Storia della filosofia/Illuminismo

Storia della filosofia

L'età dei lumi: con questa espressione, che mette in evidenza l'originalità e la caratteristica di rottura consapevole nei confronti del passato, si diffuse nell'Europa del Settecento il nuovo movimento degli illuministi francesi, il quale tuttavia affondava le sue radici nella cultura inglese. Voltaire, Montesquieu, Fontanelle riconoscevano infatti di essersi ispirati alla filosofia inglese fondata sulla ragione empirica e sulla conoscenza scientifica, elementi essenziali del pensiero di Locke, Newton, Hume e che risalivano a loro volta a quello di Francesco Bacone.[1]

Se l'illuminismo assunse prevalentemente un'impronta francese questo si deve alle particolari condizioni storiche della Francia del XVIII secolo. Lo sviluppo della borghesia durante il regno di Luigi XIV è assicurato dall'assolutismo monarchico ed è fondato sulla distinzione tra l'uomo privato e quello pubblico. Il suddito potrà fare i suoi affari ed esprimere una certa libertà di pensiero ma questa non dovrà mai entrare in conflitto con l'autorità del sovrano.

Alla borghesia evoluta, alla fronda nobiliare e al movimento ugonotto, che continuano nascostamente a esercitare la loro critica, si aggiungono i nuovi finanzieri, creditori dello stato ma privi di potere politico che esprimono il loro dissenso nelle società segrete come quella della massoneria. Quanto più repressa sarà la loro contestazione politica tanto più diverrà appariscente evidenziando così l'illuminismo francese che, rispetto a quello inglese, meno condizionato dal potere politico, diverrà il rappresentante dell'illuminismo in generale.

L'illuminismo come critica della ragione

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Immanuel Kant

Erede della ragione, intesa nel senso di John Locke, l'illuminismo vuole adattare alla filosofia il metodo della fisica newtoniana affidando alla ragione la determinazione tanto delle proprie possibilità che dei propri limiti, indipendentemente da ogni verità che si presenti come rivelata o innata.

La fede nella ragione, coniugandosi con il modello metodo sperimentale della scienza newtoniana, sembrava rendere possibile la scoperta non solo delle leggi del mondo naturale, ma anche di quelle dello sviluppo sociale. Si pensò allora che, usando correttamente la ragione, sarebbe stato possibile un progresso indefinito della conoscenza, della tecnica e della morale: convinzione questa che verrà successivamente ripresa e rafforzata dalle dottrine positiviste.

Fin dagli inizi gli illuministi presuppongono che la gran parte degli uomini, pur essendo stati creati liberi dalla Natura («naturaliter maiorennes») si accontentino molto volentieri di rimanere "minorenni" per tutta la vita. Questa condizione è dovuta o a comoda pigrizia o a viltà, al non avere cioè il coraggio di cercare la verità. In ogni caso il risultato di questa non-scelta è la facilità per i più scaltri e per i detentori del potere di erigersi a guide di costoro: «Se io ho un libro che pensa per me, se ho un direttore spirituale che pensa per me... io non ho più bisogno di darmi pensiero di me. Non ho bisogno di pensare, purché possa solo pagare...».[2]

L'illuminista dovrà tutelare l'uomo ammaestrandolo a diventare "maggiorenne" usando la propria ragione per liberarsi dalla credenza irriflessa nelle verità già date, siano esse quelle innate nel campo conoscitivo, siano quelle rivelate dalla religione. La ragione rifiuterà tutto quello che non deriva da essa con il compito precipuo di stabilire i propri limiti: una ragione dunque programmaticamente finita e orgogliosa di essere tale poiché, in quell'ambito limitato, che è quello dell'esperienza, essa potrà conoscere la verità sino in fondo.

Questo avverrà applicando la critica della ragione, attraverso cioè l'analisi, la discussione, il dibattito nei confronti di quell'esperienza che non è soltanto il complesso dei fatti fisici ma anche di quelli storici e sociali: «Dai principi delle scienze profane ai fondamenti della rivelazione, dalla metafisica ai problemi fondamentali del gusto, dalla musica alla morale, dalle controversie scolastiche dei teologi alle questioni economiche, dal diritto naturale a quello positivo, insomma ai problemi che ci riguardano più da vicino a quelli che ci toccano soltanto direttamente, tutto fu discusso, analizzato, dibattuto».[3]

