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La commedia è, insieme alla tragedia, uno dei due più importanti generi del teatro greco classico. Gli studiosi ne dividono l'evoluzione in tre fasi: la commedia antica (dalle origini alla fine del V secolo a.C.), la commedia di mezzo (tra la fine del V e il tardo IV secolo) e la commedia nuova (dagli ultimi decenni del IV secolo a.C.).

Commedia antica

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Nascita ed evoluzione della commedia

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Danza durante un komos (VI secolo a.C.). Metropolitan Museum of Art, New York

Quando nacque la commedia? Come per la tragedia, anche in questo caso è impossibile dare una risposta univoca. Secondo le testimonianze antiche, i primi concorsi comici si tennero ad Atene nel 486 a.C., durante i festeggiamenti in onore di Dioniso, e il primo vincitore fu Chionide. Le origini del genere sarebbero però più antiche: Aristotele le fa risalire alle falloforie (φαλλικά),[1] e aggiunge che le fasi della sua evoluzione ci sfuggono perché all'inizio non fu presa sul serio. Probabilmente la commedia derivò dai canti in onore di Dioniso che venivano improvvisati da chi guidava queste processioni, le quali avevano lo scopo di propiziare la fertilità, simboleggiata da un fallo; i partecipanti inoltre lanciavano lazzi contro i passanti che incontravano. Lo stesso nome kōmōdía (κωμῳδία) è probabilmente composto dalle due parole kōmos (κῶμος) e ōdē (ᾠδή), e potrebbe quindi significare "canto del corteo dionisiaco".[2]

Meno probabile è invece l'ipotesi che farebbe derivare la parola kōmōdía dal dorico kōmē (κώμη), cioè "villaggio", un'ipotesi che comunque fa riferimento alle radici rurali e contadine del genere.[3] In un'epoca precedente, nelle regioni doriche, attori girovaghi portavano di villaggio in villaggio brevi spettacoli composti da scenette di carattere burlesco, scollegate tra di loro. Molto famose all'epoca erano le farse della città dorica di Megara, che per questo motivo si attribuiva l'invenzione della commedia. Qui abitava Susarione, che una certa tradizione considerava padre della commedia ma che è considerato un personaggio leggendario, al pari di Tespi.

Non è però possibile affermare che la commedia sia nata dall'unione tra i cori fallici dell'Attica con le farse doriche. Nella commedia attica, la parte corale e quella recitata dagli attori sono infatti strettamente integrate tra di loro, in un modo tale che non potrebbe essere spiegato con la semplice fusione dei due elementi. Lo stesso agone, una delle parti fondamentali della commedia, sembra discendere da una forma di canto a due voci risalente a una fase molto antica, in cui un solista si contrapponeva a un coro. È dunque probabile che nella nascita della commedia siano confluiti elementi tra di loro diversi, anche se non è possibile, per la esiguità delle fonti a disposizione, ricostruirne le fasi. Certamente ebbero una certa influenza sia la tragedia, da cui riprese alcuni aspetti strutturali, sia il dramma siceliota, che precedette la commedia e che aveva in Epicarmo (seconda metà del VI secolo a.C.) il suo massimo rappresentante.

Aristotele ci informa che ad Atene «Cratete fu il primo a staccarsi dalla forma giambica e a comporre dialoghi e trame con carattere generale».[4] Fuori dall'Attica, però, furono i poeti sicelioti i primi a comporre trame organiche per le loro opere comiche. Il dramma siceliota aveva molti elementi in comune con la commedia, al punto che, a posteriori, si usò il termine "commedia" anche per indicare quelle opere precedenti.[5]

Essenziale fu infine l'influenza della poesia giambica di Archiloco, Semonide e Ipponatte, che aveva tra i suoi temi ricorrenti l'invettiva contro le personalità più in vista della comunità. In questo genere di componimenti si faceva largo uso di soprannomi, giochi di parole, termini bassi e a volte osceni, insistiti riferimenti alla sessualità, doppi sensi.[6]

Struttura della commedia

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Sizigìa epirrematica

Struttura binaria in cui sezioni uguali per metro e numero di versi si corrispondono a coppie.

