosi anche di accenti narrativi come in Dopo il naufragio (ubicazione ignota), vincitore del premio Principe Umberto all’Esposizione nazionale di belle arti di Milano del 1906.

  • 182. Leonardo Bazzaro, Alla Benedizione (Un vespro a Chioggia), 1898-1901]]
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    182. Leonardo Bazzaro, Alla Benedizione (Un vespro a Chioggia), 1898-1901


Il dipinto è con ogni evidenza una replica dell’opera presentata all’Esposizione nazionale di Torino del 1898 col titolo Un vespro a Chioggia, probabilmente esposta anche alla Permanente di Milano nel 1898 come Alla benedizione. Spinto dal successo ottenuto in queste manifestazioni, Bazzaro esegue una nuova versione di tale soggetto, assecondando le richieste dei collezionisti che molto apprezzavano queste scene chioggiotte. La fattura pittorica a rapide e larghe pennellate indica che si tratta di un’esecuzione più tarda, databile entro il 1901 come suggerito dalla riproduzione dell’opera apparsa quell’anno su un periodico. Il soggetto è da ricondurre a una delle principali fonti di ispirazione del pittore, il paesaggio lagunare di Venezia e della vicina Chioggia, luoghi frequentati anche da altri due esponenti del naturalismo lombardo, Filippo Carcano e Mosè Bianchi. La scena è ambientata lungo il canale Perotolo di Chioggia animato da due imbarcazioni; sulla sponda si intravede un gruppo di donne in processione presso il “Refugium peccatorum”, nome col quale si indica la statua della Madonna col Bambino posta sulla balaustra in marmo, vicino alla Cattedrale. Qui, secondo la tradizione, si recavano i condannati a morte per l’ultima preghiera. Il luogo è stato più volte raffigurato nella seconda metà dell’Ottocento tanto da dare il titolo al capolavoro del pittore veneto Luigi Nono (1882, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna). In questo dipinto, che per l’ambientazione chioggiotta può essere accomunato alle altre opere in Collezione Fuoco! Fuoco! e Alla Riva, Bazzaro si concentra sulla resa luministica rendendo con vivaci accostamenti cromatici i bagliori del sole sull’acqua; su di essa si specchiano le barche dei pescatori che attendono, come lo donne in preghiera, la benedizione.

  • 183. Leonardo Bazzaro, Fuoco! Fuoco! (L'incendio a Chioggia), 1905
 
183. Leonardo Bazzaro, Fuoco! Fuoco! (L'incendio a Chioggia), 1905

Esposto alla VI Esposizione internazionale d’arte della città di Venezia nel 1905 e alla Promotrice di Genova nel 1910, il dipinto entra a far parte della Collezione Fernand du Chéne de Vère, imprenditore di origini francesi ma stabilitosi a Milano, titolare dal 1886 di una delle prime imprese di pubblicità in Italia, committente e collezionista tra i più importanti dell’epoca, specie dell’opera di Antonio Mancini. Nel 1939 il dipinto è esposto a Milano alla mostra dedicata a Leonardo Bazzaro a due anni dalla sua scomparsa. Il pittore vi raffigura un gruppo di donne che si apprestano a spegnere un incendio scoppiato lungo le rive del Canale della Vena in prossimità del Ponte Vigo, a Chioggia; alcuni barcaioli si uniscono loro nel trasporto dell’acqua contribuendo così alla vivacità della scena, ben caratterizzata dagli effetti luminosi resi con ampie e rapide pennellate e dall’ardito taglio prospettico.

Come nella Benedizione e nel più tardo Alla Riva, il pittore ambienta il dipinto nella cittadina veneta dove si reca per la prima volta nel 1884: da allora Chioggia con i suoi canali e la sua vita popolare diventa, accanto agli altri temi del naturalismo lombardo, uno dei soggetti privilegiati della sua arte.

