Storia della letteratura italiana/Verismo

Storia della letteratura italiana

Con l'affermazione del positivismo si diffonde anche in Italia, tra gli anni sessanta e novanta dell'Ottocento, l'aspirazione a una letteratura "vera" e sociale, intesa cioè ad analizzare la società contemporanea. Lo sviluppo della sociologia induceva infatti gli intellettuali a considerare l'uomo come un individuo sociale condizionato dall'ambiente in cui vive.[1] Questa tendenza al vero e al reale in letteratura porta gli scrittori ad accostarsi alla vita «quale essa è», prendendone in esame anche gli aspetti più bassi e meno poetici. Da tutto questo non sono esclusi elementi di ascendenza romantica, che danno luogo a una mescolanza di sentimentalismo e senso dell'orrido, di comico e tragico, di paternalismo e interesse sociale.[2] In questo clima culturale, a partire dagli anni sessanta si afferma in Italia il verismo, che diventa una vera e propria tendenza egemonica nella narrativa del periodo.

La narrativa in Italia dopo Manzoni

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Gustave Flaubert, tra i più importanti romanzieri francesi dell'Ottocento, è il principale modello per il canone dell'impersonalità verista

L'Ottocento è considerato il secolo del romanzo, genere che a partire dagli anni cinquanta si afferma anche in Italia soppiantando la lirica, che all'inizio del XIX secolo era ancora ritenuta la forma letteraria più prestigiosa in assoluto. Viene così superato il disprezzo per il romanzo in quanto genere letterario inferiore: i nuovi scrittori lo considerano anzi il genere della nuova epoca e lo strumento migliore per dare voce alle esigenze espressive dei tempi nuovi. In particolare, il romanzo si presta bene a raccontare la realtà sociale, organizzandola all'interno di complesse strutture di intrecci. Il romanzo inoltre risponde meglio degli altri alle esigenze dei lettori comuni: il pubblico letterario dell'epoca, che si è progressivamente ampliato nel corso dei decenni, è composto prevalentemente da lettori di narrativa.[3]

Il romanzo è il genere tipico della civiltà borghese, e la sua affermazione in Italia corrisponde al processo di modernizzazione che segue la fine del Risorgimento. Non sarà infatti un caso se alla crisi del positivismo durante il decadentismo corrisponderà la crisi del romanzo e delle sue complesse architetture di intreccio.[3] I principali modelli per gli scrittori italiani sono di ascendenza francese, e in particolare la Commedia umana di Balzac (che viene letta attraverso la visione positivista di Hippolyte Taine) e il ciclo dei Rougon-Macquart di Zola. A questi si deve aggiungere l'influenza dell'inglese Charles Dickens e del francese Paul Bourget, inventore del romanzo psicologico. Conoscono larga fortuna anche i romanzieri russi, tra tutti Dostoevskij e Tolstoj. Centrale è infine l'influsso della poetica di Flaubert, con il suo rigore stilistico, il suo canone dell'impersonalità e la tensione a rappresentare come ridicoli i valori borghesi.[4]

In questo contesto, il verismo si affermerà come tendenza egemonica nella narrativa italiana. Tuttavia, va precisato che le esperienze che la storia della letteratura accomuna sotto l'etichetta di "veriste" sono tra di loro molto diverse, e condividono unicamente un generico riferimento alla "realtà".[4] Giovanni Verga in particolare metterà a punto in modo rigoroso una tecnica narrativa rivoluzionaria, attraverso cui esprime una visione della realtà segnata dal pessimismo e dal materialismo. L'esperienza di Verga, tuttavia, rimarrà isolata: diversamente da quello che era accaduto per Manzoni, la sua influenza non raggiungerà mai un livello nazionale né avrà mai un tale seguito da costituire una scuola.[4] Negli anni novanta il romanzo veristico entrerà in crisi e verrà gradualmente sostituito dal romanzo psicologico, in cui l'attenzione è dedicata esclusivamente alle caratteristiche psicologiche dei personaggi. I protagonisti di questa fase della letteratura italiana saranno Antonio Fogazzaro e Gabriele D'Annunzio.[5]

