Teatro greco/I Greci e il teatro

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Il teatro greco sviluppatosi nell'Atene democratica tra VI e IV secolo a.C. rappresenta uno dei momenti più alti della cultura europea. Dall'antichità è giunto ai nostri giorni solo un numero limitato di drammi e molte testimonianze, che ci consentono di farci un'idea abbastanza precisa del loro valore artistico e culturale. Per comprendere a fondo cosa significò questo fenomeno, è però bene ricordare che l'esperienza teatrale degli antichi ateniesi era sensibilmente diversa da quella che possiamo avere noi moderni: i drammi antichi vengono oggi fruiti prevalentemente attraverso la lettura, e anche quando vengono proposti sulla scena, la loro rappresentazione risente dei mutamenti che la prassi teatrale ha subito nel corso dei secoli. In questo primo modulo ci soffermeremo quindi sugli aspetti che caratterizzavano le rappresentazioni antiche, il contesto culturale in cui si svolgevano, la loro organizzazione e la messa in scena, oltre alla struttura architettonica dei teatri antichi.

Il teatro come evento religioso, politico e agonistico

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Teatro di Epidauro, uno dei teatri greci meglio conservati al mondo, dal 1988 tutelato dall'UNESCO

Nell'antica Atene, il teatro era allo stesso tempo un evento religioso, politico e agonistico. L'opera teatrale si rivolgeva sempre alla collettività e presupponeva una fruizione diretta del testo, che avveniva non attraverso la lettura ma mediante la rappresentazione scenica con danze e canti, offrendo quindi un'esperienza visiva e auditiva. È bene evidenziare da subito come lo spettacolo non fosse il fine della rappresentazione teatrale, ma solo la forma attraverso cui si manifestava questo particolare tipo di espressione.

Fin dalle origini il teatro fu anzitutto un fenomeno religioso, che si svolgeva nel contesto delle celebrazioni in onore di Dioniso: per i Greci assistere a una rappresentazione equivaleva a partecipare a un rito. Questo aveva delle conseguenze sulla composizione del dramma, che attingeva la sua materia dal mito. La stessa tragedia si presentava come un'indagine sulla divinità in tutta la sua complessità.

Le rappresentazioni teatrali avevano però anche un valore politico. La loro organizzazione era infatti gestita dalla polis e per l'Atene democratica dell'epoca, in cui una comunità di uomini liberi partecipavano al governo della città, la rappresentazione teatrale era un'occasione per fare un'esperienza di vita collettiva. La collettività in questo modo si trovava a essere, allo stesso tempo, committente e destinataria dell'opera teatrale. Centrale era il rapporto tra individuo e collettività, che all'interno della struttura del dramma aveva un suo corrispettivo nel dialogo tra l'eroe e il coro.

Terzo aspetto da tenere presente è il carattere agonistico delle rappresentazioni teatrali. I primi concorsi drammatici furono inventati – o almeno organizzati – dal tiranno Pisistrato attorno al 535 a.C.[1] Per comprenderne l'importanza basterà fare un parallelo con le competizioni sportive, che erano anch'esse inserite in contesti religiosi rituali e i cui risultati avevano una valenza pubblica (i vincitori godevano di particolari benefici elargiti dalla città). Come per gli atleti, ad Atene anche per gli autori di opere drammatiche era previsto un concorso all'interno delle festività religiose, il cui esito aveva un riconoscimento religioso e civile. Un collegio di giudici stabiliva un graduatoria tra i partecipanti, e in base a questa venivano assegnati i premi. Il prestigio della vittoria era d'altra parte uno stimolo per i poeti, i quali si dedicavano principalmente a quei temi che, in quel momento, segnavano maggiormente la riflessione etica e speculativa della collettività.[2]

L'organizzazione teatrale

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Dioniso seduto con in mano un kantharos, raffigurato su un vaso risalente al VI secolo a.C. (opera attribuita a Psiax). British Museum, Londra

Le rappresentazioni teatrali nell'antica Grecia si svolgevano in determinati periodi dell'anno, in corrispondenza di particolari festività legate al culto di Dioniso. Le più importanti in assoluto erano le Grandi Dionisie o Dionisie urbane, che si tenevano tra il 9 e il 14 del mese di Elafebolione (marzo-aprile).[3] Con la fine dell'inverno e l'inizio della primavera, i mari diventavano più navigabili e Atene era popolata di forestieri. L'evento teatrale si svolgeva quindi in un clima di festa e in un periodo dell'anno durante il quale le attività lavorative erano sospese. A conferire solennità alle cerimonie era poi il fatto che queste duravano varie giornate consecutive. La comunità usciva quindi dalla sfera del quotidiano e, come scrive Del Corno, entrava in «una dimensione mimetica che contribuiva ad abolire ogni soluzione di continuità fra lo spettacolo e i suoi spettatori».[2]

