Non c'è alcun altro/Dio Crea

La nozione che tre temi – creazione, rivelazione e redenzione – catturino tre modalità distintive in cui Dio si relaziona al mondo è sia molto nuova che molto antica. Fornisce la struttura esplicita di La stella della redenzione del filosofo tedesco del XX secolo, Franz Rosenzweig, la cui opera è una delle letture contemporanee più influenti dell'ebraismo. Struttura anche le liturgie tradizionali dei servizi di culto mattutini e serali, canonizzati secoli fa. Il centro di tali liturgie è la recitazione dei tre paragrafi dello Shema, ma che è preceduta da due unità, una che tratta della creazione del mondo da parte di Dio e l'altra della Sua rivelazione della Torah. Viene seguita da una terza unità, che loda Dio per aver redento Israele dall'Egitto e per la promessa redenzione finale di là da venire.

Trascrizione di frase biblica in lingua ebraica artistica, da Esodo 3:14: "’ehyeh ’ăšer ’ehyeh - Io sono colui che è"
Trascrizione di frase biblica in lingua ebraica artistica, da Esodo 3:14: "’ehyeh ’ăšer ’ehyeh - Io sono colui che è"
"Mosè e il Rovo Ardente", di Domenico Fetti (1617)
"Mosè e il Rovo Ardente", di Domenico Fetti (1617)
Indice del libro


CREAZIONE, RIVELAZIONE, REDENZIONE: LA TRIADE

I nomi tradizionali di queste tre unità ben evidenziano i tre temi: (1) Yotzer ("Creazione"), (2) Torah (dato che ciò che Dio ha rivelato è stata la Torah), (3) Geulah ("Redenzione"). I liturgisti che composero questi testi non erano teologi sistematici. Non usavano consapevolmente questi tre modelli nella loro forma astratta, come fa Rosenzweig, ma quando deliberavano in merito a quale credenza ogni ebreo devoto dovesse recitare quotidianamente, determinavano che Dio doveva essere lodato in questi tre momenti in cui Egli si rivolgeva al mondo con atti di intervento particolarmente sorprendenti. Quello che integra i tre momenti, ciò che li rende tre-in-uno invece di tre unità distinte, è il tema del rapporto di Dio col mondo. Per usare il linguaggio di Abraham Joshua Heschel, rappresentano tre dimensioni del "pathos divino". Il pathos di Dio, l'interessamento di Dio per il mondo, serve come "tono basilare" di queste tre manifestazioni più particolari.[1]

Per metterla in maniera più appariscente, il tema comune che unisce tutti e tre i momenti è che gli esseri umani complementano ed estendono l'opera di Dio. Usando la formulazione tradizionale, noi ci "consociamo a Dio" nella creazione, rivelazione e redenzione. In ciascun caso, Dio richiede un contributo umano onde poter realizzare tale rapporto. Questa è una dichiarazione sia riguardo alla responsabilità umana sia riguardo alla natura intrinseca di Dio o, più precisamente, riguardo a come gli antichi percepivano la natura di Dio. Allora dobbiamo chiedere: che tipo di Dio concederebbe un ruolo sostanziale agli esseri umani per completare la Sua opera?

Da notare il sottile cambiamento del centro della nostra ricerca. Finora ci siamo concentrati sui modi in cui i nostri avi cercavano di catturare la natura di Dio, ciò che Dio è. Ora ci rivolgiamo ai vari modi in cui essi catturarono ciò che Dio fa. La distinzione non è affatto chiara. Il comportamento di una persona di solito riflette la sua natura; un Dio "giusto" agirà giustamente e da questo comportamento noi deduciamo qualcosa sulla natura di Dio. Il cambiamento d'enfasi da natura di Dio a comportamento di Dio si rifà alle sensibilità di molti pensatori – Maimonide ne è un esempio primario – che sono riluttanti a dire qualcosa sulla natura di Dio. Possiamo non sapere nulla della natura di Dio, ma percepiamo quotidianamente la Sua attività nel mondo. La nostra nuova domanda fornisce un differente punto d'entrata alla nostra discussione.

Rotolo della Torah su pergamena
Rotolo della Torah su pergamena

Dio crea qualcosa modifica

L'apparente semplicità della nozione di Dio come creatore del mondo in realtà è alquanto sconcertante. Per i credenti tradizionali di qualsiasi confessione, che Dio abbia creato il mondo è un principio di fede indiscutibile. Per il laico, l'affermazione è stata scartata completamente dalla scienza e dalla ragione. Il dibattito tra creazionisti e scienziati di tutte le appartenenze iniziò nell'antichità e continua a tutt'oggi con fervore imperterrito.

