Gesù, Galilea e Sion/Capitolo 2

Indice del libro

Gesù e l'ecologia della Galilea

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« Tre regioni sono riconosciute per quanto riguarda la legge di rimozione ... La Galilea è divisa in Alta Galilea, Bassa Galilea e la Valle. Da Kfar Hananiah e verso nord, tutti i luoghi dove il sicomoro non cresce sono considerati come l'Alta Galilea. E da Kfar Hananiah e verso sud, tutti i luoghi dove crescono i sicomori sono considerati come la Bassa Galilea. E la regione di Tiberiade è considerata la Valle. »
(M.Shevi’it 9.2)

Questa breve descrizione delle sottoregioni galilee è stralciata dal Trattato Shevi’ith (=Offerte del settimo anno) della Mishnah, il libro di leggi ebraiche compilato nel II secolo E.V. Il trattato esamina i vari obblighi legati al settimo anno, quando secondo la legge biblica la terra doveva essere lasciata incolta. L'asserzione qui citata si verifica in una discussione su quando esattamente la raccolta deve cessare in modo che gli agricoltori non siano visti in violazione delle norme del settimo anno. Poiché il tempo del raccolto differiva da una regione all'altra in base alle condizioni climatiche locali, era importante definire con precisione tali regioni. Questa vignetta illustra bene quanto gli atteggiamenti religiosi ebraici fossero strettamente legati alle variazioni delle stagioni e alle condizioni naturali del terreno. Nessuno degli scrittori evangelici menziona queste variazioni regionali per quanto riguarda il ministero pubblico di Gesù, tuttavia sembrerebbe che abbiano familiarità anche con il paesaggio mutevole della Galilea, come vedremo. D'altra parte, Flavio Giuseppe, l'altra nostra principale fonte letteraria per la Galilea in epoca romana, segnala le differenze regionali, anche se il suo principale interesse è per la regione nel suo insieme, il cui governo egli aveva assunto nel 66 E.V. a nome del consiglio rivoluzionario ebraico.

Alla luce della discussione nel Capitolo precedente riguardo alle tendenze attuali nella ricerca storica su Gesù, è alquanto sorprendente che sia stato scritto molto poco sui suoi atteggiamenti nei confronti dell'ambiente naturale. Come è stato notato in precedenza, una preoccupazione per l'aspetto sociale del ministero di Gesù ha sostituito l'interesse religioso dominante di una generazione precedente. Un tale clima, ci si poteva aspettare, avrebbe dovuto significare che le questioni ecologiche nel ministero di Gesù sarebbero state al centro dell'attenzione degli studiosi. Ironia della sorte, tuttavia, il cambiamento di prospettiva, sebbene alimentato da preoccupazioni per la giustizia per gli emarginati, non ha incluso l'eco-giustizia nel suo ambito, nonostante il fatto che prove evidenti di situazioni da terzo mondo indichino un legame diretto tra la spoliazione dell'ambiente naturale da parte degli interessi commerciali occidentali e l'erosione del modo di vivere tradizionale dei popoli sfruttati. L'ovvia spiegazione di queste omissioni nel passato è che gli studiosi biblici si occupavano principalmente del messaggio divino-umano dei libri biblici. La storia della salvezza era il fulcro dominante di varie teologie sia dell'Antico che del Nuovo Testamento, prodotte da studiosi cristiani, e il mondo naturale non rivestiva particolare interesse o importanza all'interno dei paradigmi teologici europei dominanti del ventesimo secolo.[1] La creazione era subordinata alla redenzione e ciò che distingueva Israele dai suoi vicini, si sosteneva, era il rifiuto delle divinità naturali dei popoli circostanti a favore di un Dio che era Signore della Storia.[2] L'archeologia di Israele non aveva ancora raggiunto lo status di indipendenza che ha oggi quando i suoi interlocutori principali non sono solo scienziati sociali, ma anche botanici, geologi, chimici e altri scienziati dei materiali. L'archeologia biblica in Palestina era precedentemente condotta come servizio agli studi biblici, spesso di natura teologica conservatrice, mentre l’Archeologia del Vicino Oriente, descrizione preferita di questo ramo della disciplina oggi, impiega ogni tipo di analisi scientifica dei reperti materiali dei siti per comprendere gli aspetti dell'impegno degli esseri umani con il mondo naturale e tra di loro.[3]

Più di recente, i vari modelli socio-scientifici impiegati dagli studiosi biblici per comprendere il mondo di Gesù si sono in gran parte concentrati su fattori economici e sociali, non tenendo conto della connettività umana con eco- e bio-sfera. L'interesse per Gesù come rivoluzionario sociale ha portato a un quadro incompleto in quanto ignora aspetti del suo rispetto anche per l'ambiente naturale. Se il recupero del suo programma di inclusione degli emarginati ha sempre più incluso anche la discussione sul ruolo della donna,[4] esso si basa ancora su modelli che non tengono sufficientemente conto della sfida che l'analisi di genere pone alla stereotipizzazione della donna e della natura, e quindi non esplora le possibili implicazioni ecologiche della sfida di Gesù ai suoi contemporanei anche a questo riguardo.[5] Ciò richiede un'esplorazione della misura in cui Gesù è debitore di quegli aspetti della sua tradizione ereditata che includono una comprensione della terra come creazione di Dio, e le implicazioni a suo avviso di tale prospettiva per l'interazione umana. Rispondendo a una domanda di un giovane ricco, si dice che Gesù abbia combinato la comprensione distintiva del Dio di Israele, basata sullo Shemà (Deuteronomio 6:4), con l'idea esposta dalla Genesi di un Dio buono: "Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo" (Marco 10:18). Questa consapevolezza della bontà di Dio espressa nella creazione (Genesi 1) lo ha reso più sensibile anche al mondo naturale e, in tal caso, in che modo questa consapevolezza ha influenzato la sua comprensione del modo in cui gli esseri umani dovrebbero comportarsi gli uni verso gli altri e verso i doni della terra? Al giovane ricco viene consigliato di liberarsi dei suoi averi e di seguire lo stile di vita itinerante di Gesù. Ci sono implicazioni ecologiche oltre che sociali in questo consiglio?

Nel discutere l'atteggiamento di Gesù verso la terra nel contesto dell'ambiente galileo, è importante tenere presente l'idea di luogo, non come un contenitore chiuso in cui la vita umana è determinata dall'ambiente fisico, ma come spazio negoziato, come accennato nel Capitolo precedente. Ciò è particolarmente importante nel caso di discussioni ecologiche in cui la tentazione di una comprensione romantica della natura e della sua influenza può portare a visioni molto distorte e deterministiche della natura umana. Un classico esempio di questo atteggiamento nei confronti di Gesù e della Galilea è quello di Renan, che, abbiamo visto, equiparava in maniera allarmante paesaggio e caratteristiche umane. Descrivendo l'influenza della Bassa Galilea sulle opinioni di Gesù, scrive nello stesso tono:

« Tale era l'orizzonte di Gesù. Questo cerchio incantato, culla del regno di Dio, fu per anni il suo mondo. Anche in tarda età se ne andò poco oltre i limiti familiari della sua infanzia. Perché laggiù, verso settentrione, si intravede, quasi sul fianco dell'Ermon... E qui verso sud l'aspetto più cupo di quelle colline samaritane prefigura la desolazione della Giudea al di là, riarsa come da un vento torrido di desolazione e morte. »
(Renan, Vie de Jesus, 39)

Non meno fantasiosa è la descrizione del geografo George Adam Smith. Commentando l'abbondante approvvigionamento idrico della regione galilea, scrive:

« The difference in this respect (supply of water) between Galilee and Judea is just the difference between their names — the one liquid and musical like running waters, the other dry and dull like the fall of your horse's hoof on her blistered and muffled rock. »
(George Adam Smith, The Historical Geography of the Holy Land, 273)

Nessuno dei due punti di vista ha alcun posto in una discussione su Gesù e l'ambiente galileo, specialmente quando sono espressi in termini così antisemiti. L'attenzione qui è sull'interazione bidirezionale tra l'ambiente naturale e la coltivazione umana nella Galilea del I secolo, e l'impatto che ciò potrebbe aver avuto sulle reazioni di Gesù a ciò che sperimentò in quell'ambiente e sulla sua conseguente comprensione della chiamata di Dio. Per valutare adeguatamente la sua risposta, tuttavia, è necessario prima valutare il modo in cui le tradizioni ereditate di Israele consideravano i doni della terra.

Fattori ecologici e cultura umana

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I resoconti della creazione di Genesi danno il tono alle visioni israelite sulla terra e sui rapporti umani con essa, anche se si trovano altrove, specialmente in contesti poetici, tracce di diverse idee mitologiche di Yahweh che trattiene le acque dell'abisso e vince i mostri che continuano per minacciare la vita terrena.[6] I capitoli iniziali di Genesi, tuttavia, forniscono una visione più ideale, anche se statica, della creazione: Genesi 1:1-2,4 tratta dell'ordinamento divino dei cieli e della terra nei sei giorni della creazione, e Genesi 2:5-24 descrive lo stato della prima coppia prima e dopo la cacciata dal giardino dell'Eden. Il racconto della creazione del genere umano (adam) nella prima versione della Genesi sembrerebbe attribuire all'uomo un ruolo dominante sulla vita animale e vegetale, indipendentemente dal significato preciso dei verbi ebraici tradotti come "avere dominio" e "sottomettere" (Genesi 1:26,28), poiché si dice che solo l'umanità, sia maschio che femmina, sia fatta a immagine di Dio (Genesi 1:26,27). Questo è solitamente descritto come il resoconto sacerdotale, suggerendo che il resto del mondo creato è orientato all'uso umano, poiché gli esseri umani sono i rappresentanti di Dio sulla terra, sottolineando anche che tutta la natura è il risultato della parola creatrice di Dio, e quindi espressiva della bontà di Dio.