Le rappresentazioni per le Dionisie iniziavano alla mattina e terminavano al tramonto. Gli spettacoli teatrali veri e propri avevano inizio l'11 del mese; i primi due giorni erano dedicati a rituali religiosi e civili, a cui seguiva una gara di ditirambi (canti connessi al culto di Dioniso), che si svolgeva il secondo giorno e vedeva affrontarsi dieci cori di ragazzi e dieci di adulti, in rappresentanza delle dieci tribù che costituivano la polis.[4]

In via preliminare, gli autori dovevano sottoporre i loro drammi a un magistrato, l'arconte epònimo, a cui spettava il compito di selezionare tre poeti tragici. A ciascuno era destinata una giornata (dal 12 al 14 di Elafebolione), durante la quale il poeta presentava una tetralogia composta da tre tragedie e un dramma satiresco. Anche gli autori di commedie dovevano passare un vaglio: in origine ne venivano ammessi tre, e solo in epoca più tarda il loro numero fu portato a cinque. Le commedie prescelte venivano rappresentate tutte nell'arco di una stessa giornata (il giorno 11).[5][6] È probabile che l'arconte epònimo, per compiere la scelta, valutasse un copione provvisorio oppure, più semplicemente, il soggetto mitico proposto dall'autore. I poeti che venivano selezionati ricevevano dallo stato la commissione di terminare l'opera e di occuparsi della messa in scena fino alla sua rappresentazione.[7]

Il numero delle competizioni crebbe con il passare del tempo. La gara per il migliore poeta tragico risale probabilmente al 535 a.C., mentre nel 508 fu introdotta quella per il miglior ditirambo e dal 456 si è iniziato ad assegnare un premio al migliore poeta comico. Nel 449 a.C. è iniziata la gara per il migliore attore tragico, mentre la competizione per gli attori comici arriverà solo più tardi, tra il 329 e il 312 a.C.[8]

All'arconte epònimo spettava anche il compito di designare i corèghi. Si trattava di tre facoltosi cittadini che, per affermare pubblicamente il proprio prestigio personale, si facevano carico delle spese e dell'organizzazione delle rappresentazioni. Ogni poeta aveva quindi il proprio corègo.[5] La coregìa era una liturgia, cioè uno degli obblighi a cui erano tenuti i cittadini più agiati di Atene, i quali per legge dovevano sostenere economicamente alcuni servizi rivolti alla collettività. Non era raro che l'arconte subisse pressioni da parte di politici che, facendosi assegnare la coregìa, speravano di avere un ritorno di immagine. Poteva però capitare che il prescelto rifiutasse il compito, affermando di non essere in grado di sostenere la spesa: in questo caso doveva indicare come proprio sostituto un cittadino più abbiente. Anche quest'ultimo aveva, a sua volta, la possibilità di rifiutare, ma questa decisione avrebbe comportato l'obbligo di scambiare il proprio patrimonio con quello del cittadino che l'aveva indicato. Questo scambio era regolato da un apposito procedimento giudiziario, l'antìdosi (ἀντίδοσις, «scambio dei beni»).[9]

Gli spettacoli erano preceduti dal proagón (προαγών), che si teneva alcuni giorni prima nell'Odeon (Ὠιδεῖον), un edificio che sorgeva nei pressi del teatro, fatto costruire da Pericle nel 444 a.C. I poeti, insieme a corèghi, attori e corèuti sfilavano indossando ghirlande e costumi di scena, ma senza le maschere. In questa occasione venivano illustrati sommariamente al pubblico i drammi che dopo pochi giorni sarebbero stati messi in scena.[7][8]

Prima delle rappresentazioni veniva nominata anche la giuria composta da dieci cittadini, uno in rappresentanza di ciascuna tribù. Per evitare ingerenze, la legge prevedeva un meccanismo di estrazione a sorte, lo stesso che veniva adoperato per assegnare le magistrature. Alla conclusione degli spettacoli, ogni giurato scriveva su una tavoletta i nomi dei poeti, ordinati in base al merito. Tutte le tavolette erano poi raccolte in un'urna, dalla quale l'arconte ne estraeva solo cinque, sulla base delle quali stabiliva il vincitore dell'agone. Questi veniva incoronato con una ghirlanda di edera, pianta sacra a Dioniso, e molto probabilmente riceveva anche un premio economico corrisposto dalla polis. Al corègo era invece assegnato un trìpode, cioè un sostegno a tre piedi in bronzo o oro, che il vincitore consacrava a Dioniso. Nonostante le precauzioni previste dalla legge, i giurati finivano comunque per essere influenzati dalle reazioni del pubblico, che manifestava la propria approvazione con urla. In certi casi poteva inoltre essere determinante l'appoggio di personaggi politici in vista.