  • 184. Francesco Lojacono, Le paludi, 1900-1910
 
184. Francesco Lojacono, Le paludi, 1900-1910

Databile al primo decennio del Novecento, è comunque precedente a Tramonto sull’Anapo (1910-1915 circa, Palermo, Fondazione Banco di Sicilia), opera di minori dimensioni raffigurante un identico soggetto ma condotto con una stesura pittorica più abbreviata, riferibile agli ultimi anni di attività dell’artista. In entrambe le tele egli si ispira ai luoghi nei dintorni dei fiumi Anapo e Ciane in Sicilia, ai quali aveva già dedicato una delle opere presentate all’Esposizione nazionale di Palermo del 1891-1892, soggetti che ricorreranno negli anni seguenti in diversi altri dipinti tra i quali Sulle rive dell’Anapo, presso Siracusa, esposto a Venezia nel 1910 (Piacenza, Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi). La pittura di paesaggio, alla quale Lojacono si accosta verso la metà dell’Ottocento seguendo la lezione di Filippo Palizzi, matura sul finire del secolo verso toni più intimisti, portandolo a descrivere i luoghi della sua Sicilia non più come vedute piene di luce ma come scorci ombrosi resi in rapide impressioni pittoriche. Nell’opera in Collezione è raffigurato il paesaggio paludoso che caratterizza l’entroterra siracusano lungo le sponde dei fiumi Anapo e Ciane, secondo un’iconografia divulgata già in anni precedenti attraverso la fotografia da autori come Giorgio Sommer e successivamente resa popolare da numerose serie di cartoline. Rispetto al dipinto oggi conservato a Palermo il tocco pittorico pur abbreviato risulta ancora attento al dettaglio naturalistico e ai valori cromatici: se nel Tramonto sull’Anapo la luce del sole calante è resa nei soli toni del giallo e del rosa, qui trascolora dal grigio azzurro al giallo arancio con un ricco gioco di riflessi sull’acqua, e la pennellata, che si fa ora allungata ora a piccoli tocchi, ricrea nel cielo l’addensarsi delle nuvole e, lungo le rive del fiume, le ombrose fronde della vegetazione.

  • 185. Angelo Morbelli, Battello sul Lago Maggiore, 1915
 
185. Angelo Morbelli, Battello sul Lago Maggiore, 1915


Eseguita nel 1915 e presentata due anni dopo all’esposizione romana della Società Amatori e Cultori di Belle Arti, l’opera raffigura il golfo del lago Maggiore. La veduta è presa da un battello dal quale una donna si sporge ad ammirare il panorama verso l’Isola Madre e la riva di Baveno. Il dipinto appartiene alla tarda produzione dell’artista che dai primi anni Dieci del Novecento inizia ad accostarsi alla pittura di paesaggio, spesso ritraendo i luoghi nei dintorni di Colma di Monferrato dove trascorre lunghi soggiorni. Al paesaggio del Verbano Morbelli dedica almeno un’altra opera, intitolata Il Lago Maggiore a Baveno, esposta nel 1922 alla galleria milanese Bottega di Poesia in occasione della retrospettiva dedicata alla pittura divisionista in Italia. L’interesse per questi luoghi è legato anche al loro rinnovato successo turistico presso l’agiata borghesia; nel dipinto in Collezione la donna in gita sul battello allude esplicitamente a una delle attività più frequenti durante tali soggiorni di vacanza. Il taglio inedito della veduta è debitore di una serie di studi compiuti da Morbelli con la fotografia, secondo un procedimento creativo che caratterizza l’intera sua opera e che lo accomuna all’amico Giuseppe Pellizza, anch’egli attento indagatore della luce e della sua resa pittorica attraverso la tecnica del divisionismo. In particolare, la figura femminile riprende in controparte una giovane fotografata in identica posa ed abbigliamento in un’istantanea oggi conservata presso l’archivio del pittore, databile ai primi anni del Novecento. Anche il punto di vista in ombra è tipico del procedimento fotografico e ricorre in modo particolare nella fotografia pittorialista che proprio in questi anni inizia a diffondersi in Italia. Il ricercato effetto di controluce è realizzato con una pittura divisa che attraverso tocchi di bianco, rosa ed azzurro ricrea l’abbagliante riverbero del sole sulle acque del lago, in contrapposizione alla penombra del battello. Sulla sinistra una bandiera tricolore è mossa dal vento, probabilmente un inno alla patria nell’anno in cui, durante il primo conflitto mondiale, l’Italia dichiara guerra all’impero austro-ungarico.