Che Dio abbia creato il mondo, che senza Dio non ci sarebbe alcun mondo, è un pilastro del pensiero ebraico. È il tema dei capitoli d'apertura della Bibbia. Appare ovunque nelle omelie rabbiniche e nelle prime parole della Mishneh Torah di Maimonide:

« Il principio basilare di tutti i principi basilari e il pilastro di tutte le scienze è di capire che c'è un Primo Essere che ha fatto esistere ogni cosa. Tutte le cose esistenti, che siano celesti, terrene, o appartenenti ad una classe intermedia, esistono solo tramite la Sua vera esistenza. Se si potesse supporre che Egli non eiste, ne conseguirebbe che nient'altro potrebbe esistere. Se, tuttavia, si supponesse che tutti gli altri esseri non esistono, Egli solamente esisterebbe sempre. La loro inesistenza non involverebbe la Sua inesistenza. Poiché tutti gli esseri necessitano di Lui; ma Egli... non necessita di loro né di ciascuno di loro.[2] »

Appare anche, con parole leggermente differenti, come primo dei suoi Tredici Principi di Fede:

« [Dio] è la causa di tutta l'esistenza. In Lui tutto il resto sussiste e da Lui deriva. È inconcepibile che Egli non esista, poiché se non esistesse, l'esistenza di tutto il resto sarebbe estinta e niente persisterebbe. Se potessimo immaginare l'assenza di qualsiasi altra cosa esistente, tuttavia l'esistenza di Dio non ne sarebbe con ciò estinta o diminuita.[3] »

In entrambe le formulazioni, Maimonide presuppone che ci sia una stretta congruenza tra la dottrina della creazione e l'esistenza di Dio. La prima presuppone la seconda; la creazione presume un Dio creante. In verità, i filosofi medievali dedicarono molta energia a comprovare la dottrina della creazione su basi razionali, precisamente perché una volta che avessero provato la creazione, ipso facto avrebbero provato l'esistenza di un Dio creante. Prove della creazione diventano prove dell'esistenza di Dio.

Tuttavia, una volta che andiamo oltre questa asserzione apparentemente lineare, le domande abbondano. Cosa significa questa affermazione? Come (e perché) Dio creò (o crea) il mondo? Cosa creò (o crea) Dio — il mondo che conosciamo, o i quark? Nonostante la credenza tradizionale che il primo capitolo di Genesi sia la dichiarazione classica dell'ebraismo su questo argomento, la Bibbia e la tradizione postbiblica conservano almeno quattro risposte separate a queste domande.[4]

Creazione come ordinamento cosmico modifica

La narrazione maestosa che appare nel capitolo d'apertura della Bibbia ritrae Dio che crea il mondo con la parola. L'opera creativa di Dio vale per tutto: la luce, la terra sotto, i cieli sopra — dal sole, luna e stelle a uccelli, animali e pesci e, come culmine, l'essere umano. Dio crea, in questo resoconto, imponendo ordine su uno stato di anarchia primordiale. "Quando Dio iniziò a creare il cielo e la terra" – questa è forse la traduzione più accurata di quelle prime sette parole ebraiche della Bibbia – Dio dovette affrontare una serie di condizioni preesistenti, delineate nella frase parentetice che segue subito dopo: "la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque." Poi "Dio disse «Sia la luce!». E la luce fu." Dio parla e avviene un mondo. Uno dei nomi liturgici di Dio è Colui "che parlò ed [ecco!] ci fu un mondo."

In questo resoconto di Genesi, Dio non crea il mondo "dal nulla". Qui, quando Dio inizia a creare, Egli deve affrontare una "terra" che è "informe e deserta" (nonostante la nozione apparentemente contraddittoria che Dio stesse per creare la terra) e anche le tenebre, l'abisso, e via dicendo. L'opera creativa di Dio è rappresentata come ordine dall'anarchia preesistente, cosmo da caos. Per caos intendiamo quello che il versetto descrive come tohu va-vohu, spesso tradotto con "informe e vuoto", una condizione in cui i limiti sono sfocati, le distinzioni oscurate e la confusione dilagante. In contrasto, in tutto questo capitolo Dio viene rappresentato che crea distinzioni, separa gli elementi tra loro: il cielo dalla terra, la luce dalle tenebre, le acque sopra il cielo dalle acque sotto, e gli uccelli, i pesci ed i mammiferi. Infine e in conclusione, un giorno, il Sabbath, viene separato dai rimanenti sei giorni. Ogni pezzo della creazione ha il suo posto legittimo. La distinzioni impongono forma all'"informe". Dove c'era caos primordiale, ora regna il cosmo.

Anche il carattere letterario di questo capitolo biblico riflette l'opera di ordinamento. Ogni porzione del mondo creato ha il suo giorno particolare. Il resoconto di ciascun giorno inizia e finisce con le stesse parole: "Dio disse: «Sia...»" all'inizio e "Dio vide che era cosa buona. E fu sera e fu mattina: [numero] giorno." alla fine. I giorni sono numerati esplicitamente. La forma letteraria del testo sottolinea la sua sostanza. Entrambe puntano alla creazione come ordinamento.

