Boris Pasternak e gli scrittori israeliani/Parte I

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"I Figli Pasternak", ritratto di Leonid Pasternak, 1914: (da sin.) Boris, Josephine, Lydia, Alexander Pasternak – In occasione del 25° anniversario di matrimonio dei genitori

Я ими всеми побежден,
И только в том моя победа.

Da loro tutti io sono vinto
E solo in questo è la mia vittoria.

Boris Pasternak, “Rassvet” ("L’alba"),
Il dottor Živago

Del granello ebraico

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I principali giornali israeliani riferirono regolarmente gli sviluppi dell’"Affare Pasternak"; i documenti e i proclami apparsi sulla stampa sovietica furono immediatamente tradotti e pubblicati. Nonostante ciò, non si può dire che il pubblico israeliano fosse eccessivamente occupato da questa faccenda Pasternak. Numerosi brevi avvisi/articoli, in particolare quelli che informavano il pubblico in merito all'assegnazione del Premio Nobel a Pasternak, apparvero sulle prime pagine dei giornali. Tuttavia, gli ulteriori sviluppi furono per lo più spinti ai margini e lsciati da parte, rimpiazzati, come al solito, dalla burrascosa vita politica di Israele e del Medio Oriente e dai drammatici eventi delle attività di Krusciov nella Guerra Fredda, incluso il progressivo deterioramento delle relazioni tra Israele e l'URSS. Un argomento legato a questo tumulto politico deve aver avuto un impatto particolarmente forte sulla reazione a Živago: l'ampia discussione politica, intellettuale e pubblica di due questioni: in primo luogo, la questione di "chi è ebreo?", come dovesse essere determinato l'ebraismo di un cittadino israeliano — sia a livello giuridico che culturale.[1] In secondo luogo, e in parte collegata alla prima, c'era la questione di quale sarebbe stato il futuro del rimpatrio di ebrei dall'URSS e dai paesi della sfera socialista. Queste due domande furono unificate nella questione dello status ebraico e del rimpatrio della comunità etiopica conosciuta come Beta Israel. Due anni dopo, nel maggio 1960 — quando apparvero per la prima volta le notizie sulla morte di Pasternak e nei mesi successivi — la vita pubblica e, in larga misura, l'autocoscienza pubblica e la consapevolezza dell'Olocausto in Israele furono infiammate dalla cattura e detenzione di Adolf Eichmann. Questi eventi del 1958 e del 1960 sicuramente fornirono il contesto conflittuale riguardo all'accettazione di Živago.

 
Copia dell'edizione originale de Il dottor Zivago in russo, pubblicata di nascosto dalla CIA. La copertina e la rilegatura identificano il libro in russo; il retro del libro afferma che è stato stampato in Francia

Nel 1958, i periodici israeliani iniziano ad occuparsi di Živago con la pubblicazione di articoli tradotti (o estratti e recensioni di articoli) e lettere: da parte di attivista politico e saggista italiano Nicola Chiaromonte (Davar, 28 febbraio 1958); di Alberto Moravia (Davar, 27 giugno 1958);[2] del politico e scrittore jugoslavo Vladimir Dedijer (Davar, 7 novembre 1958); del giornalista americano Joseph Alsop (una lettera esclusiva per Davar, 14 novembre 1958); e dello scrittore e studioso americano Edmund Wilson (Davar, 10 luglio 1959).[3] Nel giugno 1958, un giornale politico-letterario, Molad, pubblica la traduzione dell'articolo di Max Hayward, il traduttore (insieme a Manya Harari) di Živago in inglese. Loda Živago come il miglior romanzo in lingua russa del XX secolo, e Pasternak prende il suo posto lungo la rispettata linea che porta da Gogol a Cechov.[4] Già nell'ottobre del 1958, Molad dedica metà dell'edizione ai materiali tradotti su Pasternak e Živago: un capitolo del romanzo (dalla Parte 11); articoli dei critici John Michael Cohen[5] e Stuart Hampshire;[6] e un breve saggio di un giornalista tedesco, Gerd Ruge, sul suo incontro con Pasternak all'inizio di quell'anno.[7] Insieme agli articoli tradotti, quel numero includeva anche l'articolo di K. Kadmai, uno scrittore del Molad e autore di numerosi articoli politico-culturali sugli affari dell'URSS: "The Revealed and Concealed in the Pasternak Affair". Secondo K. Kadmai, il romanzo è "moderato e oggettivo" e non include "falsità, diffamazioni o menzogne"[8] sulla rivoluzione e il ruolo dell’intellighenzia in essa. L'autore vede il rifiuto finale di pubblicare Živago nell'Unione Sovietica nel contesto politico delle risposte reazionarie in Polonia e in Ungheria nel 1956.[9] Tuttavia, la ragione principale di ciò è la lunga paura dei bolscevichi per il potere interiore dell’intellighenzia: "Non è una novità che Boris Pasternak non possa ‘digerire’ la rivoluzione. La vera notizia, che avrebbe scosso l'URSS se il libro fosse uscito, e che ha suscitato stupore in tutto il mondo, mondo che ora sta leggendo il libro, è che nel corso dei suoi quarant'anni la rivoluzione non è riuscita a ‘digerire’ Pasternak!"[10]

Due lunghi articoli apparvero sul giornale Davar (31 ottobre 1958): uno (a cura dell'editore), "The Voice that Breaks through the Iron Curtain", esaminava la storia dell'"affare", mentre l'altro, firmato "A.Z." e intitolato "Boris Pasternak" — erano entrambi eccezionalmente favorevoli. Tra gli altri superlativi, "A.Z." scrive di Živago: "Per la prima volta, uno scrittore sovietico – che è anche ebreo – coi suoi pensieri e le sue immagini crea la figura di un profeta che sacrifica la sua vita, elevandosi al di sopra di governo e violenza". Una delle prime e più profonde reazioni fu un articolo apparso sul giornale LaMerhav (31 ottobre 1958), scritto da A. Ben-Azay. Avendo osservato il processo di creazione del romanzo e la sua pubblicazione, e descritto con stupore la reazione delle autorità e degli scrittori russi, Ben-Azay chiede: "Qual è il suo peccato?"[11] Ma non c'è risposta.

 
Vignetta sul St. Louis Post-Dispatch del 30 ottobre 1958, traduce: "Io ho vinto il Premio Nobel per la letteratura. Qual è stato il tuo crimine?" Commento al trattamento da parte del governo sovietico dell'autore vincitore del Nobel Boris Pasternak, costretto a rifiutare il Premio. Questo fumetto ha vinto il Premio Pulitzer del 1959 per il miglior fumetto editoriale

Dan Pinnes (1900-1961) fu il capo dell'organizzazione Ha-khalutz e un attivista sionista in Russia fino al 1930; giornalista, pubblicista e politico che pubblicò ampiamente in periodici russi, yiddish, ebraici e inglesi; lessicografo e autore di numerosi libri storico-biografici; una delle figure di spicco del giornale israeliano Davar; e il fondatore del giornale Omer. Su Omer, il 31 ottobre 1958, Pinnes pubblicò un articolo intitolato "Boris Pasternak—Reality and Symbol", sottolineando il suo punto principale nel sottotitolo: "Zhivago - ‘A Wandering Jew’ denies his Jewishness".[12] Pinnes interpreta, quasi seriamente e abbastanza sorprendentemente, il nome Zhivago come "Juif" ("giudeo" in francese) "vago" ("vagabondo", dal latino "vagus") — un simbolo dell'Ebreo Errante che non conosce la sua origine. Dal momento che uno del calibro di Pinnes non poteva sbagliarsi riguardo al vero significato di questo nome in russo, la sua interpretazione doveva essere volutamente provocatoria. Da un lato accenna al tema dell'ebreo errante (Ahasuerus) della leggenda medievale, che fu punito per il suo rifiuto di aiutare Gesù sofferente. Ciò avrebbe potuto avere senso all'interno del tema ebraico nel romanzo, in particolare per quanto riguarda la poesia di Živago "Miracolo", in cui un fico è punito per lo stesso peccato (si veda sotto la nostra discussione sul saggio di Aharon Reuveni per il confronto con il racconto di Gogol "La terribile vendetta" e il tema dell'eterna maledizione). D'altra parte, il presunto "vagabondo" nel nome Zhivago avrebbe potuto riferirsi al tema dell'Olocausto, collegando così le ideologie cristiane e naziste della "non esistenza" degli ebrei. Inoltre, il tema dell'Ebreo Errante può anche essere collegato al problema dei campi di concentramento sovietici — a cui gli ebrei dell'Europa orientale salvati dai campi nazisti, nonché critici yiddish come Y. Rappoport nel suo articolo su Heimish dell'ottobre 1959, erano estremamente sensibili, come scrive Katsis.[13] A questo proposito, le parole di Pinnes sulla tragedia, citate di seguito, diventano più chiare.

Sin dall'inizio, avendo dichiarato che Živago è una grande opera letteraria perché il problema della personalità è al suo centro, Pinnes proclama drammaticamente che "per noi, c'è un problema specificamente ebraico in questo romanzo. E questo problema è molto tragico. Forse a causa di questo tragico punto ebraico, le esitazioni interne dell'autore sono così autentiche. E forse proprio per questo Pasternak è stato recentemente ‘amato e abbracciato’ in campi differenti". Inoltre, dopo aver esaminato i primi periodi di Pasternak, Pinnes ricorda due incontri che, raccomandato al poeta da Isaak Babel, ebbe con Pasternak nel 1925-1926. Pinnes invitò Pasternak a scrivere per Davar e, naturalmente, venne rifiutato.

Infine, Pinnes affronta il tema ebraico nel capitolo in modo abbastanza eloquente intitolato "Shame and Misunderstanding (= Vergogna e incomprensione)". Dato che questo tema è menzionato anche in altre pubblicazioni, in questo studio citeremo le sue principali espressioni in Živago — le famose parole di Misha Gordon, l'amico d'infanzia di Živago, in due punti. Il primo:

« Fin dal tempo cui poteva risalire col ricordo, non aveva cessato di domandarsi come, pur con le stesse braccia e le stesse gambe, con lingua e abitudini identiche, si potesse essere qualcosa di diverso dagli altri, qualcosa, anzi, che piaceva a pochissimi e che molti non amavano. Non riusciva a capire perché se qualcuno è peggiore degli altri non possa cercare di correggersi e di diventare migliore. Che significa essere ebreo? Perché questo è possibile? Cosa compensa o giustifica questa sfida disarmata che non porta altro che dolore? »
(Il dottor Živago, 13[14])

Il secondo — dopo che Živago e Gordon hanno assistito a cosacchi che tormentavano il vecchio ebreo:

« ...E abbiamo anche parlato degli uomini politici mediocri, che non hanno niente da dire alla vita e al mondo, forze di second’ordine, interessate a delimitare e rimpicciolire tutto, a far sì che sempre si parli di un qualche popolo, preferibilmente piccolo e perseguitato, perché si possa dar giudizi, pavoneggiarsi e mettere a profitto la pietà. La vittima classica, per eccellenza, di queste forze sono gli ebrei. L'idea nazionale ha imposto loro la letale funzione di restare popolo e solo popolo per il corso dei secoli, quando proprio la forza un tempo sprigionatasi dalle sue file ha liberato tutto il mondo da questo umiliante destino. È incredibile! Come è potuto succedere? Questa festa, questa gioiosa liberazione dal dannato obbligo della mediocrità, il librarsi al di sopra della grettezza della vita quotidiana, tutto questo è nato sulla loro terra, è stato espresso nella loro lingua e apparteneva alla loro razza. Ed essi che hanno visto e sentito tutto questo, se lo sono lasciato sfuggire! Come hanno potuto lasciare che si allontanasse da loro un'anima di così eccezionale forza e bellezza, e come hanno potuto, proprio mentre si compiva il suo trionfo e insediamento, come hanno potuto accettare di rimanere come il vuoto involucro del prodigio che avevano respinto? A chi giova questo martirio volontario, a che cosa è servito che per secoli siano stati derisi ed abbiano versato il proprio sangue tanti innocenti, vecchi, donne, bambini, così sensibili e capaci di bene e di comunanza d'affetti? Perché sono così pigramente ottusi, in tutti i paesi, quelli che scrivendo si atteggiano a difensori del popolo? Perché coloro che dominano il pensiero di questo popolo non sono andati oltre la troppo facile espressione del dolore del mondo e della saggezza ironica? Perché, rischiando di esplodere sotto l'indeclinabilità dei loro dovere, come le caldaie a vapore esplodono sotto la pressione, non hanno disciolto questo esercito, che non si sa per che combatta e per che sia massacrato? Perché non hanno detto: "Ravvedetevi. Basta. Non serve più. Non chiamatevi più come prima. Non raccoglietevi in gruppo, scioglietevi. Siate con tutti. Voi siete i primi e i migliori cristiani del mondo. Voi siete appunto ciò a cui vi hanno contrapposto i peggiori e i più deboli di voi." »
(Živago, 122-123)

Gordon, osserva Pinnes, sembra accusare l'ebreo di essere ebreo, piuttosto che il cosacco per aver picchiato l'ebreo. Pertanto, "Pasternak-Zhivago ha resistito al tormento riguardo alla dignità umana, in generale, ma ha fallito il tormento nel caso della dignità del suo Popolo". Pasternak cerca, continua Pinnes, il santuario tra le mura della più potente Chiesa, ciò che provoca ai critici cristiani una sublime gioia e simpatia per Pasternak, come nel caso di Sholem Asch. Pertanto, il confronto di Pinnes tra Pasternak e Asch (1880-1957) – autore di alcuni romanzi scandalosamente conosciuti in yiddish su Gesù (Il Nazareno) e altre figure evangeliche (Maria e L’apostolo) – sebbene difficilmente giustificabile in sé, testimonia del contesto in cui Pasternak viene considerato: nonostante il contenuto estremamente traumatico e umiliante, e nonostante la lingua e la cultura russa delle sue opere, Pasternak è uno scrittore ebreo. Leonid Katsis ha menzionato il plauso a Živago del critico americano yiddish, Hayim Lieberman, plauso incluso nell'annotazione della traduzione yiddish del romanzo (1959). Katsis sottolinea che ciò è particolarmente significativo, visti i gravi attacchi di Lieberman contro Asch, in particolare nel suo libro The Christianity of Sholem Asch pubblicato nel 1953.[15]

Il 7 novembre 1958 uno dei maggiori quotidiani israeliani, Maariv, pubblicò un articolo di Yosef (Tommy) Lapid, intitolato "The Tragedy of Man and Literature. Israeli Writers about the Pasternak Affair (La tragedia dell'uomo e della letteratura. Gli scrittori israeliani sull'Affare Pasternak)" consistente in una serie di interviste (ristampate con variazioni nel quotidiano Heruth il 18 novembre). Il termine "tragedia" nel titolo, che sembra profetico ma difficilmente appropriato in quel momento, potrebbe essere un'eco delle idee di Živago, piuttosto che la condizione di Pasternak. Yosef Lapid (1931-2008), giornalista e futuro fondatore del partito Shinui; membro del Knesset (1999-2006); e ministro del governo israeliano (2003-2006), raggruppa diversi importanti scrittori israeliani di sinistra e destra (secondo la mappa politica israeliana) e riporta le loro opinioni, rilevando tuttavia che non hanno ancora letto Živago. I sinistrorsi, Avraham Shlonsky, Lea Goldberg e Moshe Shamir si rifiutarono di parlare (il saggio di Shamir è discusso di seguito). Il famoso poeta, Alexander Penn (1906-1972), conosceva personalmente Pasternak ed era stato significativamente influenzato dalla sua poesia.[16] Risponde al giornalista con ostentata indifferenza, accusando lui e i suoi colleghi di non essersi preoccupati prima della situazione di Pasternak. Avigdor Hameiri (1890-1970), scrittore, poeta, traduttore, drammaturgo ed editore, vede Pasternak come unico erede di Puškin; e come "il poeta della verità che non ha rinunciato al suo credo ma ha liberato la sua arte"; e come "un santo, perché non ha temuto di farlo".[17] Max Brod (1984-1968) elogia Pasternak il poeta come uno dei più grandi scrittori del mondo. Yizhar Smilansky (S. Yizhar, 1916-2006), uno dei migliori scrittori in ebraico del XX secolo, afferma che "l'Affare Pasternak è scandaloso, e il suo destino di scrittore e uomo suscita simpatia e compassione. L'unico punto importante qui è la libertà di un intellettuale di parlare; a qualcuno può piacere e ad altri no." E aggiunge: "Non c'è dubbio che questa vicenda includa anche il punto ebraico, ma a questo proposito il quadro non è ancora chiaro".[18]

Il breve articolo termina con le parole brusche ma significative di colui che è forse il più grande poeta ebraico moderno, Uri Zvi Grinberg (1896-1981), che deve aver rappresentato l'ala politica di destra, secondo il raggruppamento di Lapid: "Non denigro l'importanza del Affare Pasternak, ma oggi, qui in Israele, stiamo affrontando grandezza o estinzione. Non c'è modo di sfuggire alla vita media, che non è certo un idillio. Abbiamo raggiunto l'onere crudele dello stato indipendente, che è molto più difficile sotto ogni aspetto rispetto all'onere degli esiliati. Vedo ora tutti questi affari, che non sono affari nostri, come una sorta di distrazione da ciò che accade intorno a noi. Ciò è per noi fatale. Non intendo occuparmi dell'Affare Pasternak."[19] Grinberg non è indifferente al destino del suo amico di penna, come scrive A. Gai, il giornalista di Heruth, dove le interviste sono ristampate.[20] È comunque interessante notare che, nel suo tentativo di evitare discussioni sull'Affare Pasternak, Grinberg entra effettivamente nel dialogo su Živago, che non ha nemmeno letto. Politicamente, le sue parole su "grandezza o estinzione" possono essere applicate a qualsiasi momento della storia di Israele (per lo meno nel 1958) e non solo di Israele. Non vi è dubbio che tali "momenti fatidici" siano il motivo principale delle poesie di Grinberg, di Živago e di molte altre opere di Pasternak. Živago è la storia di come costruire il nuovo stato sia molto più difficile che intraprendere una rivoluzione, non dal punto di vista pratico, ma piuttosto da un punto di vista etico e umano. In tali momenti storici, non è necessario avere idee astratte universali, ma concentrarsi al massimo sulla "nostra attività", su "cosa sta succedendo intorno a noi". Questo consiglio anti-universalista di Grinberg sembra una risposta diretta (sebbene immaginaria) al consiglio di Pasternak (di Gordon) sull'assimilazione. Invece di proporre progetti grandiosi per risolvere problemi metafisici e raggiungere l'armonia mondiale, Misha Gordon (insieme a tutta l’intellighenzia russa) avrebbe dovuto pensare alle conseguenze etiche e umane dell'avventuroso "affare" a cui prese parte. E alla fine, a livello reale, come Grinberg non vuole occuparsi degli "affari" di Pasternak con il suo Stato, anche se (o proprio perché) Pasternak è un ebreo in esilio, così Pasternak non dovrebbe occuparsi degli "affari" dello Stato di Grinberg, anche se (o forse perché) questo è lo Stato ebraico. Sebbene questo dialogo fosse immaginario, è facile immaginare come al monologo di Gordon avrebbe risposto Grinberg, che nel 1923 aveva già pubblicato il suo famoso poema In the Kingdom of Cross (Nel regno della croce), che prevedeva l'Olocausto.

 
Il poeta israeliano Nathan Alterman, ca. 1952

Tuttavia, ovviamente le opinioni raccolte da Lapid non furono le sole reazioni agli eventi. Nathan Alterman (1910-1970), un rinomato poeta israeliano, reagì agli eventi che seguirono l'assegnazione del Premio Nobel a Pasternak nella sua rubrica settimanale poetica "The Seventh Column" ("Ha-tur ha-shvi'i") su Davar il 7 novembre 1958. L'immaginario "Discorso di A.S. Pushkin" a Pasternak esprime il sostegno incondizionato del poeta oppresso, insieme a un ironico accenno alla visione del mondo dell'autore di Živago: è diventato vittima delle forze e delle leggi della natura, di quelle caratteristiche dell'ambiente che ha volutamente evitato di descrivere e interpretare. Quali sono queste caratteristiche? Cosa c'è nel paesaggio di cui Pasternak ha volutamente evitato di parlare? "Tu sai, come lo so io, che il paesaggio è costituito non solo da ampi campi e pioppi ai margini della foresta."[21] E questo non è solo lo "spirito slavo". Pushkin (Alterman) definisce il romanzo come "il libro più russo di tutti i tempi", e sottolinea che il suo autore è stato chiamato "Giuda Iscariota" in Russia — caratteristica che viene presentata in contrapposizione alla "russicità" di Pasternak. Questo accenno all'ebraicità di Pasternak è usato da Pushkin, per così dire, come analogia alle allusioni delle sue stesse radici. Pasternak è stato frequentemente paragonato a Pushkin, e non solo per quanto riguarda le loro radici "straniere" come, ad esempio nella lettera di Cvetaeva (1931) ma, soprattutto, per quanto riguarda la collisione del loro conflitto-e-riconciliazione con il potere di Stato. Pertanto, entrambi rappresentano qualcosa di "strano" nel paesaggio, qualcosa che è, allo stesso tempo, una parte di questo paesaggio — per quanto inesprimibile o taciuto possa essere. Questo è il motivo per cui, per "Pushkin", Pasternak non ha dovuto spingersi così tanto oltre nel glorificare la Patria e giurare che, oltre i suoi confini, "sarebbe morto come sradicato dal suolo".

Per quanto ironico, l'empatia di Alterman è completamente dalla parte di Pasternak e la sua caratterizzazione di scrittori e critici sovietici come cacciatori, predatori e sciocchi non è ambigua, tutt'altro. In effetti, "Pushkin" chiama Pasternak "compagno", e "Majakovskij", altro personaggio della poesia e vicino di Pushkin, minaccia di protestare contro la dichiarazione dell'Unione degli Scrittori davanti a Stalin, Zinoviev e Bukharin. Tuttavia, il problema principale risiede su un piano assolutamente diverso: questa dichiarazione degli scrittori non è leggibile; Majakovskij non riesce proprio a comprenderla, "come se fosse scritta dai Tatari".[22] Pertanto, il "paesaggio", in cui Pasternak è attualmente radicato, non è né russo, né slavo, né cristiano, ma è piuttosto barbaricamente pagano. Tale paesaggio è esattamente ciò che è strano, estraneo e invasivo, invece delle persone come Pushkin e Pasternak con il loro "sangue straniero". Per riassumere, Alterman proclama in modo "politicamente corretto" che l'URSS non è il posto migliore per il poeta russo, specialmente quando non è la vera Russia, e specialmente quando il poeta non è del tutto russo.