Al contrario, il secondo, o resoconto jahvistico, tocca solo brevemente i dettagli della creazione dell'universo, concentrando invece la sua attenzione sulle due diverse condizioni degli esseri umani: le benedizioni dell'Eden prima che disobbediscano al comando di Dio e la maledizione del duro lavoro e fatica di cui sono afflitti dopo essere stati cacciati dal giardino. Qui l'idea della lotta umana con l'ambiente trova espressione nelle difficoltà incontrate sia nel generare la vita che nel sostenerla. Man mano che si svolge la narrazione della storia primordiale, questa lotta porta alla violenza e allo spargimento di sangue, così che "la malvagità degli uomini era grande sulla terra" (Genesi 6:5). La narrazione del diluvio che segue potrebbe sembrare un segnale del ritorno del caos primordiale quando le acque dell'abisso inghiottono la terra, portando alla distruzione "di ogni essere vivente sulla faccia della terra" — tutti, cioè, tranne Noè e quelli con lui nell'arca (Genesi 7:23). Tuttavia, Yahweh si pente, promettendo di non minacciare mai più l'ordine che aveva originariamente stabilito: "Finché durerà la terra, seme e messe, freddo e caldo, estate e inverno, giorno e notte non cesseranno". Yahweh fa "un'alleanza eterna" non solo con i discendenti di Noè ma "con ogni essere vivente che è con voi... Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà più distrutto nessun vivente dalle acque del diluvio, né più il diluvio devasterà la terra" (Genesi 8:22-9:11). Così, quando il prossimo grande atto di hybris umana si verifica con l'erezione della Torre di Babele, Yahweh è fedele alla sua parola. Gli uomini sono dispersi sulla faccia della terra, in modo che non possano più capirsi, ma "l'alleanza eterna" con la terra è mantenuta. La chiamata di Abramo a mediare le benedizioni divine a tutte le "nazioni della terra" ora definisce anche il futuro dell'umanità e della terra. L'"alleanza eterna" è ancora intatta e le benedizioni di Dio perdureranno (Genesi 15:18,17:1-8).[7]

Quando i due racconti della creazione nei capitoli iniziali della Genesi vengono letti all'interno di questo contesto più ampio della storia primordiale nel suo insieme, il dominio umano sul mondo materiale che è apparentemente suggerito viene notevolmente ridotto. Il contesto più ampio mostra che i redattori del Pentateuco erano profondamente consapevoli della situazione fratturata e ambigua in cui si trovano gli esseri umani nel loro rapporto con il mondo naturale. In quanto "creature terrestri" sono parte integrante del mondo materiale, condividendo con animali, uccelli e pesci l'afflato della vita che permea l'intera creazione di Dio, eppure quel mondo in tutta la sua diversità animale e vegetale sembrava essere stato ordinato per il bene umano. L'invito ad Adamo a nominare gli animali nel secondo racconto sembra andare ancora oltre, segno della condiscendenza divina nella "gerarchia della creazione" che permette all'uomo di completare la parola creatrice di Dio. La disobbedienza ha trasformato ciò che era inteso come una benedizione in una maledizione, con conseguente alienazione tra loro e la terra e tra gli umani stessi, quando l'armonia e la beatitudine erano il loro destino previsto. Queste storie anticipano la storia di Israele, poiché questa si svilupperà nella successiva narrazione della sua precaria occupazione della terra. Così nei resoconti delle benedizioni tribali (Genesi 49; Deuteronomio 33), tratti animali possono essere liberamente impiegati per descrivere le varie caratteristiche delle tribù e le loro lotte per stabilirsi all'interno dei loro territori assegnati, senza alcun intento peggiorativo. Le diverse benedizioni che mare, montagna e pianura hanno da offrire alle varie tribù sono pienamente riconosciute, pur dimostrandosi anche molto ambigue, come poi risulta.

Mentre in precedenza gli studiosi ritenevano che le descrizioni delle caratteristiche tribali riflettessero le condizioni ottenute dal primo Israele con il passaggio dallo stile di vita nomade a quello stabile, studi più recenti indicano una data di composizione successiva. L'occupazione da parte di Israele della terra assegnata continuò a essere precaria nel corso dei secoli, poiché varie potenze imperiali – assiri, babilonesi, persiani, greci – avevano tutte controllato Israele in vari momenti della sua storia. Era in risposta alla continua minaccia rappresentata da questa storia che i racconti mitici della creazione dovevano funzionare, offrendo consolazione e rassicurazione a coloro la cui posizione sembrava essere altamente precaria, intrappolata tra i poli di stabilità e rovina, creazione e devastazione. Nell'individuare vari aspetti delle mitiche visioni del mondo delle nazioni conquistatrici assorbite nella creazione israelita e nei resoconti delle inondazioni, gli studiosi hanno implicitamente indicato il modo in cui Israele aveva cooptato le storie dei suoi conquistatori per rispondere alle crisi umane e nazionali che stava sperimentando attraverso il loro dominio. Una componente essenziale della rassicurazione offerta da queste storie era l'accettazione che era stato Yahweh, e non Tiamat, Marduk o Assur, a creare il mondo, e che la sua intenzione originaria, manifestata a Israele attraverso la liberazione dalla schiavitù in Egitto, era quella di mantenere la buona terra che aveva creato, nonostante la malvagità umana. La terra e le sue benedizioni erano la garanzia del continuo favore di Yahweh, la Sua alleanza eterna. Era doveroso che Israele rispettasse quella terra, e questo era sancito nei suoi codici di legge.

Ecologia della Terra Promessa

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In quanto patria delle tribù settentrionali, la Galilea fu la prima regione a soffrire per mano del sovrano assiro Tiglathpilesar III nel 731 A.E.V., ed era naturale che le benedizioni della terra e la consapevolezza delle sue caratteristiche naturali variegate e distintive fossero più intensamente sentite. Questa situazione può ben riflettersi nel libro del Deuteronomio, dove l'autore ritrae Yahweh come il Signore guerriero che è il legittimo proprietario dell'intera terra, avendo scacciato i precedenti proprietari (i Cananei e altri) per lasciarla in eredità a Israele in un patto divinamente sancito. La ricchezza e la fertilità della terra sono sottolineate per invogliare Israele a osservare le condizioni del trattato, la principale delle quali è il rifiuto di qualsiasi altro dio all'infuori del solo Yahweh.[8] Due aspetti del trattamento sono molto significativi per la nostra indagine sulle possibili dimensioni ecologiche dell'operato di Gesù. Sono i contrasti tracciati tra Israele ed Egitto da un lato, e quello tra le condizioni di vita nella terra promessa e quelle che si ottenevano nel deserto dall'altro. Sembra possibile rilevare dietro entrambi i contrasti echi delle storie della creazione e delle preoccupazioni teologiche sottostanti:

« 10 Perché il paese di cui stai per entrare in possesso non è come il paese d'Egitto da cui siete usciti e dove gettavi il tuo seme e poi lo irrigavi con il piede, come fosse un orto di erbaggi; 11 ma il paese che andate a prendere in possesso è un paese di monti e di valli, beve l'acqua della pioggia che viene dal cielo: 12 paese del quale il Signore tuo Dio ha cura e sul quale si posano sempre gli occhi del Signore tuo Dio dal principio dell'anno sino alla fine. »
(Deuteronomio 11:10-12)

Una volta che Israele sarà entrato nella terra (il libro consiste principalmente di tre discorsi pronunciati da Mosè, in un contesto desertico), la sua vita sarà benedetta perché avrà ereditato una terra benedetta per le sue risorse naturali. In particolare viene sottolineata l'importanza dell'acqua per la vita umana, e al riguardo è nettamente delineato il contrasto con l'Egitto. Là è necessario il lavoro umano per irrigare e coltivare un orto di verdure, ma in Israele la pioggia viene come un dono del cielo e la terra la beve, poiché Dio ha cura della terra e quella cura è la fonte della sua fecondità per Israele, "una terra dove scorre latte e miele" (Esodo 3:8; Deuteronomio 6:3;11:8).[9] In questa prospettiva la terra non è maledetta e non c'è alcun senso del lavoro e della fatica che saranno la sorte degli esseri umani secondo il racconto di Genesi della cacciata di Adamo ed Eva dal giardino di Eden (Genesi 3:1-17). Questa terra fertile è puro dono. Tuttavia, la presenza del deserto incombe sempre a portata di mano, se Israele dovesse disobbedire alle richieste dell'alleanza.

Il contrasto tra la vita e la morte, la benedizione e la maledizione, che viene posto davanti al popolo alla fine del libro (Deuteronomio 30:15-20), può essere ugualmente espresso nel contrasto tra la terra d'Israele e il deserto. In una descrizione straordinariamente lirica della terra, nord e sud, sia della sua fertilità naturale che della sua struttura geologica, il Deuteronomista ne traccia il contrasto come segue:

« 6 Osserva i comandi del Signore tuo Dio camminando nelle sue vie e temendolo; 7 perché il Signore tuo Dio sta per farti entrare in un paese fertile: paese di torrenti, di fonti e di acque sotterranee che scaturiscono nella pianura e sulla montagna; 8 paese di frumento, di orzo, di viti, di fichi e di melograni; paese di ulivi, di olio e di miele; 9 paese dove non mangerai con scarsità il pane, dove non ti mancherà nulla; paese dove le pietre sono ferro e dai cui monti scaverai il rame. 10 Mangerai dunque a sazietà e benedirai il Signore Dio tuo a causa del paese fertile che ti avrà dato. 11 Guardati bene dal dimenticare il Signore tuo Dio così da non osservare i suoi comandi, le sue norme e le sue leggi che oggi ti dò. 12 Quando avrai mangiato e ti sarai saziato, quando avrai costruito belle case e vi avrai abitato, 13 quando avrai visto il tuo bestiame grosso e minuto moltiplicarsi, accrescersi il tuo argento e il tuo oro e abbondare ogni tua cosa, 14 il tuo cuore non si inorgoglisca in modo da dimenticare il Signore tuo Dio che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione servile; 15 che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz'acqua; che ha fatto sgorgare per te l'acqua dalla roccia durissima; 16 che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri, per umiliarti e per provarti, per farti felice nel tuo avvenire. »
(Deuteronomio 8:6-16)

Tuttavia, la ricchezza della terra può essere una tentazione per Israele di dimenticare che Yahweh ne era il donatore. Tale dimenticanza farà cadere una maledizione, non solo sugli israeliti, ma sul paese stesso. Saranno stabilite condizioni di deserto e la terra cesserà di produrre i suoi frutti, non importa quanto si affaticheranno; non berranno né il vino né si ungeranno con l'olio, entrambi raccolti altamente pertinenti in una situazione galilea (Deuteronomio 28:38-40). In seguito, viene impiegata un'altra serie di immagini crude per sottolineare la devastazione permanente della terra: le generazioni successive soffriranno delle condizioni ecologiche che la peccaminosità di Israele avrà provocato: "tutto il suo suolo sarà zolfo, sale, arsura, non sarà seminato e non germoglierà, né erba di sorta vi crescerà, come dopo la distruzione di Sòdoma e Gomorra" (Deuteronomio 29:21-23).

