Teatro greco/Sofocle
Se Eschilo era ancora ricollegabile alla poesia arcaica, sia per il suo stile sia per il suo sistema di valori, Sofocle può invece essere considerato il principale rappresentante della poesia classica e della cultura nell'età di Pericle. Molti critici hanno infatti indicato due sue opere, l'Antigone e l'Edipo Re, come i più tipici esempi della tragedia greca.
Cenni biografici
modificaSofocle ebbe una lunga carriera artistica, coronata da successi ma anche da cariche pubbliche e religiose. Nato nel 497-496 a.C. nel demo di Colono, figlio di Sofilo (o Sofillo), un ricco proprietario di schiavi appartenente ai ceti alti di Atene. Durante la fanciullezza fu educato alla musica e alla ginnastica, e il giorno della battaglia di Salamina fu scelto per guidare la danza della vittoria. Esordì come poeta nel 468 a.C., riuscendo a vincere alla sua prima partecipazione a un agone drammatico e avendo Eschilo tra i competitori. Ricevette da subito i favori del pubblico e in una prima fase recitò in prima persona, secondo un'antica usanza; dovette però abbandonare l'attività di attore per via del suo basso tono di voce.
Secondo le fonti, Sofocle rifiutò gli inviti provenienti da altre città e rimase tutta la vita ad Atene, ricoprendo anche importanti incarichi. La sua personalità lo rese uno degli uomini più in vista della polis, al punto da diventare un punto di riferimento per vari aspetti della vita cittadina. Fu un politico attivo e ricoprì cariche prestigiose: nel 443 fu ellenotamo (tesoriere della lega delioattica) e nel 445 arconte. Nel 441 fu stratego durante la guerra di Samo, insieme a Pericle, incarico ricevuto forse come ricompensa per la sua Antigone. Ancora nel 413 a.C. fu eletto nel collegio dei probuli. Questi impegni pubblici e militari furono però secondari rispetto ai suoi meriti letterari. Le fonti gli attribuiscono un numero variabile tra le diciotto e le ventiquattro vittorie, e sostengono che abbia scritto anche elegie e peana. Sappiamo per esempio che nel 420 a.C. compose un peana per l'introduzione ad Atene del culto di Asclepio, e per questo dopo la morte ricevette onori come Dexion (accoglitore). Morì ad Atene nel 405-406 a.C., continuando fino all'ultimo a comporre tragedie.[1]
Caratteri della drammaturgia di Sofocle
modificaLe tragedie di Sofocle si caratterizzano per la loro armonia e per il loro equilibrio. Eppure, i suoi drammi sono attraversati da ambiguità e inquietudine. La differenza tra bene e male non viene mai rimarcata esplicitamente e manca completamente una visione provvidenziale della realtà. I suoi personaggi sono lasciati soli a soffrire, spesso senza una ragione. In questo modo il mondo sovrannaturale viene posto fuori dalla vista degli uomini, e viene considerato un insieme di forze inconoscibili che guidano il destino dei mortali. Accanto a questi temi però si affacciano anche quelli che erano oggetto di dibattito nell'Atene periclea, come il rapporto tra la legge della città e la legge della natura, o tra l'individuo e la collettività.
L'eroe sofocleo è un individuo isolato che, suo malgrado, è posto da forze sconosciute di fronte al suo dolore. Dotato di grandi qualità morali e intellettuali, l'eroe tragico si staglia sugli altri personaggi, che non riescono e non possono essere al suo stesso livello. Sono figure profonde e dotate di spessore psicologico, capaci di riflettere su se stesse, sulla propria condizione, e di evolversi. Elemento tipico della tragedia sofoclea è infatti la metabolé (μεταβολή), il momento in cui il protagonista comprende con dolore il proprio destino e l'incapacità di opporvisi.
Sofocle fu però anche un innovatore: introdusse il terzo attore, aumentò il numero dei coreuti da dodici a quindici, migliorò le macchine sceniche e allentò il vincolo tra le opere di una trilogia. Quest'ultima fu un'innovazione particolarmente importante rispetto al teatro eschileo, perché in questo modo ogni tragedia poteva avere una propria autonomia rispetto alle altre. Per quanto riguarda lo stile, invece, pur mantenendo un tono elevato, adottò un linguaggio medio, che raggiungeva vette lirica solamente nei cori.[2]
Le tragedie
modificaCome per Eschilo, anche per Sofocle la tradizione ci ha tramandato solo sette tragedie complete, a fronte degli oltre centotrenta titoli che gli venivano attribuiti: l'Aiace, le Trachinie, l'Antigone, l'Edipo Re, il Filottete, l'Elettra e l'Edipo a Colono. Sulla loro cronologia abbia sufficienti informazioni, sebbene non sia possibile assegnare a ciascuna opera una data precisa di composizione.