Anche la struttura del romanzo subisce un'evoluzione rispetto al modello che aveva caratterizzato la prima parte del secolo e che era stato fissato nei Promessi sposi. Il narratore onnisciente tipico del modello manzoniano, che interviene nel racconto per fornire spiegazioni o commenti, cede il passo a quella che lo stesso Verga definisce «eclisse dell'autore». La voce narrante si ridimensiona fino quasi a sparire, e questo avviene attraverso varie tecniche: la regressione del narratore al livello mentale tipico del mondo popolare, la narrazione comportamentistica (che si limita a registrare le azioni dei personaggi), oppure la focalizzazione interna (la vicenda viene descritta dal punto di vista di uno o più personaggi). Con Pirandello nel Novecento prenderà piede la narrazione in prima persona, in cui il protagonista racconta la storia esprimendo i propri pensieri e analizzando le proprie emozioni.[5]

Novella

Breve componimento narrativo scritto in prosa o in poesia. Può raccontare sia fatti immaginari sia eventi storici o reali. Si differenzia dal romanzo non tanto per la minore lunghezza, quanto per la semplicità della trama, che si presenta unilineare e priva di diramazioni. Rispetto alla fiaba, invece, si caratterizza per il realismo e la volontà di generare nel lettore una sensazione di evidenza.[6]

Accanto al romanzo conosce poi grande fortuna il genere della novella, che per la sua brevità si adatta meglio ai mezzi di diffusione culturale dell'epoca, cioè giornali e riviste. Il verismo inoltre trovava nella novella la misura ideale per i suoi moduli ricorrenti: il ritratto di un personaggio tipico, il bozzetto, la tranche de vie (uno spaccato della realtà, narrato senza intreccio ma con un inizio e una fine). La novella infine dava modo agli scrittori di sperimentare soluzioni nuove che poi sarebbero state utilizzate in opere più lunghe e complesse (si pensi ad esempio alla figura dell'arricchito Mazzarò in La Roba, che verrà poi ripresa e sviluppata nel romanzo Mastro-don Gesualdo).[7]

Nascita e affermazione del verismo

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Veduta di Milano in una fotografia scattata negli anni settanta dell'Ottocento. Divenuta capitale dell'editoria, Milano è luogo di incontro per gli scrittori italiani e sarà il centro in cui nascerà e si svilupperà il verismo.

Il verismo nasce e si sviluppa a Milano, la città all'epoca con la vita culturale più feconda, in cui si raccolgono intellettuali di regioni diverse; saranno però gli autori siciliani a dare a questa tendenza la sua formulazione più coerente. Punto di partenza è l'esperienza del naturalismo francese, del quale viene ripresa soprattutto l'idea che il metodo della scienza deve essere trasferito anche nell'arte.[8] In questo, il verismo si distanzia dal realismo romantico di Manzoni e Nievo, che partivano da una interpretazione religiosa o idealistica della vita. Gli scrittori veristi, al contrario, propongono una descrizione materialista e scientifica, "oggettiva", della realtà, una descrizione che dall'analisi dei fatti porti alla formulazione delle leggi che li determinano.[9]

Il verismo si interessa delle questioni socio-culturali dell'epoca, portando avanti una critica delle strutture sociali vigenti.[9] Le opere veriste rappresentano soprattutto le realtà sociali dell'Italia centrale, meridionale e insulare: gli scrittori provenienti da queste regioni vivono la frattura tra la propria condizione di appartenenza a un mondo rimasto isolato nelle sue tradizioni primitive e la vita culturale del resto del paese.[10] In questo senso, il verismo è figlio della crisi della società italiana post-unitaria, quando divennero evidenti i limiti del Risorgimento e le contraddizioni del nuovo Stato.[9] Nelle opere di Verga, per esempio, si ritrovano temi come l'arretratezza del Meridione, i costumi e le usanze del popolo, il modo di vivere molto diverso rispetto al Nord Italia. Secondo Verga non è possibile che un personaggio di umili origini, per quanto si impegni, riesca a emergere dalla condizione in cui è nato: nella novella La roba, l'umile contadino Mazzarò riesce ad arricchirsi grazie al suo ingegno, ma sebbene sia divenuto un benestante non potrà mai vivere tranquillamente né integrarsi nell'ambiente aristocratico e alto-borghese, proprio perché non vi appartiene di nascita.

 
Giovanissimi minatori (carusi) di fronte a una zolfara in Sicilia (1899)

Il verismo è però anche espressione del desiderio di rottura con una tradizione letteraria ritenuta accademica ed estetizzante, alla ricerca di uno stile diretto, semplice, legato alla lingua parlata, e di un rapporto più autentico con il vero e la realtà.[9] Il primo teorico del verismo è Luigi Capuana, che teorizza la "poesia del vero"; così Giovanni Verga, che dapprima era collocabile nella corrente letteraria tardoromantica intraprende la strada del verismo con le raccolte di novelle Vita dei campi e Novelle rusticane e infine col primo romanzo del ciclo dei Vinti, I Malavoglia, nel 1881. In Verga e nei veristi, a differenza del naturalismo, convive comunque il desiderio di far conoscere al lettore il proprio punto di vista sulla vicenda, pur non svelando direttamente opinioni personali.