Mentre la descrizione delle condizioni ecologiche di Deuteronomio suggerisce una colorazione nordica, derivante forse dalla devastazione assira, il Codice Sacerdotale in Levitico capitoli 17-26 risale al tempo dell'esilio, quando Giuda aveva subito un destino simile a nord per mano dei Babilonesi. Ancora una volta, tuttavia, è possibile rilevare un processo simile all'opera, vale a dire un quadro idealizzato delle condizioni del paese e del rapporto degli israeliti con esso, che compensa il senso di perdita che era stato sperimentato durante l'esilio e le mutevoli condizioni sociali che questo aveva prodotto. Al centro della legislazione c'è l'idea che Yahweh è il proprietario della terra e gli israeliti sono tenutari con i diritti in qualche modo limitati degli stranieri (gerim, Levitico 25:23). La base per la proprietà di Yahweh non è, come nel Deuteronomio, una conquista, ma piuttosto l'affermazione che la terra è terra-tempio che appartiene alla divinità, e quindi partecipa alla santità di Yahweh che è presente nel suo tempio e in tutto la sua terra. L'enfasi, quindi, non è sulla fertilità naturale della terra, ma sulla sua santità, e la proprietà di Yahweh deve essere affermata ogni cinquant'anni, quando, oltre al ciclo regolare di un settimo anno sabbatico, deve esserci uno speciale anno giubilare da osservare al termine di sette cicli sabbatici.[10]

È in questo contesto che vanno intese le norme per gli anni sabbatici e giubilari (Levitico 25:1-55), che riflettono un importante sviluppo rispetto alla legislazione precedente in materia di terra e dei suoi prodotti. Mentre il Codice Deuteronomico trattava anche dell'anno sabbatico (ma non del Giubileo), l'accento era posto sull'obbligo di prendersi cura dei poveri mediante la remissione dei debiti (Deuteronomio 15:1-11), non sul rapporto con la terra. Nel Levitico, invece, questo aspetto del ripristino dei giusti rapporti all'interno della comunità è associato al Giubileo, o cinquantesimo anno, dove si estende alla restituzione dei beni acquisiti dopo il precedente Giubileo ai proprietari originari e alla liberazione degli schiavi israeliti (Levitico 25:8-55).

La preoccupazione per la terra è sviluppata in modo abbastanza radicale nella legislazione per l'anno sabbatico in questo Codice (Levitico 25:1-7). La più antica legge di lasciare ogni sette anni un campo incolto, che aveva lo scopo di assistere i poveri e gli animali selvatici (Esodo 23:10-11), viene radicalmente trasformata in modo che i contadini israeliti non debbano svolgere alcuna attività agricola nel settimo anno. La ragione di ciò è che la terra stessa deve riposare essendo restituita al suo proprietario, Yahweh. La motivazione è religiosa piuttosto che umanitaria o ecologica, come nella legge dell'Esodo, dunque. Commentando questa legislazione, Norman Habel osserva acutamente:

« The link between Israel's obedience and a future in the land is a common theme elsewhere, but here the focus is on the land itself playing a role, yielding or not yielding its produce, depending on the relationships of the Israelites to their land-owner... The land is a living reality with rights to be respected. »
(Habel, The Land is Mine, 103)

Mentre la terra godrà del suo Sabbath grazie alla proibizione di coltivazione umana di qualsiasi tipo, ci si prenderà cura dei bisogni umani e animali. Alla domanda: "Che cosa mangeremo in questo settimo anno se non seminiamo e non raccogliamo il prodotto della terra?", Yahweh risponde che la sua benedizione assicurerà un'abbondanza nel sesto anno per coprire quel settimo anno o anno sabbatico nonché l'ottavo anno, fino all'arrivo del nuovo raccolto, "poiché la terra produrrà frutti, voi ne mangerete a sazietà e vi abiterete tranquilli" (Levitico 25:19). Tale piano utopico dipendeva totalmente dall'obbedienza di Israele a Yahweh come proprietario terriero, ma anche dalla convinzione che la terra stessa avrebbe eseguito i Suoi ordini perché condivideva la Sua santità. Come programma pratico, se messo in atto, avrebbe devastato un'economia contadina, data la situazione ecologica diversificata all'interno della terra, e alla luce dell'obbligo di pagare tributi in natura ai signori stranieri.

Profeti e ambiente naturale di Israele

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Mentre i codici di diritto deuteronomico e levitico danno due visioni diverse, sebbene altamente pertinenti del ruolo del mondo naturale nella vita e nel destino di Israele, anche i profeti sono profondamente consapevoli del ricco simbolismo del mondo naturale come espressione delle relazioni di Yahweh con Israele, quando descrivono sia l'infedeltà presente che la restaurazione futura. Sorprendentemente, Osea può vedere il deserto come un luogo di ristoro (Osea 1-3), ma più tipicamente sia lui che Amos vedono la futura restaurazione in termini di un rinnovamento della bellezza naturale della terra e della ricca abbondanza del raccolto (Osea 14:6-7; Amos 9:13-15). Geremia impiega queste stesse immagini anche per la restaurazione a venire (Geremia 24:6;31:27-28;32:41). Questo profeta ha sentimenti profondamente personali per l'inquinamento della terra e la sua sofferenza a causa dei peccati della gente: "Sono straziato. Le pareti del mio cuore! Il cuore mi batte forte; non riesco a tacere", dichiara, mentre racconta la sua visione della distruzione apocalittica della creazione: la terra è un vuoto informe, le luci dei cieli si sono spente, i monti tremano e gli uccelli del cielo sono svaniti, mentre Yahweh si prepara a eseguire il Suo giudizio (Geremia 4:19-31).

Anche Isaia si affida alle immagini del mondo della natura e del regno animale per descrivere sia la desolazione del giudizio che il rinnovamento a venire. La terra di Giuda è desolata come dopo la caduta di Sodoma; Sion è lasciata come una tettoia abbandonata in una vigna (Isaia 1:7-9), e la vigna stessa (Giuda) sarà devastata, così che spine e zizzanie cresceranno dove un tempo era usata la zappa per coltivare la vite (Isaia 5:1-5;7:23-25). Egli riserva il suo uso più vivido dell'immagine della devastazione naturale per la punizione delle nazioni nemiche: Babilonia sarà devastata in modo che nemmeno un nomade vi pianterà la sua tenda e gli sciacalli vagheranno per i suoi palazzi un tempo splendidi (Isaia 13:19-22); Edom è trasformata in un deserto (Isaia 34). Tuttavia, la restaurazione futura ha una qualità simile all'Eden, una restaurazione dell'armonia originaria sia nel mondo naturale che nelle relazioni degli umani con esso (Isaia 11:1-9).

Per entrambe le parti della Bibbia ebraica – la Legge e i Profeti – la vita umana e la vita degli animali e delle piante sono inestricabilmente legate insieme nel bene e nel male. L'alleanza eterna di Dio (berit olam) abbraccia sia la vita animale e vegetale (Genesi 8:22-23) sia quella umana (Genesi 17). È un dono gratuito di Dio, mentre la Sua alleanza con Israele è subordinata all'osservanza del modello che Yahweh aveva stabilito nella creazione e che si esprimeva nel riposo di Dio nel sabato (Esodo 31:13-17). In tutte le società preindustriali la vita umana dipende fortemente dalla fecondità della terra, dando alle persone un profondo senso di legame con l'ambiente naturale. Tuttavia, l'esperienza israelitica era ancora più profonda a causa della convinzione che la terra fosse solo di Yahweh, dal momento che l'aveva creata e aveva visto che era buona. Israele si trovava tra una terra benedetta e una terra rovinata, tra Eden e Sodoma, a seconda della sua volontà di riconoscere il suo totale debito verso Yahweh come espresso nelle clausole dell'alleanza. Mentre l'uso del mondo naturale da parte di Yahweh per punire e/o ricompensare Israele può sembrare capriccioso e persino svalutante della terra, la certezza della nuova creazione di cui parla Isaia in particolare (Isaia 65:17;66:22) e che trova la sua strada nel Nuovo Testamento attraverso Paolo (Romani 8:18-25), indica che nella prospettiva biblica la redenzione umana non può essere considerata che insieme alla redenzione della terra stessa. Tale era il caso perché la vita umana non poteva essere considerata separata dalla vita terrena. Entrambi condividevano la stessa sorte, perché entrambi erano indissolubilmente legati tra loro come espressioni della bontà creatrice di Dio.

Sapienza e Creazione

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  Per approfondire, vedi Libri sapenziali e apocalittici.