Terminate tutte le cerimonie e le celebrazioni per le Dionisie, un'assemblea all'interno del teatro aveva infine il compito di valutare se la festa si era svolta correttamente e giudicare l'operato dei magistrati preposti all'organizzazione.[10]

Oltre le Dionisie

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Le Grandi Dionisie non erano le uniche occasioni nel corso dell'anno durante le quali si tenessero spettacoli teatrali.

  • Le Lenee (il cui nome è forse legato a lenós, ληνός, il torchio per pigiare l'uva, oppure a lênai, λῆναι, le donne invasate del dio) erano feste in onore di Dioniso istituite attorno al 440 a.C. e si svolgevano tra il 12 e il 14 del mese di Gamelione (gennaio-febbraio).[11] Poiché si tenevano in inverno, erano un evento destinato solo al pubblico ateniese o comunque a spettatori provenienti dall'Attica. La competizione, iniziata forse nel 442 a.C., era rivolta ai poeti comici, e solo a partire dal 423 a.C. circa fu estesa ai tragediografi. Vi potevano partecipare cinque commediografi con una commedia ciascuno, mentre i poeti tragici in gara erano due, ciascuno con due tragedie.[10]
  • Le Dionisie rurali si svolgevano invece nel mese di Posideone (dicembre-gennaio) in diversi demi dell'Attica, in alcuni dei quali le celebrazioni erano accompagnate da agoni drammatici. In queste occasioni venivano messe in scena nuove opere, ma talvolta erano solo repliche di drammi già rappresentati. In particolare, furono due i demi che si distinsero: il Pireo (dove Socrate si recò per vedere Euripide) ed Eleusi (dove Aristofane e Sofocle presentarono almeno un'opera).[10]

Struttura del teatro greco

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Struttura del teatro greco

Il teatro greco aveva una peculiare struttura architettonica. Ad Atene le rappresentazioni delle Dionisie si svolgevano nel teatro di Dioniso, che si trovava sulle pendici meridionali dell'Acropoli, nel recinto sacro di Dioniso Eléutheros. Inizialmente costruito in legno, subì nel corso degli anni varie trasformazioni, fino a diventare un edificio in pietra, che però fu completato solo nel IV secolo a.C., ai tempi di Licurgo.[5] Un secondo palco ligneo, provvisorio, veniva allestito nell'agorá in occasione delle Lenee.[1] Di seguito sono elencate le principali parti di un teatro greco.

  • Theatron (θέατρον), la parte destinata al pubblico. A forma di semicerchio, era sopraelevata perché poggiava su un rilievo naturale dell'Acropoli. Secondo le stime, aveva una capienza di 15-20 mila spettatori, quindi ben superiore rispetto ai teatri moderni. I posti migliori spettavano alle autorità, cioè magistrati e sacerdoti, mentre il resto del pubblico poteva accedere solo se provvisto di biglietto.[5] Il prezzo era però molto basso (un gettone di bronzo), e i cittadini meno abbienti potevano chiedere allo stato un apposito contributo, detto theorikón (θεωρικόν). Si ipotizza inoltre che potessero accedere come spettatori anche donne, bambini e schiavi.[7]
  • Orchestra (ὀρχήστρα), la piattaforma circolare che si trovava al centro del teatro, sulla quale era posto un altare. Qui si svolgeva l'azione del coro, ma si suppone che, in epoca arcaica, vi trovassero posto anche gli attori, prima che la struttura fosse dotata di un edificio di sfondo.
  • Skēné (σκηνή), l'edificio di sfondo, collocato di fronte al theatron e tangente all'orchestra. In origine era una tenda dietro la quale gli attori cambiavano costume. Con il tempo questo edificio diventò parecchio ingombrante, poiché iniziò a inglobare anche un magazzino e uno spogliatoio. La sua introduzione portò a modificare lo spazio di azione dei personaggi, che in questo modo si differenziavano dal coro recitando su una piattaforma più bassa di fronte alla skēné. La facciata dell'edificio veniva inoltre utilizzata come elemento base per la scenografia, su cui veniva raffigurato un palazzo oppure un tempio dotato di una porta principale e di due laterali (queste ultime venivano però usate solo nella commedia). Gli attori in genere entravano in scena da queste aperture. Aristotele attribuisce a Sofocle la pratica di dipingere la scena (σκηνογραφία),[12] mentre Vitruvio la riconduce ad Agatarco di Samo, collaboratore di Eschilo.[13]
  • Parodoi (πάροδοι), passaggi laterali collocati tra il theatron e la skēné, consentivano al coro di accedere all'orchestra.
  • Proskénion (προσκήνιον) o logheion (λογεῖον), un palcoscenico sopraelevato che fu però introdotto solo più tardi, nel IV secolo a.C., dopo la scomparsa del coro.

