Gli dèi della Grecia/Gli Erotes
Gli Erotes (Ἒρωτες), adattati in lingua italiana anche come Eroti, Amori o Amorini, sono un insieme di figure collettivamente associate all'amore divino e alla sessualità, presenti all'interno della poesia e della letteratura[13] e dell'arte classica ed ellenistica[14] fondate sulla mitologia e sulla religione greca. Erotes è il plurale di Eros (Ἔρως), questo il dio e la potenza divina del desiderio sessuale[15][16], e dell'amore divino a cui appartiene una ricca letteratura mitologica e teologica.
Con il termine erotes si indicano anche quei devoti alla divinità di Eros nei suoi centri di culto a Filadelfia e a Pario nella Misia[17].
Nella filosofia neoplatonica di Plotino[18] gli Erotes sono quei due aspetti, o dèmoni, individuali, delle anime degli uomini che corrispondono rispettivamente da una parte a quell'Afrodite intesa come "Anima universale", purissima ed esclusivamente rivolta al Nous (νοῦς) nella cui contemplazione genera l'Eros divino, e dall'altra a quella Afrodite intesa come "Anima del mondo" che invece genera un altro Eros che presiede alle unioni umane.
Gli Erotes, spesso raffigurati nella forma di fanciulli alati, divengono motivo costante dell'arte ellenistica, ma possono anche apparire spesso nell'arte romana in forma di Erotes, Cupido o di Amorini[19] laddove tuttavia:
Nella successiva tradizione classica dell'arte occidentale (soprattutto nel barocco e nel rococò), gli Erotesdivengono sempre più onnipresenti come motivo decorativo e indistinguibili dalle figure conosciute col nome di putti o amorini[20].
Ambito mitologico e letterario
modifica- La prima apparizione di Eros (Ἔρως) è nelle opere attribuite ad Omero. In tale contesto Eros non viene personificato, quanto piuttosto come principio divino corrisponde all'irrefrenabile desiderio fisico come quello vissuto da Paride nei confronti di Elena (Iliade III, 441-2) o ancora lo stesso desiderio provato da Zeus nei confronti di Era (Iliade XIV, 293-5) o, infine, ciò che rende tremanti le membra dei proci di fronte a Penelope (Odissea XVIII, 212-3).
- Nei lirici greci del VII/VI a.C. tale principio divino si spiritualizza ma presenta comunque delle caratteristiche crudeli e ingestibili. Manifestandosi improvvisamente, Eros agita in modo cupo le sue vittime:
- Nell'opera teogonica di Esiodo sono due i passaggi che riguardano Eros qui attestato per la prima volta come quel dio primordiale in grado di domare con la passione sia gli dèi che gli uomini:
- In un secondo passaggio Esiodo evidenzia Eros come quel dio che, insieme ad Himeros (Ἵμερος,[23]), accompagna Afrodite appena nata[24]:
Nota lo scoliaste che mentre Eros nasce dalla vista, Himeros nasce dal sentimento di brama (epythimeìn) dopo aver visto.
- In un frammento di una tragedia perduta di Euripide, da lui scritta prima del 422 a.C., Stheneboia (Σθενέβοια) si sostiene che esistano due Eros[25] Così come nella sua Ifigenia in Aulide (406 a.C.) compaiono due ambiti del dio Eros:
Uno degli Amori provoca la sophia, mentre l'altro distrugge l'anima dell'uomo[26].
- Accanto alle divinità di Eros e Himeros, si pone il dio Anteros (Ἀντέρως, lett. "contro amore" inteso come amore ricambiato[27]) come divinità che si oppone o completa la potenza di Eros, intendendo sia l'amore ricambiato sia l'amore di chi è amato confrontato a quello di chi ama. In quest'ultimo senso era anche la divinità propria dell'amore pederastico proprio dei ginnasi[28]. Pausania ci narra di un altare di Eros e di un controaltare di Anteros collocati nel ginnasio di Elide[29] e nell'Accademia di Atene in qualità di divinità vendicatrice dell'amore respinto:
In Cicerone in De natura deorum (III, 23), Anteros è figlio di Afrodite e di Ares, quindi fratello di Eros. Sempre Cicerone rende conto dei complessi mitologemi afferenti a queste figure:
- Una ulteriore figura accanto a Himeros viene a delinearsi con l'opera di Platone il quale, nel Cratilo[30] gli affianca Pothos (Πόθος, "nostalgia") già presente nella precedente letteratura ma che tuttavia nell'opera del filosofo ateniese viene ulteriormente a configurarsi come quel desiderio struggente per qualcuno o qualcosa che non può essere conquistato o comunque è lontano, a differenza di Himeros che si brama in quanto presente.