 
Il poeta israeliano Nathan Zach, 1991

Un altro, seppur implicito, motivo per chiamare Pasternak "compagno" e per una così profonda empatia nei suoi confronti potrebbe essere la posizione di Alterman sulla scena della poesia israeliana alla fine del 1958. In qualche modo simile a Pasternak, solo un anno prima Alterman, uno dei poeti ebrei canonici, era ritornato alla sua "grande poesia", dopo una pausa di tredici anni (sebbene non del tutto un "silenzio" completo) con il libro City of the Dove (Città della colomba) (‘Ir ha-yona). Tuttavia, le nuvole si stavano già radunando sopra la sua testa: nel 1959 Nathan Zach, un altro grande poeta israeliano – un novizio, che aveva pubblicato il suo primo libro di poesie solo pochi anni prima – provocò col suo famoso articolo "Thoughts on Alterman's Poetry (Pensieri sulla poesia di Alterman)" ("Hirhurim 'al shirat Alterman")[23] una feroce controversia sulla poesia di Alterman, dubitando delle sue virtù ampiamente riconosciute. Zach accusò Alterman di figuratività decorativa, ritmo meccanico, linguaggio arcaico, razionalismo tendenzioso e astrattezza. Tuttavia, denunciando questa critica, l'accademico Dan Miron sottolineò la forza principale della poesia di Alterman, rimasta inosservata da Zach: "la creazione di simboli narrativi drammatici, di significative interpretazioni balladiche con significati multipli".[24] Queste parole, così come le seguenti, possono essere facilmente correlate a Pasternak, il romanziere, non meno che ad Alterman: "L'insolita ampiezza del campo di battaglia [in cui la poesia di Alterman intende agire] è evidente non solo nelle grandi vittorie di questa poesia ma anche nei suoi fallimenti, in cui il potere che si sente è misurato da ‘altri criteri’, quelli dell'eccezionale. In effetti, tali grandi fallimenti possono causare più interesse e credenza di parecchie piccole vittorie nella nostra poetica."[25] Nel 1958, sebbene questa discussione non fosse ancora avvenuta, Alterman stava già creando per sé la confraternita di Pushkin, Majakovskij e Pasternak al fine di costituire e preservare – sia per loro che per se stesso, e forse per tutta la sua generazione – il diritto essenziale a questi "altri criteri".

Il 17 novembre 1958, il quotidiano Haaretz riferì di un nuovo libro che era stato pubblicato in URSS: The State of Israel — Its Condition and Politics di Konstantin Ivanov[26] e Zinovy Sheynis (autore di numerosi libri sulla politica e la diplomazia sovietica). Il titolo dell'articolo recitava: "L'opuscolo della politica russa contro Israele nega al ‘popolo reazionario’ il diritto all'auto-definizione. La soluzione è l'assimilazione." L'articolo sintetizzava i punti chiave del libro, tra cui quello centrale era lo stallo del sionismo. Naturalmente, non esiste alcun legame tra questa ingannevole satira propagandistica e Pasternak, ma la sua pubblicazione nel bel mezzo dell'"Affare Premio Nobel" probabilmente servì ad affinare la sensibilità degli israeliani alla voce assimilatoria del romanzo sovietico, Il dottor Živago. Inoltre, potrebbe anche aver causato alcuni intellettuali e scrittori influenti di evitare di rispondere al romanzo o addirittura a boicottarlo.

Come già accennato in precedenza, un evento dedicato a Pasternak ebbe luogo nel Tzavta Club di Tel Aviv il 14 novembre 1958, in cui parlarono famosi scrittori israeliani: Avraham Shlonsky (1900-1973), Lea Goldberg (1911-1970) e Avraham Benjamin Yaffe (cfr. sotto per i dettagli sul suo articolo). Shlonsky fu profondamente influenzato dalle poesie di Pasternak[27] e ne tradusse alcune in ebraico. Goldberg ammirava Pasternak come uno dei più grandi poeti contemporanei. Come mostrano i suoi diari, meditò sulle sue prime poesie, come "Alba ancor più soffocante" ("Escho bolee dushny rassvet"): "Anche nella malattia più grave le linee di Pasternak mi risuoneranno nelle orecchie: ‘Per favore, acqua, sorella’ [Ispit′, sestritza] ".[28] In seguito, Goldberg si concentrò sulle sue traduzioni: "Sono stata molto contenta di sentire come [Shlonsky] ha parlato della traduzione di ‘Faust’ fatta da Pasternak e come, alla fine, egli abbia scoperto Goethe."[29] Nel settembre del 1954, Goldberg partecipò alla visita della delegazione israeliana in URSS e apparentemente si aspettava di incontrare Pasternak. A proposito di uno degli eventi organizzati "presso il Museo della Letteratura", scrive: "Selvinsky, Bagritzky, Plotkin — ma nessuna traccia di B. Pasternak".[30] E in seguito aggiunge: "Le poesie di Pasternak in Znamia N. 5 1954."[31] Goldberg intende la pubblicazione in Znamia, n. 4 (aprile 1954) di dieci "Poesie del romanzo in prosa ‘Doctor Zhivago’", che non comprendevano le poesie cristiane che furono successivamente incluse nel romanzo. In una breve prefazione alla pubblicazione su Znamia, Pasternak annunciò che "il romanzo dovrebbe presumibilmente esser completato entro l'estate".[32] Come abbiamo visto sopra, Goldberg e Shlonsky si rifiutarono di essere intervistati da Tommy Lapid riguardo a Živago (7 novembre 1958); il loro silenzio su Pasternak e i suoi scritti su periodici quotidiani e scientifici è incredibilmente sconcertante.

S. Shalom (Shalom Yosef Shapira, 1904-1990), illustre poeta, scrittore e traduttore, reagì a Živago con la sua amara nota "Pasternak's Advice (An Open Letter of Sorts)", pubblicata su Davar il 19 dicembre 1958. Questa fu una delle prime e più dure risposte riguardo a Pasternak (in seguito, Aharon Reuveni vi fa riferimento come fonte). Quasi contemporaneamente al suo articolo su Pasternak, S. Shalom scrive la sua risposta all'inchiesta del Primo Ministro David Ben-Gurion sulla cerimonia della circoncisione e altri riti di iniziazione ebraica che potrebbero o dovrebbero essere gestiti in Israele (parte dell'ampia discussione pubblica su "chi è ebreo?", menzionata sopra). L'opinione di S. Shalom afferma che se un bambino nasce da una "madre che non si è convertita all'ebraismo", l'ebraicità dovrebbe essere considerata un "sublime ‘Ordine’", "colmo di sofferenza ed eroismo", che può essere mediato per mezzo di una cerimonia simbolica oltre alla circoncisione.[33] Tre mesi dopo, probabilmente nel contesto della stessa discussione sull'identità ebraica, scrive al famoso filosofo e scienziato israeliano Yeshayahu Lelbowitz, rispondendo alle sue critiche al saggio di S. Shalom dedicato a [[w:Heinrich Heine|Heine] (poeta di particolare importanza anche per Pasternak): "Sebbene nel corso degli anni mi sia allontanato dal completo legame poetico con Heine, il legame ebraico è rimasto in vigore e nessuna ‘storia di abominio e apostasia’ sulla sua vita, che ho conosciuto in seguito, potrebbe oscurarlo. [...] La sua anima ebraica era molto più grande delle sue azioni. [...] Riportando dall'esilio le ossa dei nostri dipartiti, non dovremmo lasciare nelle mani dei gentili le ossa del più grande poeta del Popolo di Israele in lingue straniere."[34]

Nel suo articolo, paragonando Pasternak a Freud e Živago a L'uomo Mosè e il monoteismo, S. Shalom accusa Pasternak di avere un complesso di "odio di sé come ebreo".[35] Naturalmente egli rifiuta il consiglio agli ebrei di assimilarsi e scomparire, ma il suo punto principale è completamente diverso: con questa idea Pasternak si contraddice, poiché altre idee e posizioni sono espresse nel romanzo, così come nelle sue altre opere, così come nella sua vita. S. Shalom fornisce diversi esempi. Il consiglio di Gordon è simile a quello di Komarovsky a Živago – di non provocarli – a cui risponde negando con orgoglio che il suo destino sia nelle mani di Komarovsky. Alle parole di Gordon sull'unicità del miracolo cristiano, lo stesso Živago risponde affermando che la vita si rinnova e si ricrea continuamente, e questo include, per S. Shalom, la storia delle nazioni e la ri-creazione del Popolo di Israele nella loro Terra. Lara ripete la dottrina di Gordon, ma il narratore stesso elogia sia Lara che Živago per il loro rifiuto di accettare tutti gli atteggiamenti tipici e collettivi del loro ambiente. S. Shalom accusa Pasternak come segue: da un lato, tu chiedi al tuo popolo di conformarsi; ma dall'altro, i tuoi personaggi percepiscono questo atto come altamente ignobile. Conclude drammaticamente: "Non avvisare che gli assassinati cesseranno di esistere, ma piuttosto consiglia agli assassini di smettere di uccidere! Tu, colui che difende l'esistenza del piccolo individuo all'interno delle grandi masse, devi capire che esiste anche una ragione per l'esistenza di una piccola nazione all'interno di quelle grandi e violente nell'Universo, in particolare la nazione che, come dici tu, ha portato al mondo ‘il miracolo della redenzione dal paganesimo’". E infine, come nel caso di Heine, S. Shalom promette che le braccia della nazione sono sempre aperte a tutti, anche a coloro che l'hanno tradito, tra cui "Boris, cioè Dov-Ber, figlio di Leonid, cioè Arie-Leib, di nome Pasternak."[36]

Questo breve articolo di S. Shalom è in ogni senso lungi dall'essere un volgare proclama sionista, ma la datazione del suo autore gli conferisce un significato metafisico e meta-storico: "1° giorno di Chanukkah, anno 5719". Il primo giorno di Chanukkah quell'anno fu il 7 dicembre. Chanukkah celebra la vittoria degli ebrei sui greci, la purificazione del tempio ebraico a Gerusalemme e il rinnovamento del culto. Celebra il miracolo dell'olio, in cui l'olio sufficiente per un giorno invece bruciò nella Menorah del Tempio per otto giorni — gli otto giorni necessari per preparare una nuova quantità di olio puro per il Tempio. La giudaizzazione dei nomi dei Pasternak (padre e figlio) sembra, sotto questo aspetto, come un atto simbolico di purificazione e redenzione. La ricostituzione miracolosa dell'identificazione religiosa nella storia, quella dell'individuo più piccolo è un'iniziazione etica nello spirito del defunto Pasternak. In questa prospettiva, la retorica drammatica ma giocosa di S. Shalom è evidente: trasformare implicitamente l'argomentazione metafisica (se non mistica e messianica) di Pasternak contro se stesso. È come se S. Shalom completasse il poema di Pasternak "Miracolo" ("Chudo")]], uno dei poemi più famosi di Jurij Živago: il fico della parabola evangelica, completamente bruciato dall'esaltazione del poeta, alla fine deve resuscitare se stesso; altrimenti, un miracolo non sarebbe un miracolo.

 
Leonid Pasternak, autoritratto (1908)

In seguito all'assegnazione del Premio Nobel a Pasternak, un importante scrittore israeliano, Moshe Shamir (1921-2004), scrisse un breve schizzo (datato 1958), che fu successivamente incluso nella sua raccolta di saggi By a Quick Quill (Be-kulmus mahir). Dopo aver ricordato l'articolo di H. N. Bialik sul padre di Boris Leonidovich – Leonid Pasternak – e ricordando al lettore il vero nome di quest'ultimo – Avraham Leib be-rabbi Yosef[37] – Shamir nota che Živago è "senza dubbio un elemento alieno" nella cultura sovietica, ma rivendica il diritto di uno scrittore di essere "una parte per sé", di sbagliarsi e di non avere sempre ragione.[38] Pertanto, l'argomento principale di Shamir è contro la sopravvalutazione dell'importanza del Premio Nobel, le sue tendenze ideologiche, e contro gli scrittori sovietici che unanimemente alzano le mani a sostegno. Shamir apre il suo saggio citando Bialik, che sottolinea i principali motifs della vita e della oeuvre di Leonid Pasternak: la pace della casa ("shlom bayit"), i festeggiamenti dei bambini, della famiglia e della famiglia ("khag"). Shamir conclude con le scuse di una "zizzania" ("esev shote"), un anticonformista e ribelle, nel proprio "piccolo giardino". Nell'insieme, il suo pezzo sembra quindi una proiezione di valori tradizionali, esemplificati da una famiglia ebrea sebbene secolare/laica, sulla realtà sociale, politica e ideologica. Questa è ingenuità? Forse lo è, ma la sua linea di difesa si adatta alla sua visione politica del mondo, sia dal punto di vista ebraico che da quello socialista.

