Profili di donne emiliano-romagnole/La Resistenza in Emilia-Romagna

Indice del libro

La Resistenza in Emilia-Romagna

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Panoramica generica sulla Resistenza in Emilia-Romagna.

Brigate Garibaldine

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Le brigate d'assalto "Garibaldi" sono formazioni promosse dal e legate al PCI, all'interno delle quali militano anche esponenti di altri partiti (socialisti, cattolici dell'Azione cattolica ecc), appartenenti al Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), indipendenti e apolitici. Strutturate su base militare, si dividono in reparti dotati di una rete di collegamenti formata da staffette e cellule comuniste diffuse sul territorio[1].

L'attività delle "Garibaldi" è sia militare sia politica; oltre ai compiti strettamente operativi, i garibaldini sono impegnati nel reclutamento di partigiani nei ruoli di comando e all'interno delle formazioni, senza operare alcun tipo di restrizione di natura politica[1].

Fin dalla sua costituzione, oltre al comandante militare, la Brigata "Garibaldi" ha un "commissario politico". Attivo anche nelle formazioni di "Giustizia e libertà" e nelle "Matteotti", e sul modello delle Brigate Internazionali della guerra di Spagna, questa figura è incaricata "dell'orientamento e del morale dei volontari"[1].

Alle Brigate "Garibaldi" sono legati i Gruppi di azione patriottica (GAP), le Squadre di azione patriottica (SAP) e i Gruppi di Difesa della Donna (GDD)[1].

Brigate Italia

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« Inizialmente questi ragazzi sono spinti all'azione da un sentimento patriottico contro gli occupanti tedeschi, ben presto maturano un ripudio definitivo dell'esperienza fascista e una rivolta morale contro il nazismo, infine nasce in loro la consapevolezza che si lotta per gettare le basi di una nuova società più libera e più giusta. »
([2])

L'annuncio dell'armistizio dell'8 settembre 1943 viene trasmesso dalla radio alle 19.45 e nel paese di Magreta (in provincia di Modena), la notizia si diffonde velocemente. Alfonso e Tonino Bucciarelli, Alfredo Cavazzuti, Luciano Busani e Ermanno Gorrieri, alcuni in licenza in attesa di andare al fronte, si chiedono cosa fare. Prima che finiscano nelle mani degli nazisti, decidono di recuperare le armi abbandonate dall'esercito italiano: il primo tentativo del 10 settembre, a Fiorano, fallisce, ma va a buon fine l'operazione nella notte tra il 12 e il 13 settembre (quando a Formigine il gruppo recupera quattro fucili mitragliatori e 60 moschetti con tutte le munizioni) e successivamente quelle del 20 e del 25 settembre[2]. Ai cinque amici si aggiungono anche altri modenesi dell'associazione cattolica del Paradisino e della parrocchia di San Pietro. Oltre alle piccole azioni di disturbo nei confronti dei nazisti, si affianca un'intensa attività di volantinaggio e propaganda contro la chiamata alle armi del neonato esercito fascista: dei 300 giovani chiamati alle armi si presentano solo in sei, fatto che porta ai primi rastrellamenti a Magreta[2].

Ad inizio marzo, Pierino Cavazzuti e Dino Lugli partono da Magreta per la spedizione Bandiera guidata da Leonida Patrignani che intende raggiungere l'alto Appennino e collegarsi con il piccolo nucleo partigiano di Armando guidato da Mario Ricci. Nell'attacco fascista a Pieve di Trebbiora del 12 marzo '43 perde la vita il ventiduenne Dino Lugli; dato che il suo corpo non viene riconosciuto subito, fino alla fine della guerra i suoi parenti lo credono prigioniero in Germania[2].

Il 26 aprile, viene arrestato, assiema ad altri, Pierino Cavazzuti, che solo a settembre riesce a fuggire e a raggiungere gli amici in montagna. In seguito al tradimento di una staffetta di Mirandola, incaricato dei collegamenti con la montagna, che una volta catturato fa parecchi nomi, vengono arrestati Viero Bertolani, Luciano Minelli e Enea Zanoli di Modena, il maestro Alfeo Martini, Adriano Barbieri di Medolla, Nives Barbieri di San Giacomo e tre sacerdoti, don Arrigo Beccari, don Ennio Tardini e don Ivo Silingardi[2].

