Teatro greco/Euripide
Secondo la nota interpretazione di Nietzsche, Euripide è il distruttore della tragedia. Vero è che con il suo sperimentalismo ha trasformato radicalmente il genere tragico rispetto al teatro di Eschilo e Sofocle.
Cenni biografici
modificaEuripide nacque tra il 485 e il 480 a.C. nel demo di Flia, in una famiglia agiata. Ricevette un'educazione accurata: le fonti lo vogliono allievo di Anassagora ed ebbe forse rapporti anche con Protagora, Prodico e Socrate. Diversamente da Sofocle ed Eschilo, non partecipò in prima persona alla vita pubblica di Atene. Trascorse gli ultimi anni alla corte di Archelao, re di Macedonia, e morì nel 406 a.C. a Pella.
Caratteri della drammaturgia di Euripide
modificaL'opera di Euripide ebbe sulla tragedia greca un effetto dirompente, che fu riconosciuto dai suoi stessi contemporanei. L'eroe euripideo non hanno la grandezza di quelli sofoclei; sono piuttosto vicini al sentire comune, e non di rado vengono inseriti nelle trame anche personaggi di estrazione umile (come servi e nutrici), con ruoli di primo piano. Euripide inoltre dimostra grande capacità di introspezione psicologica, analizzando le emozioni dei suoi personaggi. Le loro azioni sono ancora sovradeterminate, solo che non sono più il destino o le divinità a muovere gli uomini, bensì i loro stessi istinti irrazionali. Gli dèi compaiono ancora, ma solo come personaggi teatrali, mentre sono distanti dal punto di vista morale, non sono in grado di dare risposte sull'agire dell'uomo. Euripide mette in scena, allo stesso tempo, il trionfo e la crisi della ragione: da un lato i suoi eroi sono in grado di compiere sottili analisi della situazione che stanno vivendo, ma dall'altro finiscono per soggiacere alle forze nascoste che si muovono dentro di loro. Eliminata la sfera divina e soprannaturale, tutto si risolve quindi in un confronto tra la collettività e l'individuo, attraversati entrambi da passioni e brama di potere. Euripide però non dà spiegazioni per la sofferenza degli uomini, che rimane incomprensibile.
Euripide fu inoltre un innovatore della tragedia. Tra le caratteristiche principali delle sue opere ci sono il prologo narrativo, in cui un personaggio spiega al pubblico la situazione all'inizio del dramma, e la monodia, con cui un personaggio tiene un lungo discorso a solo, solitamente nei momenti più tesi. Altra caratteristica ricorrente è l'intervento del deus ex machina, che scioglie l'azione drammatica: Euripide si concentra infatti sugli aspetti psicologici, portando le situazioni fino all'estremo. Giunto a questo punto, il tragediografo perde di interesse per la conclusione dell'azione, che talvolta viene chiusa con finali posticci, altre volte rimane aperta. Anche il suo stile si adatta alle esigenze delle sue opere: il suo linguaggio è duttile, spesso colloquiale ma sempre dotto, capace di adottare anche termini tecnici, in grado di spaziare dalle elevazioni liriche a momenti comici e realistici.[1]
Le tragedie
modificaDiversamente da quanto accadde per gli altri tragediografi, di Euripide sono sopravvissute molte tragedie. Le fonti più antiche gli attribuivano novantadue opere, ma in seguito fu stabilita una selezione che ne comprendeva solo dieci: Alcesti, Andromaca, Ecuba, Ippolito, Medea, Oreste, Reso, Troiane, Fenicie e Baccanti. A queste si aggiungono altre dieci opere, derivate da un'antica edizione critica, che comprende un dramma satiresco, il Ciclope, e nove tragedie: Ecuba, Elena, Elettra, Eraclidi, Eracle, Ione, Supplici, Ifigenia in Tauride, Ifigenia in Aulide. Poiché l'Ecuba torna in entrambe le tradizioni, in totale di Euripide ci sono giunte diciotto tragedie (anche se la paternità del Reso è incerta) e un dramma satiresco (di cui si parlerà nel prossimo modulo).
Alcesti
modificaPer leggere su Wikisource il testo originale, vedi Ἄλκηστις
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Dell'Alcesti (Ἄλκηστις) si conosce la data esatta di rappresentazione: il 438 a.C. È una tragedia a lieto fine e alcuni personaggi hanno tratti tipicamente comici. Secondo alcune fonti, queste caratteristiche si spiegano con il fatto che fu presentata come quarta opera, al posto del dramma satiresco.[2]
Medea
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La Medea (Μήδεια) fu rappresentata nel 431 a.C. e rappresenta il vertice dell'introspezione psicologica di Euripide.
