Sovranità Ebraica/Capitolo 1

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Padri e figli di E. M. Lilien (1912)

RELIGIONE, EBRAISMO, TRADIZIONE modifica

Il terreno teorico, o piuttosto epistemologico su cui desidero basare l'analisi interpretativa che presenterò in questo libro, è racchiuso nell'argomentazione secondo cui, per poter comprendere il modo in cui il progetto sionista e il conseguente Stato-nazione israeliano hanno affrontato le tradizioni ebraiche che le hanno precedute per essere accurate, deve prima essere liberato dalle catene della visione del mondo, dell'epistemologia e della politica di un insieme di concetti e distinzioni che costituiscono l'autopercezione dell'Occidente moderno. Questi includono, tra gli altri, le coppie binarie di Occidente contro Oriente, moderno contro tradizionale, illuminato contro ottuso e anche, o forse innanzitutto, religioso contro secolare. Queste dicotomie concettuali formano una complessa gamma di reciproci opposti, che costituiscono il soggetto coloniale occidentale come moderno, secolare e illuminato. Sebbene si presentino come concettualizzazioni della vita umana neutre, astoriche e universali, o indipendenti dal contesto culturale, queste distinzioni propagano un programma politico-ideologico specifico, guidato dal potere. In definitiva, funzionano per giustificare, se non semplicemente rendere necessario, il colonialismo, presentando al contempo lo stato-nazione moderno e sovrano come naturale, e colorando i suoi usi del potere come superiori al dubbio morale ed etico.

La sezione attuale del libro presenta questa critica e offre un'alternativa. Il Capitolo 1 discute la natura problematica del concetto moderno di "religione". Il Capitolo 2 studia l'applicazione storica di questo concetto al caso ebraico. E il Capitolo 3 discute la nozione di tradizione come fondamento di un quadro interpretativo alternativo.

Religione: Storia e Politica di un Concetto Astorico modifica

"La religione è una categoria costruita, non un descrittore neutrale di una realtà che è semplicemente là fuori nel mondo".[1] Un campo in crescita dedicato allo studio delle radici storiche e dello sviluppo del concetto di "religione" ha dimostrato in modo convincente che "non esiste un concetto transstorico o transculturale di religione. La religione ha una storia, e ciò che conta come religione e ciò che non lo è in un dato contesto dipende da diverse configurazioni di potere e autorità".[2] In effetti, in alcuni angoli del campo più ampio dello studio delle religioni, l’affermazione secondo cui dovremmo rinunciare all'uso del termine "religione" è un antica convenzione. Negli ultimi decenni questa affermazione è maturata in una vera e propria decostruzione dell'epistemologia dello studio tradizionale delle religioni, proveniente da studiosi come Talal Asad,[3] Daniel Dubuisson,[4] Tomoko Masuzawa,[5] e Jonathan Z. Smith.[6] L'elenco è lungi dall'essere esaustivo.[7]

Tutti i critici mettono in discussione (ognuno a modo suo, ovviamente) l'uso universale del concetto di "religione". Spesso lo fanno decostruendo "la costruzione occidentale della religione",[8] studiando la storia e la politica dell'evoluzione del termine e dei suoi usi contemporanei. Inoltre, i critici mostrano che l'oggetto principale del campo dovrebbe essere un'esposizione delle specifiche motivazioni storico-politiche dietro questa costruzione, e una valutazione critica delle loro implicazioni per la realtà politica contemporanea. Tale studio focalizza la nostra attenzione sullo stato-nazione moderno e "secolare" come principale generatore dell'invenzione/costruzione occidentale della religione:

« The attempt to say that there is a transhistorical and transcultural concept of religion that is separable from secular phenomena is itself part of a particular configuration of power, that of the modern, liberal nation-state as it developed in the West. In this context, religion is constructed as transhistorical, transcultural, essentially interior, and essentially distinct from public, secular rationality. To construe Christianity as a religion, therefore, helps to separate loyalty to God from one’s public loyalty to the nation-state. »
(Cavanaugh, The Myth of Religious Violence, 59)