Il compito pedagogico dell'intellettuale

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Jean-Jacques Rousseau

Compito degli intellettuali illuministi, che si autodefiniscono philosophes, deve quindi essere il coraggioso uso della ragione: «Ma quale limitazione è d'impedimento all'illuminismo? Quale non lo è, anzi lo favorisce? Io rispondo il pubblico uso della ragione... l'uso che uno ne fa come studioso davanti all'intero pubblico di lettori».[4]

Questa la responsabilità dell'intellettuale di fronte alla società in cui vive: un compito pedagogico di liberazione dalla metafisica, dall'oscurantismo religioso, dalla tirannia della monarchia assoluta. Questo programma educativo secondo Jean-Jacques Rousseau significherà riportare l'uomo al suo iniziale stato di natura trasformandone la spontanea bontà della condizione naturale in una conquista consapevole e definitiva della sua razionalità. Poiché «ogni cosa è buona mentre lascia le mani del Creatore delle cose; ogni cosa degenera nelle mani dell'uomo».[5]

La ragione illuminista

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La definizione illuministica della ragione è ormai lontana da quella classica prevalentemente contemplativa: ora è concepita come funzionale e operativa, la sua validità cioè è dimostrata dai risultati pratici che essa consegue. La razionalità è valida se è in grado di spiegare e ordinare i fatti in base a leggi di ordine razionale. Ragione, natura, spontaneità coincidono nella visione illuministica nella convinzione che la natura stessa abbia dotato ogni uomo della istintiva capacità di comprendere che lo rende uguale a tutti gli altri a condizione che esso sia liberato dalla corruzione della superstizione e dell'ignoranza. L'uomo, liberato dalle incrostazioni del potere, userà correttamente e spontaneamente la sua ragione per procedere alla costruzione di uno Stato in cui le leggi, non più tiranniche, si fondino sul rispetto dei diritti naturali.

Il mito del "buon selvaggio"

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Quello del "buon selvaggio" fu un mito basato sulla convinzione che l'uomo in origine fosse un "animale" buono e pacifico, solo successivamente corrotto dalla società e dal progresso. Alla base vi è la convinzione che senza i freni della civilizzazione gli uomini siano essenzialmente buoni, le sue fondamenta giacciono nella dottrina della bontà degli esseri umani, espressa nel primo decennio del Settecento da Anthony Shaftesbury, che incitava un aspirante autore «a cercare quella semplicità dei modi, e quel comportamento innocente, che era spesso noto ai meri selvaggi; prima che essi fossero corrotti dai nostri commerci.»[6]

Fu poi soprattutto Rousseau a propagandare la tesi del buon selvaggio, asserendo nel suo Contratto sociale che «l'uomo è nato libero e tuttavia ovunque è in catene». Voltaire gli rispose polemicamente con vena ironica che «a leggere il vostro libro vien voglia di camminare a quattro zampe, ma avendone sfortunatamente persa l'abitudine da più di sessant'anni mi è impossibile riprenderla ora».[7]

I salotti letterari

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Dipinto di Charles Gabriel Lemonnier rappresentante la lettura della tragedia di Voltaire, in quel tempo esiliato, L'orfano della Cina (1755), nel salotto di madame Geoffrin.

Una particolare funzione sociale e politica venne svolta nel "Siècle des Lumières" dai salotti letterari: una tradizione culturale già presente in Francia dai tempi di Luigi XIV, quando ci si riuniva a intervalli regolari presso una signora di mondo nei «bureaux d'esprit».[8]

Gli incontri erano ora organizzati da altolocati membri dell'alta borghesia o dell'aristocrazia riformista francese che erano soliti invitare in casa loro intellettuali più o meno noti per conversare e dibattere temi d'attualità o argomenti particolarmente graditi all'anfitrione come accadeva nel salotto di Madame Geoffrin che invitava celebrità letterarie e filosofiche come Diderot, Marivaux, Grimm, Helvétius o nel salotto del barone d'Holbach, «le premier maître d'hôtel de la philosophie», (primo direttore dell'albergo della filosofia)[9] nella cui casa si riunivano Diderot, d'Alembert, Helvétius, Marmontel, Raynal, Grimm, l'abate Galiani e altri filosofi. In genere nei salotti si leggevano opere giudicate politicamente eretiche dall'assolutismo monarchico o si discuteva di cosa stesse accadendo fuori del mondo salottiero.