Macchine teatrali ed elementi di arredo

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Durante le rappresentazioni, per rispondere a particolari esigenze sceniche, poteva essere necessario utilizzare alcune macchine teatrali. Per esempio, poiché il teatro era all'aperto, per le scene che nella finzione si svolgevano all'interno di un edificio veniva utilizzata una piattaforma mobile detta ekkýklema (ἐκκύκλημα), che veniva portata fuori dalla skēné e su cui era montata una generica ambientazione simbolica.

C'era poi la mechané (μηχανή), una gru che consentiva agli attori che impersonavano divinità o esseri soprannaturali di venire sollevati per simulare il volo. Gli dèi potevano fare la loro comparsa anche dal theologhêion (θεολογεῖον), una piattaforma situata sopra l'edificio della skēné, a rimarcare la distanza tra la divinità e gli uomini. Ombre e fantasmi, invece, emergevano da botole dotate di scale, dette charóneiai klìmakes (χαρώνειαι κλίμακες), cioè «scale di Caronte». Infine, per imitare il rumore di tuoni e fulmini venivano utilizzati, rispettivamente, il brontêion (βροντεῖον) e il keraunoscopêion (κεραυνοσκοπεῖον).[14]

Potevano essere previsti anche elementi di arredo. In molte tragedie è ricorrente la presenza di un altare o di un simulacro del dio, a cui i personaggi rivolgono preghiere e che quindi rappresenta un elemento fondamentale per la rappresentazione; talvolta erano inserite anche tombe o tumuli. Strutture rialzate servivano a suggerire la presenza di rilievi o alture, e in alcuni drammi si fa riferimento anche a piante e arbusti. L'ingresso in scena di personaggi di rango elevato poteva poi prevedere l'uso di carri.[15]

La messa in scena

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Figurina in terracotta del IV secolo a.C., raffigurante un attore che impersona una vecchia. Museo del Louvre, Parigi

Il teatro non era coperto e veniva illuminato dalla luce naturale del sole. La struttura architettonica era inoltre progettata in modo che i dialoghi fossero udibili da tutti gli spettatori. A queste esigenze acustiche veniva incontro anche l'uso delle maschere, dotate di un'apertura per la bocca che aveva anche l'effetto di amplificare la voce degli attori.[5]

L'assenza di illuminazione artificiale e il fatto che non vi fosse un sipario a segnare i cambi di scena imponevano ai poeti di seguire determinate convenzioni. Anzitutto, nel teatro greco la durata del tempo scenico non aveva nulla a che fare con il tempo reale, e anche laddove fosse stato necessario precisare in che momento della giornata si svolgesse l'azione, questa informazione veniva fornita dagli stessi personaggi nelle loro battute. Allo stesso modo, anche lo spazio scenico non aveva intenti realistici.[14]

L'azione drammatica era affidata al coro e agli attori. In particolare, il coro si esprimeva utilizzando il canto e movimenti di danza. Le istruzioni venivano date dal maestro del coro, il chorodidáskalos (χοροδιδάσκαλος), ruolo che agli inizi era svolto dallo stesso autore. Il maestro del coro si occupava anche di comporre le musiche di accompagnamento delle parti cantate, che venivano suonate con flauti o, più raramente, con una cetra. Purtroppo ci sono giunte pochissime informazioni sulla musica antica, mentre è del tutto impossibile ricostruire le danze che venivano eseguite. A capo del coro c'era infine il corifèo (koruphaîos), che dialogava in nome del coro con gli attori. Il numero dei corèuti, cioè i membri del coro, era variabile: ai tempi di Eschilo erano dodici, ma furono aumentati a quindici da Sofocle; nella commedia il numero rimase invece stabile a ventiquattro.[14]