La definizione di ciò che è religioso e di ciò che è secolare tocca direttamente la configurazione o distribuzione del potere, poiché determina quali pratiche (e, nello specifico, quali tipi di violenza) sono legittime e quali sono illegittime. Pertanto, come notato dalle frasi conclusive della citazione di Cavanaugh supra, nel contesto cristiano occidentale la concezione del cristianesimo come religione e del nazionalismo come secolare garantisce la fatale lealtà dell'individuo cristiano allo stato-nazione e non alla Chiesa.

La costruzione del concetto di "religione" richiede che essa possa essere, almeno teoricamente, distinta dagli altri poteri istituzionali storici; il termine non ha senso a meno che non possa essere distinto da ciò che non è religione. Le letture storiche critiche sopra menzionate, mostrano tutte che una categoria trans-storica della religione, distinguibile da altre istituzioni politiche, non si trova da nessuna parte. Nelle epoche premoderne, la distinzione tra (ciò che è visto come) religione e altri ambiti come la politica o la cultura non aveva senso.

Questo, va ribadito, non è un argomento specificamente nuovo. Wilfred Cantwell Smith, il cui libro del 1962, The Meaning and End of Religion, è diventato un "classico moderno",[9] mostra che la religione, come categoria distinta dell'attività umana, tale da essere separata dalla cultura, dalla politica e da altri ambiti di vita, è un'invenzione dell'Occidente moderno. Smith mostra che al di fuori dell'Occidente moderno non esiste un concetto equivalente e significativo – nemmeno uno propinquo – a ciò che "noi", in Occidente, intendiamo come religione.[10] Questo argomento è ulteriormente amplificato se teniamo presente che la visione della "politica" e del "pensiero politico" come un reame distinto della ricerca e della pratica umana – cioè come una categoria di attività umana separata dalla religione – è anche una nozione chiaramente moderna.[11]

Come vedremo più avanti, questa invenzione della religione come distinta da quella politica – anzi, come apolitica "per definizione" – è una mossa centrale nella storia ebraica-europea moderna; inoltre, la sua negazione è uno degli argomenti centrali e costitutivi del sionismo. Ma non andiamo avanti troppo in fretta: la storia del concetto di "religione" richiede ulteriori chiarimenti.

Alcune Considerazioni sulla Storia della Religione modifica

Mentre un'esplorazione completa della storia del termine "religione" va oltre lo scopo della discussione attuale, una breve rassegna di alcuni segmenti principali della genealogia del termine può essere altamente istruttiva, soprattutto per spiegare la natura dinamica della storia di un termine che oggigiorno è ampiamente frainteso come astorico.

Il latino precristiano, da cui si ritiene comunemente che derivi il termine italiano, utilizzava religio per identificare un dovere sociale. Il cristianesimo antico tendeva a ignorare il termine religio, che non aveva un concetto equivalente nel mondo semitico, non latino, da cui provenivano i primi cristiani. Quando i paleocristiani usarono il termine nei loro scritti latini (o traduzioni), usarono religio in diversi significati, tra cui "pratica rituale, ufficio clericale, culto (religio dei) e pietà, o la disposizione soggettiva dell'adoratore verso Dio".[12] Per Agostino, alla fine del IV secolo, "religio significa adorazione, l'azione con cui rendiamo lode".[13] Questa era un'espressione della naturale inclinazione dell'uomo al culto, e poteva essere diretta ugualmente sia all'Unico Vero Dio sia ai falsi idoli.

Il termine tendeva ad essere assente dal discorso europeo-cristiano del Medioevo. Come nota Smith, mentre quest'epoca è comunemente vista oggi come "la più religiosa" nella storia del cristianesimo, "nonostante questo o a causa di esso, durante tutto il Medioevo nessuno, per quanto ho potuto accertare, ha mai scritto un libro specificatamente sulla ‘religione’. E nel complesso questo concetto sembra aver ricevuto poca attenzione".[14] Quando venne usato, il termine non indicava più un dovere, ma indicava piuttosto diverse regole, che avevano a che fare principalmente con la vita cultuale negli ordini cristiani.