Ci sono due ulteriori caratteristiche nella narrazione di Genesi 1: qui l'opera creativa di Dio è incontrastata. Dio parla ed il mondo viene ad essere, come manifestazione della Sua potenza trascendente. Qui, inoltre, la creazione dell'essere umano avviene proprio alla fine del processo. La storia fornisce un ampio contesto in cui l'essere umano ha il suo posto specifico (moltiplicato per due, dato che Dio crea il primo umano nei due sessi: uomo e donna) nel mondo ordinato. Solo se il mondo è fondamentalmente ordinato ogni cosa ha il suo posto appropriato.

Ci chiediamo: perché i filosofi medievali hanno abbandonato questa interpretazione di Genesi 1 a favore della dottrina della creazione "dal nulla"? La nozione che qualcosa d'altro coesistesse con Dio prima della creazione implicava un dualismo teologico che era probabilmente anatema per questi pensatori. In questo resoconto di Genesi c'era Dio e c'era tutto questo amalgama preesistente: da dove veniva? Il caos era forse un altro dio? Allora ci sarebbero stati due dei e tale dottrina era semplicemente impensabile per i commentatori medievali. Inoltre, venivano messi alla prova dall'influente nozione aristotelica che una creazione originale nel tempo era del tutto errata: il mondo, o almeno la materia indifferenziata, esisteva eternamente. Tale nozione sembrava contraddire Genesi 1, e allora bisognava chiarire e rivedere Genesi 1.

Un'analogia utile potrebbe essere la nostra eperienza nel costruire una casa con blocchi di legno. Nel racconto di Genesi, i blocchi sono ammucchiati per terra in modo indiscriminato, caotico, e poi noi li scegliamo e li disponiamo a forma di casa. Secondo i commentatori medievali, prima creaiamo i blocchi e poi costruiamo la casa. Al racconto biblico, tuttavia, non importa provare l'esistenza di Dio; viene data per scontata. Né l'autore di Genesi 1 si sentiva contrastato dalla scienza aristotelica. Genesi 1 era stato scritto in quel modo perché tale era il modo suggerito dall'esperienza dell'autore.[5]

Centralità dell'essere umano modifica

La critica biblica moderna afferma che Genesi 2 e 3 conservano una seconda storia separata della creazione. L'evidenza di questa conclusione è sia sostanziale che letteraria. Sul fronte letterario, gli studiosi indicano le differenze di vocabolario, di stile, dei nomi di Dio nei due documenti. Anche le differenze sostanziali sono sorprendenti. L'ambito del primo racconto è cosmico; il secondo, strettamente antropocentrico. Nel primo, Dio crea tutto il resto, poi, nell'ultimo giorno, crea gli esseri umani; nel secondo, la creazione di "tutto il resto" segue la creazione del primo uomo (2:9 per gli alberi e 2:19 per bestie e uccelli). La clausola parentetica in 2:5 asserisce esplicitamente che l'essere umano, qui solo uomo, fu creato prima di tutto il resto. La parte rimanente del resoconto tratta della creazione del giardino, delle altre creature e della donna, ed infine le avventure di questi primi esseri umani che poi porta all'espulsione dall'Eden.

È comprensibile che i commentatori biblici tradizionali vedessero questi due racconti come una sola storia, con la prima parte che prepara il contesto per la creazione degli esseri umani e la seconda parte che descrive nei particolari come vennero creati i primi umani. La seconda parte viene vista come una preparazione ed estensione degli ultimi versetti della prima parte. Per quegli studiosi religiosi preoccupati di conservare l'integrità e coerenza interna del testo nel suo insieme, questa soluzione sembra molto ragionevole; per i critici biblici moderni le contraddizioni sono troppo evidenti per essere ignorate.

Queste contraddizioni sono anticipate dalle parole iniziali dei due resoconti. Nel primo, Dio crea "il cielo e la terra" (Genesi 1:1); nel secondo, "la terra e il cielo" (Genesi 2:4). Il cambiamento è minimo ma significativo. Nel precedente resoconto, l'ambito della creazione divina è della più vasta portata naturale, iniziando col cielo e poi procedendo con la terra ed i suoi abitanti. Nel secondo, tale scenario ultimo viene scartato come irrilevante. L'interesse principale di Dio è per cosa accade sulla terra e, ancor più specificamente, per la creazione del primo essere umano, che succede prima di tutto il resto della creazione (Genesi 2:4-7). Questo "tutto il resto" viene poi creato per l'essere umano, per suo uso e consumo.