Agli attori (ὑποκριταί) spettavano invece le parti dialogate; talvolta però potevano eseguire canti con il coro, da soli (le monodie) oppure con un secondo attore. In origine gli stessi poeti erano attori, registi e coreografi: Eschilo svolse questi compiti nei propri drammi, mentre Sofocle pare fosse un abile danzatore, ma dovette abbandonare la recitazione a causa della sua voce troppo debole.[16] Solo più tardi tutte queste funzioni furono distinte e affidate a figure diverse.[17]

Il numero di attori variò nel corso degli anni. Alle origini c'era un unico attore, e fu Eschilo a introdurne un secondo e poi un terzo,[14] che con Sofocle divenne una presenza fissa.[16][18] Solo in rari casi era previsto un attore in più rispetto ai tre convenzionali, che veniva detto parachoréghema (παραχορήγημα) e a cui venivano affidati ruoli marginali.[14] Nella commedia c'era invece maggiore libertà e solo con Cratino fu stabilito il numero di tre attori, a cui se ne aggiungeva un quarto per piccole parti.[18] Con il tempo, divenne necessario rivolgersi ad attori professionisti, per i quali vennero istituite delle selezioni; nei tempi più antichi questa incombenza spettava direttamente all'autore, e solo in seguito passò all'arconte.[8] Dopo il V secolo, gli attori si organizzarono in compagnie e iniziarono a svolgere tournée.[16]

 
Maschere teatrali. Museo archeologico, Nicosia

L'uso delle maschere consentiva a ogni attore di interpretare più ruoli, compresi quelli femminili (non erano previste infatti attrici donne).[14] Le fonti attribuiscono al poeta Tespi (che è considerato anche il primo tragediografo) l'invenzione della maschera, mentre si deve a Frinico la maschera femminile, con un incarnato più chiaro rispetto a quella maschile.[19] È comunque probabile che l'uso della maschera fosse collegato ai riti misterici da cui il teatro greco ha avuto origine. Il suo impiego è poi legato alle dimensioni della struttura, che impediva agli spettatori di riconoscere le espressioni del volto: per questo motivo, le maschere erano dipinte con espressioni tipizzate in modo da esibire il carattere del personaggio. La manifestazione delle emozioni, invece, era affidata ai gesti e alle espressioni verbali. La maschera, quindi, consentiva al pubblico di riconoscere immediatamente i personaggi sulla scena,[20] e permetteva a uno stesso attore, cambiandola, di interpretare di volta in volta personaggi differenti, cosa che richiedeva una certa versatilità.[19] Sembra inoltre che le maschere comiche riproducessero le sembianze di giovani oppure dei cittadini ateniesi di cui ci si prendeva gioco durante la rappresentazione; in molti casi però gli artigiani che le realizzavano dovevano assecondare la fantasia dei poeti, che portavano in scena cori composti da animali o da creature fantastiche.[21]

Per quanto riguarda i costumi, gli attori tragici vestivano abiti sontuosi. Stando alle fonti, sembra che l'inventore della costumistica tragica sia stato Eschilo. Gli abiti degli eroi tragici erano di color porpora o croco, mentre le vesti del coro erano estremamente sontuose, allo scopo di impressionare il pubblico e dimostrare la generosità del corègo. Euripide, invece, avrebbe introdotto la pratica di mandare in scena attori con vesti lacere, un'innovazione che fu forse imitata da Sofocle.[22] A partire dall'età ellenistica si diffuse poi l'uso dei coturni, calzari dotati di un'alta suola.

Decisamente grottesco era invece il travestimento degli attori comici, che indossavano abiti comuni a cui erano applicate vistose imbottiture sul deretano e sul ventre. Sul davanti avevano inoltre un fallo di cuoio, un elemento derivato, molto probabilmente, dagli antichi riti della fertilità da cui la commedia ha tratto origine; questo fu abolito nel IV secolo a.C.[20][23] Nei drammi satireschi, infine, i corèuti indossavano una calzamaglia su cui erano aggiunti un enorme fallo sul davanti e una coda equina sul di dietro, allo scopo di impersonare i satiri.[21]