Per Tommaso d'Aquino, nel XIII secolo, la religio aveva a che fare con la virtù; è etica, non teologica, poiché "Dio è legato alla religione non come materia o oggetto, ma come fine".[15] Possiamo sottolineare, seguendo Cavanaugh, quei significati di religio, che sono piuttosto assenti dalla comprensione o dall'uso cristiano del termine nel Medioevo. In primo luogo, religio non denota una nozione generale, di cui il cristianesimo sarebbe un caso specifico; "per i cristiani medievali, la religione non era un fenomeno universale: la religione era un luogo in cui si produceva la verità universale, ed era loro chiaro che la verità non era prodotta universalmente".[16] In secondo luogo, la religio del Medioevo non è un insieme di affermazioni di credenze riguardanti la realtà. In terzo luogo, la religio non è un puro impulso interiore, portato dall'anima. E, in quarto luogo, non è un potere istituzionale che possa essere distinto dai poteri "non religiosi". La distinzione tra religioso e politico è del tutto assente da questo mondo di pensiero: "La religione non era separabile – nemmeno in teoria – dall'attività politica nella cristianità. La cristianità medievale era un tutto teopolitico [...] Il fine della religio era inseparabile dal fine della politica".[17]

Questo, quindi, è lo sfondo per l'invenzione moderna della religione. L'ascesa della modernità ha portato alla luce un nuovo concetto, che contiene un significato molto più ampio e diverso da quelli esaminati sopra:

« Religion in modernity indicates a universal genus of which the various religions are species; each religion comes to be demarcated by a system of propositions; religion is identified with an essentially interior, private impulse; and religion comes to be seen as essentially distinct from secular pursuits such as politics, economics, and the like. »
(Cavanaugh, ibid., 69)

Fondamentalmente, questo concetto rende il cristianesimo apolitico, poiché ora è inteso come una questione di vita interiore della persona, che ha ben poco, se non nulla, a che fare con la sfera politica. Ciò va di pari passo con l'emergere del "secolare" ed è alla base della nozione (occidentale) di separazione tra Stato e Chiesa.

L'invenzione di questa moderna nozione di religione iniziò nel Rinascimento.[18] È allora che per la prima volta appare la nozione secondo cui religio denota i diversi modi in cui le persone adorano Dio. La religio è un impulso universale, interiore; i rituali e i modi di vita non sono che una sua espressione. Dio ha dato all'umanità vari profeti e loro hanno offerto all'umanità vari modi in cui studiare le proprie intuizioni. Pertanto, "malgrado la grande varietà di riti, esiste una sola religione".[19] La religio è vista qui come una costante, una caratteristica umana senza tempo: "tutte le opinioni degli uomini, tutte le loro risposte, tutti i loro costumi, cambiano, tranne la religione".[20] È, in altre parole, un ideale platonico; le sue varie manifestazioni, prevalenti tra gli esseri umani di ogni condizione, sono le sue apparenze impure.

La trasformazione della religione in un significante di un impulso interiore e universale – uno "stato d'animo"[21] – fu completata durante i secoli XVI e XVII, quando l'enfasi si spostò dalla pratica e da uno stile di vita alla fede come chiave dell'essenza della religione; ora è intesa come un insieme di proposizioni. Questa trasformazione è stata facilitata dalla prevalenza di alcuni binari, principalmente quelli che separano l'interiore (personale, apolitico) dall'esteriore (pubblico, politico), e la fede dall'azione o dalla pratica, che sono anche costitutivi della dicotomia che separa quei "gemelli siamesi"[22] — il secolare e il religioso.