Così Meleagro:
Plinio in Historia Naturalis[31] ci narra di una sua statua scolpita da Skopas (IV, sec. a.C.) e di un suo culto in Samotracia come sanctissimis caerimoniis[32]. Pausania[33] ci dice di una sua statua, sempre di Skopas, nel santuario di Afrodite a Megara.
Nonno di Panopoli[34], riprendendo Alcmane[35] ci dice che Pothos è figlio della dea Iris (Ἶρις), questa anghelos (messaggera) degli dèi e potenza dell'arcobaleno.
- Figura emergente in questo ambito è anche Peithó (Πειθώ, Persuasione) che, se nella teogonia esiodea[36] è una figlia di Oceano, risulta anche essere un appellativo di Afrodite in qualità di titolo cultuale[37], o anche una dea del matrimonio[38], ponendosi spesso, nella letteratura e nelle arti, al seguito di Afrodite.
Pindaro, nel frammento 122[39] ricorda così il Senofonte della XIII olimpiade che dona cento etère al tempio di Afrodite di Corinto:
- Imene (Ὑμέναιος) è un'ulteriore figura di questo ambito. Il suo nome deriva probabilmente dal canto proprio dell'epitalamio (ἐπιϑαλάμιος [λόγος]): Ὑμήν, Ὑμήναι ὢ ο ὢ Ὑμήν, Ὑμήναιε[40]. Da qui la nascita di racconti che lo volevano figlio di Dioniso e di Afrodite o ancora di Apollo (o Magnete) e una Musa. In arte viene rappresentato biondo, vestito di color zafferano e con la testa coronata di fiori mentre impugna una fiaccola per il corteo nuziale serale. La sua divinità riguarda quindi il matrimonio. Lo si immaginava morto (o rapito) il giorno prima delle sue nozze o ancora che avrebbe cantato melodiosamente al matrimonio di Dioniso e Altea (o Arianna) e subito dopo perito (nella tradizione orfica viene resuscitato da Asclepio). Gli Ateniesi lo vollero fanciullo povero che ambiva sposare una ragazza benestante e non potendo ottenere la sua mano, la seguiva ovunque fino a seguirla nel suo viaggio ad Eleusi insieme ad altre compagne. Catturate dai briganti che scambiarono Imene per una ragazza, questi li uccise nel sonno, salvando l'amata e le altre fanciulle, e ottenendo la sua mano al rientro ad Atene.
- Una ulteriore figura che non compare in letteratura ma solo su una pyxis del V secolo a.C., oggi conservata al British Museum di Londra[41], è Hedylogos (Ἡδυλογος, "dolce discorso").
- Le storie che riguardano gli Erotes sono piene anche di scherzi, dispetti e burle maliziose, un tema popolare nella cultura ellenistica, in particolare nel II secolo a.C.[42], ma anche oggetto di lamentazioni:
- Gli Erotes furono invocati in antichità anche in diversi incantesimi al fine di indurre all'amore o al suo contrario[43].
Ambito teologico e filosofico
modifica- Il tema di Eros/Amore è citato in Parmenide (V sec. a.C.)[44] ma in Empedocle (V sec. a.C.) acquisisce un ampio impianto teologico quando il filosofo siceliota pone accanto alle quattro "radici" (ριζώματα), poste a fondamento del cosmo, e motore del loro divenire nei molteplici oggetti della realtà, due ulteriori principi: Φιλότης (Amore) e Νεῖκος (Odio, anche Discordia o Contesa); avente il primo la caratteristica di "legare", "congiungere", "avvincere" (σχεδύνην δὲ Φιλότητα «Amore che avvince»[45]), mentre il secondo possiede la qualità di "separare", "dividere" mediante la "contesa". Così Amore nel suo stato di completezza è lo Sfero (Σφαῖρος), immobile (μονίη) uguale a sé stesso e infinito (ἀλλ' ὅ γε πάντοθεν ἶσος 〈ἑοῖ〉 καὶ πάμπαν ἀπείρων[46]). Egli è Dio. Significativo è il fatto che Empedocle appelli Amore con il nome di Afrodite (Ἀφροδίτη)[47], o con il suo appellativo di Kýpris (Κύπρις)[48], indicando qui la «natura divina che tutto unisce e genera la vita»[49]. Tale accostamento tra Amore e Afrodite ispirò al poeta romano Lucrezio l'inno a Venere, collocato nel proemio del De rerum natura. In questa opera Venere non è la dea dell'amplesso, quanto piuttosto «l'onnipotente forza creatrice che pervade la natura e vi anima tutto l'essere», venendo poi, come nel caso di Empedocle, opposta a Marte, dio del conflitto.