  • 186. Angelo Morbelli, Sogno e realtà, 1905
 
186. Angelo Morbelli, Sogno e realtà, 1905

Il trittico, proveniente dalla raccolta milanese di Federico Aurnheimer e successivamente passato in quella di Pietro Ruffini che ne possedeva anche il disegno preparatorio, è apparso nel 1905 alla VI Esposizione internazionale d’arte della città di Venezia. Il pittore riprende un tema ricorrente nella sua pittura, affrontato fin dal 1888 quando, all’annuale manifestazione dell’Accademia di Brera, ottiene il premio Fumagalli con il dipinto Giorni... ultimi! (Milano, Galleria d’Arte Moderna), già esposto a Venezia nel 1887 e primo di una serie di opere eseguite nell’arco del decennio successivo sulla condizione degli anziani ospiti del Pio Albergo Trivulzio in via della Signora. All’inizio del nuovo secolo una rinnovata attenzione per il tema porta il pittore ad allestire un proprio studio nel palazzo Trivulzio, prima del trasferimento dell’istituto, nel 1910, in un più ampio complesso alla periferia cittadina. Queste ricerche conducono Morbelli dal verismo della sua prima pittura sociale a una riflessione che accoglie una nuova sensibilità vicina al simbolismo, nell’ambito di uno studio sempre più maturo sui principi scientifici della pittura divisionista. Esito di questi anni di lavoro è il ciclo di dipinti intitolato Poema della Vecchiaia, di cui il trittico in Collezione rappresenta l’epilogo. Nel 1904 il pittore, descrivendo l’opera non ancora ultimata all’amico Giuseppe Pellizza, parla di due anziani coniugi che, assopiti, ricordano in un sogno comune l’idillio dell’amore passato. L’ultima età della vita si ricongiunge così a quella giovanile attraverso il sogno e il ricordo e questa labile continuità, simbolo del ciclo della vita, è fisicamente scandita dall’arabesco della balaustra che ricorre nella visione onirica della giovane coppia così come nell’immagine dei due anziani addormentati. Il tema del ricordo come rievocazione di un’età della vita ormai trascorsa, già presente nella letteratura decadente, può considerarsi il filo conduttore delle opere eseguite in questi anni: citiamo almeno Mi ricordo quand’ero fanciulla (Tortona, Collezione Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona), presentata nel 1903 assieme ad altri cinque episodi del Poema alla V Esposizione internazionale d’arte della città di Venezia.

  • 187. Filippo Carcano, Il gregge (L'Umanità), 1906
 
187. Filippo Carcano, Il gregge (L'Umanità), 1906

L’opera proviene dalla collezione di Pietro Baragiola (1854-1914), deputato, industriale e pioniere dei nuovi metodi di agricoltura nelle sue tenute di Rogoredo e Orsenigo, nonché mecenate illuminato e collezionista d’arte contemporanea, ricordato alla sua morte con l’edizione di un premio per la pittura di paesaggio dal vero a lui intitolato, e fra i principali estimatori della pittura di Filippo Carcano. La grande tela può essere identificata con Il gregge, dipinto presentato alla mostra personale allestita in occasione dell’Esposizione nazionale di belle arti di Milano del 1906. Alcuni anni più tardi Carcano esegue una replica all’acquerello dal titolo L’Umanità con la quale partecipa nel 1911 all’Esposizione della Società degli acquerellisti lombardi. Da questo momento in poi la critica indicherà con lo stesso titolo anche il dipinto in Collezione. Il pittore raffigura entro una composizione suddivisa dalla linea dell’orizzonte un gregge in cammino verso il sole al momento del suo sorgere, metafora del percorso dei fedeli alla ricerca della guida salvifica di Cristo, non a caso accostata nel 1906 al dipinto Divin Pastore (collezione privata). Il soggetto religioso e l’attenzione per iconografie dal carattere mistico-simbolico non sono nuovi nell’opera di Filippo Carcano che, a partire dall’ultimo decennio del XIX secolo, affianca ai soggetti più tradizionali della pittura naturalista i temi del moderno simbolismo. Nel 1897 egli ottiene il premio Principe Umberto presentando alla II Triennale di Milano Gesù che bacia l’Umanità (collezione privata) e negli anni seguenti torna ad affrontare questi soggetti, fino a Il gregge dove la pittura si alleggerisce di ogni accento naturalista e si semplifica nelle sole tonalità grigio-turchine. La stesura pittorica è condotta con brevissime pennellate che sfiorano la trama della tela, su una preparazione grigia dove le forme appaiono per accostamento di tocchi; la raffinatezza tecnica dimostra le notevoli qualità artistiche del pittore che, formatosi alla scuola del naturalismo lombardo e tra i suoi principali esponenti, è negli anni della maturità ancora un grande innovatore.