In effetti, la storia delineata sopra non è solo la storia dell'invenzione – o della nascita – della religione. È anche, e forse soprattutto, la storia dell'invenzione/nascita del secolare. La storia di questo concetto è ampia ed è oggetto di un intero campo di studi accademici, spesso definito post-secolarismo.[23] Non è questa la sede per ripetere tale narrazione. Ciò che è cruciale per la discussione attuale è il fatto storico che il secolare, o il suo predecessore, il saeculum, non aveva un significato o un'esistenza indipendente prima dell'invenzione della nozione moderna di religione. Durante il Medioevo, saeculum aveva un significato spaziale e temporale: si riferiva a ciò che potremmo chiamare "questo mondo" – l'insieme illimitato della creazione di Dio nell'epoca attuale. Non veniva quindi riferito a qualche ambito specifico al di fuori degli interessi della Chiesa. La modernità portava alla costruzione del secolare come opposto di religione.[24]

La Riforma fu, a questo proposito, un catalizzatore per l'invenzione della religione, come la intendiamo comunemente oggi. Inoltre, questa comprensione prevalente di religione è una nozione protestante e calvinista, considerata un concetto universale. È la Riforma che ha posto l'accento su una comprensione "razionale" del cristianesimo e ha sviluppato il concetto di un elenco di credenze fondamentali per esso essenziali. Il XVII secolo vide così una proliferazione di libri che presentavano la "religione cristiana", animati dalla polemica della competizione tra tradizioni e interpretazioni rivali del cristianesimo.[25] Si tratta, in altre parole, di un discorso interamente cristiano. È condotto tra i cristiani e comprende il cristianesimo come il modello di religione più alto e definitivo. Fondamentalmente, importa anche la storia politica di una nozione cristiana di religione nella discussione "generale" e applica questa storia a ciò che identifica come altre "religioni". Così, agli inizi del XVII secolo venne pubblicato anche uno dei primi tentativi di formulare ciò che è comune a tutte le religioni. Secondo questo, il nucleo comune religioso è composto da cinque argomenti fondamentali:

  1. Che esiste una divinità suprema.
  2. Che questa divinità deve essere adorata.
  3. Che la virtù unita alla pietà è il metodo migliore del culto divino.
  4. Che dovremmo ritornare dal peccato al nostro giusto io.
  5. Che ricompensa o punizione viene conferita al termine di questa vita.[26]

Si noti che questa interpretazione della religione non può essere smentita. Se si dovesse presentare il caso di una certa società che non ha rispettato i cinque principi fondamentali sopra menzionati, ciò non equivarrebbe a indebolire la rivendicazione universale; il caso specifico verrebe considerato "non normale". Questa comprensione della religione crea il proprio mondo e definisce la sua normatività. Non è una "scoperta" dell'essenza della religione, ma piuttosto la creazione di una nuova realtà, una profezia che si autoavvera, in cui la religione eterna è interiore, universale, spirituale e apolitica.[27]

Questa formulazione racchiude una visione universale: una volta che le persone capiranno che tutte le "religioni" sono, alla radice, le stesse, la pace prevarrà. Manifesta anche un senso fondamentale di animosità e sospetto verso la tradizione, come anche verso la nozione complementare secondo cui la mente umana nel suo stato puro e incorrotto può cogliere la realtà e arrivare alla verità imparziale – due dei principali elementi costitutivi della modernità.[28]

Una concezione politica della religione apolitica modifica

La costruzione della religione come apolitica è piuttosto ironica, poiché sta alla base di un nuovo ordine politico:

« Attempts to construct religion as a universal, timeless, interior, and apolitical human impulse in the early modern period are willy-nilly part of the creation of new configurations of power, especially the subordination of ecclesiastical power to that of the emergent state. »
(Cavanaugh, The Myth of Religious Violence, 77)