Come la tragedia, anche la commedia greca aveva precise norme strutturali. Su questo schema, che non era rigido, i poeti potevano apportare delle variazioni, pur mantenendo sempre alcuni elementi essenziali. Basandosi principalmente sullo studio delle opere di Aristofane, le uniche che ci siano giunte nella loro completezza, è stato possibile riconoscere quattro parti, una struttura che verosimilmente era seguita anche dagli altri autori dell'epoca.[7]

  • Prologo (πρόλογος): la commedia si apriva con una lunga sezione in cui i personaggi introducevano la situazione iniziale, gli scopi che si prefiggeva l'eroe comico e gli argomenti dell'opera. In genere i personaggi si trovano in una condizione negativa, a cui l'eroe si propone di porre rimedio. Talvolta il prologo inizia con un monologo di un personaggio, altre volte c'è invece uno scambio di battute tra due personaggi, seguito da un discorso.
  • Parodo (πάροδος): analogamente alla tragedia, anche nella commedia il coro faceva il suo ingresso subito dopo il prologo, intonando un canto che aveva una stretta correlazione con l'argomento dell'opera.
  • Agone (ἀγῶν): uno degli elementi caratteristici della commedia è il confronto di opinioni tra due personaggi, che segue un serrato ritmo binario, secondo la sizigìa epirrematica. L'agone si chiudeva sempre con la vittoria dell'eroe, che così imponeva una nuova situazione.
  • Parabasi (παράβασις): nel mezzo della scena, talvolta prima e talvolta dopo l'agone, gli attori si ritiravano e il coro sfilava per porsi di fronte al pubblico. A quel punto veniva eseguito un lungo canto in sette sezioni (quattro in forma di sizigia e tre in anapesti), accompagnato da movimenti di danza. Il coro si rivolgeva direttamente agli spettatori e rappresentava la voce dell'autore, che affrontava questioni politiche, morali o sociali con un forte riferimento all'attualità.
  • Scene giambiche: sono brevi episodi, recitati in giambi, in cui si mostrano le conseguenze della vittoria dell'autore.
  • Esodo (ἔξοδος): la commedia si chiudeva con una gioiosa processione, nella quale il coro cantava il trionfo dell'eroe.

Caratteristiche della commedia attica

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Attore che interpreta la parte di uno schiavo seduto su un altare, mentre sta svuotando una borsa appena rubata. circa 400-375 a.C. Museo del Louvre, Parigi

La prima e più evidente caratteristica della commedia antica, la kōmōdía archáia (κωμῳδία ἀρχαία), è il riferimento all'attualità politica della polis. Non erano rari gli attacchi polemici e satirici contro i personaggi più in vista del momento: politici, filosofi, sofisti, ricchi proprietari, poeti e drammaturghi. Il poeta comico stigmatizzava gli errori e i difetti di ciascuno, ricorrendo a un linguaggio basso e triviale. Maestri di questo genere furono Cratino, Aristofane ed Eupoli.

Accanto a questa esisteva però anche un'altra produzione comica, che invece era più orientata all'evasione e all'invenzione fantastica, prendendo di mira non personalità riconoscibili, ma tipi umani. Principali autori di opere di questo tipo furono Cratete e Ferecrate.[8]

I commediografi attici

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La maggior parte delle notizie sulla commedia antica si devono ad Aristotele, il quale indica due autori come rappresentanti della prima generazione dei poeti comici: Chionide, vincitore del primo agone comico del 486 a.C., e Magnete.[9] Di entrambi però non abbiamo che i titoli di alcune opere. Pare comunque che fossero componimenti molti brevi, non superiori ai trecento versi, forse composti principalmente da canti corali e brevi scenette non strettamente collegate tra di loro. Sempre secondo Aristotele, il primo a scrivere una commedia con una trama organica fu invece Cratete, che vinse il suo primo agone nel 450, e che rientra nella seconda generazione dei poeti comici. Anche di lui non restano che qualche titolo e pochi frammenti, dai quali si deduce che preferisse evitare gli attacchi politici e ricorrere invece ad argomenti fantasiosi. Toni simili si potevano trovare in Ferecrate (attivo tra il 435 e il 415), autore di opere di fantasia e d'evasione, delle quali ci sono giunti circa una ventina di titoli e duecento frammenti.