  • 188. Bartolomeo Giuliano, Le Villi, 1906
 
188. Bartolomeo Giuliano, Le Villi, 1906


Presentata all’Esposizione nazionale di belle arti di Milano del 1906 assieme ad altri due dipinti, Sotto l’onda e Al bagno, l’opera si ispira alle figure mitologiche della cultura slava, diffuse attraverso la letteratura europea nel corso dell’Ottocento e divenute celebri con il balletto Giselle del compositore francese Adolphe-Charles Adam: qui le Villi sono gli spiriti di giovani donne morte prima del matrimonio che nelle tenebre della notte si risvegliano per vendicare l’amore tradito. A questo soggetto si ispirò anche Giacomo Puccini nella sua prima opera, Le Villi, su libretto di Ferdinando Fontana, rappresentata per la prima volta al Teatro Dal Verme di Milano nel 1884, quindi acquistata dall’editore Giulio Ricordi e messa in scena con alcune modifiche al Teatro alla Scala l’anno seguente. Dall’opera pucciniana prende spunto il pittore, raffigurando sulla tela una scena del secondo atto quando il padre della protagonista Anna invoca le magiche creature per vendicare il tradimento di Roberto, fidanzato della figlia. Gli spiriti femminili sono raffigurati nella vorticosa danza che porterà alla morte l’uomo, secondo un’iconografia ripresa anche in altre opere di simile derivazione letteraria come La danza delle ore di Gaetano Previati, ma che qui rimarca piuttosto la suggestione musicale. Il pittore insiste infatti sull’ambientazione magica data dalla penombra del bosco e dai riflessi lunari che si riverberano sulla superficie del lago sul quale danzano gli spiriti eterei. L’interesse per un soggetto fantastico-allegorico, anche se non frequente nell’arte di Bartolomeo Giuliano che fu abile esecutore di scene di genere, di paesaggi e di soggetti storici, si ritrova nella sua attività di decoratore per la quale citiamo l’affresco Nascita di Venere, realizzato nel castello dei conti San Martino a Castellamonte, in provincia di Cuneo.

  • 189. Gaetano Previati, La danza delle Ore, 1899
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    189. Gaetano Previati, La danza delle Ore, 1899

Apparsa nel 1899 alla III Esposizione internazionale d’arte della città di Venezia l’opera è accolta da una critica poco entusiasta sia per il soggetto, di cui non si coglie il significato simbolico, sia per la resa pittorica a colori divisi. Sarà il mercante d’arte Alberto Grubicy, artefice insieme al fratello Vittore della diffusione in Italia della pittura divisionista, a sostenere il valore del dipinto proponendolo in successive esposizioni, tra cui quella di Monaco nel 1901 e la personale allestita a Venezia quello stesso anno. Nel 1919 entra nella collezione di Carlo Sacchi accanto ad altri capolavori del pittore e ad opere anch’esse divisioniste di Vittore Grubicy, Emilio Longoni e Giuseppe Pellizza per essere infine acquistato nel 1927 in occasione della vendita all’asta che disperse la raccolta milanese. La Cassa di Risparmio deliberò per il dipinto la spesa di 170.000 lire stabilendo con il collezionista che una parte consistente della cifra venisse devoluta in beneficenza agli istituti per la cura della tubercolosi “Villa dei Pini” di Urago d’Oglio e “Opera Leone XIII” di Chiavari. Previati svolge un tema iconografico presente fin dalla pittura decorativa del Rinascimento reinterpretandolo e traendo ispirazione, anche nel titolo, dall’omonimo e allora celebre balletto del terzo atto della Gioconda, opera composta da Amilcare Ponchielli su libretto di Arrigo Boito, messa in scena per la prima volta a Milano nel 1876 e ispirata a sua volta a un dramma di Victor Hugo. Nel dipinto dodici figure femminili raffiguranti le Ore e personificanti nella mitologia le stagioni, danzano fra il sole e la terra in uno spazio cosmico inondato di luce, descrivendo un cerchio che allude al continuo e infinito susseguirsi del giorno e della notte. La danza diventa quindi l’allegoria del tempo come legge che governa la vita e nella traduzione pittorica divisionista essa allude anche all’idea di un universo percepito come pura luce e pura musica, concetto ricorrente nel simbolismo e, in particolare, nella poesia di Baudelaire e Mallarmé. Il tema non era nuovo tra i pittori divisionisti: lo aveva già affrontato nel 1888 Giovanni Segantini in Le ore del mattino (Milano, collezione privata) e lo stesso Previati tornerà a elaborarlo negli anni seguenti in opere come il trittico Il Giorno (Milano, Camera di Commercio, dell’Industria e dell’Artigianato).