In questo ambiente culturale svolgono un ruolo preminente le donne, le "salonnièries" (salottiere) alle quali il nuovo ideale egualitario illuminista offriva l'opportunità di collaborare, mostrando le proprie doti intellettuali, ad un progetto radicalmente riformista non più riservato a una cultura soltanto maschile.[10]

L'Encyclopédie e la diffusione del sapere

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Frontespizio dell' Encyclopédie, la monumentale opera simbolo del nuovo sapere dell'Illuminismo

Emblema dell'illuminismo francese, assieme al pensiero di Voltaire, sarà la grandiosa opera dell'Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri che in 35 volumi, pubblicati dal 1751 al 1780, da un consistente gruppo di intellettuali sotto la direzione di Diderot e D'Alembert, diffonderà i principi illuministici in tutta Europa, attraverso numerose traduzioni.

L'opera si presenta innovativa rispetto ai vecchi dizionari enciclopedici: essa vuole essere «un quadro generale degli sforzi dello spirito umano in tutti i generi e in tutti i secoli.»[11] Oltre ad essere un'opera di informazione, l'Enciclopedia era quindi anche un'opera di propaganda, tramite la quale i suoi autori si proponevano di convincere il vasto pubblico della validità delle idee illuministe.

Dalla direzione dell'opera D'Alembert fu costretto a ritirarsi nel 1759 in seguito al divieto di pubblicazione del Consiglio di Stato. Diderot continuerà la preparazione clandestina di altri volumi. La pubblicazione dell'Encyclopédie incontrò infatti diversi ostacoli e resistenze da parte dell'aristocrazia intellettuale di corte, vicina alla Sorbona, e da parte della Chiesa cattolica: il governo francese ne bloccò per due volte la stampa e gli ultimi due volumi dovettero uscire clandestinamente. Ciò nonostante l'Enciclopedia fu interamente pubblicata negli anni fra il 1751 e il 1772, e ottenne un grande successo sia in Francia che nel resto d'Europa, dove il francese era ormai divenuto la lingua delle persone colte.

L'Enciclopedia si propone di eliminare dal sapere sino allora acquisito ogni connotazione non provata razionalmente e quindi ordinare con un criterio alfabetico le nostre conoscenze: questo compito

« consiste nel riunirle nel più piccolo spazio possibile, ponendo il filosofo al di sopra di questo vasto labirinto, in una prospettiva così elevata da poter considerare insieme le scienze e le arti principali, da poter vedere con un colpo d'occhio gli oggetti delle proprie speculazioni e le operazioni che può compiere su tali oggetti, e da poter distinguere i principali settori delle conoscenze umane, i punti che li separano e quelli che li uniscono, intravedendo anche, in qualche caso, i cammini segreti che li congiungono. [...][12] »

I criteri di compilazione risponderanno a questi punti principali: il metodo analitico per la filosofia sulla base dell'empirismo lockiano e il metodo della fisica newtoniana sulla base del pensiero baconiano da cui D'Alembert, riprendendone la tripartizione di memoria, ragione e immaginazione, vi fa corrispondere storia, filosofia e arte.[13] Gli articoli dell'Enciclopedia trattano i più svariati argomenti con un tono ora rivoluzionario ora apparentemente ingenuo. Emergono dall'opera anche le nuove concezioni dell'economia con la glorificazione della macchina, del nuovo sistema industriale e le nuove teorie fisiocratiche che fondano la ricchezza di una nazione su i beni e i prodotti naturali cioè sull'agricoltura.

 
Voltaire

Come banditore del nuovo sapere si affianca all'Enciclopedia l'opera di Voltaire che inizia la sua carriera letteraria come drammaturgo, poeta e autore di pamphlets (opuscoli satirici e polemici), saggi, satire e racconti brevi nei quali divulga la scienza e la filosofia della sua epoca. Il filosofo intrattiene inoltre una voluminosa corrispondenza con scrittori e sovrani europei. Egli riprende tutti i temi tipici dell'illuminismo difendendoli con uno spirito caustico che non risparmia filosofi, clero e sovrani ma che non gli pone remore nell'accettare l'incarico di consigliere di Federico II di Prussia.