Inoltre, nel primo resoconto non ci viene mai detto come furono creati i primi umani, ma solo che Dio li creò. Nel secondo, Dio crea il primo uomo plasmandolo con polvere del suolo e soffiandogli nelle sue narici un alito di vita (Genesi 2:7), e la prima donna successivamente dalla costola dell'uomo. Nel primo, la creatura umana originale era un ermafrodita (Genesi 1:27); nel secondo, Dio crea solo il maschio per primo. Infine, il secondo resoconto segue le vite di questi due creature umane — il loro mangiare il frutto dall'albero della conoscenza del bene e del male, la sofferenza a loro imposta a causa di questo atto di ribellione, e la loro cacciata dal giardino. Essenzialmente, questo resoconto spiega perché le cose stanno come stanno per gli esseri umani nel mondo post-Eden in cui viviamo a tutt'oggi: perché gli uomini si guadagnano da vivere col sudore della fronte, perché le donne provano dolore partorendo, e perché muoriamo. Niente di tutto questo è descritto in Genesi 1.

Lo spostamento di prospettiva dei due racconti è uno spostamento della natura dell'interesse ultimo di Dio. Egli si interessa innanzitutto del mondo nel suo complesso o degli esseri umani? Gli esseri umani sono stati creati per il mondo, oppure il mondo per l'umanità? È quindi anche uno spostamento di valori da parte di Dio. Nel primo, Dio si occupa della natura nel suo insieme e degli esseri umani come parte del contesto. Nel secondo, Dio si occupa soprattutto degli esseri umani, come sono stati creati, come si comportano ed il loro destino susseguente dentro e fuori dell'Eden.

Lo stato glorificato dell'essere umano, così speciale in questa seconda narrazione della creazione, emerge più sorprendentemente nella nozione che gli umani sono "consociati a Dio nella creazione". Tale formulazione rabbinica è un'estensione della nozione che "Il Signore prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse" (Genesi 2:15). Il senso del passo biblico è che il mondo creato da Dio necessita di ulteriore raffinamento, di coltivazione e lavorazione della terra, e che questo compito viene assegnato al primo umano. La formula di associazione appare nel seguente commentario a Genesi 2:1, "Così furono portati a compimento il cielo e la terra":

« Rabbi Hamnuna disse: "Colui che prega alla vigilia del Sabbath e recita «Così furono portati a compimento il cielo e la terra», la Scrittura lo tratta come se fosse diventato un consociato del Santo, che Egli sia benedetto, nella Creazione, poiché sta scritto «Così furono portati a compimento [il cielo e la terra]». Ma non leggere «così furono portati a compimento», bensì «così compirono»".[6] »

Il punto è sottile e richiede dimestichezza col testo ebraico. Per un gioco di prestigio midrashico, Rabbi Hamnuna legge il verbo passivo "essi furono compiuti" (o "portati a compimento") come un verbo attivo, "essi compirono". L'"essi" sono ovviamente Adamo ed Eva. Hanno compiuto l'opera della creazione divina, e ciò li ha resi associati di Dio nella creazione. Quando noi recitiamo il brano di venerdì mattina, condividiamo questa associazione.

La nostra stessa esperienza estende e conferma questa nozione. Ogni uso che facciamo del mondo richiede un contributo umano sostanziale. Dio non ha creato il pane; noi creaiamo il pane da ciò che Dio ha fornito precedentemente. Dio non ha creato le medicine; noi creiamo le medicine dalle piante o altre sostanze che Dio ha fornito. La condivisione umana della creazione non è solo limitata al mondo materiale. Dio può aver creato la giustizia, ma l'applicazione di tale mandato negli scambi umani concreti è responsabilit umana: "Ogni giudice che giudica con completa onestà, anche soltanto per un'ora, la Scrittura gli dà credito come se si fosse associato al Santo Benedetto nella creazione."[7]

In un'altra applicazione ancor più insolita di questa nozione, i Rabbini notano che Dio poteva aver creato il primo uomo già circonciso, ma non l'ha fatto. Noi siamo responsabili di completare anche qui l'opera di Dio. Il testo poi spiega: "Osserva che tutto ciò che fu creato nei sei giorni della creazione necessita raffinamento; la mostarda necessita di addolcimento, le vecce [una pianta] necessitano di addolcimento, il frumento necessita di macina e anche l'uomo necessita di rifinitura."[8]

Questa è una dichiarazione tanto su Dio quanto sugli esseri umani. Dio non ha creato un mondo perfetto, e neanche un mondo perfettamente giusto. Dio richiede l'aiuto delle persone qui nella creazione e, come vedremo, anche nella rivelazione e nella redenzione. Questo ruolo glorioso è assegnato agli esseri umani.

Entrambe queste versioni della creazione si trovano, inconciliate, nella Bibbia, ma le interpretazioni pluralistiche della creazione sono ancor più numerose.

Lotta primordiale modifica

Quali che siano le differenze di questi due resoconti della creazione, combaciano comunque su un punto importante: la creazione di Dio fu incontrastata. A parte le ribellione dei primi esseri umani nel secondo racconto – non certo un'eccezione insignificante – non c'è nessun suggerimento di sfide alla potenza di Dio da parte di altre forze nell'ambito o al di là del mondo creato. Dio parla o vuole e tutto va a posto.