Comunque, l'argomentazione di Shamir sembrerà un po' meno ingenua se torniamo al saggio di Bialik. Shamir esclama: "Che meraviglioso articolo!" — e possiamo percepirlo come un'indicazione di un'accettazione molto più ampia delle idee di Bialik, di quanto non vorrebbe ammettere nel suo stesso articolo. La sua retorica è un'analogia implicita tra i Pasternak – padre e figlio – adottando il punto di vista di Bialik. Bialik scrisse il suo saggio nel novembre del 1922 a Bad Homburg, nel periodo in cui Leonid Pasternak viveva lì con sua moglie e le sue figlie (sia il pittore che il poeta lasciarono la Russia sovietica nel 1921). Bialik apre con un lamento per gli ebrei che hanno abbandonato il loro Popolo e hanno portato i loro talenti e abilità all'"altare del Dio gentile", scrivendo sporadicamente, come per fare "una reliquia della distruzione" ("zekher le-khorban"), sul soggetto ebraico "come se il ‘tema ebraico’ fosse qui la cosa principale".[39] In tal caso, qual è la cosa principale? Il materiale, scrive Bialik, riferendosi a un pittore realista di origine ebraica, è gentile, la tecnica è europea, ma "l'interiore" ("ha-mibifnim") nasconde "qualcosa, un piccolo granello del suo spirito ebraico che inconsapevolmente ha ereditato dai suoi antenati." Tuttavia, questa piccola cosa è sufficiente — come la conversazione di Leonid Pasternak sulla madre ebrea o alcune righe a lei dedicate nel suo libro su Rembrandt, che sono "piene di sacro timore reverenziale e pura nostalgia sublime".[40] In alternativa, passando dagli antenati ai discendenti, Bialik trova il "granello ebraico" nei dipinti della famiglia di Pasternak, che raffigurano i suoi figli e celebrano il "testamento eterno tra padri e figli".[41]

 
Ritratto di Tolstoj che scrive, eseguito da Leonid Pasternak (1908)

Moshe Shamir trema al pensiero che uno di quei figli di cui parla Bialik sia Boris Pasternak. Tuttavia, se accetta il concetto di Bialik, deve esserci qualcosa di più nel suo timore reverenziale che l'ammirazione per il classico vivente: vuole credere che il tempo non sia scardinato persino oggi, alla fine degli anni ’50, e secondo il succitato testamento il grano ebraico può essere trovato sia nel figlio che nel padre. O forse, si sforza di trovarlo intrecciando, da una parte, il paragone in voga di Boris Pasternak con Lev Tolstoj e, d'altra parte, il continuo "silenzio" del primo con il confronto fatto da Bialik di Tolstoj, come appare nei dipinti di Leonid Pasternak, con "un vecchio scriba della Torah [Sofer STaM], che siede segretamente nella sua camera, scrivendo i nomi sacri in purezza e solitudine, o un giusto ‘nascosto’ [tzadik nistar], che scrive usando l'incantesimo della penna [hashba’at kulmus] e scopre i misteri del mondo".[42] Inoltre, Bialik cita le parole che Tolstoj pronunciò a Leonid Pasternak, e che sentì da quest'ultimo più volte: "Sei un pagano completo, un servitore di forme! Adori la vanità e il vuoto, la bellezza esteriore. Sebbene io sia un ‘gentile’, sono più un ‘ebreo’ di te. L'arte per l'arte ai miei occhi non vale niente".[43] Non importa se il confronto tra Boris Pasternak e Tolstoj sia giustificato o meno: Moshe Shamir potrebbe aver voluto vedere l'autore di Živago come "più ebreo" in questo senso tolstoiano.

Quando Shamir elogia e ammira il saggio di Bialik, egli intende sicuramente anche l'ultima parte, in cui il poeta chiama Pasternak — e tutti gli artisti ebrei quasi assimilati — per chiedere: dove sei stato e cosa hai fatto per il tuo Popolo durante i lunghi anni di persecuzioni ed esecuzioni? Qual è stata la tua parte nel ravvivare la Nazione e nel ricostruire la sua Casa? E conclude amaramente: nessuno di voi è venuto. Inoltre, molti hanno perpetrato il male nei confronti del loro Popolo, del suo futuro e della sua speranza, sebbene debbano a tale Popolo il loro potere e spirito. Tuttavia, lo scopo del pathos di Bialik non è denunciare questi ebrei assimilati, ma accettarli di nuovo, "con tutta la loro peccaminosità e presunta rettitudine, i loro errori e mali". Così, a Leonid Pasternak, che gli sembra uno di coloro che se ne sono andati, ma alla fine sono tornati, Bialik dice: Non abbiamo bisogno di "temi ebraici", vieni e basta, vivi in mezzo a noi, sulla nostra terra; tu sei nostro fratello — benvenuto![44]

Questa chiamata spirituale e politica non era solo astratta, ma anche pratica: dopo due anni, nel 1924, Bialik si trasferì nella Terra di Israele. Nello stesso anno, anche Leonid Pasternak venne in visita. Tuttavia, nel 1958 Israele, essendo incluso nel sottotesto di Moshe Shamir, questa chiamata – allusivamente già indirizzata a Boris Pasternak – poteva sembrare sia provocatoria che amichevole. Era come se Shamir stesse cercando di integrare il saggio di Bialik con ciò che era stato curiosamente assente da esso — un riferimento a Boris Pasternak, che nel 1922 era già diventato un poeta riconosciuto, e Bialik doveva saperlo. In ogni caso, i passaggi antisemiti nelle lettere o nella prosa di Pasternak, come nella lettera a sua moglie del 27 agosto 1926 o nel discorso di Gordon a Živago, non avrebbero impedito a Bialik o Shamir di pronunciare il loro "benvenuto", mantenendo in mente l'infinitamente piccolo "grano ebraico" di Pasternak.

 
Ritratto di David Frishman, eseguito da Hermann Struck, Museo Ebraico di Berlino

Aharon Zeev Ben-Yishai (1902-1977), critico, poeta, traduttore ed editore che iniziò a scrivere nei periodici ebraici di Mosca Ha-am, Ha-tkufa e Shtilim, apre il suo articolo "The Pasternaks" (Davar, 28 novembre, 1958) con memorie sulla sua visita a David Frishman nell'autunno del 1918, a Mosca (8 Novaya Basmannaya, 4° piano). Nell'appartamento di Frishman, direttore di Ha-tkufa, Ben-Yishai era presente alla conversazione di Frishman con Leonid e Boris Pasternak. Leonid Pasternak, come osserva Ben-Yishai, era un ospite frequente da Frishman. Spesso conversavano in russo, tedesco o yiddish davanti a una tazza di tè e una partita a scacchi.[45] Quella stessa sera, David Frishman (1859-1922), rinomato scrittore e poeta in ebraico e yiddish, traduttore, editore, ricevette un regalo dai suoi ospiti: il libro di Boris Oltre le barriere (Поверх барьеров, Poverkh baryerov). Nel 1916, Leonid Pasternak dipinse un ritratto, in cui Frishman e Bialik furono rappresentati nel mezzo di una conversazione. La controversia ben nota e in corso tra i due si concentrava sulla questione essenziale dello sviluppo della letteratura ebraica moderna: doveva basarsi sul lascito di antichi generi ebraici, come pensava Bialik, o adottare generi e stili europei, come credeva Frishman? Quando Ben-Yishay apre il suo articolo con l'epigrafe di Bialik (le righe che menzionano amaramente il conflitto tra padri e figli) e l'episodio su Frishman, egli apparentemente sta cercando di alludere al contesto della controversia Bialik-Frishman, nel mezzo della quale presenta la visita dei Pasternak e il nuovo libro di Boris Leonidovich.[46]

L'opinione di Frishman su Boris Pasternak, come viene intesa da Ben-Yishai, è inequivocabile: "Non c'è nulla nelle poesie di questo individuo a parte enormi cumuli e pile di parole, immagini raspanti e chiacchiere futuriste. Un tipo istruito, un musicista, uno studente di Skrjabin, uno studente di Hermann Cohen, ma lungi dall'essere un poeta."[47] Frishman probabilmente stava solo esprimendo i suoi gusti poetici personali, ma i commenti di Ben-Yishai sulle sue parole, nota che il la "brace ebrea", che non si è estinta nel padre, si è quasi completamente spenta nel figlio.

Inoltre, Ben-Yishai ricorda la conversazione su Hermann Cohen (che era morto solo diversi mesi prima, il 4 aprile 1918), sulla sua visita in Russia nel 1914 (dopo il processo di Beilis), i cui ricordi erano ancora molto vividi, insieme al ricordo della preghiera di Cohen nella sinagoga di Mosca, seguita dal discorso in ebraico del rabbino capo di Mosca, Yaakov Mazeh. Questo discorso fu pubblicato sulla rivista Ha-tkufa di Frishman nel 1918 e Ben-Yishai fa riferimento ai suoi due punti principali, che sono direttamente collegati alle controversie Bialik-Frishman e dei Pasternak, sia padre che figlio. Primo, Mazeh elogia Cohen per la sua idea, secondo la quale l'ebraismo è il nucleo della filosofia europea; e secondo, critica severamente il leader della scuola di neokantismo di Marburgo per il suo antisionismo, sottolineando che l'ebraismo è inseparabile dall'idea nazionale del ritorno a Sion.[48] Ben-Yishai commenta che la visita di Cohen causò a molti ebrei, che erano "sull'orlo dell'assimilazione", di tornare all'ebraismo. Egli suppone che Leonid Pasternak fosse uno di questi, forse avendo dimenticato o ignorato il suo incontro infruttuoso con Cohen a Marburgo nel 1912, il periodo in cui suo figlio aveva studiato lì, con successo, ma solo per un breve periodo. Tuttavia, Ben-Yishai percepisce, non abbastanza giustificatamente, l'influenza di Cohen sulla sete di libertà e giustizia da parte di Boris Pasternak.