Voltaire crede nel progresso annunciato dall'illuminismo ma non è disposto a farne un dogma: «un giorno tutto andrà meglio ecco la nostra speranza; ogni cosa va bene, ecco la nostra illusione»; critica il pessimismo ma beffeggia l'ingenuo ottimismo di Leibniz.[14] Al fondo del pensiero di Voltaire vi è la concezione dell'uomo ormai padrone della natura e facitore di un mondo né ottimisticamente esaltato né pessimisticamente condannato come il peggiore dei mondi possibili. Occorre «lasciare andare il mondo come va, perché, se tutto non è bene, tutto è passabile».[15]

La conoscenza

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La conoscenza fondata sulle potenzialità interiori della stessa ragione si svolge nel campo del finito e del limitato secondo l'insegnamento di Locke. Occorrerà fornire quindi la ragione di un metodo oggettivo rappresentato dall'analisi matematica che faccia affidamento più all'aritmetica che alla geometria poiché quest'ultima, come si è visto in Cartesio, può portare a elaborazioni metafisiche sganciate da ogni esperienza.

L'aritmetica invece, è uno strumento di ricerca che deve necessariamente riferirsi all'esperienza fonte di ogni contenuto concreto. La stessa aritmetica permette di trovare tra i fatti analizzati dei principi invariabili e una legge: «La ricerca ci conduce ben presto all'aritmetica, cioè alla scienza dei numeri. Essa non è altro che l'arte di trovare, in modo abbreviato, l'espressione di un rapporto unico che risulta dalla comparazione di vari altri».[16]

Il discorso iniziato da Galilei e concluso da Newton arriva dunque a compimento con l'illuminismo, che estende il metodo analitico dai fatti fisici a quelli sociali, etici e psichici, in breve, a tutta le realtà umana:

« Analizzare non è altro che osservare successivamente le qualità di un oggetto allo scopo di disporle nello spirito secondo l'ordine simultaneo in cui esistono...Nessun altro metodo può supplire all'analisi, né può spandere la stessa luce: di ciò avremo la prova ogni volta che vorremo studiare un oggetto un po' complicato. Non abbiamo inventato questo metodo; l'abbiamo semplicemente trovato, e non abbiamo a temere che esso ci inganni.[17] »

L'illuminista si dichiara nemico del sistema, inteso come la pretesa di definire una volta per tutte la realtà, partendo da principi fissi e determinati, com'era in Cartesio, ma adopera lo spirito sistematico iniziando dai fatti: un atteggiamento sistematico inteso come una ricerca razionale per la conoscenza dei fatti dopo averli analizzati rifiutando ogni impostazione aprioristica e arrivando alla definizione di leggi generali solo dopo l'accurato esame dei fatti stessi.

« Finché le cose sono soltanto nella nostra mente, esse sono nostre opinioni: esse cioè sono nozioni che possono essere vere o false, a cui si può consentire o che si può contraddire. Esse acquistano consistenza soltanto collegandosi agli oggetti esterni. Questo legame avviene in virtù di una catena ininterrotta di esperienze, oppure in virtù di una catena ininterrotta di ragionamenti connessi da un lato con l'osservazione e dall'altro con l'esperimento, oppure in virtù con una catena di esperimenti sparsi di luogo in luogo, in mezzo a determinati ragionamenti, come pesi disposti lungo un filo sospeso tra due estremità. Senza questi pesi il filo diverrebbe preda di qualsiasi agitazione che movesse l'aria.[18] »

Il mondo è una macchina che ha un ordinamento di leggi al suo interno che esclude qualsiasi teoria finalistica:

« Lo scienziato, la cui professione è quella di istruire e non già di edificare, lascerà da parte il perché, guardando solamente al come. Il come si trae dagli esseri, e il perché dal nostro intelletto... Quante idee assurde, quante false supposizioni, quante nozioni chimeriche si trovano negli inni che alcuni temerari difensori delle cause finali hanno osato comporre in onore del Creatore![19] »

Il rifiuto di ogni metafisica e la visione naturalistica della realtà non comporta per gli illuministi una concezione materialismo|materialista, che anzi in genere essi rifiutano[20]: «Voltaire non si sente l'animo di decidersi né per il materialismo né per lo spiritualismo. Egli ripete spesso:«Come non sappiamo che cosa sia uno spirito, così ignoriamo cosa sia un corpo».[21]

Il materialismo secondo gli illuministi non è altro che un falso travestimento della vecchia metafisica che vuole offrire la facile spiegazione onnicomprensiva e totale dell'universo. Se essi sostengono talora il materialismo lo fanno per ragioni politiche e morali come polemica ed estrema protesta contro le imposizioni politiche e religiose del loro tempo. Solamente il D'Holbach sostiene in maniera convinta e scientifica la concezione materialistica[22]