È qui, quindi, che diventa chiaro il ruolo dello stato-nazione moderno e sovrano nell'invenzione della religione. La trasformazione della religione in una questione privata, universale e apolitica va di pari passo con l'affermazione che lo Stato è sovrano e la Chiesa il suo suddito. Ciò che viene presentato come uno schema per incoraggiare la tolleranza (di tipo interreligioso) è parte di uno schema più ampio: quello della creazione di uno stato-nazione sovrano con il suo monopolio sull'uso della violenza. L'invenzione della religione come composta essenzialmente dalle cinque nozioni fondamentali sopra menzionate giustifica e consente il ruolo dello Stato come garante neutrale della tolleranza reciproca; giustifica l'uso del potere da parte dello Stato contro la Chiesa. Inoltre, questa identificazione della religione come apolitica fu successivamente imposta dallo stato-nazione occidentale in via di sviluppo anche ai soggetti non-europei del suo colonialismo.[29]

La costruzione liberale della religione come apolitica, e la conseguente richiesta di escluderla dalla sfera pubblica, ricevette ampia attenzione nel pensiero di John Locke. La religione, nella filosofia politica di Locke, è uno stato mentale. In quanto tale, è "liberato" dal potere dello Stato, poiché il sovrano non può imporre una certa mentalità ai suoi sudditi; l'anima umana, dove risiede la vera religione, è fuori dalla portata del sovrano. Locke vede valore nella religione, che considera una forza trainante per la scoperta della verità. Ma vede un problema nel fatto che le persone – o, più precisamente, le diverse chiese – non sono d’accordo sul contenuto e sull'essenza della giusta via. Inoltre, il governante "laico" non può essere d'aiuto in questa argomentazione. Ciò porta Locke a professare la privatizzazione della religione, in cui essa diventa una questione personale, non pubblica e sicuramente apolitica. Locke pone così le basi per la netta separazione tra lo Stato, i cui affari sono pubblici per definizione, e la Chiesa, che si occupa di questioni che sono per definizione personali. In altre parole, delimita un reame pubblico, che si occupa esclusivamente di questioni "secolari". Questo è il fondamento per una separazione spaziale tra religioso e secolare.[30]

Locke, quindi, non è solo un identificatore della presunta essenza atemporale della religione, ma anche un importante contributore – attraverso la costruzione del necessario fondamento ideativo – di un nuovo ordine politico, una nuova distribuzione del potere, al centro della quale è lo Stato sovrano e moderno, che mira a confinare la Chiesa sotto la sua autorità. È questo il contesto in cui Locke inventa l'opposizione tra materia religiosa e materia civile:

« The very claim that the boundaries between religion and nonreligion are natural, eternal, fixed, and immutable is itself a part of the new configuration of power that comes about with the rise of the modern state. The new state’s claim to a monopoly on violence, lawmaking, and public allegiance within a given territory depends upon either the absorption of the church into the state or the relegation of the church to an essentially private realm. Key to this move is the contention that the church’s business is religion. Religion must appear, therefore, not as what the church is left with once it has been stripped of earthly relevance, but as the timeless and essential human endeavor to which the church’s pursuits should always have been confined. »
(Cavanaugh, The Myth of Religious Violence, 83)

L'ascesa del concetto moderno di religione, quindi, è parte di questa "nuova configurazione" delle società cristiane, in cui molte pretese di potere sono "migrate"[31] dalla Chiesa allo Stato moderno e sovrano. Questa nuova concettualizzazione aveva lo scopo di "purificare" la chiesa da poteri e pretese che non corrispondevano alla sua essenza senza tempo e alla sua funzione propria. Questa nuova concettualizzazione, in altre parole, serve a dimostrare la superiorità dello stato moderno, sovrano (e, bisogna ricordarlo: coloniale) sulla Chiesa.