- Con Platone (V-IV sec. a.C.) si compie il fondamentale passo filosofico e teologico inerente a Eros. Nel Fedro[50] l'anima (ψυχή, psyché) umana decade dal mondo perfetto e intelligibile nel corpo fisico, durante il suo esilio prova un'irresistibile nostalgia per la condizione perduta. Nel Simposio[51] Eros è un demone figlio di Indigenza (Πενία Penia, la madre) e Espediente (Πόρος, Poros, il padre). Povero come la madre, Eros aspira alla ricchezza del padre: Eros è quindi anche una tendenza, una mania (μανία), uno stato emotivo provocato dalla bellezza terrestre che stimola il ricordo di quella perfetta e intelligibile, celeste, da cui l'anima è caduta[52]. Non è tuttavia la "bellezza" l'oggetto del desiderio dell'anima ma la sua fecondità[53]. A questo punto il filosofo ateniese individua due tipi di Eros: l'amore sensuale (πάνδημος ἔρως, pandemos eros) attratto dalla bellezza dei corpi provocante la fecondità fisica, e l'amore celeste (ουράνιος ἔρως, oruanios eros) attratto dall'amore spirituale e provocante al fecondità spirituale[54]: «E malvagio è quell'amante che è volgare e ama il corpo più dell'anima»[55]. Il vero amante si eleva quindi per sei gradi di attrazione che lo conducono dall'attrazione fisica alla realizzazione spirituale[56]: amore per un corpo bello; amore per la bellezza fisica in sé; amore per la bellezza delle attività, delle condotte; amore per la bellezza del sapere; amore per la Bellezza in sé: «È questo il momento della vita, o caro Socrate -disse la straniera di Mantinea-, che più di ogni altro è degno di essere vissuto da un uomo, ossia il momento in cui un uomo contempla il Bello in sé. E se mai ti sarà possibile vederlo, ti sembrerà ben superiore all'oro, alle vesti, e anche ai bei ragazzi e ai bei fanciulli [...] Che cosa, dunque, noi dovremmo pensare -disse- se ad uno capitasse di vedere il Bello in sé assoluto, puro, non affatto contaminato da carni umane e da colori e da altre piccolezze mortali, ma potesse contemplare come forma unica lo stesso Bello divino?».