La concezione della storia

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Attraverso l'esame critico della storia, l'illuminista può riconoscere la continuità dell'opera della ragione e denunciare gli errori e le contraffazioni con cui erano state tramandate sino ad allora le vicende umane allo scopo di mantenere gli uomini nella superstizione e nell'ignoranza. Nella storia così come sinora veniva presentata «si vedono gli errori e i pregiudizi susseguirsi via via e cacciare in bando la verità e la ragione».[23]

Pierre Bayle per primo si dedicherà nel suo Dizionario storico e critico (1697) alla compilazione di una «raccolta degli errori e delle falsità» da cui deve essere epurata la storia come fino ad allora è stata presentata. Egli è un minuzioso e preciso raccoglitore di fatti attestati da documenti e testimonianze così numerose che Ernst Cassirer (1874-1945) lo considera il fondatore dell'acribia storica.

« [Lo storico] deve dimenticare che appartiene a un certo paese, che fu educato a una data fede, che deve riconoscenza a questo o a quello e che questi o quegli altri sono i suoi parenti o i suoi amici. Uno storico in quanto tale è come Melchisedec, senza padre, senza madre, senza genealogia. Se gli si domanda da dove viene deve rispondere...sono abitante del mondo; non sono al servizio dell'imperatore, né al servizio del re di Francia ma solo al servizio della verità...[24] »

Il criterio sommo dunque della ricerca, per lo storico neutrale, è quello di scoprire come vera storia quella che segna la vittoria della ragione sull'ignoranza e per questo dall'illuminismo viene condannato in blocco il medioevo come età di fanatismo e oscurantismo religioso mettendo da parte gli aspetti positivamente culturali di quel periodo.

La mutevolezza degli avvenimenti storici è solo apparente: al di là di queste differenze l'illuminista coglie il lento ma costante emergere sulla superstizione e l'errore l'elemento immutabile della ragione:

« Tutto ciò che deriva dalla natura umana si assomiglia da una parte all'altra dell'universo; invece tutto ciò che può dipendere dalla consuetudine è differente, e può risultare simile soltanto per caso...invece la natura ha diffuso l'unità stabilendo ovunque un piccolo numero di princìpi invariabili: così il fondamento è ovunque lo stesso, mentre la cultura produce frutti diversi.[25] »

Per Lessing la storia, come ricerca della verità comincia solo con l'Illuminismo, tutto ciò che l'ha preceduta è una sorta di "pre-istoria".[26]

Sarà il Romanticismo a rilevare nella concezione illuminista della storia la mancanza di una visione unitaria e concreta che originava dall'astrattezza del concetto astorico di ragione che da loro viene identificato con la pura e semplice naturalità. Gli illuministi, cioè, non colgono l'interdipendenza tra l'uso della ragione che opera nella storia e le vicende economiche, sociali e culturali che realmente si sviluppano nella storia; essi riportano ogni differenza o sviluppo nella storia all'opposizione ragione-ignoranza.

Politica

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Da questa visione della storia dove prevale la ragione naturale universale ed eterna emergono i temi politici della tolleranza, uguaglianza sociale|uguaglianza e libertà intesi come valori politici naturali ed universali.

Ma l'uguaglianza per gli illuministi non comporta uguaglianza sociale o politica: l'essenziale è che il sovrano rispetti i diritti naturali: è trascurabile che egli sia un sovrano assoluto. È vero che ogni uomo per natura è uguale agli altri ma questo non comporta la parità tra i cittadini:

« Poiché la natura è la stessa in tutti gli uomini, è chiaro che secondo il diritto naturale, ognuno deve stimare e trattare gli altri come esseri che gli sono naturalmente uguali, cioè che sono uomini esattamente come lui...Tuttavia non mi si faccia il torto di supporre che per spirito di fanatismo io approvi in uno stato la chimera dell'uguaglianza assoluta che potrebbe appena nascere in una repubblica ideale; conosco troppo la necessità delle differenze di condizioni, di gradi, di onori, di distinzioni, di prerogative, di subordinazioni che devono regnare in tutte le formazioni sociali, e aggiungo anzi che non esiste incompatibilità tra queste differenze e l'uguaglianza naturale o morale.[27] »
 
Busto di Montesquieu

Così anche per il concetto della tolleranza l'illuminismo risente dei suoi limiti storici quando lo collega all'idea di emulazione e ai principi economici della libertà di scambio e della libera concorrenza:

« Entrate nella borsa di Londra, questo luogo ben più rispettabile di tante corti; vi troverete riuniti i rappresentanti di tutte le nazioni, in vista dell'utilità degli uomini. L'ebreo, il maomettano e il cristiano trattano tra loro come se appartenessero alla medesima religione, e qualificano infedeli soltanto coloro che fanno bancarotta. Il presbiteriano si fida dell'anabattista, e l'anglicano accoglie la promessa del quacquero.[28] »

La libertà e l'uguaglianza sono riconosciute per gli illuministi solo a coloro che sanno "bene usare" della ragione e se "per natura" ne sono incapaci è giusto che nella vita civile essi siano sottoposti a chi sa ben governare: il "popolo" che ha dimostrato di fare cattivo uso della ragione non conseguendo la proprietà (diritto)|proprietà privata va rispettato nella sua umanità ma va guidato dall'alto:

« come il cielo è distante dalla terra, così l'autentico spirito di uguaglianza è lontano dallo spirito di uguaglianza spinto all'estremo...Allora il popolo vuol far tutto da solo...e se non ci sarà più rispetto per gli anziani, non ce ne sarà per i padri; i mariti non otterranno più deferenza e i padroni non otterranno più sottomissione... Le donne, i bambini, gli schiavi non saranno più sottoposti a nessuno.[29] »

La semplice ragione non fa tutti uguali allo stesso modo: «è la proprietà che fa il cittadino»[30]

Le simpatie politiche degli illuministi sono rivolte alla monarchia costituzionale che per il suo carattere moderato dà garanzia di ordine e di pace favorendo l'uguaglianza oppure sono disposti a concedere fiducia anche al dispotismo illuminato: «La democrazia e l'aristocrazia non sono degli stati liberi per loro natura. La libertà politica si trova solo negli stati moderati, ma essa non esiste sempre negli stati moderati, essa c'è soltanto quando non si abusa del potere».[29]

La Natura e la ragione uguale per tutti rendono gli uomini fratelli al di là di ogni differenza etnica o nazionale. La fratellanza si traduce nell'ideale politico del cosmopolitismo.

Quando però la parola cosmopolite fu immessa nel 1762 nel vocabolario dell'Accademia francese se ne dava una connotazione negativa[31]: «Colui che non si riferisce ad una patria. Un cosmopolita non è un buon cittadino.» Il giudizio sul cosmopolitismo mutò radicalmente dopo gli avvenimenti della Rivoluzione francese e nell'edizione del vocabolario del 1798 appare scritto a proposito del termine cosmopolite: «Cittadino del mondo. Il termine si riferisce a colui che non si riferisce a una patria. Un cosmopolita considera l'universo come la sua patria».

 
Cesare Beccaria

Al di là dei limiti storici queste idee di libertà, uguaglianza tolleranza per merito degli illuministi divennero patrimonio comune della cultura della Francia che cercò di esprimerli nella Rivoluzione e poi di esportarle nel resto d'Europa.

Collegata alla visione illuministica della storia e alla fiducia nella ragione è l'idea fondamentale che il progresso dell'uomo, senza sottovalutare gli ostacoli posti dai diversi costumi e tradizioni, sia inarrestabile.

« Le nostre speranze sul futuro del genere umano possono venire riassunte in tre punti importanti: la distruzione delle diseguaglianze tra le nazioni, i progressi dell'uguaglianza all'interno di uno stesso popolo, ed infine il perfezionamento reale dell'uomo...Affrontando questi tre problemi troveremo - nell'esperienza passata e nell'osservazione dei progressi finora compiuti dalle scienze e dalla civiltà, nonché dall'analisi del cammino dello spirito umano e dello sviluppo delle sue facoltà - i motivi più forti per ritenere che la natura non ha posto alcun termine alle nostre speranze.[32] »

Gli illuministi, inoltre, criticarono pesantemente l'uso della tortura e della pena di morte portando a radicali riforme giudiziarie come quelle di Maria Teresa d'Austria e di Pietro Leopoldo. La principale opera in questo senso è il libro Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, molto ammirato da Voltaire e Diderot.

Religione e morale

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Tipico del pensiero illuminista è il rifiuto di ogni religione rivelata e in particolare del cristianesimo, ritenuto origine degli errori e della superstizione. Da qui la scelta del deismo come religione naturale e l'identificazione della religione con la morale.