William Arnal espone questo argomento in modo conciso quando chiarisce quanto segue:

« Our definitions of religion, especially insofar as they assume a privatized and cognitive character behind religion (as in religious belief), simply reflect (and assume as normative) the West’s distinctive historical feature of the secularized state. »
(Arnal, "Definition", 31)

Inoltre, presuppongono che lo Stato sia lo standard normativo e universale: "Religion, precisely, is not social, not coercive, is individual, is belief-oriented and so on, because in our day and age there are certain apparently free-standing cultural institutions, such as the Church, which are excluded from the political state".[32]

Riassumendo, le conclusioni derivanti dall'interpretazione critica di Cavanaugh sopra delineata (selettivamente) sono di vasta portata. Mostrano che la religione ha una storia. Non si tratta di un concetto transstorico e universale, ma piuttosto della creazione di uno stato-nazione moderno e sovrano, che nasce da una certa configurazione di potere e da specifici interessi politici, attinenti all'aspirazione dello stato alla sovranità assoluta e al monopolio sull'uso della violenza. Ciò significa che la storicizzazione del concetto non mira semplicemente a dire che il significato del termine è cambiato nel tempo; mira piuttosto a mettere in luce l'infrastruttura politica dell'invenzione della religione in quanto tale, come organo nella distinzione binaria tra religioso e secolare come somma totale della vita umana. Le definizioni essenzialiste di religione, che destoricizzano la religione, la dipingono come astorica e universale e nascondono i modi in cui il potere motiva i significati del concetto e i suoi usi politici.

Religione e Colonialismo modifica

La discussione finora si è concentrata esclusivamente sull'Occidente cristiano, vale a dire sui modi in cui la storia del concetto di "religione" gioca un ruolo centrale nell'evoluzione dell'autopercezione dell'Occidente e nella costruzione del moderno e sovrano Stato nazionale, sul concetto liberale di sfera pubblica "religiosamente neutrale". Tuttavia, queste istituzioni e questi concetti non sono mai stati una questione esclusivamente occidentale: lo stato-nazione, la modernità occidentale e le nozioni di religioso e secolare che li accompagnano sono alcuni degli elementi centrali del progetto storico del colonialismo occidentale.[33] Ai fini della presente discussione, è sufficiente notare che l'epistemologia che costruisce la religione non solo come transstorica ma anche come universale, cioè come indipendente dal contesto culturale, è stata centrale nella rappresentazione dell'"Oriente", oggetto dell'espansione coloniale occidentale, come primitivo, cioè meritevole di redenzione occidentale attraverso la colonizzazione.[34]

La "religione" – il concetto – ha svolto principalmente due ruoli complementari nel progetto coloniale occidentale. In primo luogo, la negazione dell'esistenza della religione tra i nativi prima dell'occupazione coloniale delle loro terre venne utilizzata per disumanizzarli. Gli occidentali tendevano a sostenere che i nativi orientali non hanno una religione; questo implicava che fossero sostanzialmente arretrati, che non fossero veramente umani. Ciò legittimava la privazione dei diritti umani fondamentali. Poi, dopo l'occupazione, la religione fu "scoperta" dai nativi (o, per essere precisi, il concetto di religione fu imposto alle culture native, in modo da renderle applicabili alla comprensione occidentale dominante del termine). Questa "scoperta" fu usata per depoliticizzare le culture native: viste in essenza come totalmente religiose, queste culture furono considerate non-politiche. La presunta natura apolitica dei nativi giustificava quindi il dominio occidentale su di loro. Inoltre, questa manovra permise di forzare queste culture dentro un quadro comparativo, in cui, misurate rispetto alla "norma" di altre religioni (vale a dire: il cristianesimo), si sono rivelate mancanti e sottosviluppate, cioè primitive.[35]