La tradizione israelita come ricevuta da Gesù aveva, oltre alla Legge e ai Profeti, un altro filone molto significativo, quello della Sapienza, che, come i miti della creazione mesopotamici, era anch'essa derivata dal più ampio ambiente internazionale. Qui la nozione di creazione come espressione della sapienza divina fornisce una visione più stabile del mondo naturale rispetto a quella presentata dal modello mitico del conflitto tra il bene e il male che interessa anche l'universo materiale. Mentre la tradizione sapienziale israelita porta tutti i tratti distintivi della sua provenienza internazionale, al suo livello superiore è stata completamente integrata nel quadro teologico di Israele, specialmente in termini di personificazione della Sapienza come compagna di Yahweh nella creazione (Proverbi 8:22-31), e attraverso la sua identificazione con la Torah di Mosè (Siracide 24:27). I legami tra Sapienza e Apocalittico sono anche ben stabiliti in Daniele e 1 Enoch, indicando la saggezza come celeste ed esoterica, invocando la rivelazione divina per svelarne i segreti.

Avremo occasione di discutere questi aspetti della tradizione sapienziale nei Capitoli successivi, ma qui è la saggezza popolare, esemplificata in particolare dal proverbio o detto gnomico, ad essere di particolare interesse. Il fatto che questo tipo di saggezza potesse essere incorporato nello schema della sapienza superiore con la sua prospettiva centrata sulla creazione, suggerisce che i ritmi del mondo creato fossero una fonte primaria della sua ispirazione. Come in tutte le società contadine, anche gli israeliti dovevano affidarsi alla loro capacità di osservazione per far fronte ai problemi quotidiani della casa e del campo, del cielo e della terra. La saggezza, affinata in affermazioni brevi e concise che racchiudevano molte esperienze ed esperimenti umani nell'affrontare i problemi quotidiani, offriva consigli pratici per vivere. Come afferma Gerhard von Rad, anche "osservazioni apparentemente ingenue hanno una preistoria intellettuale coinvolta".[11] Questo si basava sull'osservazione e la contemplazione di un gran numero di eventi simili, dando origine alla consapevolezza di certi modelli sia nella natura che nella vita umana. La conoscenza di questi era importante se si voleva affrontare con successo le difficoltà che si incontrano nel corso della vita quotidiana. Tuttavia, questi schemi non sono mai stati intesi come leggi in base alle quali si potesse scoprire il significato nascosto del mondo. La vita umana e la vita naturale spesso si replicavano l'una con l'altra, così che le somiglianze sono facilmente osservabili: "Nuvole e vento, ma senza pioggia, tale è l'uomo che si vanta di regali che non fa" (Pr 25:14). Poiché la vita è misteriosa e non ci sono leggi che la governano nel modo in cui i greci potevano parlare di una legge di natura, c'è una certa giocosità nella tradizione della saggezza popolare, una capacità di osservare le ironie della vita e imparare da esse. Così l'indovinello, che presentava qualche problema enigmatico, era una forma privilegiata, come illustra notoriamente la storia della visita della regina di Saba a Salomone (1 Re 10), menzionata da Gesù (Matteo 12:42; Luca 11:31). C'era un lato serio in questo stile, tuttavia, poiché era inteso a coinvolgere l'ascoltatore in una scoperta attiva della verità sottostante. A differenza della sapienza superiore degli scribi o della sapienza rivelata del veggente, la saggezza popolare non presupponeva un ambiente scolastico ma poteva essere perseguita a qualsiasi livello e in qualsiasi contesto, perché la materia prima delle lotte della vita era tutto ciò che occorreva.

Poiché la dottrina israelita della creazione non intendeva il mondo come un'entità a sé stante, ma come un'estensione dell'auto-rivelazione di Yahweh, la saggezza popolare poteva essere facilmente inserita in modalità di pensiero e di discorso più teologiche. Per una tale mentalità le intuizioni sul funzionamento del mondo raggiunte attraverso la saggezza popolare non sono altro che la rivelazione del sé divino che si trova dietro e al di là di quei modelli e rende il loro funzionamento sia possibile che intelligibile. La fede nel Dio creatore identifica la presenza di Dio negli aspetti apparentemente più insignificanti e banali della creazione. Poemi più lunghi possono portare questa caratteristica intuizione ebraica a un'espressione più profonda in modo sorprendente. In questi casi viene sottolineata la centralità della persona umana all'interno del creato come nel Siracide (16:24-18:14;42:13-43:33), mentre altre volte la varietà stessa del mondo naturale diventa oggetto della contemplazione dei poeti (Salmi 19;104; Giobbe 38:1-39:30). Tuttavia, dietro queste estese composizioni si nasconde un'immaginazione poetica che opera con l'unica intuizione che la tradizione proverbiale di Israele aveva catturato in un modo profondamente semplice.

Paolo di Tarso, con il suo contesto di due culture, ha espresso questa comprensione nel suo adattamento della tradizionale preghiera Shemà (Deuteronomio 6:4): tutto ciò che esiste è venuto da Dio unico ed esiste per Dio unico. A questa fondamentale formulazione ebraica si aggiunge, senza alcun senso di slealtà verso la sua pietà ancestrale, Cristo come Colui per mezzo del quale sono tutte le cose e per mezzo del quale esistono (1 Corinzi 8:6). La colorazione filosofica greca è evidente nell'uso delle preposizioni per esprimere la causalità, ma la possibilità di includere Gesù Cristo nella formula come causa strumentale della creazione è nata dalla teologia della creazione proveniente dalla tradizione sapienziale, che potrebbe indicare la Sapienza presente con il creatore nella fondazione del mondo (Proverbi 8:22-31). Ciò che il cosmopolitismo di Paolo poteva esprimere in questo modo per la sua congregazione di Corinto che rivendicava per sé la sapienza (cfr. 1 Corinzi 1:24), il discorso parabolico di Gesù poteva articolarsi più concretamente tramite la saggezza popolare del suo pubblico contadino galileo che viveva vicino alla natura e ne dipendeva per la propria sussistenza.

Gesù e le microecologie della Galilea

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La trattazione degli aspetti ecologici delle Scritture Ebraiche fornisce una ricca serie di immagini che riflettono la natura della terra, i suoi diversi paesaggi e la sua variegata vita floreale e faunistica. Nonostante le loro diverse prospettive, tutti i filoni della tradizione condividono una comprensione comune che il mondo naturale è un'espressione del potere creativo di Yahweh come "Signore del cielo e della terra". In effetti, quando si leggono le Scritture Ebraiche per constatare il loro apprezzamento del mondo naturale, è impossibile concordare con l'accusa che la fede monoteista di Israele espressa in questi scritti abbia contribuito alla desacralizzazione della natura.[12] Nonostante i mutamenti dei regimi politici nel corso dei secoli e i conseguenti sconvolgimenti sociali e culturali, resta pur sempre vero che gli atteggiamenti religiosi ereditati nei confronti del mondo naturale sono rimasti vivi e operanti e hanno continuato a plasmare il senso di Israele per il proprio destino. Il movimento rabbinico del II secolo E.V. produsse la Mishnah, che è stata descritta dallo studioso ebreo Jacob Neusner come opera di scribi basata sulla prospettiva dei sacerdoti, ma che riflette il mondo sociale dei capifamiglia contadini che vivono nella terra e sono responsabili del mantenimento di purezza come questa era definita nelle leggi bibliche, specialmente nel Codice di Santità del Levitico.[13] Questa enfasi diventa evidente nella quantità di attenzione che viene prestata alle questioni agricole nelle prime due divisioni della Mishnah, quelle dei Tempi Stabiliti e dell'Agricoltura. Indubbiamente, gli agricoltori ebrei, come altri nel Vicino Oriente, avevano familiarità con le conoscenze tecniche greche e romane in materia agricola – come indica chiaramente la documentazione archeologica – tuttavia i pensatori religiosi continuarono a sviluppare le idee che erano state suggerite dalle opinioni scritturali sugli obblighi in merito ai prodotti agricoli nel mantenere la santità della terra di Yahweh.[14]

Il movimento di Gesù potrebbe ugualmente essere descritto come originato all'interno di una matrice sociale simile, ma con preoccupazioni piuttosto diverse. Anch'essa era erede delle visioni scritturali della natura come creazione di Dio e operava all'interno del villaggio, distinta dalla cultura urbana della Galilea. Il fatto che non si occupasse della santità della terra come definita più tardi dai rabbini, non significa che né Gesù né i suoi primi seguaci avessero abbandonato loro il senso della presenza di Dio nel loro mondo quotidiano di piante, animali, ambiente naturale e processi di vita e di morte annunciati dal ciclo agricolo dell'anno. Poiché i vangeli sono i resoconti narrativi di aspetti della vita di Gesù mentre si confrontava con gli esseri umani, e sono, presumibilmente, scritti per una clientela in gran parte urbana verso la fine del I secolo, si potrebbe facilmente avere l'impressione che nel migliore dei casi il mondo naturale forniva uno sfondo, una fonte preconfezionata di immagini per il messaggio teocentrico e antropocentrico di Gesù, e che la natura in quanto tale aveva poca importanza per le sue preoccupazioni.

Tuttavia, questa sarebbe una lettura superficiale, dato il ricco lascito di Gesù che vede la vita umana nel contesto di tutta la vita, e il suo profondo senso di Dio come creatore del cielo e della terra e di tutto ciò che è in essi. L'importanza della fede di Gesù nel Dio creatore è qualcosa che incontreremo più dettagliatamente nei Capitoli successivi. Qui basta ricordare quegli aspetti della sua pietà che si esprimono nei pochi discorsi registrati di Gesù al suo Dio: "Abba/Padre" (Luca 11:2; Matteo 6:10) e "Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra" (Luca 10:21; Matteo 11:25). Il discorso a Dio come Padre, pur venendo criticato da una moderna prospettiva femminista, deve essere compreso nel contesto della situazione di Gesù, dove la nozione di parentela è centrale per la sua comprensione della propria comunità. Il ruolo del padre è quello di provvedere alle necessità della vita, rendendolo così un'immagine adeguata di Dio come creatore e sostenitore di tutta la vita. "Signore del cielo e della terra", allo stesso modo, ha chiare allusioni al ruolo creatore di Yahweh sullo sfondo della storia di Genesi in cui Dio che crea i cieli e la terra (Isaia 40:12;42:5;48:13).