Genesi 1 insegna che Dio formò il cosmo dal caos primordiale. Una lettura più attenta del testo evidenzia che Dio non bandì o abolì semplicemente l'elemento caotico del mondo, il tohu va-volu, le tenebre ed il vuoto – Dio poteva di certo farlo – ma piuttosto mise dei limiti in modo che fosse controllato. Dio separa la luce dalle tenebre, il mare dalla terra, e le acque sotto la distesa dalle acque sopra la distesa (Genesi 1:4;7). Che tale impostazione di confini possa essere contestato è solo implicito in Genesi 1. Diventa esplicito in altre storie della creazione della Bibbia. Qui ci sono tre testi che evidenziano che l'opera creativa di Dio non fu senza difficoltà come appare in Genesi 1 — in verità, la creazione del mondo da parte di Dio richiese una lotta con forze che opponevano l'opera divina e dovevano essere controllate.

Salmo 104 è una descrizione maestosa della potenza di Dio sulla natura, ma riflette anche un'altra narrazione della creazione implicita. Viene recitata, appropriatamente, alla conclusione del servizio mattutino durante Rosh Chodesh, la celebrazione del nuovo mese nel calendario ebraico, e ancora nel servizio pomeridiano del Sabbath durante i mesi invernali:

« [Dio] ha fondato la terra sulle sue basi:
essa non vacillerà mai.
Tu l’avevi coperta dell’oceano come di una veste,
le acque si erano fermate sui monti.
Alla tua minaccia esse si ritirarono,
al fragore del tuo tuono fuggirono spaventate,
scavalcarono i monti, discesero per le vallate
fino al luogo che tu avevi fissato per loro.
Tu hai posto alle acque un limite che non oltrepasseranno;
esse non torneranno a coprire la terra. »
(Salmo 104:5-9)

Qui abbiamo dunque un'angolazione diversa da Genesi 1. Se il resoconto di Genesi 1 narra di Dio che impone ordine su un'anarchia primordiale, questo resoconto riporta in più particolari proprio come Dio lo fece. Suggerisce inoltre una certa resistenza da parte della natura: le acque che si fermano, le montagne da scavalcare e le vallate da discendere — niente di tutto questo in Genesi 1. Alla fine, Dio istruisce le acque a non oltrepassare il limite imposto loro, implicando che tali acque ancora avevano la possibilità di farlo.[9]

Ancor più esplicito è Giobbe 38:8-11, parte della risposta di Dio alla richiesta di Giobbe che Egli giustifichi la sua sofferenza apparentemente immeritata. Di nuovo, è un peana alla potenza di Dio e riflette una narrazione della creazione:

« Chi ha chiuso tra due porte il mare,
quando erompeva uscendo dal seno materno,
quando lo circondavo di nubi per veste
e per fasce di caligine folta?
Poi gli ho fissato un limite
e gli ho messo chiavistello e porte
e ho detto: "Fin qui giungerai e non oltre
e qui s'infrangerà l'orgoglio delle tue onde". »

Di nuovo, qui la creazione senza sforzi di Genesi 1 viene rimpiazzata dalla nozione di una lotta primordiale tra Dio ed il mare. Dio vince tale lotta, ma il mare non cede passivamente. Dio lo limita, mette "chiavistello e porte", ma rimane una minaccia al dominio di Dio. Altrimenti, perché mettere chiavistelli e porte? Se non fosse per la presenza continua di Dio, potrebbe trasgredire i suoi limiti imposti. Invero, ciò è proprio quello che le acque fanno al tempo di Noè nella storia del diluvio: "Eruppero tutte le sorgenti del grande abisso e le cateratte del cielo si aprirono" (Genesi 7:11). Possono farlo perché Dio le ha liberate dai loro imposti limiti, ma Dio l'ha potuto fare perché la loro potenza originale non era stata del tutto debellata. In contrasto, dopo il diluvio, Dio promette che i limti della natura che Egli ha stabilito non saranno mai più violati: "Finché durerà la terra, seme e messe, freddo e caldo, estate e inverno, giorno e notte non cesseranno" (Genesi 8:22). Ancor più esplicito è il seguente passo da Salmo 74:13-17:

« Tu con potenza hai diviso il mare,
hai schiacciato la testa dei draghi sulle acque.
Al Leviatàn hai spezzato la testa,
lo hai dato in pasto ai mostri marini.
Fonti e torrenti tu hai fatto scaturire,
hai inaridito fiumi perenni.
Tuo è il giorno e tua è la notte,
la luna e il sole tu li hai creati.
Tu hai fissato i confini della terra,
l'estate e l'inverno tu li hai ordinati. »

I verbi di questo passo – "hai diviso", "hai schiacciato" e "hai spezzato" – implicano un vero combattimento tra Dio e le forze primordiali della natura, che sembrano aver resistito strenuamente la potenza di Dio; ecco perché dovevano essere "spezzate" e "schiacciate".