Brigate Giustizia e Libertà

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Le brigate di Giustizia e Libertà (GL) sono legate al Partito d'Azione e guidate da Ferruccio Parri. Nascono immediatamente dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 e ad ottobre sono già attive in Friuli (dove operano insieme ai garibaldini), a Roma e in Veneto. Nelle sue fila entrano militari italiani sbandati, ex prigionieri di guerra alleati, disertori e renitenti alla leva obbligatoria imposta della Repubblica di Salò. Dopo la morte di due massimi esponenti del Partito di Azione, Leone Ginzburg (morto in carcere per le torture) e Silvio Trentin (malato di cuore, è morto in ospedale dopo alcune settimane di carcere), la lotta continua soprattutto in Piemonte, e la casa dell'avvocato Duccio Galimberti nel cuneese diventa centro organizzativo della Resistenza[3].

Le brigate GL sono organizzate come reparti militari; ogni volontario è obbligato a prestare giuramento e ad adeguarsi al grado che il comando decide di attribuirgli, indipendentemente dal grado militare posseduto all'8 settembre. Come le garibaldine e le Matteotti, anche le formazioni GL hanno un comando militare e un commissario politico, che si occupa della formazione dei combattenti[3].

Brigate Matteotti

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Le Brigate "Matteotti" sono formazioni legate al Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP), ma che per le tensioni interne al partito e soprattutto dopo l'arresto di Pertini il 1° ottobre 1943, si costituiscono in maniera abbastanza autonoma rispetto al PSIUP; la prima brigata Matteotti si forma il 12 dicembre 1943 sul monte Grappa (Veneto)[4].

Nella primavera del 1944, il Comitato esecutivo del PSIUP per l'Alta Italia decide la costituzione delle brigate Matteotti, guidate da Corrado Bonfantini. Nell'estate successiva, le Brigate "Matteotti" sono al fianco delle Brigate "Garibaldi" nei combattimenti avvenuti in Piemonte contro i reparti della Repubblica di Salò; nel novembre, la brigata Matteotti Dario Barni resiste ad un rastrellamento effettuato dalla divisione Waffen-SS Turkestan. Il fatto che le "Matteotti" accolgono al loro interno anche molti partigiani di tendenze socialiste che avevano precedentemente aderito ad altre formazioni crea delle tensioni nei CLN e frizioni tra i membri esistenti e i partigiani. L'inverno 1944-45 si rivela tragico per le Matteotti: la I brigata viene sterminata sul Grappa; è quasi impossibile costituire altre formazioni in montagna, fatta eccezione per la brigata Matteotti formata dall'azionista Toni Giuriolo a Bologna; le Matteotti arrivano a contare, in vista della primavera del 1945, più di 20.000 partigiani, anche se il loro peso "nella geografia complessiva della resistenza, rimane limitato ad alcune aree d'intervento"[5].

Tabella Forze partigiane della provincia di Modena

Brigate Partigiani combattenti Caduti partigiani dalla provincia di Modena Decorazioni alla memoria Decorazioni a viventi Comuni decorati al Valore Militare
  • Garibaldine: 31
  • Italia: 2
  • Giustizia e Libertà: 2
  • Matteotti: 1

19.320 di cui 1.984 donne

  • caduti all'interno della provincia: 1.396 (1.174 uomini e 40 donne)
  • caduti in altre province: 18
  • caduti all'estero: 164
  • Medaglie d'Oro: 16
  • Medaglie d'Argento: 71
  • Medaglie di Bronzo: 23
  • Medaglie d'Oro: 6
  • Medaglie d'Argento: 71
  • Medaglie di Bronzo: 23
  • Decorati di "Bronze Star": 4
  • Medaglia d'Oro: Modena e Montefiorino
  • Medaglia d'Argento: Carpi
  • Medaglia di Bronzo: Concordia e Palagano
  • Croce di Guerra: Nonantola, Pavullo, Sassuolo e Spilamberto
  • Medaglia d'Argento al Valore Militare all'Università di Modena

* Fonte: ANPI Modena.

  1. 1,0 1,1 1,2 1,3 Garibaldi, ANPI Modena
  2. 2,0 2,1 2,2 2,3 2,4 Franca Gorrieri, Era tutto molto naturale. Partigiani della Brigata Italia nella Resistenza modenese, documentario di Giulia Bondi
  3. 3,0 3,1 Giustizia e Libertà, ANPI Modena
  4. Matteotti, ANPI Modena
  5. Renato Sandri, "Matteotti, brigate", in E. Collotti, R. Sandri, F. Sessi, Dizionario della Resistenza, Torino, Einaudi, 2006, vol. 2, p. 220

Bibliografia

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Collegamemnti esterni

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