Antichi osservatori della Palestina come Strabone e Plinio erano più consapevoli di eventuali caratteristiche insolite della flora e della fauna o del paesaggio: il primo menzionò che il prezioso albero di balsamo cresceva nella pianura di Genneserath (anche se potrebbe averlo confuso con il lago Huleh al nord), e il secondo notò le sorgenti calde di Tiberiade.[15] Tuttavia, è lo storico ebreo Flavio Giuseppe che fornisce la descrizione più dettagliata del rapporto tra paesaggio e persone in relazione alla Galilea dei tempi di Gesù. Dopo aver delineato i confini politici del I secolo, scrive quanto segue:

(IT)
« 41 Con questa zona limitata, e sebbene circondate da nazioni così potenti, le due Galilee hanno sempre resistito a qualsiasi invasione nemica, 42 poiché gli abitanti sono fin dall'infanzia abituati alla guerra, e sono stati sempre numerosi; mai agli uomini mancò il coraggio né ai contadini. Poiché la terra è ovunque così ricca di suolo e di pascoli e produce una tale varietà di alberi, che anche i più indolenti sono tentati da queste strutture a dedicarsi all'agricoltura. 43 Infatti è stato tutto coltivato dagli abitanti e non ne è rimasta una sola parte abbandonata. Anche le città sono abbondanti e per la ricchezza del suolo i villaggi ovunque sono così densamente popolati che anche il più piccolo di essi ha una popolazione di oltre quindicimila abitanti »

(EL)
« [41] Τηλικαῦται δ' οὖσαι τὸ μέγεθος καὶ τοσούτοις ἔθνεσιν ἀλλοφύλοις κεκυκλωμέναι πρὸς πᾶσαν ἀεὶ πολέμου πεῖραν ἀντέσχον: [42] μάχιμοί τε γὰρ ἐκ νηπίων καὶ πολλοὶ Γαλιλαῖοι πάντοτε, καὶ οὔτε δειλία ποτὲ τοὺς ἄνδρας οὔτε λιπανδρία τὴν χώραν κατέσχεν, ἐπειδὴ πίων τε πᾶσα καὶ εὔβοτος καὶ δένδρεσι παντοίοις κατάφυτος, ὡς ὑπὸ τῆς εὐπετείας προκαλέσασθαι καὶ τὸν ἥκιστα γῆς φιλόπονον. [43] Προσησκήθη γοῦν ὑπὸ τῶν οἰκητόρων πᾶσα, καὶ μέρος αὐτῆς ἀργὸν οὐδέν, ἀλλὰ καὶ πόλεις πυκναὶ καὶ τὸ τῶν κωμῶν πλῆθος πανταχοῦ πολυάνθρωπον διὰ τὴν εὐθηνίαν, ὡς τὴν ἐλαχίστην ὑπὲρ πεντακισχιλίους πρὸς τοῖς μυρίοις ἔχειν οἰκήτορας. »
(Flavio Giuseppe, Guerra Giudaica, 3.41-43)

Anche tenendo conto della ben nota propensione all'esagerazione di Flavio Giuseppe, il suo resoconto dei legami tra la fertilità della Galilea e la sua densa popolazione è un buon esempio dell'interazione tra luogo e persone evidenziata dalla moderna teoria sociale. La sua descrizione basilare della Galilea quando era a capo della prima rivolta nella regione nel 66/67 E.V. è confermata dai moderni studi geologici sulla formazione delle rocce e del suolo, nonché dalle indagini archeologiche del fitto modello di insediamento nelle campagne.[16] Nella regione più montuosa dell'Alta Galilea la fotografia aerea ha mostrato i contorni di estesi terrazzamenti nei pendii dove si coltivavano la vite e l'olivo, suggerendo un'alta densità di popolazione e una coltivazione intensiva. Questo aspetto della vita galilea si riflette in toponimi come Gush ha-lab (Gischala), "la valle dell'olivo", e Beth ha-kerem, "la casa della vite". Flavio Giuseppe descrive Gischala come "ricco di olio d'oliva" mentre racconta la storia del vergognoso sfruttamento da parte di Giovanni dei suoi correligionari a Cesarea vendendo loro l'olio prodotto nella regione al doppio del prezzo corrente (Guerra giud. 2.590-592).

Sfortunatamente, i vangeli non sono così specifici come Flavio Giuseppe per quanto riguarda la geografia galilea nel raccontare la storia di Gesù. Tuttavia, espressioni come "in tutta la Galilea", "il territorio circostante della Galilea" e "attraverso città e paesi" che sono impiegate per descrivere i movimenti di Gesù nella regione, riflettono tutte una visione generalmente accettata secondo cui il suo era un ministero itinerante, che fu replicato anche dall'invio dei discepoli nelle città e nei villaggi. Quando vengono menzionati alcuni luoghi reali come, ad esempio, Marco 7:31, gli evangelisti sono stati talvolta accusati di ignoranza o disinformazione sulla topografia galilea.[17] Nel formulare tali giudizi gli studiosi operano tenendo presenti le nostre attuali mappe della Galilea. Tuttavia, la recente attenzione ai modi contadini di vedere il mondo da una prospettiva locale che ha solo una conoscenza o un interesse limitato per le regioni che si trovano oltre la periferia del loro luogo immediato, getta una luce diversa sulla geografia evangelica.[18]

Il Mare/Lago di Gennesaret è senza dubbio il centro dell'azione galilea, anche se tutti i vangeli sembrano avere notizie molto più dettagliate della topografia giudaica e gerosolimitana. Nazareth è saldamente radicata nelle tradizioni come la patria (patris) di Gesù, anche se Cafarnao può essere descritta come la sua propria città (ten idian polin, Matteo 9:1; cfr. Marco 2:1). Mentre il Quarto vangelo mette in luce le visite di Gesù a Cana (2:1, 12, 4:43 s.), riconosce anche la tradizione su Capernaum (Giovanni 2:12). I primi riferimenti topografici al ministero pubblico di Gesù sono probabilmente i detti Q che condannano le città di Betsaida, Corazin e Capernaum a causa del loro rifiuto di pentirsi (Matteo 11:20-24; Luca 10:13-15). Altre storie come la guarigione dell'indemoniato di Gadarene (Marco 5:1-19); l'incontro con la donna siro-fenicia (Marco 7:24-29) e la discussione con i discepoli nella regione di Cesarea di Filippo sulla sua identità (Marco 8:27-30), suggeriscono tutti che i viaggi di Gesù lo portarono attraverso diverse sub-regioni della Galilea — verso la pianura costiera, l'alta Galilea e attraverso il lago fino alla regione del Golan, ciascuna ecologicamente, politicamente e culturalmente diversa.

Una visione plausibile di questa presentazione schematica in termini di Gesù storico, che sarà esplorata ulteriormente nel Capitolo successivo, consiste nel riconoscere qui i contorni di uno schema che cerca di rappresentare Gesù come se avesse coperto tutte le regioni della parte settentrionale della Terra d'Israele, ispirato dalle sue idee e speranze escatologiche della restaurazione ebraica. Con questa ipotesi di lavoro è interessante porsi la domanda su come Gesù avrebbe potuto reagire ai diversi ambienti naturali, in quanto distinti da quelli culturali, che avrebbe incontrato nei suoi viaggi. Queste diverse sottoregioni avevano dato origine a diverse modalità di interazione umana e opinioni sul mondo naturale. In che modo la sua esperienza e le sue riflessioni su queste variazioni regionali hanno colorato il suo senso effettivo del proprio ministero e della sua missione alla luce della tradizione ricevuta? Lo seguiremo in alcuni di questi movimenti cercando di discernere nei detti e nelle azioni registrate alcune delle sue risposte al mutevole ambiente naturale che avrebbe incontrato in tali viaggi.

Dal Deserto alla Bassa Galilea

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La prima fase del ministero pubblico di Gesù che gli storici possono tracciare in modo affidabile è quella di uno stretto legame con Giovanni il Battista e la sua chiamata al pentimento insieme a un ministero del battesimo oltre il Giordano. Il Quarto Vangelo è il più esplicito in quanto parla di Gesù impegnato anche in un ministero come quello di Giovanni (Giovanni 3:21). Il documento Q è un'importante testimonianza precedente dell'ammirazione dichiarata di Gesù per Giovanni e per il suo stile di vita: "tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista" (Matteo 11:11; Luca 7:28). Sia in Marco che in Q, Giovanni è rappresentato come una "figura del deserto" che vive di "locuste e miele selvatico" e molto lontana dallo stile di vita urbano delle élite erodiane. Il vangelo di Giovanni lo colloca lungo il Giordano, ad Aenon, presso Salim, di cui non si conosce l'ubicazione, o più in generale in Perea (Giovanni 3:22-24;10:40-42). Flavio Giuseppe sembrerebbe sostenere quest'ultima ubicazione dichiarando che Giovanni fu imprigionato a Macheronte, una fortezza a est del Mar Morto. Le due tradizioni (Q/Marco e Giovanni/Fl. Giuseppe) possono essere facilmente armonizzate, una volta che "il deserto" è inteso in termini di deserto della Giudea, dove in effetti la vita umana, nomade o sedentaria, era sostenibile, come gli abitanti di Qumran e altre figure tipo il maestro di Flavio Giuseppe, Bannus, testimoniano. Due diversi termini ebraici — arabah e midbar — sono tradotti come eremos/deserto e possono riferirsi sia a un deserto in senso stretto sia a un deserto dove c'è poca o nessuna abitazione umana. Entrambi i paesaggi contrastano nettamente con la terra arabile della pianura costiera o degli altopiani centrali, e l'osservazione di Flavio Giuseppe secondo cui il fiume Giordano vaga attraverso molto deserto (eremian) nel suo percorso dal lago di Gennesareth al Mar Morto (Guerra 3.515) consente notevole libertà nel determinare il teatro dell'attività di Giovanni e Gesù.[19]