Un altro argomento discusso riguardava Rabindranath Tagore, che Frishman ammirava e aveva appassionatamente tradotto in ebraico, e su cui Boris Pasternak manteneva una "riserva disapprovante". Dopo che i Pasternak se ne furono andati, continua Ben-Yishai, Frishman declamò le poesie di Pasternak e le criticò come irrimediabilmente futuristiche e, quindi, insignificanti.[49] Tuttavia, ormai quarant'anni dopo, continua Ben-Yishai, Pasternak è stato incoronato il più grande poeta russo, pur rimanendo ancora soggettivista e individualista, come nota gran parte dei suoi compagni poeti e critici sovietici. Queste sono anche le caratteristiche di Živago, il cui "momento ebraico" Ben-Yishai discute nell'ultima parte del suo saggio, osservando che l'amore di Pasternak per Gesù e cristianesimo non lo ha protetto dall'essere marchiato "Giuda Iscariota".[50]

Avraham Benjamin Yaffe (1924-2008), giornalista ed editorialista, critico letterario e scrittore, e un membro del PEN Club, incluse la sua breve recensione di Živago nella raccolta di saggi pubblicata diversi anni dopo (tuttavia, aveva già iniziato a tenere lezioni su Pasternak il 12 novembre al Beit Lessin e il 14 novembre 1958 presso lo Tzavta Club di Tel Aviv).[51] Questa recensione è molto favorevole, ma non dice nulla di nuovo. Descrivendo le caratteristiche basilari della poesia di Pasternak, Yaffe sottolinea che "non esiste poesia più russa della sua".[52] Quindi glorifica Živago, tramite il quale dice che Pasternak ha restituito "l'anima slava", l'individualismo e il legame mistico a il romanzo sovietico.[53] Sebbene sia un libro estremamente eccezionale nel contesto letterario sovietico, Živago apparentemente non è anti-rivoluzionario,[54] e Yaffe lascia al lettore la decisione se sia anti-sovietico, come i suoi personaggi affrontino i loro dilemmi e la misura in cui Pasternak si identifichiè con loro: "Quest'opera è il più alto grado dell'arte, dove non è possibile alcuna semplice differenziazione tra bianco e nero, pro e contro".[55]

Uri Rapp, un traduttore di letteratura scientifica che in seguito divenne professore d'arte, teatro e psicologia all'Università di Tel Aviv, pubblicò un saggio in due parti su Haaretz, uno dei più grandi giornali israeliani (11 novembre e 5 dicembre 1958) : "’The Inner Emigrant’: Thoughts on Dr. Zhivago and the Irony of History". Comincia con una citazione dal romanzo, in cui Živago, dopo essere stato catturato dai "rossi", è costretto a partecipare a una battaglia e a sparare ai "bianchi", ferendone uno, per poi salvarlo e guarirlo — dopo di che scappa e ritorna alle file dei "bianchi". Secondo Rapp, questo episodio riflette l'incarnazione del personaggio di Živago — il personaggio di un umanista libero, distaccato e invulnerabile, il più singolare di tutta la letteratura. È l'unico "punto di Archimede" umano "al di là di qualsiasi alternativa di pro-et-contra della rivoluzione;" è Amleto che si ritira dal dramma, come recita la prima delle poesie di Živago.[56] Živago sembra essere protetto dalle forze più alte, come sia ​​i soldati bianchi che quelli rossi uccisi nella battaglia citata vorrebbero essere protetti quando si appendono al collo lo stesso portafortuna con il versetto dei Salmi al suo interno. Forse questo dettaglio ha spinto Rapp ad accompagnare ogni parte del suo saggio con epigrafi dei Salmi, in cui sono promesse protezione e salvezza in Cielo.

Rapp capisce perché Živago abbia causato così tanto risentimento e odio in URSS: è l'umiliazione più audace possibile di tutti i valori e gli "stili" sovietici (discorsi, come forse diremmo oggi), come scrive l'autore usando i termini del romanzo. Tuttavia, Rapp cerca un modo per far fronte a questo libro problematico: "La domanda è se noi, persone di cultura che cercano l'umanità e sostengono persino una rivoluzione sociale su vasta scala, possiamo lasciar da parte questo libro; se il mondo della rivoluzione vittoriosa (quale che sia la sua immagine) senza tali libri, senza il mondo spirituale di Jurij Andreevich, merita di vivere e soffrire in esso?" E Rapp è felice di scoprire che il popolo sovietico non rinuncia al libro, che la nuova generazione di poeti russi ne ha bisogno. In questo, vede l'ironia della storia e la conferma che "la catena di Amleti", come il tempo stesso, non è sconnessa.[57]

È solo un tentativo ingenuo da parte di uno scrittore intellettuale di un giornale di sinistra quello di salvare i resti dell'ideologia comunista e quindi prendere parte alla guerra fredda, o un tentativo, molto meno ingenuo, di appropriarsi culturalmente di Pasternak e del suo romanzo all'interno del campo di sinistra, giocando con l'ideale dell'umanesimo e confondendo lo storicismo con il determinismo? Probabilmente è un po' di entrambi. E in effetti, la seconda parte, la parte filosofica del saggio, mostra che secondo il suo autore la discussione sulla rivoluzione è piena di senso e significato pratico. Per lui, la rivoluzione è giustificata per impostazione predefinita solo perché è l'incarnazione dell'azione, condotta da "persone d'azione" — coloro che scelgono una possibilità tra le tante, lasciandosi le altre alle spalle. Dopodiché, è la volta degli "Živago", quegli individui il cui intelletto e immaginazione, il distacco dall'agire, consentono loro di "tenere a mente la mappa di incroci e possibilità non realizzate" e aprire nuove possibilità "per la prossima risurrezione". "Persone come Živago non vivono nel ‘mondo di oggi’, perché non si preparano mai al ‘domani’; non sanno di essere la garanzia del ‘dopodomani’."[58] Per questo motivo non possono conformarsi all'ispirazione della loro generazione. Tuttavia, questo svantaggio, Rapp rassicura i suoi lettori, è in realtà un'espressione del loro vantaggio: la loro capacità di creare oggetti di ispirazione. Questa passività è il punto di Archimede, su cui gli attivisti (cioè "persone d'azione", rivoluzionari) stabiliscono la loro leva. In effetti, Rapp sembra dimenticare ciò che di solito accade al "punto di Archimede" dopo che la leva lo ha schiacciato, ma apparentemente nel suo saggio sta parlando della sua visione politica, piuttosto che del romanzo di Pasternak. Forse è per questo che è così ottimista e vede Živago come un gioioso inno alla vita, specialmente alla vita di tutti i giorni.[59]

Rapp "comprende" la "antipatia per il popolo ebraico e la sua cultura esilica" di Pasternak: "egli è profondamente coinvolto nella vita della sacra madre Russia e della Chiesa ortodossa". Rapp, come altri critici, sottolinea il parallelismo (contrastante) tra il rimprovero degli ebrei da parte di Gordon per l'inutilità delle loro sofferenze e l'utilità benedetta delle sofferenze di Živago e Lara. Rapp ribadisce il "diritto" di Pasternak a disprezzare un individuo ebreo per il suo conformismo, e invita persino i lettori a esaminarsi in base a questa critica, ma nega il diritto dello scrittore di giudicare il popolo ebraico, sia per quanto riguarda la visione individualista del mondo propria di Pasternak, o perché il potere di vita ebraica millenaria non può essere un errore storico. Analogamente allo stesso Pasternak, il popolo ebraico è un tipo di libero "emigrante interiore", che si distingue sempre da qualsiasi regime che supporti la nozione di schiavitù spirituale. Questo è il motivo per cui il regime sovietico, che "è diventato conservatore", non può sopportare né ebrei né Pasternak: "Non importa cosa egli pensi; per quanto riguarda gli altri, sono la stessa identica cosa." Da qui, Rapp arriva in qualche modo a formulare il suo teorema finale sull'attuale condizione della rivoluzione, come se si stesse ancora verificando nel 1958 e, inoltre, debba essere pianificata attentamente per il futuro: il Regime e il Poeta (Pasternak, rispetto ai Profeti) "non possono coesistere, ma devono".[60]

Aharon Reuveni (1886-1971) è stato un noto scrittore, poeta, ricercatore e traduttore di letteratura russa, francese e tedesca, un attivista sionista e il fratello di Yitzhak Ben-Zvi, il secondo presidente di Israele. Dal dicembre 1958 al gennaio 1959 (le date sono note dalla sua corrispondenza del febbraio-marzo 1959 e dal suo discorso pubblico il 24 aprile 1959), scrisse un saggio esteso intitolato "The Pasternak Dance" ("Makhol Pasternak", la Danza Pasternak), ma i redattori delle riviste Molad e Moznayim si rifiutarono di accettarlo.[61] Invece, l'editore di Moznayim preferì l'articolo scritto da Israel Zmura (discusso sotto), che era, secondo Reuveni (espresso nella lettera scritta nell'autunno del 1959), su ordinazione e molto più debole del suo.[62] Il 24 aprile 1959 lesse il saggio davanti a un pubblico a Gerusalemme, affermando nell'introduzione che la pubblicazione di questo saggio e la sua pubblicazione in tempo era di grande importanza per lui, e che ogni ritardo era quindi estremamente deplorevole.[63] Quindi pubblicò il saggio come un opuscolo separato; in seguito il testo fu incluso nella sua raccolta di saggi. Le sue critiche mancano della leggera ironia di Alterman e della ponderata gravità di Shamir: in superficie è duro e chiaro. La sua epigrafe riflette l'idea e il tono dell'articolo: "Un pesce danzava con un granchio e il prezzemolo – con pastinaca [Pasternak], un pomodoro – con l'asparago, una giovane ragazza – con un cosacco". E c'è una nota a piè di pagina con la parola "pastinaca": "Mi sono chiesto: qual è la natura di questo ortaggio?";[64] a significare, come è chiaro dal saggio, che le opere di Pasternak, per quanto siano virtuose, rimangono caotiche e povere, e non raggiungono la completezza estetica e tematica.

Tuttavia, questa epigrafe sardonica contiene un po' di più: Reuveni, nativo di Poltava, traduce una canzone umoristica popolare ucraina, che è stata citata nella storia classica di un altro nativo del Governatorato di Poltava, Nikolai Gogol — "La terribile vendetta" (fare un confronto con questa storia porta anche a una delle poesie di Živago, intitolata "Fiaba" ("Skazka").[65] Un'epigrafe di questa storia di Gogol appare anche nel poema di Pasternak "Decadimento" ("Raspad"), incluso in Mia sorella è la vita (Сестра моя — жизнь, ‘Sestra moya — zhyzn’).)[66] La canzone originale esprime una confusione assurda e insignificante di elementi sconnessi, che è, per Reuveni, la caratteristica principale della scrittura di Pasternak. Inoltre, in Gogol, una stanza di questa canzone è inclusa in una canzone cantata da Katerina dopo che è diventata pazza; questa canzone è di per sé una miscela senza senso di varie canzoni: "È così che confuse i versi di canzoni differenti".[67] Tuttavia, oltre a questo, ella balla anche: "E pronunciando queste frasi incoerenti Katerina iniziò a ballare, guardandosi selvaggiamente intorno e mettendo le braccia conserte. Con un urlo batté i piedi; i suoi tacchi d'argento risuonarono a prescindere da tempo o melodia. Le sue trecce nere fluttuavano attorno al collo bianco. Come un uccello volava in giro senza riposo, agitando le mani e annuendo con la testa, e sembrava che dovesse cadere impotente al suolo o librarsi via da terra completamente."[68] Agli occhi di Reuveni, anche la danza di Pasternak è gravemente carente di "tempo e melodia" e di qualsiasi "senso musicale appropriato"[69] (sebbene il significato principale dell'espressione "la Danza di Pasternak" nel saggio sia il tumulto verificatosi riguardo a Pasternak e alla polemica del Premio Nobel).

Tuttavia, questo pandemonio è il risultato del tentativo di trovare in Pasternak un qualsiasi punto di riferimento, e prima di tutto: il "punto ebraico, che Pasternak stava cercando di nascondere a tutti i costi",[70] in misura tale che "nelle sue memorie non cita neanche una volta il nome di sua madre (è troppo ebraico)"[71] (questo ci ricorda il rimprovero di Marina Cvetaeva a Pasternak per non aver visitato sua madre mentre si recava al Congresso degli Scrittori di Parigi nel 1935.[72] Interessante il fatto che Cvetaeva parla della madre di Pasternak, senza parlare del padre, e cita la canzone di Jean Richepin, in cui un figlio taglia via il cuore di sua madre e lo dà in pasto ai maiali della sua amante. E ciò ricorda ancora una volta "La terribile vendetta" di Gogol dove, per inversione, Katerina cerca di uccidere e tagliare via il cuore di suo padre — un mago nero che l'ha ambita e ha ucciso la sua famiglia).