  • 190. Giorgio Belloni, Calma, 1913
  • 191. Emilio Gola, Ritratto di signora, 1903
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    191. Emilio Gola, Ritratto di signora, 1903

Il dipinto fu presentato per la prima volta alla V Esposizione Internazionale di Belle Arti di Venezia del 1903.

Non si conosce l’identità dell’effigiata, ritratta dal pittore in diverse occasioni. Avvolta in un elegante abito nero, con i capelli raccolti che lasciano scoperti il collo e le spalle, la figura assume una posa ricercata con il viso rivolto indietro e verso il basso. La grande tela è giocata su poche tonalità di colore, come i grigi dello sfondo e il nero dell’abito, sui quali risalta il chiarore dell’incarnato femminile, esaltato dalla luce proveniente da sinistra.

Il ritratto rivela una chiara matrice naturalistica derivata direttamente dai modelli di Cesare Tallone ed è accostabile ai ritratti femminili eseguiti negli stessi anni da Adolfo Feragutti Visconti, con i quali condivide l’inquadratura ripresa dal basso e leggermente obliqua e la pennellata sfatta e morbida. Nel passaggio tra i due secoli, e poi nel clima della Belle époque, si assistette all’evoluzione del ritratto – che divenne sempre più spesso status simbol della borghesia lombarda – verso un genere artistico moderno con il progressivo rifiuto dei modelli della pittura romantica e il superamento delle prove tardo scapigliate.

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    192. Giulio Aristide Sartorio, Risveglio, 1908-1923

Sagra e Risveglio sono il frutto del rimaneggiamento da parte dello stesso artista di due pannelli che componevano uno dei fregi decorativi realizzati tra il 1903 e il 1912, durante una stagione ricca di successi espositivi per l’artista. In più di un’occasione, infatti, Sartorio riadattò, totalmente o in parte, le opere che per qualche ragione ritornavano in studio al termine delle mostre — la V Esposizione Internazionale d’arte di Venezia (1903), l’Esposizione internazionale di Saint Louis (1904), l’Esposizione nazionale di belle arti di Milano del 1906 e The Fine Art Society of London (1908) — o per lo smantellamento di apparati decorativi quali i pannelli della Casa del Popolo di Roma (1906) o di parti del Fregio di Palazzo Montecitorio, sede del Parlamento italiano (1908-1912). Nel 1923, come indicato sul fronte, Sartorio riutilizzò le due tele modificando i contenuti delle scene per celebrare la partecipazione italia­na alla Prima guerra mondiale. In Risveglio fu inserita la data dell’entrata in guerra contro l’Austria, 24 maggio 1915, mentre Sagra venne trasformata nella celebrazione della vittoria del 4 novembre 1918, con l’aggiunta della data e di nomi del Carso, del Piave e di Vittorio Ve­neto, i luoghi dove avvennero le battaglie decisive. Realizzati con l’ausilio di bozzetti fotografici memori delle fotografie di Eadweard Muybridge, i nudi panneggiati trasmettono una forte sensazione di movimento e, da un punto di vista stilistico e compositivo, appaiono molto vicini al Fregio del Parlamento. A quell’epoca, Sartorio aveva in mente i Marmi Elgin del Partenone, visti nel 1893 al British Museum di Londra, e le opere dei preraffaelliti Dante Gabriele Rossetti e Edward Burne-Jones che, con Nino Costa e Gabriele D’Annunzio, erano stati tra i suoi primi riferimenti artistici e intellettuali.

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    193. Giulio Aristide Sartorio, Sagra, 1908-1923