Nella memoria religiosa ebraica il deserto aveva particolari associazioni con le origini di Israele quando Yahweh gli era vicino nelle peregrinazioni, ma anche come luogo dove Israele aveva messo alla prova Yahweh, a causa dei pericoli, reali e mitologici, che erano associati con un luogo così arido. Allora come oggi, il deserto, sebbene minaccioso in termini di sopravvivenza umana, era un luogo che facilitava un incontro più profondo con se stessi e la scoperta di un nuovo scopo, liberato com'era dall'ingombro della vita vissuta nel "mondo reale". Era naturale, quindi, che vari dissidenti ebrei si trovassero nel deserto come parte della loro protesta contro l'istituzione religiosa esistente: gli Esseni di Qumran ne furono l'esempio principale del I secolo E.V. Significativamente, gli evangelisti sembrano essere consapevoli di questa dimensione della storia personale di Gesù quando lo presentano in preghiera, tipicamente in un luogo deserto o solitario. A loro avviso, come Elia prima di lui (1 Re 19:8), non aveva mai abbandonato del tutto quella posizione originaria e poteva ritornarvi secondo le sue necessità.[20]

Se Gesù era stato un discepolo di Giovanni e aveva condiviso la sua esperienza nel deserto, il suo ritorno in Galilea segnò quindi un cambiamento di ambiente ben definito. La distinzione tra l'Alta e la Bassa Galilea suggerita dalla Mishnah si basa su caratteristiche naturali legate al sicomoro (fico) che è più frequentemente associato alla regione della Shephelah nel sud, secondo le fonti letterarie (1 Re 10:27; 2 Cronache 1:15; Amos 7:14), ma è citato anche per la regione del Carmelo.[21] In effetti, la catena di Shephelah e quella di Nazareth condividono entrambe lo stesso tipo di roccia: gesso semipervio e marna che produce copertura del suolo fino alla sommità e sorgenti. Sotto questo aspetto le colline di Nazareth differiscono dalle altre tre catene (Tiran, Yotvath e Shagor) che dividono la Bassa Galilea in una serie di valli che corrono in direzione est/ovest. Queste tre creste più settentrionali sono costituite da calcare duro e scosceso dell'età cenomaniana e non sono invitanti per l'abitazione umana. Le sorgenti si trovano sopra o vicino al fondovalle. Ciò significa che i bacini tra le creste sono fertili con terreno profondo adatto a cereali e altre colture, la più famosa, la pianura di Beit Netofa. Di conseguenza, gli insediamenti sono tutti situati in prossimità di sorgenti naturali, frutto di faglie minori, o di cisterne artificiali. La cresta di Nazareth, al contrario, ha villaggi, tra cui la stessa Nazareth situata vicino alla vetta, a causa della possibilità di coltivazione che offre fino alla cima della catena (cfr. Mappa supra).[22]

La domanda è stata sollevata, ma a mio avviso senza una risposta adeguata, sul motivo per cui il ministero di Gesù ha assunto uno stile e una strategia molto diversi da quelli del suo ex mentore, Giovanni, una volta arrivato in Galilea.[23] Un elemento di risposta adeguata deve essere sicuramente questo cambiamento di ambiente, una volta inteso non romanticamente come nel XIX secolo, ma in termini di modi in cui la vita umana era vissuta e si era adattata nei diversi habitat. Il contrasto per la vita umana tra ciò che il Deuteronomio descrive come "luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz'acqua" e "il paese di torrenti, di fonti e di acque sotterranee che scaturiscono nella pianura e sulla montagna" (Deuteronomio 8:7-15;11:13-17) doveva essere lampante. La misura in cui una simile esperienza di "esodo" avrebbe potuto indurlo a riflettere nuovamente sulla sua comprensione della chiamata di Dio e del proprio ruolo, specialmente alla luce della fede ereditata nel dono della terra, non può essere adeguatamente valutata isolatamente da altri aspetti del suo ministero. Tuttavia, sembra del tutto plausibile suggerire che l'esperienza contrastante della beatitudine potenziale della vita nella terra, debba averlo toccato al punto da rivalutare il presente come momento di grazia piuttosto che di attesa dell'imminente giudizio, sebbene l'ambiente desertico fosse stato considerato catartico da vari riformatori ebrei, prima e dopo di lui.

La frase beatitudine potenziale in quel suggerimento è cruciale, poiché gli effetti del dominio erodiano in Galilea come altrove significavano che le risorse della terra non erano equamente condivise da tutti i suoi abitanti come era inteso negli ideali deuteronomici e levitici. Si poneva una sfida diversa e più immediata, quella di far prendere coscienza di come il presente vissuto nella terra fosse una tale distorsione della visione originaria, e di offrire un'alternativa che potesse essere diversa, anzi, potremmo dire, messianica. Gesù può essersi lasciato alle spalle le condizioni del deserto quando tornò nei dintorni della Bassa Galilea, ma portò con sé valori che si riflettevano nella dieta del suo mentore di un tempo, Giovanni, vale a dire, locuste e miele selvatico. Al suo ritorno in Galilea lo stile di vita di Gesù era inferiore a quello del mondo animale e degli uccelli: "Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo" (Matteo 8:20; Luca 9:58). Nessuno dei due cercava il conforto delle case famigliari, per non parlare dei palazzi reali, e in maniera veramente profetica entrambi cercarono di sfidare non solo a parole, ma anche nello stile di vita, i valori prevalenti della cultura.

Recenti scavi nei terreni dell'Ospedale Scozzese suggeriscono che Nazareth fosse un insediamento agricolo nel periodo romano. L'azienda agricola scavata mostra un notevole sviluppo umano in termini di torri di avvistamento, terrazzamenti, torchi per l'uva e un sistema di irrigazione dei campi. Questo era fornito dall'acqua che scorreva in un vicino wadi, che nasceva da una sorgente più in alto sulla collina. Presumibilmente questo sarebbe tipico di altri villaggi nelle vicinanze, tutti situati sul crinale a causa della buona copertura del suolo e dell'abbondante offerta di sorgenti sulla sommità. La cultura del villaggio creata da un tale ambiente era quella dell'agricoltura su piccola scala con i proprietari terrieri contadini e le loro famiglie il tipo più comune di residente. Questi insediamenti rappresentano la colonizzazione ebraica della Galilea dalla metà del II secolo A.E.V., sulla scia dell'espansione asmonea.[24] Al fine di alleviare le pressioni demografiche nel sud, la terra assegnata fu concessa ai veterani dell'esercito e ad altri disposti a migrare a nord nei territori appena (ri)catturati, ritenuti parte della terra ancestrale. Tali coloni rimasero fermamente ebrei e filo-asmonei e non accettarono mai di buon grado gli erodiani o il loro stile di vita. Il progetto della fattoria di Nazareth supporta l'idea che non fossero solo semplici agricoltori di sussistenza, ma come tutti i colonizzatori nel Mediterraneo come altrove, lavorassero la terra in modo intensivo, partecipassero al sistema di ridistribuzione e fossero in grado di sostenere uno stile di vita relativamente confortevole. Le colture principali sarebbero quelle tradizionali mediterranee di cereali (principalmente grano e mais), olive, fichi e uva. Ciò non dovrebbe oscurare il fatto che il loro stile di vita era ancora precario e fortemente dipendente da fattori al di fuori del loro controllo come le variazioni annuali dei modelli meteorologici e le richieste di risorse da parte di eserciti di passaggio o altre imposizioni di governanti assenti.

Ai tempi di Gesù la ricostruzione di Sepphoris "come ornamento di tutta la Galilea" esercitò inevitabilmente un'ulteriore pressione sullo stile di vita tradizionale dei proprietari terrieri contadini nei villaggi nelle sue immediate vicinanze, come Nazareth. Le risorse umane e naturali, inclusa, o soprattutto l'acqua, erano necessarie per mantenere lo stile di vita lussuoso e decorativo delle élite urbane, con i loro abiti raffinati e i palazzi reali, adornati di fontane e bagni. Era da tali persone che Giovanni il Battista aveva mantenuto le distanze, secondo la caratterizzazione di Gesù (Matteo 11:8; Luca 7:25).[25] Il pagamento del tributo dovuto a Roma in aggiunta all'indennità personale di Antipa di 200 talenti, richiedeva che la terra fosse intensamente coltivata e mietuta ogni anno. Diversi detti di Gesù fanno eco a questa costante lotta del contadino con gli elementi, espressa in tipica forma proverbiale:

« Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? »
(Matteo 7.16; Luca 6:48)
« Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa »
(Matteo 7:25 Luca 6:48)
« Il Padre vostro celeste fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. »
(Matteo 5:45; Luca 6:35)
« Quando si fa sera, voi dite: Bel tempo, perché il cielo rosseggia; e al mattino: Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo. »
(Matteo 16:2-3; Luca 12:54)
« I corvi non seminano e non mietono, non hanno ripostiglio né granaio »
(Matteo 6:20; Luca 12:24)

Con l'aumentare delle richieste provenienti dal centro, i margini per i piccoli proprietari terrieri e le loro famiglie si ridussero, spingendo molti di loro alla miseria e al brigantaggio. Questo modello portò a sua volta allo sviluppo di latifondi più grandi che si trovavano nei migliori terreni agricoli delle pianure di Jezreel a sud e della valle di Beit Netofa a nord del crinale di Nazareth, così come nell'Alta Galilea.[26] Tale conclusione è corroborata da vari riferimenti letterari e chiaramente riflessa nelle parabole di Gesù. "La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto", esigendo che estendesse la sua capacità di stoccaggio, secondo Luca (12:16-20). Flavio Giuseppe parla dei granai imperiali dell'Alta Galilea, invidiati da un imprenditore locale, Giovanni di Gischala, di cui riuscì a sventare i progetti (Vita, 71-73). In un'altra occasione descrive come lui stesso sia riuscito a confiscare una grande quantità di grano appartenente alla regina Bernice, una principessa erodiana, "che era stato raccolto nei villaggi vicini e immagazzinato per lei a Besara", un villaggio ai confini della bassa Galilea e territorio di [[w:Acri (Israele)|Tolemaide/Acco (Vita, 119s.). Entrambi gli incidenti indicano come gli intermediari o i capi autoproclamati avrebbero tratto vantaggio dal mettere le mani sui prodotti che erano stati raccolti dai contadini, sia come parte del tributo dovuto a Roma, sia da proprietà private. Le parabole evangeliche sono anche molto istruttive sui diversi tipi associati a queste proprietà: possidenti terrieri assenti, fattori, schiavi, salariati e lavoratori a giornata, spesso reclutati o forse costretti dai villaggi circostanti, come quelli sulla cresta di Nazareth.