Interpretando il titolo di Mia sorella è la vita di Pasternak, Reuveni non lo collega né ad Aleksandr Dobrolyubov, né a Francesco d'Assisi o Paul Verlaine, come fanno altri critici ma, come se continuasse ironicamente il tema di canzoni e balli, al Cantico dei Cantici (4:9,12):

« Tu mi hai rapito il cuore, o mia sorella sposa mia; tu mi hai rapito il cuore con un solo sguardo dei tuoi occhi, con uno solo dei monili del tuo collo.
Quanto è piacevole il tuo amore, o mia sorella, sposa mia! Quanto migliore del vino è il tuo amore e la fragranza dei tuoi olii profumati è piú soave di tutti gli aromi!
O sposa mia, le tue labbra stillano come un favo di miele, miele e latte sono sotto la tua lingua, e la fragranza delle tue vesti è come la fragranza del Libano.
La mia sorella, la mia sposa è un giardino chiuso, una sorgente chiusa, una fonte sigillata. »

Tuttavia, nelle poesie di Pasternak, al contrario del titolo del suo libro, "non c'è vita".[73]

Avendo criticato severamente le poesie di Pasternak prima degli anni ’40, in parte sulla base dell'autocritica di Pasternak, Reuveni arriva a riconoscere che Živago "è molto meglio delle sue vecchie poesie" nella sua forma e contenuto; tuttavia, è comunque "un romanzo che non è un romanzo".[74] Ciò è dovuto, in parte, al conflitto dello scrittore tra i venti di libertà del disgelo e la paura dei tiranni sovietici, sia vivi che morti. Il punto di forza del romanzo è il suo umanesimo, e per suo vantaggio Pasternak "si aggrappa al bordo del mantello di Gesù".[75] (Per il suo vantaggio lo scrittore viene anche bloccato e costretto a rimanere in Patria, e non lo sapremo mai, presume Reuveni, se gli sarebbe mai stato permesso veramente di andarsene o meno.) Tuttavia, nonostante l'ideale umanistico, i personaggi di Živago non sono "anime viventi" e nonostante siano considerati realistici, il romanzo rimane arcaicamente romantico.[76]

È molto probabile che la reazione un po 'arrabbiata di Reuveni possa essere spiegata dai problemi che stava vivendo in quei giorni nel novembre del 1958, quando aveva appena finito il suo nuovo romanzo Metempsicosi (Gilgul neshamot), e cercava disperatamente un editore.[77] il sottotitolo di questo romanzo è identico al suo commento su Živago menzionato sopra: "Un romanzo che non è un romanzo" ("Roman lo roman"). L'opera di Reuveni è, secondo la sua opinione e quella dei critici, precisamente la danza folle di elementi scollegati che attribuisce a Živago. Pertanto, nelle sue critiche a Pasternak che aveva appena ricevuto il Premio Nobel per il suo "romanzo che non è un romanzo", Reuveni cercava la legittimazione del proprio lavoro e forse persino un senso di solidarietà con il destino di Pasternak, sentendosi indesiderato e persino perseguitato per le sue credenze anticonformiste, "non di sinistra".[78] Reuveni era noto per stare da solo, appartato, evitando qualsiasi tipo di vera connessione con qualsiasi fazione politica, per essere stato, come Pasternak, un partito a sé stante, durante la sua lunga vita spostandosi periodicamente dall'anonimato alla canonizzazione e viceversa. La sua solidarietà con Pasternak rimane, comunque, implicita, forse a causa della profonda contraddizione tra il suo materialismo proclamato, persino fisicalismo,[79] e l'idealismo di Pasternak. In ogni caso, alla luce di questo parallelismo giocoso e autoironico tra il suo "sfortunato" romanzo e quello di Pasternak, la critica di Reuveni si trasforma da rimprovero a difesa.

Quando viene a discutere "il lato ebraico" del romanzo, Reuveni non si prende la briga di discutere con le idee espresse nel monologo di Gordon: le considera come troppo vecchie, banali e piatte (inoltre, rispettando il diritto di un ebreo di assimilarsi gli nega il diritto di invitare gli altri a fare altrettanto). Tuttavia, una cosa provoca il suo estremo stupore: come potrebbe essere che in tutta l'epopea monumentale di Pasternak vi sia solo una scena che ritrae la crudeltà dei cosacchi nei confronti degli ebrei, e scena peraltro debole: "Crudeltà? Male? Dio non voglia! I cosacchi sono ragazzi di buon cuore! Dopo tutto, che cosa è successo al vecchio ebreo dopo esser stato picchiato un po' sul sedere? Volevano solo divertirsi un tantino e non cercare di far del male. Pasternak ha un ‘cuore russo’. Nessun altro russo ha un cuore così russo."[80] Reuveni intende qualcuno in particolare? Questa osservazione ritorna implicitamente all'epigrafe discussa sopra: ""La terribile vendetta"" è il più crudele e orribile di tutti i racconti di Gogol sui cosacchi, in cui l'autore simpatizza almeno con il loro carattere nazionale, e che è ripagato e sopraffatto infine dalla vera fede. Apparentemente, Pasternak avrebbe dovuto sapere ciò che Gogol già sapeva un secolo prima di Živago. Tuttavia, come osserva Reuveni, "Pasternak è interessato meno di tutto alle persone"[81] (osservazione espressa da molti critici, compresi gli amici del poeta), e i suoi personaggi non sono "anime viventi"; quindi sono "anime morte" — un'altra reminescenza di Gogol, troppo sarcastica persino per Reuveni. E in effetti, Reuveni conclude la sua discussione sul "lato ebraico" di Živago notando che Pasternak, nel profondo della sua anima, sa che non ha un cuore russo, ma un cuore ebraico. Per Reuveni, questa minima conoscenza è il vero "punto ebraico" che stava cercando dall'inizio del suo saggio.

 
Peretz Bernstein, 1951

Peretz Bernstein (1890-1971), un politico ed editorialista israeliano, e uno dei firmatari della Dichiarazione di Indipendenza, lesse Živago nella traduzione francese e quindi poteva giudicare, per sua stessa confessione, solo il suo lato ideologico.[82] Il suo saggio (datato 7 novembre 1958; 3 luglio 1960) fu successivamente incluso nel volume dei suoi scritti. Bernstein è così colpito "dall'intensità del personaggio russo come è espresso in questo lavoro", che lo mette sulla scala di Dostoevskij e Tolstoj, ma rimpiange il fatto che la "tragedia" di Pasternak sia la sua immeritata fama antisovietica. Un altro aspetto della sua tragedia è, per Bernstein, il suo essere non solo russo, ma anche "ebreo".[83] Il contesto di questa tragedia è il crescente antisemitismo in URSS, a seguito dell'ostilità del governo nei confronti dello Stato di Israele, particolarmente grave dopo che il comunismo non è riuscito a risolvere il "problema ebraico".[84] E qui Bernstein solleva la domanda che sembra essere più rilevante in questo contesto e per lui importante — rimpatrio degli ebrei sovietici in Israele: "Stiamo giocando con il pensiero che se agli ebrei di Russia fosse stato permesso di emigrare, la maggior parte di loro sarebbe rimpatriata in Israele. [...] Ma questo non si addice a Pasternak [che], anche dopo essere stato denunciato come un "traditore", non volle lasciare la Russia." Ciò sta accadendo perché "gli ebrei si stanno attaccando con le vere radici della loro anima alla terra della loro residenza, la terra dell'esilio, al paesaggio e alla natura, e persino al popolo [russo] che non li ama".[85]

Oltre a questa intuizione, apparentemente non per caso o per un qualsiasi tipo di ingenuità, Bernstein confronta il caso Pasternak con la polemica tra i sionisti in Germania "prima che qualcuno conoscesse un uomo di nome Hitler": un ebreo che scrive in tedesco ha il diritto di rivendicare il titolo d'essere uno scrittore tedesco? Infine, Bernstein menziona gli attacchi dei nazisti contro Heine.[86] L'intera mossa di Bernstein non è troppo complicata retoricamente, ma il suo scopo finale è abbastanza significativo: Supponendo che "la caratteristica collettiva del Popolo non deve essere rivelata sempre e in tutti", e che "un ebreo, propenso naturalmente all'assimilazione, non vuole essere identico al Popolo con cui vive ma essere simile a loro, per quanto è possibile", Bernstein cerca disperatamente l'elemento più piccolo che consentirebbe la differenziazione di Pasternak dal popolo russo. Non riesce a trovare tale singolo elemento, tuttavia, e conclude: "Nel caso di Pasternak, l'assimilazione spirituale e artistica ha raggiunto il massimo grado possibile".[87] In tal caso, Pasternak può sicuramente (se deve) rivendicare il titolo di essere uno scrittore russo, ma nel contesto presentato da Bernstein questo non suona molto ottimista, ma piuttosto cupamente ironico. Comunque, il punto principale non è questo, né è la questione se Bernstein abbia ragione o meno, ma la prontezza e persino il desiderio da parte del critico di trovare qualche piccolo segno di differenziazione nazionale espresso in un'opera d'arte.

Joshua A. Gilboa (1918-1981), storico della cultura e letteratura ebraica (yiddish ed ebraica) in Unione Sovietica, pubblicò articoli su Pasternak sul giornale Maariv prima (7 marzo 1958) e dopo gli eventi del Premio Nobel (7 novembre 1958), prima e dopo aver letto il romanzo. Ammira Pasternak come scrittore e personalità, includendolo nel contesto della letteratura ebraico-russa e confrontandolo con Babel, Ėrenburg e altri.[88] Yosef Crust, prolifico traduttore e biografo, dedicò un articolo a Pasternak (Heruth, 7 novembre 1958). Colloca Pasternak in un contesto estremamente prestigioso e unico: la lotta dell'individuo contro la comunità, mentre nega il fatto che abbia infranto le leggi di questa comunità per salvarsi la vita. A questo proposito, secondo Crust, Pasternak condivide la compagnia di Socrate e Tommaso Moro. Crust paragona Pasternak al Dottor Thomas Stockmann di Ibsen (Un nemico del popolo), con la sua famosa affermazione che "l'uomo più forte del mondo è anche quello più solo".[89]

 
Shlomo Gepstein, 1961

Shlomo Gepstein (1882-1961) architetto israeliano, fu autore di riviste ebraico-russe a Mosca e Pietroburgo (Rassvet, Evreyskaya zhizn, Evreysky narod), uno dei redattori della rivista Rassvet in Russia e Germania (caporedattore fino al 1924, quando Vladimir Žabotinskij poi assunse questa posizione) e, in seguito, uno dei curatori delle Opere Complete di Žabotinskij. Nel suo articolo su Heruth (14 novembre 1958), confronta il comportamento delle autorità sovietiche con lo "stile di Goebbels", ma nega l'assunto che la causa del risentimento dei nemici di Pasternak sia il fatto che egli sia ebreo.[90] Questa è apparentemente una sorta di rabbia feroce e incontrollabile che deve sfogarsi su qualcuno. I bolscevichi sono ossessionati dallo spirito di Caino da quando hanno perso il loro Dio, da quando hanno rivelato il loro Messia come un falso messia. Questo atteggiamento ricorda i responsabili delle azioni dell'Inquisizione, gli epigoni di Maometto e quelli di Tiberio, Nerone e Caligola durante i tempi del declino degli dei romani e delle fabbriche della morte di Hitler e Stalin. L'Affare Pasternak è quindi un esempio della tragedia dei nostri tempi.[91]