La commedia raggiunse però la sua pienezza con Cratino (attivo tra la metà del V secolo e il 423 a.C.), a cui si devono opere in cui unisce satira politica e grande capacità inventiva. Di lui ci restano una trentina di titoli e circa cinquecento frammenti. Sappiamo così che uno dei temi ricorrenti nelle sue opere era la polemica contro Pericle: nel Dionisalessandro viene accusato di avere scatenato la guerra del Peloponneso per i suoi amori, mentre nella Nemesi viene raffigurato come uno Zeus guerrafondaio. Era questo un tema che ritornava anche nell'opera di molti altri autori dell'epoca, scaturito dal disagio provato dalla popolazione per la situazione di guerra. Oltre a questo, Cratino prese di mira anche i sofisti e i poeti a lui contemporanei. Il suo capolavoro è però la Bottiglia, con cui vinse l'agone del 423, scritta per rispondere agli attacchi che gli erano stati mossi nei Cavalieri di Aristofane.

Eupoli (nato nel 446 e morto nel 411) fu il maggiore rivale di Aristofane, con cui entrò in violente polemiche. Fu autore di quattordici commedie e riportò sette vittorie; delle sue opere però ci rimangono solo cinquecento frammenti circa. Temi centrali erano la polemica politica e la denuncia della degenerazione della polis: Eupoli riabilitò Pericle e si scagliò contro i suoi successori, accusandoli di demagogia. Nelle sue commedie troviamo quindi attacchi contro Cleone (nell'Età dell'oro), Iperbolo (nel Maricante) e Alcibiade (nei Battezzatori). In altre opere arrivò a denunciare lo sfruttamento da parte degli Ateniesi delle città alleate (Città). Poco tuttavia è possibile sapere a proposito della sua arte, che fu elogiata dai critici antichi.[10]

La stessa generazione di Cratino, Eupoli e Aristofane, attiva durante la guerra del Peloponneso, comprendeva anche Ermippo, Frinico e Platone comico. Vi è poi un'ultima generazione della commedia antica, a cui vengono ascritti i nomi di Archippo, Metagene e Teopompo. Come per gli altri (escluso Aristofane), di tutti questi autori non ci sono giunti che scarsi frammenti.[11]

Commedia di mezzo

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Le fonti antiche dividevano l'evoluzione della commedia greca in due fasi: una commedia antica, il cui massimo esponente era Aristofane, e una commedia nuova, che aveva in Menandro il suo principale rappresentante. Tuttavia, negli oltre sessant'anni che intercorsero tra le ultime opere di Aristofane (388 a.C.) e l'esordio di Menandro (322 a.C.), la commedia conobbe significative trasformazioni. Per questo motivo, gli studiosi moderni riconoscono anche una terza fase, intermedia tra le due, detta appunto kōmōdía mésē (κωμῳδία μέση), "commedia di mezzo". Le fonti riferiscono i nomi di cinquantasette poeti attivi in questo periodo, per un totale di oltre seicento opere; di queste, tuttavia, non ci sono giunti che pochi frammenti, dai quali è stato comunque possibile osservare alcune differenze rispetto alla commedia antica.[12]

  • La commedia di mezzo abbandonò le tematiche politiche e diventò un'opera di evasione e di intrattenimento. Questa mutazione avvenne in concomitanza con la sconfitta ateniese nella guerra del Peloponneso, che spazzò via lo spirito democratico che aveva caratterizzato l'età d'oro della polis. Il riferimento alla società fu ristretto a piccole parti e a determinate categorie sociali, come i filosofi (che vengono derisi) e le etere.
  • I personaggi furono ridotti a tipi schematizzati. Ecco quindi comparire figure come il servo astuto, il soldato fanfarone, il parassita adulatore e altri.
  • A livello di struttura, diminuirono le parti corali, che nella commedia antica rappresentavano la voce della collettività. La parabasi scomparve mentre si consolidò la norma di dividere le commedie in cinque parti, la prima delle quali svolgeva anche la funzione di prologo.
  • Come nella fase precedente, i commediografi continuarono a inventare trame originali per le loro opere. Vennero inoltre utilizzati anche elementi provenienti dal mito, ma mentre nella commedia antica questi servivano come spunti per trattare della politica contemporanea, nella commedia di mezzo furono ridotti a parodia.
  • Prese piede un nuovo realismo. In linea con il tono disimpegnato della commedia di mezzo, gli eroi del mito vennero calati nella realtà quotidiana, attraverso una parodia del mito. La vita degli uomini comuni divenne sempre più presente nelle commedie, che divennero quindi più realistiche. Anche la lingua riprese i toni della conversazione familiare, escludendo espressioni scurrili o oscene.
  • Furono introdotti temi che diventarono fondamentali nella commedia nuova, primo fra tutti l'amore, che divenne il principale motore degli intrecci.