- Il filosofo ed esegeta di Platone, Plotino (III sec. d.C.), continuatore coerente dell'opera del filosofo ateniese, riprende, nelle Enneadi, le conclusioni dello stesso inserendo tuttavia tra le tre entità/persone da lui indicate con il termine di hypostasis (ὑπόστᾰσις): Hen (ἕν, l'Uno), il Nous (νοῦς, l'Intelletto) e la Psyche (ψυχὴ, Anima) una relazione di "processione" (πρόοδος). Dal che l'unica "realtà" consiste in queste tre hypostasis che procedono una dall'altra: dall'Uno (il Bene, il primo, inconoscibile e ineffabile mistero dell'unità, intuibile solo per mezzo dell'esperienza religiosa) procede l'Intelletto (altro dall'Uno, è la prima molteplicità che "pensa", il mondo eterno delle Idee, è il logos dell'Uno che contempla l'Uno e da questa contemplazione deriva la sua generazione delle Idee), dall'Intelletto procede l'Anima universale (Afrodite celeste) che intermedia fra l'essere costituito dalle tre hypostasis e il mondo sensibile. Se l'Uno rende conto dell'unità del reale, e l'Intelletto della sua intelligibilità, l'Anima universale rende conto della vita e del movimento contemplando l'Intelletto con la sua parte superiore, mentre rende conto delle forme sensibili con la sua parte inferiore (Afrodite terrestre). Al di fuori di queste tre ipostasi eterne tutto il resto, quindi il mondo sensibile, è privo di realtà, è pura apparenza, inganno e non-Essere. Dall'Anima universale (Afrodite celeste) procedono l'Anima del mondo (Afrodite terrena) e le anime individuali dei viventi. Ma se l'Anima del mondo essendo vincolata al corpo dell'universo con un legame non dissolubile risulta eterna nelle sue caratteristiche sensibili, le anime individuali sono in qualche modo destinate a "ribellarsi" alle leggi dell'universo, oppure ad armonizzarsi alle stesse. Nel primo caso sono destinate alla corruzione, trasmigrando di esistenza in esistenza, cambiando corpi fisici ma potendo, se lo vogliono, riconquistare la condizione dell'unità perduta. Nella teologia plotiniana ciò che è relativo ai sensi non solo riguarda quell'ambito, ma rimanda sempre alla realtà intellegibile da cui procede. Quindi ciò che è "bello" per i sensi rimanda sempre all'"Idea" del Bello assoluto di cui l'arte ne è una rivelazione. Quindi l'artista non produce da sé, ma rivela l'Essere di cui intuisce la portata. Chi contempla l'opera d'arte esce da sé per vivere l'esperienza dell'opera solo apparentemente, in realtà è l'opera stessa con la sua bellezza che lo mette in contatto con la sua vera natura, con l'anima che è in lui. Allo stesso modo nella vita affettiva il bello corporeo può avere la funzione di rivelare ciò che è vero in noi stessi. Ne consegue che se l'uomo ricerca i beni o le bellezze sensibili lo fa innanzitutto perché questi lo richiamano all'Uno, al Bene, alla sua vera natura di cui sono immagine. Così Eros è sia una divinità che aiuta l'uomo a ricongiungersi al Bene, sia un diverso essere, un demone, che lo spinge a mischiare l'anima con la materia. Essendo molteplici gli Eros delle anime, Plotino li intende come Erotes.
- Il filosofo tardo platonico Proclo (V sec. d.C.) è, tra l'altro, autore di un inno ad Afrodite che riassume poeticamente la teologia platonica sul tema:
Gli Erotes nell'arte
modificaGli Erotes compaiono nell'arte greca, segnatamente nella pittura vascolare, a partire dal 520 a.C. Inizialmente come compagni della dea Afrodite, successivamente da soli. La prima attestazione di Afrodite che tiene in braccio Eros e Himeros risale invece al 570 a.C., a una pinax attica a figure nere oggi conservata al Museo archeologico nazionale di Atene (cfr. [1]).
Note
modifica- ↑ Metamorphoseon anche conosciuta come L'asino d'oro (Asinus aureus)
- ↑ OCD2 p. 835.
- ↑ George M. A. Hanfmann. Oxford Classica Dictionary. Oxford Univeristy Press, 1970. In italiano Dizionario delle antichità classiche Cinisello Balsamo, Paoline, 1995, pag.849.
- ↑ Cfr. Salvatore Rizzo, in Pausania, I, p.460 nota 9.
- ↑ I, 18,6.
- ↑ Elleniche V,4,58.
- ↑ V, 265; XX, 232.
- ↑ Cfr. 208.
- ↑ Cfr. Virgilio, Eneide, V, 225
- ↑ Ovidio, Metamorfosi, X, 155 e sgg.
- ↑ Cfr. OCD2 p.1004 e OCD4 p. 603
- ↑ Tito Livio Ab Urbe condita (I, 9, 11) e Plutarco ( Quaestiones Romanae, XXXI)
- ↑ Cfr. ad es. Ateneo XIII, 562; Anthologia Palatina; Apollonio Rodio III, 452, 687, 765, 937.
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- ↑ Il corrispondente dio romano è indicato come Amor o Cupìdo
- ↑ Dizionario di antichità classiche (Oxford Classical Dictionary OCD2), p. 850
- ↑ Enneadi, III, 5.