Yekhiel Halpern (1896-1984), redattore e giornalista, autore dei libri Israel and Communism e The Jewish Revolution, e di numerosi articoli in ebraico e yiddish, su giornali e riviste, in Israele, negli Stati Uniti e in Polonia, scrive nel suo articolo "Boris Pasternak" (Davar, 19 dicembre 1958) sulla "tragedia di Pasternak e dei suoi scritti", nonché sul suo "senso ebraico di giustizia e compassione, che non scade mai nel cuore ebraico anche dopo si è distaccato dal suo Popolo" (d'altra parte, continua Halpern, questi sono gli stessi valori umanistici che Pasternak ha accettato dalla letteratura e dalla filosofia russe). Tuttavia, gli eroi del romanzo mettono il destino del mondo solo nelle mani di Dio, "liberando" l'uomo dal dovere di combattere attivamente il male, motivo per cui il cristianesimo è così ammirato da loro mentre l'ebraismo è così estraneo a loro. Il potere dei tiranni si basa non solo sui loro fedeli servitori, ma anche sulla passività di "coloro che preservano la scintilla di Dio nella loro anima. La visione del mondo di Živago, in cui la passività fatale diventa il valore più alto della vita, non può servire da guida per coloro che cercano la libertà."[92]

Israel Zmura (1899-1983), autorevole editorialista, critico, traduttore ed editore, scrisse una recensione di Živago nella traduzione ebraica di Tzvi Arad (Moznayim 8:2, 1959). La sua preoccupazione principale, tuttavia, non era la qualità della traduzione ma il valore del romanzo stesso, "per quanto riguarda ciò che abbiamo effettivamente trovato in esso, ma non ciò che ci era stato promesso o ciò che ci aspettavamo di trovare in esso, conoscendo il suo autore".[93] Zmura trova quindi che il romanzo non è antisovietico o antirivoluzionario; inoltre, non fa nessuna analisi seria della rivoluzione e dei rivoluzionari; è pieno di ambivalenze ed esitazioni, e l'autore "non riesce a decidere nella sua anima cosa sia buono e cosa sia cattivo."[94] Naturalmente, Zmura deve aver saputo che questa era una caratteristica comune della scrittura di Pasternak già dai suoi primi anni, e gioca con il titolo del famoso poema per bambini scritto dal suo amico Majakovskij, intitolato Ciò che è buono e ciò che è cattivo. Usando questa "formula", Zmura confronta implicitamente il romanzo orgogliosamente "conclusivo" e presumibilmente maturo di Pasternak sia con le prime poesie per bambini ("Carousel" e "Zoo" ["Zverinetz"]) che con l’oeuvre di Majakovskij, entrambe piuttosto ambigue per quanto riguarda il Pasternak della maturità. D'altra parte, per quanto imbarazzante possa sembrare questo paragone, le poesie per bambini di Pasternak sono troppo serie e simboliche per essere respinte e, come molte altre sue opere, in effetti prefigurano molti personaggi e immagini di Živago. Per quanto profondo e sincero l'amore di Pasternak per Majakovskij possa essere stato, come viene espresso, ad esempio, in Il salvacondotto (Okhrannaya gramota), tutta la sua scrittura e il suo pensiero sembrano essere una negazione delle dicotomie massimaliste del suo amico. A questo proposito, la valutazione di Zmura dimostra non solo una critica peggiorativa, ma anche una comprensione sottile. Il suo verdetto è che "Il dottor Živago è un libro importante e prezioso se sai chi è il suo autore; è importante sapere di cosa sta parlando Boris Pasternak."[95]

Ciò consente a Zmura di procedere all'argomentazione ad hominem sul tema ebraico-cristiano di Živago per quanto riguarda l'origine ebraica di Pasternak, sebbene noti che non ha influenzato affatto il suo giudizio sul libro. Nel momento stesso in cui Pasternak lo ha inserito nel contenuto del suo romanzo, "ammonire, condannare [l'ebraismo] e predicare a favore del cristianesimo",[96] abbiamo il diritto, dice Zmura, di giudicare il suo trattamento del tema e persino di discutere con lui. Quindi, dopo aver citato le famose linee del monologo di Gordon, Zmura presume che Pasternak abbia apparentemente intenzione di fornire scuse o alibi per se stesso, poiché ha meritato tali "complimenti" (a significare le parole: "Voi siete i primi e i migliori cristiani" – cfr. supra) essendo nato ebreo. Questo non è lo stesso Pasternak che conoscevamo in precedenza, conclude Zmura, ma un "banale missionario" e "questo anacronismo, questa caduta" rovina, dall'interno, il romanzo nel suo insieme. È evidente che, dopo tutto, il fatto che Pasternak sia ebreo è considerato da Zmura sia il fondamento della motivazione dello scrittore per l'elaborazione del tema ebraico-cristiano, sia la spiegazione del collasso morale e intellettuale intrinseco di questo progetto.

La delusione artistica di Zmura – traduttore di Tolstoj e Cechov, Gogol e Leskov, Proust e Rilke – è abbastanza comprensibile. Tuttavia, una frase sembra un po' strana, anche per un ebreo, specialmente uno della cultura di Zmura: "Un grande poeta, un uomo saggio, come si può giudicare dalla sua poesia, un uomo esperto e colto raggiunge una tale stupidità da predicare ad un Popolo con una storia così lunga – migliaia di anni, come il Popolo di Israele – e presume che solo lui possa insegnare a questo Popolo come cambiare la propria storia."[97] Zmura deve aver capito che Gordon sta parlando a nome del cristianesimo, anche se sta solo esprimendo i pensieri dell'autore e narrando dogmi noti e secolari. Tuttavia, probabilmente la sua preoccupazione non è solo Pasternak, né il cristianesimo, ma piuttosto l'attuale politica internazionale, in cui la questione di quale nazione abbia il diritto di insegnare a un'altra nazione, è diventata sempre più urgente, pertinente e cruciale. La Guerra Fredda, che aveva raggiunto uno dei suoi apici con la crisi di Berlino (a partire dal novembre 1958), stava già affrontando la vittoria della Rivoluzione di Cuba (1959) e si stava preparando per la Crisi dei Caraibi (1962). Sebbene l'URSS sotto la guida di Krusciov – dopo le rivolte nella Germania orientale (1953) e in Polonia (1956), e in particolare dopo la rivoluzione ungherese e la Guerra di Suez (1956) – avesse completamente perso il suo ruolo celebrato, Krusciov stava già preparando il suo discorso "con la scarpa" (1960). L'Europa era stata screditata dall'Olocausto e Israele si stava rapidamente avvicinando al processo Eichmann (1961). La Guerra Algerina e la crisi di Taiwan erano al massimo; il primo poneva fine all'"insegnamento" del colonialismo europeo e, per quanto riguarda il secondo, la Cina stava già gettando l'esca nella speranza di colmare il posto vacante. La Guerra del Vietnam è appena iniziata. Passeranno diversi anni e il ruolo di "insegnamento" degli Stati Uniti verrà, per la prima volta, pienamente esercitato nei confronti del Vietnam, ma anche messo in discussione. Questa realtà politica può forse spiegare la tesa sensibilità di Zmura alla versione di Pasternak di una soluzione finale alla questione ebraica, nonché il "punto di cecità" di Zmura che appare quando discute il contenuto di questa versione.

Shlomo Grodzensky (1904-1972), un influente critico, giornalista ed editorialista in ebraico e yiddish, scrive (Davar, 9 gennaio 1959) di Živago come di un "grande romanzo" come cosa ovvia[98] (il che aveva causato il risentimento di Aharon Reuveni), e non menziona una parola sul tema ebraico (il che forse aveva causato a Reuveni ancor più risentimento). Un altro fatto ovvio, secondo Grodzensky, è che "l'‘impulso’ filosofico è la motivazione principale dell'opera di Pasternak. Pasternak appartiene a quel tipo di essere umano per il quale la vera esperienza è, in primo luogo, l'esercizio della conoscenza d'acquisizione." Citando ampiamente Živago, Grodzensky afferma che per Pasternak ogni atto, incluso l'atto di creazione artistica, cerca il trascendentale ed è quindi un ritorno a casa e un rinnovamento del mondo. Questo ritorno, che è incarnato in Živago, consente allo scrittore di staccarsi dalla sua "pre-coscienza" e "pre-illuminazione", e di creare finalmente il "quadro generale" della sua vita e arte, per scrivere la sua "tragica storia sulla felicità dell'esistenza."[99]

In un altro articolo (Davar, 23 gennaio 1959) Grodzensky discute la grande importanza del patrimonio culturale e letterario nella visione e nella scrittura di Pasternak,[100] e li collega, un po’ vagamente, a tre delle virtù di Živago: "innocenza, scienza, poesia — forze con cui un uomo combatte contro il mito della rivoluzione vittoriosa, il cui nucleo è la menzogna sul ‘periodo transitorio’, la cui sola unicità è che non ha fine".[101] Živago terrorizza così tanto il regime a causa della sua "demitologizzazione dell'ideologia", del "marxismo come religione di Stato", dei "mistici ufficiali dell'ordinanza permanente travestita da scienza". Questo libro parla della vittoria dell'innocenza. Tuttavia, Grodzensky scrive gravemente alla fine del suo articolo: "C'è un lato in questo romanzo (in)equivocabile dai molti significati che disturba a causa della sua stessa equivocità: il male ebreo molto volgare il cui nome esplicito è assimilazione". E conclude con un'analogia che mette a confronto la concezione in Živago della mancanza di significato dell'esistenza ebraica dopo Gesù, e la concezione anti-esilica sionista radicale della mancanza di significato dell'esistenza ebraica dopo "la perdita dell'indipendenza nazionale" duemila anni fa fino alla firma della Dichiarazione di Indipendenza israeliana nel 1948. "Ma questa analogia non espia e non conforta. Che cosa distorta è l'anima ebrea!"[102]

 
Il pittore israeliano Chaim Gliksberg nel suo studio a Tel Aviv, 1966

Leo Koenig (1889-1970), importante critico d'arte, e il leader del gruppo artistico "Makhmadim" ("I preziosi") fondato nel 1912 nella residenza La Rouche a Parigi, pubblicò su Davar (22 aprile 1959) l'articolo "I tormenti dell'ebraismo" ("Khivley yahadut"), diretto contro le idee assimilatorie di Pasternak e altri. La versione yiddish di questo articolo è già stata analizzata nello studio di Katsis.[103] Un ulteriore dettaglio, tuttavia, può essere aggiunto: su Davar, l'articolo è accompagnato da una riproduzione del dipinto di un pittore israeliano, Chaim Gliksberg (1904-1970), "La sinagoga di Aboab a Safed". Questo dipinto, insieme al suo soggetto – l'interno incredibilmente bello dell'antica sinagoga nella capitale galilea della Kabbalah – riflette l'idea principale dell'articolo di Koenig e il suo credo come uno dei "Makhmadim" e come autore del libro Jews in Modern Art (Gli ebrei nell'Arte moderna): se, come afferma il teorema di Dostoevsky citato da Koenig, non esiste ebreo senza fede, così l'arte (e la letteratura) ebraica è l'amalgama di fede e creatività, ispirazione e rituale. Pertanto, il destino, il percorso storico e spirituale di una nazione (il Popolo ebraico, in questo caso) è la sua elaborazione delicatamente elaborata (izdelie, nelle parole di Pasternak), che deve essere accuratamente preservata e protetta dai tentativi vandalici di distruggerla, appropriarsela o forgiarla, o a cancellarne il significato unico e reale. Sullo sfondo di questa immagine, Pasternak sembra essere incluso nel contesto degli "ebrei nell'Arte Moderna". Inoltre, questo fa eco alle parole di Margolin nel suo articolo menzionato all'inizio del nostro studio: "Il percorso di [Pasternak] dalla Mosca sovietica alla Galilea è anche una sorta di ‘rimpatrio in Israele’, l'unica possibilità per un poeta russo. [...] E non è un caso che tra tutti i poeti che stanno scrivendo in Unione Sovietica sul vero cammino verso il Vangelo, la schicciante insensatezza religiosa della vita sia stata provata ed espressa da un ebreo, un figlio del Popolo per il quale la Galilea non è solo la patria dello spirito, ma è letteralmente la patria della vita, dell'esistenza e del lavoro quotidiani."[104]