Come notato in precedenza, questa situazione economica in rapido mutamento portò inevitabilmente anche a un cambiamento di valori in questo gruppo sempre crescente di piccoli proprietari terrieri svantaggiati e vessati. Il sistema delle decime e di altre offerte agricole era stato concepito per sottolineare la proprietà ultima della terra da parte di Yahweh, ma contribuiva anche a evidenziare il carattere sacrale della terra e dei suoi prodotti e la necessità di prendersene cura come parte della creazione di Dio. La perdita di terra portò ad un'erosione di tali valori. Il soppiantamento di un modo di produzione basato sulla fiducia nelle benedizioni stagionali di Yahweh per Israele, da uno guidato dall'avidità, dall'opulenza e dallo sfruttamento, inevitabilmente spezzò il tenue legame tra terra, popolo e interessi religiosi. Le élite, invece, non avevano un particolare attaccamento alla terra se non quello di sfruttarne al massimo le risorse, prosciugandola letteralmente e metaforicamente.

L'elaborato sistema idrico di Sepphoris, che ancora oggi è poco credibile in termini di portata e raffinatezza tecnica, è un classico esempio di atteggiamenti d'élite nei confronti delle risorse naturali. La manipolazione umana dell'ambiente per i propri bisogni poteva avvenire senza alcuna considerazione né del suo impatto sull'approvvigionamento idrico locale dei proprietari terrieri della cresta di Nazareth, né del loro sistema di valori. Ciò avrebbe spinto i contadini ebrei a considerare l'abbondante offerta come un dono di un Dio premuroso, non il risultato dell'intraprendenza umana: la terra assorbiva le piogge stagionali "che sgorgavano di nuovo nelle valli e nei monti" (Deuteronomio 8:7). In tutto sono stati scoperti 13,5 chilometri di acquedotti, risalenti al I e II secolo E.V., che insieme portavano circa 4300 metri cubi d'acqua in un grande serbatoio sotterraneo scavato nella roccia tenera locale fino alla roccia di fondo. La prima parte di questo sistema risale certamente al regno di Antipa e trasportava l'acqua da due sorgenti ai piedi del monte Yedaya, vicino ai siti di due villaggi locali.[27] Possiamo solo ipotizzare come questo sviluppo abbia influenzato la vita degli abitanti dei villaggi locali, ma presumibilmente richiedeva ulteriori necessità di attingere acqua o di dipendere da ciò che poteva essere raccolto nelle cisterne nella stagione delle piogge.

Era a persone in difficoltà come questi paesani che le dichiarazioni di beatitudine di Gesù erano rivolte e intese come buona novella: "Beati i poveri"; "Beati quelli che ora hanno fame"; "Beati quelli che ora piangono" (Matteo 5:2-8; Luca 6:20-21). Queste massime cercano di rassicurare le persone che devono affrontare la prospettiva di essere ridotte in condizioni di miseria, fame e lutto, e che sentivano il diritto di inveire contro tali condizioni alla luce della promessa di "una terra dove scorre latte e miele". La promessa che era stata fatta ai loro antenati veniva ora goduta da estranei: veterani degli eserciti di Erode il Grande e altri favoriti filo-erodiani a cui erano state assegnate quote nelle migliori terre del paese come ricompensa per la loro lealtà. Chiamare questa situazione una benedizione, e non una maledizione, come avrebbe suggerito la teologia deuteronomica, richiedeva un'audace immaginazione religiosa. L'appello di Gesù alla fiducia incondizionata nel Padre celeste di fronte alle profonde angosce riguardo al cibo, al bere e al vestire – i fondamenti stessi della vita umana – era davvero una richiesta strana (Matteo 6:25-34; Luca 12:22-31). La retorica del brano, che esprime l'ansia sotto forma di una domanda: "Che cosa mangeremo, che cosa berremo, di che cosa ci vestiremo?" come anche le circostanze, hanno chiari echi della questione dell'anno sabbatico degli Israeliti (Levitico 25:20). In quel contesto, come ora anche con Gesù, la risposta è esaminare il modo in cui Yahweh mostra la sua cura assicurando la fecondità della natura per tutte le sue creature.

Gesù invita il suo pubblico a considerare i gigli del campo la cui vita è così breve, e gli uccelli del cielo che sono ritenuti di poco valore perché il loro numero è così grande. Eppure in entrambi i casi Dio si prende cura dei loro bisogni. All'interno di questa "catena dell'essere" l'uomo può avere un posto speciale, ma ciò non deve portarlo a ignorare la cura di Dio per gli elementi apparentemente minimi e insignificanti del suo mondo creato, di cui anch'essi fanno parte.[28] È sicuramente significativo che le occupazioni qui menzionate – le attività agricole di seminare, mietere e raccogliere nei granai, da un lato, e le faccende domestiche di faticare e filare, dall'altro – riflettono l'economia del villaggio di Nazareth e di altri luoghi simili. Forse Gesù non ha effettivamente dichiarato il Giubileo nella sua città natale nel modo suggerito da Luca (cfr. Luca 4:16-30), ma detti come questi, insieme al suo stile di vita itinerante, indicavano chiaramente i valori giubilari e sabbatici. Questi esprimevano una totale fiducia nella cura di Dio di fronte alle esigenze dell'economia urbana, che erodeva lo stile di vita degli abitanti dei villaggi galilei e generava profonda ansia. La gente di Nazareth non era impressionata dalla sua saggezza, ci viene detto, descrivendolo come un "artigiano" (tektori), e quindi squalificandolo come fonte di saggezza secondo il sistema di Gerusalemme e dei suoi scribi (Marco 6:2-4; Siracide 38:24-39). Tuttavia, la fonte della sua saggezza sembrerebbe essere stata un profondo apprezzamento del mondo naturale e dei suoi processi riflessi alla luce delle Scritture Ebraiche e del Dio creatore di cui parlavano.

Da Nazareth a Cafarnao

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L'opzione di Gesù per il lungolago piuttosto che per la città natale di Nazareth e dei suoi dintorni come sito principale del suo ministero, rappresentava un importante spostamento di microregioni e, di conseguenza, dell'attività culturale umana in relazione all'eco- e bio-sfere di Galilea. I motivi della scelta non sono chiari e sarebbe entrare nel campo delle speculazioni essere definitivi in materia, anche se si possono avanzare diverse possibili opzioni: la conoscenza di alcuni discepoli del Battista da Betsaida; rifiuto da parte del suo stesso popolo; ricerca di manodopera adeguata; scelta di un ambiente più aperto e cosmopolita; evitare la presenza erodiana a Sepphoris, vicino a Nazareth; guaritore alla ricerca di aria e acqua adatte... Ai fini di questo Capitolo è più importante riflettere sulle implicazioni del cambiamento dell'ambiente per la risposta stessa di Gesù, alla luce delle particolari condizioni ecologiche in ogni sub-regione e dei modi in cui cui gli esseri umani si erano adattati.

La regione della Valle, che nella Mishnah è collegata con il distretto di Tiberiade, dovrebbe essere estesa fino a comprendere l'intero perimetro del Lago, ritenuto un'importante risorsa naturale, secondo le benedizioni tribali (Deuteronomio 33:23). A differenza del Mar Morto più a sud, anch'esso al di sotto del livello del mare, il Lago di Gennesareth e i suoi immediati dintorni erano benedetti da un'abbondante fornitura d'acqua da parte dei vari corsi acquiferi che sgorgavano sia dall'Alta Galilea sul lato occidentale, sia dal Golan nell'est, oltre che da numerose sorgenti. Il fiume Giordano, i cui corsi d'acqua originavano ai piedi del monte Hermon, forniva un collegamento ecologico diretto con la montagna a nord. Scorrendo verso sud, il fiume passa attraverso il bacino di Hula che è descritto come un'area paludosa del Lago Semechonitis, e poi scende rapidamente attraverso una profonda gola prima di entrare nel Lago di Gennesareth sotto la città di Bethsaida/Julias (Guerra 3.515).[29]

La Valle differiva sia dall'Alta che dalla Bassa Galilea in quanto la sua formazione rocciosa era costituita da basalto, a causa dell'attività vulcanica più recente, che aveva causato la fossa tettonica dal Libano al golfo di Akaba. Questo tipo di roccia produce un terreno ricco e fertile, creando così un'altra microecologia altamente distintiva all'interno della Galilea, qualcosa di cui Flavio Giuseppe era ben consapevole quando descrive la fertilità della pianura di Gennesareth in termini così entusiastici (Guerra 3.516-521). In questa piccola area la naturale fertilità del suolo si univa all'abbondante apporto di acqua e alla temperatura molto calda per produrre ogni genere di frutta e piante. In effetti Flavio Giuseppe potrebbe essere accusato di condividere la visione romantica della regione quando scrive: "Si potrebbe dire che la natura era stata orgogliosa di riunire così le specie più discordanti in un unico punto, e che per una felice rivalità, ciascuna delle stagioni desiderava rivendicare questa regione per proprio conto."