Questa versione della creazione è molto più di un dettaglio mitico arcano. Se l'ordine della creazione implica che le forze della natura non sono state del tutto sottomesse, allora possiamo capire perché, ogni tanto, eruttano a inghiottire i limiti stabiliti da Dio. Le implicazioni teologiche di tale interpretazione sono sorprendenti. L'implicazione più ovvia è che nega la potenza sovrana ultima di Dio. Ciò che qui ci sembra di avere è un testo dimostrativo della nozione che Dio è limitato. Ancor più strabiliante, questa nozione di una lotta primordiale tra Dio e le forze della natura ci aiuta a capire perché, sebbene nella natura il controllo del caos da parte di Dio sembra sicuro, nella storia tale congtrollo non è affatto evidente. Si veda per esempio la sofferenza storica di Israele per mano dei suoi nemici! Abbiamo studiato tale discrepanza nel capitolo 2.

È inoltre esplicita nel Salmo 74, che nei versetti 13-17 tratta della soppressione del caos naturale da parte di Dio. Tale passo è una configurazione preparatoria del punto principale del salmo, che è una contestazione contro Dio per aver mancato di controllare le forze anarchiche della storia. Così infatti inizia il salmo: "O Dio, perché ci respingi per sempre, perché divampa la Tua ira contro il gregge del Tuo pascolo?" Continua con una descrizione della sconfitta di Israele per mano dei suoi nemici:

« Hanno dato alle fiamme il Tuo santuario,
hanno profanato e demolito la dimora del Tuo nome;
pensavano: "Distruggiamoli tutti";
hanno bruciato tutti i santuari di Dio nel paese. »
(Salmo 74:7-8)

Questo fornisce il contesto ai versetti 13-17, in cui il salmista ricorda come la potenza di Dio schiacciò le forze della natura. Poi ritorna il tema originale: "Non abbandonare alle fiere la vita della tua colomba; non dimenticare per sempre la vita dei Tuoi afflitti. Sii fedele alla Tua alleanza!" (Salmo 74:19-20.

Dio dovrebbe essere il padrone ultimo di tutte le cose, natura e storia insieme, ma c'è un divario profondo tra natura e storia. Le forze anarchiche della storia sono ancora attive, apparentemente immuni al controllo di Dio. La sfida principale alla potenza di Dio è ancora l'essere umano, che Dio ha creato libero persino di disp[rezzare la volontà divina, nella storia fino ad oggi come nell'Eden in principio. Dio aveva fatto un patto non solo con la natura (dopo il diluvio, in Genesi 9:9) ma anche con Israele al Sinai. Pertanto il salmo fa l'appello "Sii fedele alla Tua alleanza!" Intende entrambe le alleanze.

Abbiamo riesaminato la discrepanza tra la potenza di Dio nella natura e nella storia in questo contesto perché il lettore moderno non condivide necessariamente la convinzione del salmista che Dio abbia veramente sotto controllo l'anarchia naturale. Come dobbiamo interpretare la devastazione provocata su persone innocenti da terremoti, diluvi e uragani? Ci confrontiamo con le limitazioni di Dio in entrambi i reami, ecco perché questo terzo racconto ci parla così chiaramente. Di nuovo, il modo in cui comprendiamo la creazione determina il modo in cui ci rappresentiamo Dio.[10]

La creazione continua ogni giorno: la liturgia modifica

Quando gli autori rabbinici della liturgia quotidiana volevano codificare una teologia della creazione in parole che ebrei devoti potessero articolare ogni singolo giorno, non scelsero né Genesi 1, che avrebbe potuto sembrare un testo preminente a causa del suo posizionamento proprio all'inizio della Torah, né gli altri resoconti studiati finora, ma un altro resoconto biblico, Isaia 45:7:

« Io formo la luce e creo le tenebre,
faccio il bene [shalom] e provoco la sciagura [ra];
io, il Signore, compio tutto questo.[11] »

Abbiamo visto questo testo nel capitolo 1. Nel suo contesto originale, era un rifiuto del dualismo teologico zoroastriano. Esiste solo un Dio unico, insiste il profeta, non un dio della luce e un dio delle tenebre, non un dio buono e un dio cattivo. Questo Dio è responsabile di "tutte le cose". Ma quando questo passo venne messo all'inizio della prima benedizione quotidiana, venne rielaborato in questo modo: "Benedetto sei Tu, Signore nostro Dio, Sovrano dell'universo, Che forma la luce e crea le tenebre, che fa shalom e crea tutte le cose."

