Sistemi informativi e industria consumer/Un caso di ripensamento - retail

Indice del libro

Un caso di ripensamento dei sistemi informativi – mondo retail modifica

L'azienda: la seguente case history riguarda la struttura retail di una piccola-media manifatturiera nel mondo dell’ abbigliamento. Come spesso succede le aziende di abbigliamento, tipicamente nate attorno ad una idea di prodotto, si avvicinano al mondo del retail in maniera distorta. Dapprima hanno bisogno di smaltire le eccedenze di produzione rimaste a magazzino per cui cominciano con l’aprire uno spaccio aziendale, tipicamente vicino allo stabilimento principale. Quando la dimensione dell’azienda aumenta, uno spaccio non basta più e si entra nel circuito degli outlet organizzati. Spesso però l’offerta di prodotto non è compatibile con le esigenze del punto vendita in termini di disponibilità di articoli, taglie e colori e ci si rivolge al mondo degli stock spesso via Internet.

Nel frattempo l’azienda pensa di aver maturato cultura retail e decide di affrontare il mondo della vendita sul mercato generalizzato con negozi monomarca e/o eventualmente shop-in-shop presso aziende della grande distribuzione organizzata.

Naturalmente un salto di questo tipo pretende la possibilità di riempire il punto vendita con un assortimento corretto per cui la collezione originaria si allarga verso un total-look ampio, con i relativi problemi di progettazione e produzione che una simile scelta comporta.

Nel nostro caso l’azienda era passata da una offerta di circa 150 capi con le varie declinazioni colore e taglia ad una offerta di circa 500 pezzi, il che, tra l’altro, corrisponde almeno al triplo di lavoro cartaceo.

Per quanto riguarda il settore retail, l’azienda si era affidata ad un valido professionista esterno cui era stato dato l’incarico di trovare delle location commerciali in linea con i desiderata dell’azienda e quindi in posizione centrale e che potessero alzare il livello percepito del valore del marchio.

L’operazione era partita con l’obiettivo dichiarato di arrivare a 50 punti vendita.

Il mercato: l’azienda opera nel mondo del casual spinto con una storia di eccellenza nel campo della giubbotteria . I mercati di destinazione si estendono in tutto il mondo ma, visto l’elevato prezzo medio del prodotto, riguardano essenzialmente paesi ricchi anche se comincia ad esserci un discreto interesse anche nei pesi emergenti. Il cliente “ideale” appartiene ad un ceto sociale benestante e tende a dare una impronta sportiva e forse un po’ aggressiva al proprio vestire, ma aggressiva quel tanto che permette al prodotto di essere appetibile sia per generazioni più giovani che per classi di età leggermente più avanzate.

Il sistema informativo esistente: il sistema retail iniziale era stato scelto per informatizzare lo spaccio aziendale e, pertanto, aveva come caratteristiche principali:

  • un basso costo di licenza
  • funzionalità operative limitate e chiare
  • architettura funzionale monolivello (una centrale e vari negozi)
  • struttura tecnica stand alone
  • supporto geograficamente vicino e basato su rapporti “personali”.

Tutta una serie di problematiche erano state risolte su base estemporanea per bassi volumi e non avevano avuto un inquadramento generale. A questo bisogna aggiungere l’ignoranza dei processi retail da parte delle persone coinvolte inizialmente che avevano sottovalutato tutta una serie di problematiche.

Naturalmente quando il fenomeno ha cominciato ad allargarsi ci si è trovati di fronte a due comportamenti, comprensibili ma estremamente pericolosi:

  1. Il responsabile aziendale che adottava un atteggiamento del tipo: se va bene per tre andrà vene anche per quattro e così via
  2. Il fornitore di software che proponeva: certo che sono interessato a migliorare il mio strumento, ditemi cosa deve fare e lo sistemiamo man mano.

In pratica si stava cercando di far viaggiare alla velocità di una automobile una bicicletta sempre più truccata.

Le prospettive economiche: complice la crisi, l’azienda aveva nel frattempo avuto dei problemi finanziari e la struttura retail stava pesando notevolmente senza portare utili; di una dozzina di negozi attivi solo due o tre avevano i conti in ordine, altri due o tre si giustificavano come canale di vendita ma senza produrre utili e i restanti gravavano sul conto economico della casa madre sia in termini di costi che di reso merce a fine stagione. Tra l’altro l’esistenza di questo canale di vendita, proprio per la peculiarità societaria, imponeva alla struttura industriale dell’azienda uno sforzo aggiuntivo in quanto questi negozi dovevano essere aiutati per evitare perdite ulteriori e questo implicava costi per l’azienda quasi impossibili da rilevare ma tutt’altro che di piccola entità; stiamo parlando, in particolare, di tempo perso dai vari addetti per seguire le problematiche specifiche.