Si fanno rientrare nella commedia di mezzo le ultime opere di Aristofane, e in particolare, tra quelle a noi giunte, le Ecclesiazuse e il Pluto. Tra commedia antica e di mezzo si colloca anche Eubulo, un commediografo ateniese vissuto tra la fine del V e l'inizio del IV secolo a.C., ricordato per le sue parodie di tragedie. Altri autori da ricordare furono Antifane (il cui esordio avvenne nel 385), Anassandride (attivo tra il 385 e il 348) e soprattutto Alessi (vissuto tra il 372 e il 270), che fu attivo ad Atene e in Magna Grecia. Durante la fase "di mezzo" la commedia infatti varcò i confini dell'Attica e si diffuse anche in altre località, abbandonando quindi il dialetto attico e adottando la koiné. Con Alessi la commedia di mezzo iniziò a utilizzare alcuni moduli tipici della commedia nuova: abbandonata la parodia del mito, dimostra un umorismo elegante e uno stile leggero.[13]

Commedia nuova

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Mosaico che rappresenta il quarto atto della Samia di Menandro (fine III secolo-inizio IV secolo a.C.). Casa di Menandro, Mitilene

La commedia nuova, kōmōdía néa (κωμῳδία νέα), che si apre con Menandro è figlia di una profonda trasformazione culturale seguita alle conquiste di Alessandro Magno, che avevano ampliato l'influenza culturale greca a territori estremamente vasti. Le strutture della società greca furono messe in crisi dal cosmopolitismo tipico dell'Ellenismo e dal senso di disorientamento che ne derivò, acuito dall'insicurezza generale dovuta al continuo stato di guerra tra i diversi regni. A questo si aggiunse l'acuirsi delle differenze tra ricchi e poveri, che portò gli individui a preoccuparsi anzitutto di trovare mezzi di sostentamento, lasciando in secondo piano la libera partecipazione alla vita pubblica, così come era intesa nell'Atene democratica.

Se da un lato si perse interesse per la vita della comunità, dall'altro ci fu maggiore attenzione per la sfera intima e familiare, nella quale le donne avevano un ruolo centrale e di coesione. La commedia cominciò quindi a dare spazio a sentimenti e valori che prima non erano stati esplorati. Crebbe per esempio l'importanza dei personaggi femminili, a cui veniva riconosciuto il ruolo di madre, figlia o amante. Il cosmopolitismo, inoltre, portò a stemperare le differenze tra i diversi popoli e a riconoscere la comune umanità che unisce tutti gli individui, compresi gli schiavi.

La commedia tornò ad affrontare le questioni sociali del proprio tempo. Conscio della responsabilità che comporta la tradizione a lui precedente della commedia antica, Menandro coglie le frustrazioni e le angosce del suo tempo, creando un microcosmo di vicende familiari che però, alla fine, trovano una soluzione lieta.[14]

Accanto a Menandro, i filologi alessandrini posero i nomi di Filemone e di Difilo, a formare una triade della commedia nuova. Di questi ultimi due, tuttavia, possediamo solo scarsi frammenti.[15]

  1. Aristotele, Poetica 1449a.
  2. Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, p. 256.
  3. Giulio Guidorizzi, Il mondo letterario greco. L'età classica, vol. 1, Torino, Einaudi, 2000, pp. 28.
  4. Aristotele, Poetica 1449b.
  5. Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, pp. 256-258.
  6. Davide Susanetti, Il teatro dei Greci. Feste e spettacoli, eroi e buffoni, Roma, Carocci, 2003, p. 27.
  7. Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, pp. 258-259.
  8. Davide Susanetti, Il teatro dei Greci. Feste e spettacoli, eroi e buffoni, Roma, Carocci, 2003, pp. 67-68.
  9. Aristotele, Poetica 1448a.
  10. Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, pp. 268-270.
  11. Davide Susanetti, Il teatro dei Greci. Feste e spettacoli, eroi e buffoni, Roma, Carocci, 2003, p. 68.
  12. Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, pp. 412-415.
  13. Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, pp. 415-416.
  14. Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, pp. 416-417.
  15. Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, p. 431.