Due nuovi temi emergono immediatamente. Primo, Dio ora crea le tenebre; in Genesi 1, le tenebre preesistevano la creazione. Dio le separava dalla luce, ma le tenebre erano già lì, prima della creazione della luce. Secondo, cosa è successo alla nozione che Dio crea anche il male? Viene omesso, senza tante storie, e rimpiazzato con le parole conclusive del testo di Isaia: ora Dio crea "tutte le cose", che potrebbe includere anche il male, ma solo implicitamente. I litirgisti non si sentirono imbarazzati da un Dio che creava le tenebre, ma non volevano avere un Dio identificato esplicitamente con la creazione del male.

Questo testo rifiuta, o almeno ignora, la pressione interpretativa degli altri resoconti della creazione che abbiamo esaminato. La creazione non è ordine dal caos; ora Dio crea anche l'anarchia (e le tenebre). La creazione non è antropocentrica; l'autore non è interessato nell'ordine della creazione. Infine, questo non è affatto un Dio limitato. Questo Dio crea tutto!

Man mano che questa liturgia prosegue in base al passo di Isaia, arriva un'altra sorpresa: "[Dio]... illumina la terra e coloro che ci abitano con compassione e, nella bontà di Dio rinnova giornalmente, perpetuamente l'opera della creazione." La creazione non è più un atto che avvenne una volta tanto, tanto tempo fa. Avviene oggi, quotidianamente, perpetuamente. La dottrina della creazione non è più semplicemente una dichiarazione di come le cose sono avvenute all'inizio, ma come il mondo continua ad essere da un momento all'altro. Ora è un'affermazione sulla dipendenza con tinua del mondo sulla presenza perpetua di Dio e della Sua potenza. Da notare inoltre che queste parole devono essere recitate all'alba, precisamente al momento cruciale in cui siamo maggiormente consapevoli del ciclo giornaliero della natura.[12]

Non dobbiamo assolutamente minimizzare le implicazioni teologiche che Dio ha creato il male o il caos. Abbiamo visto che quando cerchiamo di comprendere perché persone innocenti debbano soffrire, abbiamo due alternative: che la sofferenza abbia luogo nell'ambito del controllo divino, oppure che sfugga alla potenza di Dio. Questo profeta ovviamente sceglie la prima alternativa, che ci lascia con la conclusione inquietante che un Dio apparentemente buono è direttamente responsabile della sofferenza. Tuttavia, la seconda alternativa è ugualmente inquietante: Dio non è onnipotente.

Perché quattro narrazioni della Creazione? modifica

Abbiamo bisogno di differenti resoconti della creazione perché parlare di come il mondo si è originato ci porta oltre il tempo e lo spazio, nei reami che né la mente umana né il linguaggio umano possono descrivere in termini letterali. Siamo tutti ossessionati dalla necessità di comprendere come iniziò tutto, proprio come siamo ossessionati dalla necessità di comprendere come tutto finirà. Tale bisogno intuitivo di dare un senso al nostro mondo è ciò che motiva sia scienza che religione. Se perseguiamo la catena di ricerca a ritroso fino al primissimo momento, indietro il più possibile, alla fine ci scontriamo con un muro di misteri. Rimane sempre almeno un altro passo da compiere all'indietro nella catena del tempo che le nostre menti non riescono a penetrare. Per caratterizzare tale ultimo passo, dobbiamo abbandonare il linguaggio comune e poi entrare nel reame della poesia o del mito. Allora parliamo di Genesi 1, o di quark. In tal momento funzioniamo con l'immaginazione, non con la scienza. Non abbiamo dati con cui misurare le nostre ipotesi. Nessuno ha mai osservato un quark; possiamo solo osservare le tracce che i quark si lasciano dietro, proprio come deduciamo il Big Bang dalle tracce dell'evento primordiale che riusciamo ad osservare.[13] Il presupposto scientifico è che se il mondo funziona ci deve essere qualcosa come i quark. La Bibbia fa lo stesso, per cui ecco che abbiamo Genesi 1.

Tutte e quattro le risposte sono vere in tal senso. Ciascuna cattura parte della verità; ciascuna è una visione parziale; si complementano a vicenda e nessuna da sola trasmette tutta la verità. È vero che il nostro mondo mantiene un difficile equilibrio tra ordine e anarchia. È vero che manifesta un modello o sistama coerente, grandioso, globale, qualcosa come quella che gli scienziati chiamano "Teoria della grande unificazione". È pur vero che nella creazione, all'essere umano è concesso un valore permanente ed eccezionale. Dopo tutto, siamo apparentemente le sole creature che pensano a come il mondo fu creato in primo luogo! È infine vero che questo mondo incredibilmente complesso si mantiene da solo, in qualche modo, giorno dopo giorno, momento dopo momento, perpetuamente.