Il fattore di rottura è stata l’analisi fatta da una società di consulenza esterna che ha costretto la proprietà a guardare razionalmente al processo retail. I conti non tornavano e, in previsione di una possibile ricapitalizzazione con un nuovo socio esterno, bisognava giustificare non tanto la strategia verso il mondo retail quanto la sua applicazione. L’azienda restava, nel suo intimo, una azienda di cultura industriale con una abitudine commerciale indirizzata a clienti che erano a loro volta retailer cioè professionisti del settore.

Per quanto fosse stata introdotta una figura di responsabile retail e merchandiser, le vere leve di decisione restavano in mano a persone di cultura “prodotto” per cui tutta una serie di scelte operative assumevano i dettagli tipici dell’industria manifatturiera.

L’approccio funzionale: per valutare correttamente il lavoro da fare si è passati, con l’aiuto di un consulente, attraverso una analisi dimensionale del settore retail per l’azienda completa in tutti i livelli di prodotto, soggettività e socialità.

Per ogni punto si è cercato di recuperare quanti più dati “oggettivi” possibili evitando pregiudizi o preconcetti. Un lavoro che, a mio parere giustamente, è stato delegato all’esterno in quanto il personale interno difficilmente poteva avere il distacco necessario ad una corretta valutazione.

Un altro grosso passo concettuale che l’azienda ha fatto è stato quello di analizzare separatamente le esigenze dei clienti diretti (i negozianti) dai clienti finali (il pubblico). E’ vero che ciò ha implicato un lavoro quasi doppio ma ha permesso di controllare l’allineamento del mercato diretto, siano essi negozi di proprietà o di terzi, alle esigenze del mercato “reale” dei clienti finali.

Operativamente il lavoro è stato svolto mediante la somministrazione di questionari compilati da personale dedicato sia nel caso dei negozianti che dei clienti generici. In realtà questi ultimi sono stati, a loro volta, divisi in due classi: clienti contattati nei negozi, che quindi conoscevano già il marchio e facevano confronti molto più specifici, e clienti generici scelti tra persone che osservavano vetrine di negozi di abbigliamento e quindi genericamente interessati all’abbigliamento ma non al marchio specifico.

Per ognuno di queste interviste è stato dato un valore a ciascun componente dell’aspettativa di soddisfazione sia in termini di richiesta che di risposta percepita.

I risultati esatti sono proprietà privata dell’azienda così come la forma esatta del questionario, quello che possiamo riportare sono i cambi di politica commerciale e industriale che l’azienda ha effettuato in seguito al lavoro di analisi.

I risultati: per quanto riguarda il mercato “reale” dei consumatori finali nel contesto dei negozi di proprietà si è trovato che:

  • Prodotto - Estetica e allineamento alla moda: il prodotto era percepito “moda” ma “middle low class” e certamente non “high fashion” come l’azienda si illudeva fosse. I competitor erano ben diversi da quelli sognati. All’interno dell’offerta c’erano merceologie “riconosciute” e merceologie “quasi inutili”.
  • Prodotto – Affidabilità: la qualità era apprezzata ma il prezzo di vendita era percepito troppo alto.
  • Prodotto – Disponibilità: percezione molto bassa, a fronte di sforzi pubblicitari notevoli l’effettiva raggiungibilità dei capi era difficile. Questo problema era riconducibile anche alla scelta aziendale di non offrire su Internet tutta una serie di capi giudicati “di rappresentanza”
  • Soggettività – capacità di risposta: l’autonomia del personale di vendita e il supporto tecnico per una effettiva capacità di risposta sono stati considerati appena sufficienti
  • Soggettività – rassicurazione: il livello di competenza tecnica era di livello medio basso, ciò contribuiva alla percezione del posizionamento del marchio
  • Soggettività –empatia: ovviamente dipende dal personale del singolo punto vendita; in generale il marchio non ispira “simpatia”
  • Socialità – appartenenza al gruppo: indicazione di un livello molto alto di aggregazione
  • Socialità – distinzione: livello piuttosto basso, probabilmente legato a scarsi sistemi di CRM

Per il mercato dei negozianti si è trovato che

  • Prodotto - Estetica e allineamento alla moda: valutazione media, migliore che non per i clienti finali
  • Prodotto – Affidabilità: buona, pochi capi resi e pochi problemi nel post vendita
  • Prodotto – Disponibilità: medio bassa in quanto l’azienda non è molto puntuale nella gestione delle date di consegna
  • Soggettività – capacità di risposta: buon livello di servizio clienti per i negozianti
  • Soggettività – rassicurazione: piuttosto basso soprattutto per motivi di credibilità; il cliente percepisce una sorta di alterigia industriale
  • Soggettività –empatia: dipende molto dall’agente, in generale poco accentuata
  • Socialità – appartenenza al gruppo: percezione del gruppo per i loro clienti finali, poco per se: quasi nessuna attività di gruppo
  • Socialità – distinzione: poco, basso livello di CRM sui negozianti.