Maschera e travestimento erano parte integrante dell'idea stessa di teatro, che costituiva una realtà alternativa rispetto alla quotidianità. Tuttavia, questa realtà non era considerata fittizia o immaginaria: al contrario, per i Greci la realtà teatrale era dotata di autonome leggi a aveva una propria concretezza che la rendeva "vera" al pari della realtà quotidiana. Solo nel IV secolo, con la trasformazione del teatro in forma di intrattenimento, questa concezione verrà meno; gli spettatori antichi, invece, identificavano la propria biografia con l'evento scenico, e si lasciavano assorbire dalla realtà del teatro.[20]

L'importanza del teatro nell'Atene classica fu tale che i cittadini continuarono ad assistere agli spettacoli anche nei momenti più critici della loro storia. Secondo le stime, dall'inizio delle competizioni alla fine del V secolo a.C., tra Grandi Dionisie e Lenee furono rappresentate circa 2 300 opere, tra tragedie, commedie e drammi satireschi. Di questo patrimonio ci sono giunte integre solo sette tragedie di Eschilo e altrettante di Sofocle, oltre a undici commedie di Aristofane; più fortuna ha avuto Euripide, del quale possediamo i testi di diciassette tragedie e di un dramma satiresco. Oltre a questo, possediamo vari frammenti e testimonianze relative ad altri tragediografi.[24]

  1. 1,0 1,1 Giulio Guidorizzi, Il mondo letterario greco. L'età classica, vol. 1, Torino, Einaudi, 2000, p. 32.
  2. 2,0 2,1 Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, p. 165-166.
  3. Davide Susanetti, Il teatro dei Greci. Feste e spettacoli, eroi e buffoni, Roma, Carocci, 2003, p. 27.
  4. Davide Susanetti, Il teatro dei Greci. Feste e spettacoli, eroi e buffoni, Roma, Carocci, 2003, p. 28.
  5. 5,0 5,1 5,2 5,3 5,4 Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, p. 167.
  6. Davide Susanetti, Il teatro dei Greci. Feste e spettacoli, eroi e buffoni, Roma, Carocci, 2003, pp. 29-30.
  7. 7,0 7,1 7,2 Giulio Guidorizzi, Il mondo letterario greco. L'età classica, vol. 1, Torino, Einaudi, 2000, p. 31.
  8. 8,0 8,1 8,2 Davide Susanetti, Il teatro dei Greci. Feste e spettacoli, eroi e buffoni, Roma, Carocci, 2003, p. 32.
  9. Giulio Guidorizzi, Il mondo letterario greco. L'età classica, vol. 1, Torino, Einaudi, 2000, pp. 30-31.
  10. 10,0 10,1 10,2 Davide Susanetti, Il teatro dei Greci. Feste e spettacoli, eroi e buffoni, Roma, Carocci, 2003, p. 33.
  11. Giulio Guidorizzi, Il mondo letterario greco. L'età classica, vol. 1, Torino, Einaudi, 2000, p. 30.
  12. Aristotele, Poetica, 1449a.
  13. Vitruvio, De architectura VII.
  14. 14,0 14,1 14,2 14,3 14,4 14,5 Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, p. 168.
  15. Davide Susanetti, Il teatro dei Greci. Feste e spettacoli, eroi e buffoni, Roma, Carocci, 2003, p. 39-40.
  16. 16,0 16,1 16,2 Giulio Guidorizzi, Il mondo letterario greco. L'età classica, vol. 1, Torino, Einaudi, 2000, p. 33.
  17. Davide Susanetti, Il teatro dei Greci. Feste e spettacoli, eroi e buffoni, Roma, Carocci, 2003.
  18. 18,0 18,1 Davide Susanetti, Il teatro dei Greci. Feste e spettacoli, eroi e buffoni, Roma, Carocci, 2003, p. 31.
  19. 19,0 19,1 Davide Susanetti, Il teatro dei Greci. Feste e spettacoli, eroi e buffoni, Roma, Carocci, 2003, p. 40.
  20. 20,0 20,1 20,2 Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, p. 169.
  21. 21,0 21,1 Davide Susanetti, Il teatro dei Greci. Feste e spettacoli, eroi e buffoni, Roma, Carocci, 2003, p. 42.
  22. Davide Susanetti, Il teatro dei Greci. Feste e spettacoli, eroi e buffoni, Roma, Carocci, 2003, p. 41.
  23. Giulio Guidorizzi, Il mondo letterario greco. L'età classica, vol. 1, Torino, Einaudi, 2000, p. 34.
  24. Davide Susanetti, Il teatro dei Greci. Feste e spettacoli, eroi e buffoni, Roma, Carocci, 2003, p. 35.