Chaim Potok e lo scontro culturale/Introduzione
Introduzione
modificaNonostante la statura monumentale nella storia ebraica del patriarca Abramo e del legislatore Mosè, gli ebrei non sono stati storicamente conosciuti come abramiti o figli di Mosè. Piuttosto, sono conosciuti come israeliti, i discendenti del nipote di Abramo che originariamente si chiamava Giacobbe (יַעֲקֹב: Yaʿaqov) e in seguito fu ribattezzato Israele (יִשְׂרָאֵל: Yisra’el). Nelle narrazioni della Genesi, Giacobbe è una figura poliedrica – padre, lestofante, marito, mistico – che famosamente genera quei figli che diventeranno poi i progenitori delle dodici tribù tradizionali. E nell'opera del romanziere ebreo-americano del ventesimo secolo, Chaim Potok, Giacobbe (ingl. Jacob) riappare, sebbene non nella sua persona biblica. A partire dal bestseller del 1967 The Chosen (Danny l'eletto) e proseguendo con numerosi altri romanzi, Potok crea una serie di giovani protagonisti ebrei la cui cultura religiosa conservatrice si scontra con elementi della più ampia società occidentale. In cinque di questi libri – The Promise ( La scelta di Reuven) (1969), My Name Is Asher Lev (Il mio nome è Asher Lev) (1972), The Book of Lights (Il libro delle luci) (1981), Davita's Harp (L'arpa di Davita) (1985) e The Gift of Asher Lev (Il dono di Asher Lev) (1990) – il personaggio principale subisce l'influenza di un uomo più anziano, spesso un insegnante di qualche tipo, di nome Jacob (o Jakob) che ha un forte effetto sulla vita del protagonista. In The Promise, è Jacob Kalman, un insegnante fermamente tradizionalista che minaccia di bloccare il percorso dello studente verso l'ordinazione rabbinica (semikhah). Nei due libri di Asher Lev, è lo scultore-pittore modernista Jacob Kahn, il mentore artistico del giovane personaggio chassidico del titolo. In The Book of Lights, è l'accattivante accademico Jakob Keter, che attira un seminarista rabbinico nel mondo esoterico della Cabala. E in Davita’s Harp, è il fragile Jakob Daw, un narratore di storie enigmatiche che fa amicizia con la giovane figlia di comunisti americani.
Questo nostro studio sosterrà che le "figure di Giacobbe" sono contrassegnate da due caratteristiche distinte: la prima relativa al loro nome (Jakob), la seconda relativa alla loro funzione letterario-filosofica nei singoli romanzi. Nel primo aspetto, questi personaggi e le trame in cui sono coinvolti fanno eco a varie sfaccettature delle narrazioni bibliche di Giacobbe a tal punto che il patriarca diventa una sorta di meta-personaggio per Potok.[1] In quest'ultimo aspetto, le figure di Giacobbe nei singoli libri agiscono come rappresentanti o incarnazioni delle visioni del mondo che si scontrano. Secondo Potok, il suo tema coerente è la "guerra culturale": il confronto tra l'umanesimo secolare dell'Occidente, con la sua mancanza di assoluti, e le sottoculture (in particolare l'ebraismo tradizionalista) che possiedono dati inalterabili.[2] "The Promise riguarda il confronto con la critica testuale" afferma Potok in un'intervista. "My Name is Asher Lev parla di un confronto con l'arte occidentale. Davita’s Harp riguarda l'utilizzo dell'immaginazione umana come un modo per venire a patti con una realtà insopportabile".[3] Pertanto, in The Promise, Kalman incarna l'ebraismo ultraortodosso che rifiuta gli strumenti intellettuali che il secolarismo occidentale apporta allo studio dei testi religiosi; in My Name Is Asher Lev e nel suo sequel, Kahn è l'uomo la cui preoccupazione principale è l'arte dei goyim, non il Dio di Israele; in Davita’s Harp, Daw crea per il personaggio del titolo una serie di storie che tentano di affrontare lo sconvolgimento nel suo mondo personale e filosofico. E in The Book of Lights, Keter è un rappresentante della religione e delle sue possibilità di illuminazione spirituale in opposizione alla scienza la cui ricerca nel reame della fisica nucleare è responsabile della "luce letale" di Hiroshima.
Nell'esplorazione di questi ruoli, studenti e critici della letteratura americana del ventesimo secolo potranno ottenere nuove intuizioni non solo sull'arte letteraria di Potok, ma anche su un mondo ebraico religioso che a volte è stato trascurato dagli scrittori americani e non è granché familiare per molti lettori. Kathryn McClymond afferma che "gli scrittori ebrei americani più acclamati dalla critica, quasi senza eccezioni", propongono o un rifiuto o una secolarizzazione dell'ebraismo".[4] I critici, dice McClymond, in genere si sono concentrati su "un certo tipo di esperienza ebraica americana" tipica delle opere di Saul Bellow, Bernard Malamud e Philip Roth;[5] per questi commentatori letterari, la scelta è se essere "un ebreo tradizionale o un americano secolarizzato — il che implica che non si può essere entrambi".[6] Kremer parla in modo un po' sbrigativo dei "vincoli del tema dell'immigrazione/assimilazione" e "la popolare scuola di satira sociale rothiana con il suo cast di ebrei suburbani stereotipati composto da madri dominatrici, padri inefficaci, figlie viziate e figli lagnosi",[7] come anche degli autori "il cui materiale ebraico serve solo ad arricchire solo la trama sociologica dei loro romanzi".[8]
Tuttavia, Kremer considera altri scrittori nelle cui opere "il pensiero ebraico, i precursori letterari e la storia" ricevono un posto d'onore: "Una parte significativa della narrativa ebraico-americana contemporanea è pervasivamente ebraica nella sua insistenza morale e nel suo riferimento ai testi ebraici".[9] Chaim Potok, con i suoi racconti in cui lo studio del Talmud e l'osservanza dei comandamenti sono dati per scontati tanto quanto il mangiare e il bere, è un tale tipo di scrittore — ma uno il cui lavoro, nonostante il suo frequente status di bestseller, è stato trascurato dall'accademia letteraria. Una maggiore attenzione ai romanzi di Potok porterà preziose sfumature allo studio della letteratura ebraico-americana e aiuterà anche i lettori a comprendere le comunità in cui la fede è un fattore decisivo nella vita quotidiana — una comprensione che diventa tanto più importante in un mondo in cui la religione può esercitare una forte influenza a livello locale, nazionale e persino internazionale, dati i tempi difficili in cui correntemente viviamo.
Note
modificaPer approfondire, vedi Identità e letteratura nell'ebraismo del XX secolo. |
- ↑ In effetti, il critico S. Lillian Kremer vede My Name Is Asher Lev come "ricolmo di allusioni bibliche" ("Dedalus", 28).
- ↑ Ribalow, 4.
- ↑ Kauvar, 69.
- ↑ Kathryn McClymond, "The Chosen: Defining American Judaism", 13.
- ↑ Kathryn McClymond, 21.
- ↑ Kathryn McClymond, 18.
- ↑ "Post-alienation", 589.
- ↑ "Post-alienation", 575.
- ↑ Ibid., 571.