- ↑ Nel capitolo Beyond death John Ferguson, The Religions of the Roman Empire (Cornell University Press, 1970), p. 145 spiega
- ↑ Leonard Barkan, Unearthing the Past: Archaeology and Aesthetics in the Making of Renaissance Culture (Yale University Press, 1999), p. 138.
- ↑ Nota Cesare Cassanmagnago, allievo di Giovanni Reale, (Op.cit. pag.927 n.23) come sia del tutto inopportuno rendere Χάος (Chaos) con il termine italiano di "caos" indicando questo uno stato di confusione che nulla ha a che fare con la nozione greca. Lo scoliaste lo indica come kenòn, lo spazio vuoto tra cielo e terra dopo che una possibile unità originaria fu spezzata. D'altronde lo stesso Esiodo lo indica come eghèneto non il principio quindi, ma ciò che da questo per prima appare.
- ↑ George M. A. Hanfmann, nell'Oxford Classica Dictionary (Oxford Univeristy Press, 1970, in italiano Dizionario delle antichità classiche Cinisello Balsamo, Paoline, 1995, pag.849) nota il collegamento tra questo passo esiodeo e il precedente omerico.
- ↑ "Desiderio ardente"
- ↑ Nota George M. A. Hanfmann, nell'Oxford Classica Dictionary (Oxford Univeristy Press, 1970, in italiano Dizionario delle antichità classiche Cinisello Balsamo, Paoline, 1995, pag.849) come molti studiosi ritengano che in realtà Eros non si limiti ad accompagnare Afrodite, ma può accompagnare qualsivoglia altra divinità quando ciò concerne episodi di amore.
- ↑ T. G. Rosenmeyer, Eros-erotes Phoenix 5 (1951): 12.
- ↑ T. G. Rosenmeyer, Eros-erotes Phoenix 5 (1951): 12-13.
- ↑ In tale senso Platone, Fedro 255d
- ↑ Ferrari I, 386.
- ↑ Pausania, VI, 23, 3 e 5
- ↑ 420
- ↑ XXXVI, 25
- ↑ «Scopae laus cum is certat. Is fecit Venerem et Pothon, qui Samothrace sanctissimis caerimoniis coluntur»
- ↑ I, 43, 6
- ↑ Le dionisiache XLVII, 340
- ↑ Alcm. frag. 58 Page,
- ↑ Teogonia, 349
- ↑ Farnell, Cults II, 664
- ↑ Plutarco, Q.R. 2
- ↑ Conservato al XIII 573e-574b in Ateneo.
- ↑ Cfr. Aristofane, La pace, 1334 e sgg.; riferimenti anche in Euripide Le troiane, 310-325; e in Pindaro Framm. 128c 7-8; Catullo LXI 4 e LXII 5: a Roma gli corrispondeva il dio Talassio.
- ↑ Cfr. qui
- ↑ Strong, p. 265
- ↑ Collins, pp. 100, 167.
- ↑ Fr. 13
- ↑ D-K 31 B 19
- ↑ D-K 31 B 28
- ↑ D-K 31 B 17, B 22, B 66, B 71
- ↑ D-K 31 B73, B 75, B 95, B 98.
- ↑ Werner Jaeger, La teologia... p. 215.
- ↑ Cfr. 245-249
- ↑ 203 C-D
- ↑ Fedro 250 A.
- ↑ Simposio 206 B.
- ↑ Simposio 180 D
- ↑ Simposio 183 D-E
- ↑ Simposio 210-211
- ↑ L'anima incarnata nella materia ricorda la bellezza divina quando incontra la bellezza terrena da cui è attratta per la sua ultima natura celeste: in tal senso vanno intesi i "dardi intellettivi". Quindi allo stesso modo di Afrodite celeste (l'Anima universale) che si volge al Nous, le anime colpite dai "dardi intellettivi" si sollevano a contemplare il Bene.
- ↑ L'amore intellettivo dell'anima individuale corrisponde all'amore dell'Anima universale (Afrodite celeste); ma quando l'amore dell'anima individuale è stimolato dall'Anima del mondo (Afrodite terrena) esso si rivolge ai piaceri sensibili che tuttavia procurano il succedersi delle generazioni, in tal senso va inteso il richiamo ai "salutari consigli del padre".
- ↑ Cfr. il sistema dei pianeti in Cicerone Somnium Scipionis, IV.