Aiace
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La più antica tragedia di Sofocle è l'Aiace (Αἴας), risalente forse al 450 a.C. circa.[3]
Nell'Aiace compaiono alcuni temi propri della poetica di Sofocle, come la vulnerabilità dei grandi uomini, la solitudine, la violenza della divinità, impossibilità di sottrarsi al destino di infelicità proprio dell'uomo. La tragedia inoltre appare divisa in due parti dalla morte di Aiace, in quella che forse è una soluzione sperimentale: la seconda parte è occupata da un dibattito in cui Teucro vuole concedere i funerali al fratello contro la volontà dei due Atridi, il cui odio è inarrestabile. La parola finale, di pietà, sarà pronunciata da Odisseo. In tutto questo tempo il cadavere dell'eroe rimane sulla scena, a simboleggiare che la sua sorte non si compie con la morte, e che la sua vita alla fine ha saputo trovare una redenzione e un riscatto presso gli uomini.[4] Aiace ha peccato di hybris perché per due volte ha oltraggiato la dea Atena, ma il tema della colpa, a differenza di Eschilo, non occupa un posto centrale nella tragedia. Come scrive Lesky, è piuttosto «la tragedia della grande figura umana che nella sua forza smisurata si attira addosso la folgore e riceve il colpo mortale in atteggiamento magnanimo».[5]
Antigone
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L'Antigone (Ἀντιγόνη) fu rappresentata molto probabilmente nel 442 a.C.[6]
Secondo una celebre interpretazione data da Hegel nella sua Estetica,[7] l'Antigone porta in scena la contrapposizione tra lo 14, incarnato da Creonte, e la famiglia, di cui è portavoce Antigone: i due personaggi si dividono la scena, come due protagonisti. Eppure tra i due c'è una differenza sostanziale. La situazione di Antigone non conosce mutamento, l'eroina rimane identica a se stessa, consapevole e determinata fino alla fine, quando si toglie la vita. Creonte viceversa conosce una trasformazione nel corso del dramma, e la sua scelta iniziale lo porterà alla follia e alla solitudine. Gli dèi puniscono quindi la tracotanza del re che ha osato opporsi a una norma sacra. Eppure, nella loro punizione le divinità hanno colpito anche Antigone, secondo una decisione insondabile che conferisce tensione tragica all'opera. Con la sua determinazione eroica, Antigone ha commesso lo stesso errore di Creonte: ha rifiutato di riconoscere le norme che limitano l'autonomia umana, un comportamento che ha pagato con la morte.[8]
Nella tragedia emerge anche il tema del potere dello stato, se questo può o meno ignorare norme che non ha promulgato in prima persona, come nel caso di quelle religiose. La fermezza di Creonte si basa sull'idea che lo stato abbia un potere illimitato: in questo consiste la hybris, che viene respinta dagli dèi e che sarà la causa della sua disgrazia. È probabile che la tragedia affrontasse così alcuni temi politici molto sentiti nell'età di Pericle, durante la quale Atene stava per diventare il centro di una politica imperiale che sembrava essere sul punto di eliminare qualsiasi limite. L'uomo non può assoggettare la natura alla propria volontà, e nel suo operato deve sempre avere coscienza che al di sopra di lui ci sono le divinità e le loro norme assolute.[9]
Trachinie
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Incerta è la data in cui furono rappresentate le Trachinie (Τραχίνιαι), anche se probabilmente sono precedenti all'Edipo Re.
Come l'Aiace, anche le Trachinie hanno una struttura a dittico, in cui ciascuna parte è occupata da un personaggio: la prima da Deianira, preoccupata di avere perso l'amore del marito, la seconda da Eracle morente. Le due figure sono però strettamente unite da un legame fatale.[10] Sofocle ricorre alla sua ironia, nata dalla drammatica constatazione che l'uomo vive in una realtà irrazionale e che le azioni fatte a fin di bene spesso hanno risultati nefasti. In questo caso, il filtro d'amore di Deianira si rivela un veleno. Eracle alla fine della tragedia riconosce che tutti i vaticini ricevuti collimano, ma questa scoperta non gli serve a cambiare la sua sorte. La sua figura è interpretata come quella dell'eroe che ha sconfitto i mostri e ha dato inizio a una nuova fase per l'umanità, ma che tuttavia non può sottrarsi al destino di morte. Gli uomini non possono opporsi né conoscere il volere degli dèi, ma possono solo vivere senza sapere quali circostanze hanno determinato la loro vita e quali provocheranno la loro rovina.[11]
Edipo Re
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L'Edipo Re (Οἰδίπους τύραννος) è probabilmente anteriore al 425 a.C. Tutta la tragedia ruota attorno al protagonista: tutte le scene, esclusa quella in cui il messaggero annuncia la morte di Polibo e poche altre, sono determinate dalla presenza di Edipo. La centralità della sua figura, come si vedrà, ha un'importanza decisiva per quanto riguarda il contenuto della tragedia.[12]
L'Edipo Re è considerato dalla critica moderna come uno dei vertici della tragedia greca classica. Si tratta di quella che viene definita una "tragedia analitica", poiché gli eventi che determineranno la sventura di Edipo sono già avvenuti e il re Edipo è quindi già avvolto dai lacci del destino.[13] Tutto il dramma si svolge come un enigma: da una parte c'è Edipo che indaga sui misteri che lo circondano, dall'altra però è lo stesso Edipo a essere un mistero che deve essere decifrato. La colpa di Edipo non sono né il parricidio né l'incesto, ma è il suo stesso ingegno a compiere una hybris, nel momento in cui cerca di superare la propria debolezza. Edipo è quindi un simbolo dell'uomo che non può niente contro le forze che trascendono la sua volontà e che gli sono incomprensibili. La catastrofe è inevitabile e l'eroe tragico non può evitarla.[14]
Elettra
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Non è nota nemmeno la data in cui fu rappresentata l'Elettra (Ἠλέκτρα), anche se si ipotizza che sia successiva di pochi anni all'Edipo Re. Il tema è lo stesso delle Coefore, anche se non è possibile individuare, negli intenti di Sofocle, la volontà di rivaleggia con Eschilo.