La caratteristica tipica del verismo è l'utilizzo del principio dell'impersonalità, tecnica ripresa da Flaubert che consente all'autore di porsi in un'ottica di distacco nei confronti dei personaggi e dell'intreccio del racconto. L'impersonalità narrativa è propria di una narrazione distaccata, rigorosamente in terza persona e, ovviamente, in chiave oggettiva, priva, cioè, di commenti o intrusioni d'autore che potrebbero, in qualche maniera, influenzare il pensiero che il lettore si crea a proposito di un determinato personaggio o di una determinata situazione.

Gli autori veristi, in particolare Verga, tendono a usare un linguaggio non colto e a ricorrere all'artificio di regressione. È da citare, da ultimo, il principio della concatenazione e della concatenazione opposta: il primo consiste nel porre a poca distanza parole di significato analogo, il secondo di mettere una parola e subito dopo il suo contrario. A questo si aggiunge la la ripetizione narrativa, la quale, come si capisce, privilegia le ripetizioni.

I narratori siciliani

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Famiglia contadina siciliana ritratta sulla soglia di casa nel paesino di Limina (anni ottanta del XIX secolo)

Il verismo non può tuttavia essere definito come una scuola né come un movimento organizzato, come accadde invece per il Romanticismo milanese degli anni 1816-1820. Gli scrittori veristi non fanno riferimento a una poetica o a un programma culturale comune, ma anzi vengono ricondotti all'alveo di questa corrente autori tra loro molto diversi, accomunati da un generico interesse per l'ambiente popolare, per il colore locale e per la rappresentazione delle miserie dei ceti bassi (per approfondire si veda il modulo intitolato Oltre il verismo).[4] Autori come Grazia Deledda e Salvatore Di Giacomo, sebbene avvicinabili per certi aspetti al verismo, ne sviluppano le tendenze in forme molto personali, difficili da collocare in una corrente definita. Bisogna inoltre ricordare che dal verismo presero le mosse anche giovani scrittori che negli anni successivi approderanno al decadentismo e a sentimenti anti-positivistici, come Gabriele D'Annunzio, Luigi Pirandello, Italo Svevo.[11]

I rigorosi esperimenti letterari di Verga si collocano quindi accanto a questa esperienze. Nonostante questo, lo scrittore catanese avrà come unico interlocutore l'amico Luigi Capuana, con il quale avvia una proficua collaborazione e condivide concezione teoriche e soluzioni letterarie. A questi si aggiungerà il più giovane Federico De Roberto. In ultima analisi, quando si parla di verismo inteso come gruppo omogeneo di scrittori con una propria consapevolezza teorica, che si rifà all'esperienza del naturalismo francese, è opportuno riferirsi solo a questi tre scrittori.[4]

Luigi Capuana

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Luigi Capuana

Tra i narratori siciliani Luigi Capuana è, insieme a Verga, il principale teorico del verismo. Come scrive Ferroni, è inoltre lo scrittore siciliano che «raggiunge i risultati meno estremi e radicali», recependo e mediando nell'ambiente culturale italiano le esperienze della letteratura realista europea dell'epoca.[12]

Capuana nacque a Mineo, in provincia di Catania, il 28 maggio 1839, da una famiglia di agiati possidenti terrieri. In gioventù si dedicò alla poesia romantica e al teatro, quindi si trasferì a Firenze, dove allacciò rapporti con gli ambienti letterari della città.[12] Nella seconda metà degli anni sessanta collaborò con la rivista fiorentina La Nazione in qualità di critico teatrale. A partire dal 1968 visse tra Mineo, Milano e Roma. Tra il 1977 e il 1982 scrisse per il Corriere della Sera quindi, nel periodo 1982-1983, diresse a Roma Il Fanfulla della Domenica, una delle più prestigiose riviste letterarie dell'epoca. Durante il soggiorno a Milano entrò in contatto con il naturalismo francese e collaborò con Giovanni Verga nello sviluppo della poetica verista. Si batté inoltre per la diffusione di una letteratura realista che fosse lontana dal ribellismo tipico della Scapigliatura, e contribuì a precisare il canone dell'impersonalità. Raccolse poi i suoi articoli su Zola, sui Goncourt e sullo stesso Verga in Studi sulla letteratura contemporanea (1980 e 1982).[13]