Vanno sottolineate le implicazioni dell'utilizzo di un concetto storico e culturalmente contestualizzato come se fosse universale. Accettare, o piuttosto forzare, la religione come universale significa che il soggetto occidentale è identificato come universale, trascendente luogo e tempo, mentre l'Altro, il non-Occidente, è identificato come parrocchiale, provinciale, di mentalità ristretta per definizione. Questa è ovviamente una distinzione politica: la religione è stata costruita come universale, mentre è stata al servizio di interessi politici specifici. Non è un concetto neutrale, ma piuttosto uno strumento nelle mani di coloro che lo definiscono nella specifica circostanza storica e configurazione di potere. Pertanto, la religione e i suoi concetti complementari furono utilizzati per confrontare le pratiche occidentali con quelle non-occidentali e per trovare queste ultime inferiori alle prime. Inoltre, "cosa forse più importante, il discorso religioso è stato anche uno strumento di secolarizzazione, l'isolamento di elementi significativi delle culture non-occidentali in un ambito personale e apolitico di credenze".[36] Vedremo nel Capitolo successivo come l'invenzione dell'ebraismo quale religione mirava, fin dall'inizio, proprio a questo: a renderlo apolitico.

Religione, Nazionalismo modifica

Prima di passare alla discussione dell'ebraismo, dobbiamo notare che la questione più ampia tocca problematiche di filosofia (e politica) della scienza. Il potere di definire il concetto di "religione" e di decidere cosa conta come religione e cosa no, è un elemento centrale del potere dell'Occidente di organizzare la realtà sia dell'Occidente che dell'Oriente. Come avvertì Wilfred Cantwell Smith, che suggeriva di abbandonare il termine religione, da lui giudicato "confuso, non necessario e distorto",[37] il pericolo risiede nella reificazione del concetto; in effetti, il lavoro di Smith dimostra chiaramente come l'uso del termine aiuti a "trovare" – o, più precisamente: a creare – la religione dove non esiste.

Come Cavanaugh è attento a sottolineare, ciò non dovrebbe essere letto come una tesi secondo cui non esiste qualcosa chiamata "religione". In effetti, non ci possono essere dubbi sul fatto che "in certe culture la religione esiste, ma come prodotto della costruzione umana".[38] La rivendicazione, quindi, non è contro l'uso particolare, storicamente e sociologicamente situato, della religione, ma piuttosto contro la presentazione del termine come universale e transstorico. Il fatto (accademico) di una molteplicità di definizioni di religione non smentisce l'esistenza della nozione, ma piuttosto che essa può essere intesa in modi molteplici e contrastanti: "Non esiste un'essenza transstorica e transculturale della religione, ma in tempi diversi e luoghi e per scopi diversi, alcune cose sono state costruite come religione e altre no”.[39]

Ciò ci incoraggia a spostare il focus della nostra attenzione dalla religione all'ideologia che costituisce il moderno stato-nazione. Ci ricorda che lo Stato-nazione sovrano, che si autoidentifica come laico, deve negare il carattere "religioso" del suo nazionalismo:

« If nationalism is religious, why do we deny it? Because what is obligatory for group members must be separated, as holy things are, from what is contestable. To concede that nationalism is a religion is to expose it to challenge, to make it just the same as sectarian religion. By explicitly denying that our national symbols and duties are sacred, we shield them from competition with sectarian symbols. In so doing, we embrace the ancient command not to speak the sacred, ineffable name of god. The god is inexpressible, unsayable, unknowable, beyond language. But that god may not be refused when it calls for sacrifice. »
(Marvin e Ingle, "Blood Sacrifice and the Nation", 770; citato in Cavanaugh, The Myth of Religious Violence, 119–120)

La questione in esame, va sottolineato, non è se il nazionalismo sia "davvero una religione". La domanda cruciale è: perché vengono compiuti sforzi così immensi per negare la sua "religiosità"? Perché lo Stato è considerato essenzialmente laico? Perché la violenza inflitta in suo nome è giustificata, mentre quella inflitta in nome di qualche valore "religioso" è ingiustificata e illegittima per definizione?[40]