La vendetta di Medea, che viola le principali norme etiche greche, è una rivolta della donna che afferma la propria dignita contro le ipocrite parole di Giasone e contro una società che non accetta che vengano criticate le sue istituzioni. L'uomo è abbandonato dagli dèi e può quindi scegliere da sé il proprio destino, ma, secondo il pessimismo euripideo, questo corrisponde con l'annientamento affettivo.[3]
Ippolito
modificaPer leggere su Wikisource il testo originale, vedi Ιππόλυτος
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L'Ippolito (Ἱππόλυτος) fu rappresentato nel 428 a.C.
La tragedia è divisa in due metà dalla morte di Fedra, creando una struttura a dittico già usata anche da Sofocle, e tutta la tragedia è costruita sulla polarità generata dai due personaggi di Fedra e Ippolito. La prima soggiace completamente alla passione fino ad annullare la dimensione dello spirito; Ippolito, viceversa, ha una forte repulsione per ciò che è corporeo ed esalta un'idea assoluta. Due caratteri che però sono destinati ad annientarsi, incapaci di trovare una soluzione al conflitto.[4]
Eraclidi
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Più difficile è la datazione degli Eraclidi (Ἡρακλεῖδαι), che viene collocata nel periodo compreso tra il 430 e il 417 a.C. È una tragedia minore, che risente della fase storica in cui fu scritta, i primi anni della guerra del Peloponneso.[5]
Ecuba
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Anche per l'Ecuba (Ἑκάβη), un'altra tragedia minore, non è possibile indicare un anno esatto di rappresentazione, che dovette avvenire tra il 430 e il 417 a.C.[5]
Elettra
modificaPer leggere su Wikisource il testo originale, vedi Ἠλέκτρα
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Anche l'Elettra (Ἠλέκτρα) risale al periodo compreso tra il 430 e il 417 a.C. In particolare, è difficile stabilire se sia stata composta prima questa oppure l'omonima tragedia di Sofocle, che partono dallo stesso tema delle Coefore di Eschilo. In ogni caso dal raffronto si nota da subito la differenza di Euripide, che ambienta la scena in campagna e conduce il riconoscimento tra Elettra e Oreste secondo uno schema rigidamente razionale. Clitemnestra, invece, è una donna debole, divorata dal rimorso e dal dolore per avere perso l'amore della figlia.[6]
Andromaca
modificaPer leggere su Wikisource il testo originale, vedi Ἀνδρομάχη
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L'Andromaca appartiene al gruppo delle tragedie composte tra il 430 e il 417 a.C. È una tragedia particolarmente innovativa, per la tensione che la attraversa e per la libertà con cui Euripide fonde assieme elementi provenienti da miti diversi.[7]
Supplici
modificaLe Supplici (Ἱκετίδες) risalgono al periodo compreso tra il 430 e il 417 a.C.[8]
Troiane
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Le Troiane (Τρῳάδες) furono rappresentate nel 415 a.C., in un momento di grave crisi durante la guerra del Peloponneso, quando Atene si accingeva alla fallimentare spedizione in Sicilia. La tragedia mette in scena gli orrori provocati dalla sete di potere, attraverso l'immagine delle troiane e delle loro sofferenze dopo la caduta di Troia.[9]
Eracle
modificaAnche l'Eracle (Ἡρακλῆς) fu composto dopo il 417 a.C. Tema centrale è il crollo dell'eroe glorioso, che precipita nella situazione più crudele e umiliante. Ma è presente anche un encomio di Atene, attraverso l'apparizione di Teseo, che riconduce tutto l'evento narrato alla sua dimensione umana.[10]
Elena
modificaPer leggere su Wikisource il testo originale, vedi Ελένη
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L'Elena (Ἑλένη) risale al 412 a.C., quando ormai la spedizione ateniese in Sicilia si stava rivelando una disfatta. Euripide rende vano uno dei miti cari ai Greci, quello della vittoria su Troia, e pone a capo dell'azioni umane il caso: l'irrazionale è quindi qualcosa di immanente nella realtà. Per altro, l'intervento del caso consente all'autore di abbandonarsi anche a soluzioni fantasiose o poco realistiche.[11]
Ifigenia in Tauride
modificaPer leggere su Wikisource il testo originale, vedi Ιφιγένεια εν Ταύροις
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È ignota la data in sui presentata l'Ifigenia in Tauride (Ἰφιγένεια ἐν Ταύροις), anche se probabilmente è successiva all'Elena, di cui riprende lo schema costruttivo. In entrambi due parenti si ritrovano in una terra straniera, e dopo un complesso riconoscimento fuggono insieme.[12]
Ione
modificaPer leggere su Wikisource il testo originale, vedi Ίων (Ευριπίδης)
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Lo Ione (Ἴων) presenta una delle trame più libere e complesse della drammaturgia di Euripide, secondo un estro inventivo che caratterizzerà la fase finale della sua attività.