Contemporaneamente si dedicò alla narrativa. In Giacinta (apparsa una prima volta nel 1979) tentò di studiare scientificamente un caso di psicologia patologica, avendo come modelli Zola e Verga. Influenzato proprio dalla tecnica impersonale di quest'ultimo, riscriverà l'opera, che verrà ripubblicata nel 1982. Il malessere della protagonista e il suo scontro con la mediocrità della società, che la porteranno al suicidio, vengono analizzati con lucidità, e la sua sconfitta viene quasi portata come la dimostrazione di una legge scientifica.[14] Il risultato tradisce però l'obiettivo: invece di porsi come modello per la diffusione del romanzo naturalistico in Italia, l'opera risente ancora l'influsso della narrativa psicologica di età romantica.

Seguirono il romanzo Profumo (1891), in cui descrive un caso di isteria, e varie novelle poi confluite nei volumi Appassionate (1893) e Paesane (1894). Le novelle in particolare sono suddivisibili in due gruppi: da un lato quelle che hanno per soggetto la vita e la realtà popolare siciliana, in cui è ravvisabile l'influenza verghiana, e dall'altro i testi dedicati all'analisi di casi patologici.[15] La prosa di Capuana si caratterizza per la naturalezza con cui descrive i fatti narrati, e i suoi risultati migliori sono individuabili nelle fiabe per bambini che scrisse prendendo spunto dalla tradizione popolare siciliana.[12]

In seguito Capuana si allontanò dal naturalismo. Nel volume Per l'arte (1895) rifiutò nettamente il legame tra scienza e arte teorizzato da Zola, e subì le suggestioni provenienti dal clima antipositivista di fine secolo (si veda in proposito il modulo dedicato al decadentismo). Nel 1901 pubblicò un ultimo romanzo, Il marchese di Roccaverdina, progettato vent'anni prima e più volte rimaneggiato. Questo presenta ancora una volta un quadro sociale siciliano ispirato alle opere di Verga e vi è ancora una certa attenzione per l'analisi psicopatologica dei personaggi; è però lontano dall'ottica scientifica che aveva caratterizzato le opere precedenti.[15] Intanto, nel 1890 Capuana fu chiamato a insegnare letteratura italiana all'Istituto superiore femminile di Magistero di Roma, lo stesso in cui più tardi avrebbe insegnato anche Luigi Pirandello.[12] Negli ultimi anni Capuana proseguì l'attività di docente presso l'università di Catania, dove si trasferì nel 1902. Si dedicò anche al teatro, e in particolare collaborò con Nino Martoglio a varie opere dialettali. Morì il 29 novembre 1915 a Catania, poco dopo l'ingresso dell'Italia nella prima guerra mondiale.

  1. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 728.
  2. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 729.
  3. 3,0 3,1 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, La Scapigliatura, il Verismo, il Decadentismo, in Moduli di stori della letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 101.
  4. 4,0 4,1 4,2 4,3 4,4 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, La Scapigliatura, il Verismo, il Decadentismo, in Moduli di stori della letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 102.
  5. 5,0 5,1 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetto e Giuseppe Zaccaria, La Scapigliatura, il Verismo, il Decadentismo, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 103.
  6. Novella, in Dizionario di Retorica e Stilistica, Torino, Utet, 1995.
  7. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetto e Giuseppe Zaccaria, La Scapigliatura, il Verismo, il Decadentismo, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 105.
  8. Mario Pazzaglia, Letteratura italiana: testi e critica con lineamenti di storia letteraria, vol. 3, Bologna, Zanichelli, 1979, pp. 845.
  9. 9,0 9,1 9,2 9,3 Mario Pazzaglia, Letteratura italiana: testi e critica con lineamenti di storia letteraria, vol. 3, Bologna, Zanichelli, 1979, pp. 846.
  10. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 788.
  11. Mario Pazzaglia, Letteratura italiana: testi e critica con lineamenti di storia letteraria, vol. 3, Bologna, Zanichelli, 1979, p. 847.
  12. 12,0 12,1 12,2 12,3 Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 789.
  13. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetto e Giuseppe Zaccaria, La Scapigliatura, il Verismo, il Decadentismo, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 111.
  14. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 790.
  15. 15,0 15,1 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetto e Giuseppe Zaccaria, La Scapigliatura, il Verismo, il Decadentismo, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 112.

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