La risposta fondamentale a questa serie di domande va trovata nei modi in cui la distinzione "religioso vs. secolare" funziona come elemento centrale dell'infrastruttura concettuale che legittima il moderno stato-nazione occidentale. Concetti costitutivi come "l'Occidente", "modernità", "liberalismo", "laicità", ecc., non sono realtà autosufficienti, ma piuttosto ideali, o progetti, che sono sottoposti a un dibattito continuo. Tuttavia, una parte centrale della funzione dell'ideologia è quella di presentare questi progetti come essenze basate sulla realtà che "semplicemente esistono", parte del nostro mondo circostante. La distinzione "religioso vs. secolare" viene quindi presentata come una parte organica del mondo naturale.[41]

Note modifica

  Per approfondire, vedi Serie misticismo ebraico e Serie letteratura moderna.
  1. Cavanaugh, The Myth of Religious Violence, 58.
  2. Ibid.', 59.
  3. Asad, Genealogies of Religion.
  4. Dubuisson, The Western Construction of Religion.
  5. Masuzawa, The Invention of World Religions.
  6. Smith, Imagining Religion.
  7. Una rassegna completa della discussione critica del termine "religione" si trova in: Cavanaugh, The Myth of Religious Violence, 57–122; la discussione che segue si basa principalmente sulla recensione di Cavanaugh.
  8. Dubuisson, The Western Construction of Religion.
  9. Asad, "Reading a Modern Classic".
  10. Smith, The Meaning and End of Religion, 54–55.
  11. Cfr. Cavanaugh, The Myth of Religious Violence, 61–62; Skinner, The Foundations of Modern Political Thought, 349–350.
  12. Cavanaugh, The Myth of Religious Violence, 62.
  13. Ibid., 63.
  14. Smith, The Meaning and End of Religion, 32.
  15. Tommaso d'Aquino, citato da Cavanaugh, The Myth of Religious Violence, 65.
  16. Asad, Genealogies of Religion, 134.
  17. Cavanaugh, The Myth of Religious Violence, 68.
  18. Cavanaugh identifica due studiosi cristiani platonici, Nicola di Cusa e Marsilio Ficino, che scrissero nel XV secolo e furono i primi a formulare questa nuova comprensione della religione.
  19. Nicola di Cusa citato in ibid., 70.
  20. Marsilio Ficino citato in ibid., 71.
  21. Ibid., 73.
  22. Asad, "Reading a Modern Classic", 221.
  23. La letteratura qui è immensa e continua ad espandersi. Per alcune delle opere più importanti in questo campo si vedano: Asad, Formations of the Secular; Bhargava, Secularism and Its Critics; Casanova, Public Religions in the Modern World; Connolly, Why I Am Not a Secularist; Jakobsen e Pellegrini, Secularisms; Taylor, A Secular Age.
  24. Cavanaugh, The Myth of Religious Violence, 79–80.
  25. Ibid., 94.
  26. Edward, Lord Herbert di Cherbury, citato in ibid., 75.
  27. Ibid., 76–77.
  28. Questo sospetto trova la sua formulazione fondamentale in Cartesio, ma è stato preceduto da diversi pensatori, conversos o discendenti di conversos; cfr. Faur, In the Shadow of History, 87–141.
  29. Ibid., 78–79.
  30. Ibid.
  31. Cavanaugh, Migrations of the Holy.
  32. Ibid.; cfr. anche Cavanaugh, The Myth of Religious Violence, 84.
  33. Masuzawa, The Invention of World Religions; Dubuisson, The Western Construction of Religion.
  34. Cavanaugh, The Myth of Religious Violence, 86.
  35. Per una prticolareggiata presentazione di questa argomentazione, cfr. Chidester, Savage Systems, 35–69; Cavanaugh, The Myth of Religious Violence, 85–101.
  36. Cavanaugh, The Myth of Religious Violence, 101.
  37. Smith, The Meaning and End of Religion, 19.
  38. Cavanaugh, The Myth of Religious Violence, 119.
  39. Ibid.
  40. Cavanaugh, The Myth of Religious Violence, 125.
  41. Ibid., 120.