Fenicie
modificaLe Fenicie (Φοίνισσαι) ritornano ancora una volta al mito di Edipo e della sua discendenza. Alcuni eventi fondamentali della storia vengono però stravolti da Euripide, in uno sfoggio di virtuosismo artistico.[13]
Oreste
modificaPer leggere su Wikisource il testo originale, vedi Ορέστης
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L'Oreste (Ὀρέστης) fu rappresentato nel 408 a.C. Anche qui il racconto proveniente dal mito viene stravolto dal poeta. Manca però l'elemento tragico, il rapporto problematico dell'eroe con se stesso; al contrario, gli eroi mitici vengono qui ridotti a fantocci pieni di esitazioni.[14]
Ifigenia in Aulide
modificaSappiamo che l'Ifigenia in Aulide (Ἰφιγένεια ἐν Αὐλίδι) fu presentata postuma, nel 406 a.C. La tragedia riprende un tema già affrontato da Euripide, quello della scelta di un personaggio di sacrificarsi volontariamente per il bene della patria. Inoltre mette in atto una trasformazione dell'eroe tragico, che non è più monolitico e stabile nelle sue convinzioni, ma conosce un processo di evoluzione, confrontandosi con le idee di altri personaggi.[15]
Baccanti
modificaPer leggere su Wikisource il testo originale, vedi Βάκχαι
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Come l'Ifigenia in Aulide, anche le Baccanti (Βάκχαι) furono presentate postume, nel 406 a.C. È l'unica tragedia, tra quelle che ci sono giunte integre dall'antichità, ad avere un dio per protagonista.
Le Baccanti sono una tragedia sulla crisi della ragione, in cui l'intelletto si scontra con il mistero della divinità. Penteo porta avanti una lotta laicista contro l'accecamento religioso, fino a sacrificare la propria vita. Ma allo stesso tempo, è punito per la sua hybris, per aver pensato di potere decidere il destino dei suoi cittadini. Come i suoi predecessori, Euripide cerca di sondare la distanza che c'è tra l'uomo e il divino; mostrando però un dio come protagonista della tragedia, lo avvicina alla sfera dell'umano.[16]
Reso
modificaPer leggere su Wikisource il testo originale, vedi Ρήσος
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Il Reso (Ῥῆσος), incluso dagli antichi tra le opere di Euripide, è oggi considerato spurio dalla maggioranza degli studiosi. Dall'opera mancano gli spunti problematici tipici della drammaturgia di Euripide, e la sceneggiatura è troppo rigida e ricca di trame secondarie che non vengono sviluppate. La vicenda riprende un episodio narrato nel Libro X dell'Iliade, quello di Reso che giunge tardivamente in aiuto di Ettore e degli assediati troiani.[17]
Note
modifica- ↑ Giulio Guidorizzi, Il mondo letterario greco. L'età classica, vol. 1, Torino, Einaudi, 2000, pp. 234-238.
- ↑ Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, p. 220.
- ↑ Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, p. 221.
- ↑ Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, p. 222.
- ↑ 5,0 5,1 Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, p. 223.
- ↑ Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, pp. 225-226.
- ↑ Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, p. 224.
- ↑ Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, p. 225.
- ↑ Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, p. 226.
- ↑ Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, p. 227.
- ↑ Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, p. 228.
- ↑ Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, p. 229.
- ↑ Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, p. 230.
- ↑ Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, p. 231.
- ↑ Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, p. 232.
- ↑ Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, pp. 233-235.
- ↑ Dario Del Corno, Letteratura greca. Dall'età arcaica alla letteratura dell'età imperiale, Milano, Principato, 1995, pp. 235-236.