Non considerando le posizioni materialistiche ed atee, come quelle dell'ultima fase del pensiero di Diderot, il deismo si ritrova nella maggior parte dei pensatori illuministi i quali, attraverso argomentazioni scientifiche, cercano di dimostrare l'esistenza di un Dio all'origine dell'universo. La meravigliosa macchina del cosmo fa infatti pensare che debba esserci come Aristotele#La filosofia: scienza delle cause e ricerca della causa efficiente, non causa finale, un "eterno geometra":

« Quando mi rendo conto dell'ordine, della prodigiosa abilità delle leggi meccaniche e geometriche che governano l'universo, dei mezzi e dei fini innumerevoli di tutte le cose, sono preso dall'ammirazione e dal rispetto...Io ammetto così quest'intelligenza suprema senza temere che mi si possa far cambiare opinione...Ma dov'è quest'eterno geometra? Esiste in qualche luogo oppure dovunque, senza occupare uno spazio? Non ne so nulla.[33] »

Un Dio quindi che non interverrà più nella creazione dell'universo che egli «lascia andare come va» e che non interferisce nella storia dell'uomo che alla fine non sarà né condannato né premiato per le sue azioni.

La guida dell'uomo nella sua condotta morale diviene una religiosità laicismo|laica, trasformazione della religione in morale naturale i cui precetti sono uguali per tutti gli uomini: «Per religione naturale si devono intendere i principi morali comuni a tutto il genere umano».[34] «I doveri a cui siamo tutti tenuti nei confronti dei nostri simili appartengono essenzialmente ed unicamente al dominio della ragione, e pertanto sono uniformi presso tutti i popoli. La conoscenza di questi doveri costituisce ciò che si chiama morale e rappresenta uno degli oggetti più importanti a cui la ragione possa riferirsi...»[35]

Tra i doveri naturali va annoverato il nuovo concetto rivoluzionario di tolleranza che viene spesso riferito alla vita economica applicando il concetto illuministico della ragione operativa, nel senso di giudicare la razionalità dai suoi risultati pratici:

« Se ognuno avesse la tolleranza che qui sostengo, in uno stato diviso tra dieci fedi religiose vi sarebbe la stessa concordia che sussiste in una città nella quale varie categorie di artigiani si sopportano reciprocamente, Il risultato sarebbe quello di una onesta emulazione a chi meglio riesce a segnalarsi per pietà, per buoni costumi, per coscienza.[36] »

Lo stesso valore di tolleranza non esclude che si possa professare la fede in una religione rivelata: questo però sarà consentito solo nell'ambito della morale privata e non in quello della morale pubblica:

« Reprimete con severità coloro che col pretesto della religione mirano a turbare la società, a fomentare sedizioni, a scuotere il giogo delle leggi; noi non siamo i loro apolegeti; ma non confondete con questi colpevoli coloro che vi chiedono solo la libertà di pensare, di professare il credo che giudicano migliore e che, per il resto, vivono da fedeli cittadini dello stato... Noi predichiamo la tolleranza pratica non quella speculativa, e si comprende a sufficienza la differenza che esiste tra il tollerare una religione e l'approvarla.[37] »

Diffusione dell'Illuminismo

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L'Illuminismo fu anche un movimento profondamente cosmopolita: pensatori di nazionalità diverse si sentirono accomunati da una profonda unità d'intenti, mantenendo stretti contatti epistolari fra loro. Furono illuministi Pietro Verri, Cesare Beccaria e Mario Pagano in Italia, Halle, Wolff, Lessing in Germania, Benjamin Franklin e Thomas Jefferson nelle colonie americane.

Durante la prima metà del XVIII secolo, molti tra i principali esponenti dell'Illuminismo furono perseguitati per i loro scritti o furono messi a tacere dalla censura governativa e dagli attacchi della Chiesa, ma negli ultimi decenni del secolo il movimento si affermò in Europa e ispirò la rivoluzione americana e successivamente quella francese.

Il successo delle nuove idee, sorretto dalla pubblicazione di riviste e libri e da nuovi esperimenti scientifici inaugurò una moda diffusa persino tra i nobili e il clero. Alcuni sovrani europei adottarono le idee e il linguaggio dell'Illuminismo. Gli illuministi, attratti dal concetto di filosofo-re che illumina il popolo dall'alto, guardarono con favore alla politica dei cosiddetti despoti illuminati, come Federico II di Prussia, Caterina II di Russia e Giuseppe II d'Austria.

La rivoluzione francese, specie nel periodo compreso tra il 1792 e il 1794, espressione dell'ala più rivoluzionaria dell'Illuminismo, che è stato definito come "radicale"[38] pose fine alla diffusione pacifica, ma talvolta anche solo elitaria, dell'Illuminismo e, per i suoi episodi più sanguinosi, viene citata come motivo per esprimere una valutazione negativa sull'Illuminismo.