Nell'Elettra Sofocle rinuncia alla sua visione tragica del mondo. Il punto di vista viene spostato da Oreste a Elettra, della quale viene dato un approfondito ritratto psicologico. La ragazza prova un profondo odio per la madre e per l'amante di lei, che l'hanno costretta a una vita di sudditanza. Clitemnestra, viceversa, si rivela meschina, facendo risaltare ancora di più la grandezza della figlia. Nel finale non c'è accenno a una colpa dei due fratelli per il delitto commesso. Il gesto di Elettra può infatti essere visto come positivo, come rivolta di chi è stato vissuto in uno stato di libertà negata e che sa di avere un destino da compiere.[15]
Filottete
modificaPer leggere su Wikisource il testo originale, vedi Φιλοκτήτης
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Il Filottete (Φιλοκτήτης) fu rappresentato nel 409 a.C.
Sofocle porta all'estremo la sua capacità introspettiva, in questa tragedia che si basa unicamente sul dialogo tra tre personaggi, uno dei quali, Filottete, alla fine si ritrova diverso dall'inizio in seguito a un processo interiore. È un fatto abbastanza unico nella tragedia greca del periodo: Filottete, nella sua solitudine, ha imparato a conoscere la natura e le leggi dell'universo che lo circorda. Proprio questa conoscenza gli ha consentito di sapere che la volontà di scelta è tutt'uno con la necessità: Filottete accetta di partire per Troia solo dopo che Eracle, uomo diventato dio, gli dice di farlo. Decisivo inoltre è il rapporto con Neottolemo, in un dialogo tra giovane e vecchio in cui ciascuno dei due ha raggiunto qualcosa: Neottolemo la maturità, Filottete la solidarietà tra gli uomini.[16]
Edipo a Colono
modificaPer leggere su Wikisource il testo originale, vedi Οιδίπους επί Κολωνώ
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Postumo fu rappresentato l'Edipo a Colono (Οἰδίπους ἐπί Κολωνῷ), che venne portato sulle scene nel 401 a.C.
Secondo una legge misteriosa, lo stesso uomo è punito con il dolore ma anche benedetto dagli dèi. Edipo è un vagabondo che incontra biasimo e orrore per i delitti di cui è accusato. Allo stesso è anche un santo, e gli dèi hanno deciso di dare protezione alla terra in cui sarà sepolto. Da questo punto di vista, Edipo si pone al di là della dialettica tra colpa e innocenza. Ma non è solo questo: ultima opera di Sofocle, l'Edipo a Colono è una riflessione sulla vecchiaia e sulla vita passata. Tutta la tragedia è dilaniata da momenti di tensione a cui seguono scene di serenità, un anelito di pace tipico di un personaggio che, come Edipo, ha conosciuto le contraddizioni del mondo.[17]
Note
modifica- ↑ Albin Lesky, Storia della letteratura greca, Milano, Saggiatore, pp. 328-331.
- ↑ Giulio Guidorizzi, Il mondo letterario greco. L'età classica, vol. 1, Torino, Einaudi, 2000, pp. 134-136.
- ↑ Albin Lesky, Storia della letteratura greca, Milano, Saggiatore, p. 333.
- ↑ Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, pp. 201-2012.
- ↑ Albin Lesky, Storia della letteratura greca, Milano, Saggiatore, pp. 328-331.
- ↑ Albin Lesky, Storia della letteratura greca, Milano, Saggiatore, p. 332.
- ↑ Georg Hegel, Estetica II, 2, 1.
- ↑ Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, pp. 201-202.
- ↑ Albin Lesky, Storia della letteratura greca, Milano, Saggiatore, pp. 338-339.
- ↑ Albin Lesky, Storia della letteratura greca, Milano, Saggiatore, p. 341.
- ↑ Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, pp. 204-205.
- ↑ Albin Lesky, Storia della letteratura greca, Milano, Saggiatore, p. 342.
- ↑ Albin Lesky, Storia della letteratura greca, Milano, Saggiatore, p. 343.
- ↑ Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, p. 207.
- ↑ Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, pp. 207-208.
- ↑ Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, pp. 208-209.
- ↑ Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, p. 210-211.