C'è una più grande differenza tra la comprensione scientifica della creazione e quella biblica. Lo scopo principale delle risposte bibliche non è di fornire un resoconto accurato di come le cose vennero ad esistere in primo luogo, ma piuttosto di fornire visioni dell'immaginazione relative a cosa significhi il mondo e la vita umana. Sono tutte concentrate con questioni di significato ultimo; tutte cercano di collocare il significato della vita umana in un contesto più ampio possibile. In un modo o nell'altro, tentano tutte di isolare il carattere distintivo dell'esperienza umana. Un messaggio ci dice che gli esseri umani sono creature di valore inestimabile; questo è ciò che la Bibbia vuole trasmettere evidenziando che fummo creati "ad immagine di Dio". Un altro messaggio ci insegna che la vita umana è vissuta sull'orlo del precipizio, ai limiti del caos. Un quarto asserisce che il mondo e quindi le nostre vite non sono autonomi. Questi differenti messaggi sono tutti manifestamente veri. Ecco perché la presenza stessa dei quattro messaggi sono un dono per noi. I nostri antenati speculavano su cosa fosse la vita ed inclusero tutte queste possibilità per incoraggiarci a fare lo stesso.

Quello che unisce tutti e quattro i messaggi è Dio. Come potrebbe essere altrimenti? Per i nostri avi, Dio non era la conclusione di un argomento ma il suo punto di partenza. Iniziarono con la convinzione che ci fosse un Dio nel mondo e che il mondo era tutto opera di Dio. Non ragionarono per arrivare a Dio partendo dalla loro esperienza – quello era il percorso del razionalismo medievale – ma piuttosto partendo da Dio come modo di comprendere la loro esperienza.

Interpretato in questo modo, il conflitto tra creazionismo ed evoluzionismo non riguarda le conclusioni ma i presupposti. Su tale questione, i presupposti sono tutti ugualmente poetici o mitici. Dio può aver creato il mondo dai quark, ma un quark è anch'esso un costrutto dell'immaginazione umana. E poi, chi ha creato il quark?

Note modifica

  1. Abraham Joshua Heschel, God in Search of Man, cit., "pathos" e Parte III, 281-290.
  2. Mishneh Torah, "Principi Basilari della Torah" 1:1-3. Tradotto da A Maimonides Reader, cit., cur. Isadore Twersky, p. 43-44.
  3. A Maimonides Reader, cit., cur. Isadore Twersky, p. 417.
  4. Jon D. Levenson, Creation and the Persistence of Evil: The Jewish Drama of Divine Omnipotence, Harper & Row, 1988, Cap. 2 e note.
  5. Per esaminare un rinomato esempio dell'argomento a favore della creazione dal nulla si veda Saadya Gaon, Libro delle Dottrine e delle Credenze in (EN) Three Jewish Philosphers, Alexander Altmann (cur.), Atheneum, 1982, 49 e segg.
  6. TB, Shabbat 119b.
  7. TB, Shabbat 10a.
  8. Midrash Genesi Rabbah 11:6.
  9. Vedi anche Jon D. Levenson, Creation and the Persistence of Evil, cit., Cap. 2.
  10. Si veda spec. Abraham Joshua Heschel, Man Is Not Alone: A Philosophy of Religion, Farrar, Straus and Giroux, The Jewish Publication Society of America, 1951; L’uomo non è solo: una filosofia della Religione, trad. di Lisa Mortara ed Elèna Mortara Di Veroli, introd. di Cristina Campo, Rusconi, 1970; Mondadori, 2001; Ghibli, 2017; vedi anche il suo Man’s Quest for God: Studies in Prayer and Symbolism, Charles Scribner’s Sons, 1954; L’uomo alla ricerca di Dio, trad. di Riccardo Larini, Qiqajon, 1995 (edizione parziale).
  11. Una delle versioni in traduzione italiana, che varia nella seconda riga a seconda della resa di shalom e ra.
  12. Si veda, int. al., Philip Birnbaum, High Holiday Prayer Book, The Hebrew Publishing Company, 1951; Umberto Cassuto, A Commentary on the book of Genesis, Magnes Press, Hebrew University, 1961-1964; Jacob Neusner, Genesis Rabbah: The Judaic Commentary to the Book of Genesis, Scholars Press, 1985, 121-223; id., "A Zoroastrian Critique of Judaism", Journal of the American Oriental Society, 83/3, 1963, 283-94.
  13. Il Big Bang stesso va oltre i confini della ricerca scientifica. Gli scienziati possono spiegare cosa è successo un nanosecondo dopo il big bang, ma il big bang stesso appartiene al reame della poesia e del mito. Cfr. Margherita Hack, Pippo Battaglia; Walter Ferrari, Origine e fine dell'Universo, UTET libreria, 2002. Stephen Hawking, Buchi neri e universi neonati, Rizzoli BUR supersaggi, 1997. (EN) Helge Kragh, Cosmology and Controversy, Princeton University Press, 1996. Gerald L. Schroeder, Genesi e Big Bang, Tropea Editore, 1991.