Concludiamo questa recensione con l'articolo di Michael Ohad (1923-1998), rinomato giornalista di letteratura, arte e cultura, e autore di libri sull'Orchestra Filarmonica israeliana e sull'attore teatrale Rafael Klachkin. Su Davar Ohad pubblicò un lungo articolo entusiasta su Pasternak, dopo la morte dello scrittore (10 giugno 1960), concludendo con queste parole: "Fu Živago la sensazione politica del 1958 o la Guerra e Pace del XX secolo? A causa dell'ostinatezza dell'editore italiano, il manoscritto è stato salvato. Il poeta è stato sepolto. La sensazione è finita. Ora possiamo leggere di nuovo il romanzo."[105]

Diverse conclusioni possono essere tratte dal materiale presentato supra. La risposta degli intellettuali israeliani a Živago non fu né unanime né inequivocabile. Numerose figure di spicco parteciparono alla discussione sulle pagine delle riviste intellettuali israeliane e dei principali quotidiani. Tutti gli autori espressero il loro forte sostegno allo scrittore perseguitato e condannato della politica sovietica. Alcuni di loro furono scettici riguardo alle virtù artistiche del romanzo e della poetica di Pasternak. Tutti accolsero con favore la filosofia di libertà e amore di Pasternak; tuttavia, quelli di loro che scelsero di citare il tema ebraico nel romanzo ne denunciarono la chiamata all'assimilazione espressa dai personaggi del libro. La maggior parte degli autori conosceva diverse lingue europee, incluso il russo, e così fu in grado di leggere Živago insieme alle sue poesie proprio nel momento in cui fu stampato. Alcuni di loro furono insoddisfatti della traduzione ebraica e indignati per il fatto che le poesie non fossero state incluse nella prima edizione di tale traduzione. Alcuni dei critici israeliani del romanzo non reputarono Živago un romanzo antisovietico o antirivoluzionario, mentre altri analizzarono le complesse cause del risentimento sovietico. In breve, la critica di solito fu amichevole, profonda o giocosa, sebbene a volte fosse ironica e piuttosto severa. Il "tema ebraico" nella reazione ha due aspetti abbastanza ovvi: in primo luogo, calda empatia nei confronti di Pasternak come ebreo e vittima (e talvolta come vittima ebrea), qualunque fosse la sua relazione con la propria ebraicità e con l'ebraismo, per quanto inaccettabile fosse comunque il suo consiglio agli ebrei; e in secondo luogo, l'intenzione persistente di aggrapparsi a qualsiasi elemento, per piccolo che fosse (dato che quelli più grandi non sono facilmente distinguibili), dell'ebraismo nella vita e nell’oeuvre di Pasternak. Poiché queste caratteristiche – empatia e minimalismo – sembrano essere costitutive della critica ebraico-russa in discussione, nella seconda parte di questo studio cercheremo di elaborare le loro basi teoriche.

  Per approfondire, vedi Identità e letteratura nell'ebraismo del XX secolo e Serie letteratura moderna.
  1. Solo una breve nota: secondo la Legge del Ritorno (ebr. חֹוק הַשְׁבוּת, ḥok ha-shvūt) israeliana, confermata nel 1950, il termine "ebreo" non è definito, ma è implicitamente inteso come riferentesi ad un ebreo halakhico, cioè figlio o figlia di madre ebrea. Nel 1970, la Legge includeva anche i discendenti di un padre o nonno ebrei, ma escludeva (a seguito del caso di Oswald Rufeisen – Fratello Daniel – nel 1962) coloro che appartenevano a un'altra religione (diversa dall'ebraismo). Si veda il corrispondente articolo su "Wikipedia: chi è ebreo?" da me preparato nel 2013.
  2. Il saggio di Alberto Moravia "Entretien avec Pasternak" che riporta la sua visita a Pasternak, fu pubblicato sul giornale francese Preuves: cahiers mensuels du Congrès pour la liberté de la culture, 88 (luglio 1958): 3-7.
  3. Prima pubblicazione: "Legend and Symbol in ‘Doctor Zhivago’", Encounter (giugno 1959): 5-15.
  4. Hayward, "Pasternak’s ‘Dr. Zhivago’", Molad 16:119 (giugno 1958): 293-301. Pubblicato per la prima volta su Encounter (maggio 1958): 38-48.
  5. Prima pubblicazione: "The Poetry of Boris Pasternak", Horizon (luglio 1944): 23-35.
  6. Prima pubblicazione: "Doctor Zhivago", Encounter (novembre 1958): 3-5.
  7. Prima pubblicazione: "A Visit to Pasternak", Encounter (marzo 1958): 22-25.
  8. K. Kadmai, "The Revealed and Concealed in the Pasternak Affair", 559.
  9. Ibid., 560-561.
  10. Ibid., 561-562.
  11. Ben-Azay, "Ha-martirologiya shel B. Pasternak".
  12. Pinnes, "Boris Pasternak – metziut ve-semel."
  13. Katsis, "‘Doctor Zhivago’ vstrechaetsa s idishem", 276.
  14. Pasternak, Il dottor Živago, 13. Tutti gli stralci dal romanzo sono tradotti in (IT) direttamente dall'edizione in russo.
  15. Leonid Katsis, "’Doctor Zhivago’ vstrechaetsa s idishem", 274-275.
  16. Lapidus, Russkie vliyaniya na ivritskuyu literaturu, 226, 248.
  17. Lapid, "Tragediia shel adam ve-sifrut."
  18. Ibid.
  19. Ibid.
  20. Gai, "Pasternak ve-... sofrei Israel."
  21. Alterman, "Sikhato shel A.S. Pushkin", 87.
  22. Ibid., 88.
  23. Akhshaw 3-4 (1959): 109-122.
  24. Miron, Arba panim, 94.
  25. Ibid. 108.
  26. Konstantin Ivanov è lo pseudonimo di Vladimir Semyonov – a quel tempo Vice-Ministro degli Affari Esteri, dopo la Seconda Guerra Mondiale – una delle figure principali della politica sovietica nella Germania Est.
  27. Lapidus, Russkie vliyaniya na ivritskuyu literaturu, 16.
  28. Goldberg, Yomanei Lea Goldberg, 263 (22 agosto 1939), 267 (29 settembre 1939).
  29. Ibid. 346 (15-16 luglio 1954).
  30. Ibid., 499.
  31. Ibid., 503 (6 settembre 1954).
  32. Evgeny e Elena Pasternak, Zhizn Borisa Pasternaka, 428.
  33. S. Shalom, Mikhtavim, lettera a Ben-Gurion (30 novembre 1958), 151-152.
  34. Ibid., lettera a Yeshayahu Lelbowitz (23 febbraio 1959), 153.
  35. 46 S. Shalom, "Pasternak’s Advice".
  36. Ibid.
  37. Bialik, "A. L. Pasternak", 272.
  38. Shamir, "Boris Leonidovich", 49-50.
  39. Bialik, "A. L. Pasternak", 272.
  40. Ibid., 273.
  41. Ibid., 275.
  42. Ibid., 276.
  43. Ibid. Tale abnegazione per l'arte come arte era anche la posizione di Bialik. Si veda, per esempio, il suo "Arte Pura" ("Ha-omanut ha-tehora").
  44. Ibid., 277-278.
  45. Ben-Yishai, "The Pasternaks", 5.
  46. Sugli altri contesti (personali e nazionali) della relazione tra Boris Pasternak e la famiglia Frishman, si veda: Katsis, "Nachalnaya pora".
  47. Ben-Yishai, "The Pasternaks", 5.
  48. Mazeh, "Le-zekher Hermann Cohen."
  49. Ben-Yishai, "The Pasternaks", 6.
  50. Ibid.
  51. Annuncio su Davar (9 novembre 1958): 5.
  52. Yaffe, "Boris Pasternak", 110.
  53. Ibid., 113.
  54. Ibid., 115.
  55. Ibid., 116.
  56. Rapp, "‘The Inner Emigrant’” (11 novembre 1958).
  57. Ibid.
  58. Rapp, "‘The Inner Emigrant’" (5 dicembre 1958).
  59. Ibid.
  60. Ibid.
  61. Sadan-Loebenstein, Aharon Reuveni, 113-114.
  62. Ibid.
  63. Ibid., 114.
  64. Reuveni, "Makhol Pasternak", 7.
  65. Pasternak, Il dottor Živago, 537-540. Si vedano anche le due Appendici alla fine di questo mio studio.
  66. Pasternak, Sobranie sochineniy, vol. 1, 145.
  67. Gogol, "La terribile vendetta", 165. Da Veglie alla fattoria presso Dikan'ka.
  68. Ibid., 164.
  69. Reuveni, "Makhol Pasternak", 8.
  70. Ibid., 9.
  71. Ibid., 12.
  72. Perepiska Borisa Pasternaka, 406-408.
  73. Reuveni, "Makhol Pasternak", 11.
  74. Ibid., 16.
  75. Ibid., 17.
  76. Ibid., 21.
  77. Schwartz, Likhyot kedey likhyot, 257.
  78. Ibid.
  79. Ibid., 273.
  80. Reuveni, "Makhol Pasternak", 25.
  81. Ibid., 19.
  82. Bernstein, "Dr. Zhivago", 253.
  83. Ibid., 256.
  84. Ibid.
  85. 96 Ibid. In effetti, quando finalmente gli ebrei russi riuscirono ad espatriare in massa (precedentemente il governo sovietico applicava delle quote, che poi emigravano in Israele) negli anni ’70, la maggioranza fu accolta provvisoriamente in Italia e gran parte poi emigrò negli USA, Canada e Australia — un numero esiguo in Israele.
  86. Ibid., 257.
  87. Ibid.
  88. Gilboa, "Asir toda, nirgash, ge’e..."
  89. Crust, "Boris Pasternak – ‘oyev ha-‘am’".
  90. Gepstein, "Melekh le-layla ekhad", 3.
  91. Ibid., 4.
  92. Halpern, "Boris Pasternak".
  93. Zmura, "Doctor Zhivago", 106.
  94. Ibid., 107.
  95. Ibid., 108.
  96. Ibid., 109.
  97. Ibid.
  98. Grodzensky, "Pasternak: min ha-‘etudim’ ad le-‘tmuna ha-gdola’".
  99. Ibid.
  100. Grodzensky, "Pasternak: ha-‘politika,’ ha-‘hulin’ ve-ha-‘agada’", 5.
  101. Ibid., 11.
  102. 113 Ibid.
  103. Questo articolo di Leo Koenig fu pubblicato in seguito in Yiddish sul giornale Yiddish di Tel Aviv, Heimish: Zhurnal fur literatur kritik un sotziale problemen 47 (aprile 1960): 4-6, col titolo "Tzi hobn azoy getroft nor Dostoevsky, Pasternak, Berenson, Simone Weil? (Epes vegn habli-Jahdus)" [Solo Dostoevsky, Pasternak, Berenson, Simone Weil pensavano così? (Alcune osservazioni sui tormenti dell'ebraismo)]. Questa versione yiddish è stata presentata da Leonid Katsis ("‘Doctor Zhivago’ vstrechaetsa s idishem", 280-281).
  104. Margolin, "Byt’ znamenitym – nekrasivo".
  105. Ohad, "Ha-esev tzomeakh le’at".