Altri progetti

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  1. Andrea Tagliapietra, Silvia Manzoni, Che cos'è l'Illuminismo: i testi e la genealogia del concetto, Milano, Bruno Mondadori, 2000, pag. 186.
  2. .Immanuel Kant, Risposta alla domanda: che cos'è l'Illuminismo?, 1784
  3. D'Alembert, Elementi di filosofia, I
  4. I. Kant, Risposta alla domanda: che cos'è l'Illuminismo?, 1784
  5. J.J. Rousseau, Émile
  6. A. Ashley Cooper,Advice to an Author, Part III
  7. Da una lettera a Rousseau del 1755.
  8. Il termine "salotto letterario" apparirà soltanto nel XIX secolo ad opera della duchessa Laure Junot d'Abrantès (Cfr. Albert Tornezy, Un bureau d'esprit au 18e siècle: le salon de Madame Geoffrin (1895), Biblio Bazaar, 2009)
  9. In una lettera dell'abate Galiani a lui inviata da Napoli il 7 aprile 1770: «La philosophie, dont vous êtes le premier maître d'hôtel, mange-t-elle toujours de bon appétit?» (La filosofia, di cui voi siete il primo direttore d'albergo, mangia sempre con buon appetito?)
  10. Maria Luisa Betri ed Elena Brambilla, a cura di, Salotti e ruolo femminile in Italia. Tra fine del Seicento e i primi del Novecento, Marsilio, 2004.
  11. D'Alembert, Enciclopedia. Discorso preliminare
  12. D'Alembert, Enciclopedia, Discorso preliminare
  13. D'Alembert, Op. cit. cap. 2, 4
  14. Voltaire, Candido, o dell'ottimismo
  15. Voltaire, Le Monde comme il va racconto in Zadig e altri racconti filosofici, trad. it. Feltrinelli, pp.93-112
  16. D'Alembert, Enciclopedia, Discorso preliminare
  17. Condillac, Logica, 1
  18. D. Diderot, Sull'interpretazione della natura, § 7
  19. D. Diderot, Op. cit
  20. Un puro e semplice materialismo accompagnato da ateismo non è sempre chiaramente sostenuto da Claude-Adrien Helvetius e da Denis Diderot, mentre più radicali nella professione ateistica appaiono Julien Offray de La Mettrie, e Paul-Henri Dietrich d'Holbach. (In Cornelio Fabro La preghiera nel pensiero moderno, ed. di Storia e Letteratura, p.188)
  21. in Gaetano Capone Braga, La filosofia francese e italiana del settecento, Edizioni delle "Pagine critiche", 1920 p.63
  22. C. Fabro, Ateismo illuministico, in Introduzione all'ateismo moderno, Roma, Studium, 1969, pp. 390 e sgg.
  23. Centro piombinese di studi storici, Ricerche storiche, Volume 29, ed. L. Olschki, 1999
  24. P. Bayle, Dizionario storico e critico in Società filosofica italiana, Rivista di filosofia, Volume 46, Taylor, 1955
  25. Voltaire, Saggio sui costumu
  26. Andrea Tagliapietra, Che cos'è l'illuminismo: i testi e la genealogia del concetto, Pearson, 1997, p.65
  27. Enciclopedia, voce Uguaglianza naturale
  28. Voltaire, Lettere filosofiche
  29. 29,0 29,1 Montesquieu, Lo spirito delle leggi
  30. Montesquieu, Lo spirito delle leggi in Furio Diaz, Dal movimento dei lumi al movimento dei popoli: l'Europa tra illuminismo e rivoluzione, Il Mulino, 1986 p.246
  31. F. Bruni, Storia della lingua italiana
  32. Condorcet, Saggio di un quadro storico dei progressi dello spirito umano, Introduzione
  33. Voltaire, Questioni sull'Enciclopedia, articolo Ateo
  34. Voltaire in Enciclopedia Garzanti di Filosofia
  35. D'Alembert, Elementi di filosofia, VII
  36. Bayle, Commentario filosofico
  37. Enciclopedia voce "Tolleranza"
  38. M. C. Jacob, L'Illuminismo radicale, Bologna, Il Mulino, 1983 (Cfr. Rivista storica italiana, Volume 115, Edizioni scientifiche italiane 2003 p.286 e sgg.)