I risultati: sulla base delle indicazioni avute dall’analisi l’azienda si è mossa in maniera molto decisa su tutta una serie di punti:

  • Prodotto: l’offerta è stata divisa in maniera molto più precisa in un campionario dedicato al mercato generale e composto di circa 150-200 capi ritornando al progetto aziendale iniziale. A questo è stato affiancato una serie di articoli (circa altri 100 capi) per i negozi di proprietà. Questa seconda serie di capi sono però stati pensati sulla base di variazione di capi esistenti sul mercato, semplificando quindi di molto il lavoro dell’ufficio progettazione e produzione dell’azienda. Con questa aggiunta esiste un completamento di gamma che da una parte serve a riempire gli spazi espositivi e dall’altra offre un total look che caratterizza da una parte il brand e dall’altra i negozi aziendali come punto di riferimento per i patiti.
  • Pubblicità: la comunicazione è stata indirizzata in due filoni distinti. Un filone serve a riposizionare il marchio più verso il mondo “high fashion” mediante testimonials e presenza mediatica di contesto. Un filone punta ai mercati specifici evitando di cercare di essere presenti sempre e dovunque nei mercati dove non era possibile garantire la distribuzione corretta.
  • Punti vendita diretti: a parte i pochi punti vendita economicamente giustificati, e per i quali si è riposizionato il piano prodotti, la strategia si è indirizzata verso punti vendita in società con i proprietari, tipicamente di piccola superficie e indirizzati pesantemente verso il prodotto riconosciuto (giubbotti)e con un forte legame sul territorio di modo da funzionare sia come vetrina che come effettivi centri di ricavo.
  • Punti vendita indiretti: si è creata una struttura di contatto con i clienti terzi molto più vicina anche con disponibilità a incontri o meeting per fidelizzarli.
  • Rapporto con gli agenti: parecchi sono stati cambiati in quanto l’azienda ha preteso che l’agente non fosse solo il veicolo di forzatura del prodotto sul mercato ma diventasse parte attiva nella raccolta e sviluppo prodotto mediante raccolta e razionalizzazione di informazioni. Questo tipo di rapporto, molto più vicino alla show room aziendale che alla figura classica del rappresentante, ha creato notevoli tensioni sia organizzative che economiche nella struttura di vendita che ha dovuto essere ridefinita.
  • Rapporto con i commessi: da una parte sono stati oggetto di un processo di formazione da una latra parte sono stati selezionati in quanto è stato pretesa da loro la capacità di essere sia tecnicamente che umanamente preparati al rapporto con un cliente.
  • Rapporto con i clienti: è stato deciso diventasse il fulcro dell’interesse della divisione retail. Sono stati analizzati tutti gli aspetti del rapporto con il mondo retail aziendale, dai lay out, al packaging, all’atteggiamento aziendale e dei collaboratori. Una serie di riunioni ha definito gli standard di soddisfazione di soggettività e di socialità che l’azienda voleva raggiungere; gli strumenti per ottenerli e gli strumenti di controllo perché ciò avvenisse.
  • Sistemi informativi centrali: l’intervento è stato piuttosto limitato e relativo soprattutto al controllo della qualità delle informazioni che interessano il rapporto con il cliente, quali le date di consegna o l’indice di difettosità.
  • Sistemi informativi di retail: sono stati pesantemente toccati. La parte operativa del punto vendita è stata giudicata insufficiente e sostituita con strumenti pensati per una vera azienda retail. Su questa base sono stati introdotti sistemi di CRM classico (tessere fedeltà etc.) o innovativo (riconoscimento multi luogo ). E’ stato introdotto un sistema di monitoraggio costante delle aspettative clienti e del relativo livello di soddisfazione. L’analisi del traffico dentro e fuori dal punto vendita, effettuata con tecnologie adatte, ha indicato quali locations fossero corrette e quali meno, anche in rapporto al numero pezzi venduti e al valore medio.

In generale l’operazione è ancora in corso ma le indicazioni sono estremamente positive in termini di rapporto con i clienti e di redditività dei punti vendita dove tutti sono arrivati al pareggio o all’utile.