Lo spostamento verso il lungolago comportò quindi mutamenti ecologici e climatici ben definiti rispetto a quello della zona di Nazareth, anche se la presenza politica degli erodiani non fu mai lontana, con la fondazione di Tiberiade presso le terme lungolago nel 19 E.V. È degno di nota il fatto che, mentre a coloro che erano costretti a risiedere nella nuova città, presumibilmente come personale di servizio per l'élite, venivano concessi appezzamenti di terra, la classe erodiana superiore possedeva proprietà oltre il Giordano nella fertile regione del Golan (Ant. 18.36-38; Vita, 33). Si tratta di un'informazione significativa, poiché suggerisce che, nonostante l'entusiasmante descrizione di Flavio Giuseppe riguardo alla fertilità della pianura di Gennesareth, la terra per la produzione di cereali era difficile sul lato sud-occidentale, dove le vicine colline si avvicinano alla costa. Ciò indica un'economia mista e diversificata, basata sui modelli agricoli tradizionali, tenendo conto delle caratteristiche ecologiche distintive già discusse, da un lato, e dell'industria ittica associata al lago, dall'altro. In quanto estraneo a questa regione, Gesù non aveva alcun interesse in nessuna delle due, ma come tekton o artigiano ci sarebbe stata senza dubbio molta richiesta per le sue capacità, specialmente nell'industria della costruzione di barche che doveva essere fiorente nella regione. Tuttavia, è come figura profetica, che sfida i valori sia dei contadini che dei pescatori, che appare nelle narrazioni evangeliche. Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, e i fratelli Pietro e Andrea, furono chiamati ad abbandonare le loro famiglie e attività di pesca, e ad unirsi al suo seguito permanente come nuova forma di famiglia (Marco 1:16-20;3:31-35). Gli abitanti di Cafarnao, Corazin e Bethsaida, tutti e tre insediamenti situati ai margini della fertile pianura all'angolo nord-occidentale del lago, furono rimproverati per il loro rifiuto di rispondere alla sua chiamata e adottare un diverso insieme di valori per governare il loro stile di vita (Luca 10:13-15; Matteo 11:20-24).

I nomi di due dei luoghi associati ai seguaci di Gesù, Bethsaida e Magdala, indicano la loro associazione con la pesca, e inoltre Tarichaeae, il nome greco di Magdala, si riferisce all'industria della salatura del pesce. Inoltre, i sondaggi intorno al lago rivelano abbondanti resti di porti, frangiflutti e peschiere databili al periodo romano.[30] Oltre ai vangeli, anche altre testimonianze letterarie sottolineano l'industria del pesce. Così Strabone (Geografia XVI. 2, 45) menziona la salatura del pesce a Tarichaeae come anche gli alberi da frutto nella regione, e Flavio Giuseppe riferisce che "il lago contiene specie di pesci, diverse per gusto e aspetto da quelle che si trovano altrove" (Guerra 3.509). In seguito menziona il fatto che un pesce trovato nei laghi vicino ad Alessandria, il Coracin (apparentemente un tipo di anguilla) si trova in una sorgente vicina, e che a causa della somiglianza alcuni pensano che questa sia un affluente del Nilo (Guerra 3.520).

Il riferimento al Nilo è interessante in questo contesto, poiché le prove papirologiche dall'Egitto tolemaico indicano che il commercio del pesce era altamente sviluppato e strettamente controllato dalle autorità reali lì, suggerendo che fosse un'importante fonte di reddito. Poiché sappiamo anche dai papiri di Zenon, risalenti alla metà del III secolo A.E.V., che il regime tolemaico introdusse nuove tecniche di viticoltura nella tenuta di Bethanath nella valle di Bet Netofa nella Bassa Galilea, è molto probabile che fosse nello stesso periodo in cui Magdala (Migdal Nun) la Casa del Pesce divenne Tarichaeae, il Centro di Salatura del pesce.[31] Un'iscrizione dedicatoria di un'associazione di pescatori del porto di Efeso indica il rango sociale e l'importanza economica di tali centri e di coloro che li gestivano. Una dogana di pesca è dedicata all'imperatore Claudio, sua madre e sua moglie, così come ai popoli di Roma ed Efeso, dai pescatori e dai pescivendoli della città usando le proprie risorse. Viene allegato un lungo elenco di nominativi con l'indicazione dell'importo donato da ciascuno e degli oggetti per i quali furono elargite le donazioni.[32] Da questo elenco si può dedurre che si trattava di un edificio imponente, e mentre era improbabile che Tarichaeae fosse in grado di competere con Efeso in questo senso, indica la posizione sociale e la ricchezza di coloro che erano impegnati nell'industria.

L'opinione di Fernand Braudel secondo cui i pesci non giocavano un ruolo importante nella vita economica del Mediterraneo in generale perché "le acque erano geologicamente troppo vecchie... biologicamente esaurite" è stata vigorosamente sfidata da un recente studio provocatorio sulla regione mediterranea di Horden e Purcell.[33] Suggeriscono che la natura marginale di gran parte della vita nel Mediterraneo, specialmente nella parte orientale, dove la Mezzaluna Fertile è una stretta striscia tra mare e deserto, sfidò l'intraprendenza umana in molti modi diversi. Questo fattore può essere facilmente sottovalutato nella nostra prospettiva moderna. Una volta impiegata questa più ampia visione, tuttavia, il significato dell'industria del pesce salato assume dimensioni completamente nuove. La possibilità creata dalla tecnica della salatura del pesce per l'esportazione in vari mercati come Roma era molto importante per le economie locali. Un surplus poteva essere trattato come l'equivalente di un raccolto da reddito e di conseguenza la tecnica era ampiamente praticata dal Mar Nero alla Spagna a ovest, e nel bacino dell'Oronte a est. Tarichaeae rientra in questa rete e il suo impatto sull'ambiente galileo deve essere valutato in tale contesto più ampio. "Il sale è buono" è un detto attribuito a Gesù in relazione al suo stesso messaggio (Matteo 5:13; Marco 9:59), ma il suo valore era visto in modo molto diverso, si sospetta, da quelli dei suoi ascoltatori che erano direttamente o indirettamente impegnati in questa fiorente industria intorno al Lago. Tarichaeae era semplicemente il deposito e lo sbocco di gran parte del loro lavoro, e industrie ausiliarie come la produzione di ceramica, la costruzione e la riparazione di barche, la fabbricazione di vele e la raccolta del sale dipendevano tutte dal suo continuo successo.[34]

Quale sarebbe stata la probabile reazione di Gesù a questa risorsa naturale sviluppata vicino al cuore della Galilea? Potrebbe sembrare che avrebbe approvato l'intraprendenza di sfruttare i prodotti naturali della terra per la vita umana, un eccellente esempio di progresso come "dominio" secondo il primo racconto della creazione in Genesi. Le benedizioni delle tribù, così come sono articolate nelle Scritture, hanno evidenziato questa fertilità naturale delle diverse regioni, compreso il lago. Tuttavia, c'erano dei pericoli, come nel caso di quelle tribù che anteponevano il godimento dei frutti della terra e del mare alla loro identità israelita (Asher e Dan, Giudici 5.17). Le immagini del pesce e della pesca non sono così prominenti come quelle tratte dall'agricoltura nella tradizione di Gesù. Oltre all'invito rivolto ai primi seguaci a "diventare pescatori di uomini" (Marco 1:19), il pesce è menzionato insieme al pane come l'alimento base del piccolo capofamiglia medio che probabilmente costituiva la maggior parte del seguito di Gesù (Matteo 7:9-11; Luca 11:11-13). Inoltre, la rete gettata in mare ricorre, almeno nel vangelo di Matteo, accanto alle immagini del mercante in cerca di perle fini e del tesoro nascosto nel campo, per descrivere la natura misteriosa e sorprendente del regno di Dio (Matteo 13:44-49).

L'invito ai discepoli di lasciare le barche e le reti per seguirlo in un compito più grande come "pescatori di uomini", anche quando espresso nel linguaggio della loro attività di un tempo, suggerisce che per Gesù c'erano compiti più importanti di quelli della vita quotidiana, per quanto lodevoli e necessari questi compiti possano essere stati. Non c'è alcuna condanna della pesca o dell'industria ittica, solo l'invito a vedere la loro associazione con lui in termini che sarebbero comprensibili a coloro che hanno familiarità con un'impresa del genere. Cosa ha spinto quella chiamata e come potremmo spiegare la pronta risposta, come descritta nei vangeli sinottici? Forse lo stile di vita dei pescatori era più in sintonia con la propria modalità itinerante (Mt 8,20; Lc 9,58) rispetto a quello dei contadini, legati alla terra e ancora desiderosi di mantenere il legame essenziale tra proprietà della terra e beatitudine, secondo la storia della fondazione di Israele? O fu il fatto che la pesca era un'occupazione relativamente redditizia che indusse Gesù a sfidare queste persone e i loro valori commerciali, o un possibile contesto condiviso nei circoli di Giovanni il Battista, come suggerito nel vangelo di Giovanni, giocò un ruolo nella loro prontezza a scegliere un altro percorso? Nonostante il legame evidenziato da Flavio Giuseppe dei marinai di Tiberiade con la classe indigente della città (Vita, 33), si sospetta che i pescatori galilei in generale fossero ben lungi dall'essere l'ultimo gradino della scala sociale della società romana. Infatti Marco lo suggerisce accennando al fatto che Zebedeo aveva "servi salariati", suggerendo un'occupazione commerciale piuttosto che di sussistenza (Marco 1:20). Inoltre, l'industria ittica presumibilmente coinvolgeva donne e uomini in vari aspetti del processo di salagione. La loro presenza nel seguito permanente di Gesù, in particolare la Maddalena, Maria, potrebbe ben essere correlata al fatto che lei e le altre "donne galilee" erano impegnate in faccende diverse da quelle puramente domestiche, rendendo più facile per loro unirsi a un profeta carismatico errante.[35]

C'è, però, un altro aspetto dell'attività di Gesù in riva al mare che vale almeno la pena considerare prima di seguirlo ulteriormente nei suoi viaggi. Gerd Theissen ha notato il senso di "colorazione locale" implicito nel descrivere questa massa d'acqua interna (12 chilometri di larghezza per 20 chilometri di lunghezza) come un mare piuttosto che come un lago.[36] Sia Luca che Flavio Giuseppe, con il loro maggior senso dell'importanza del Mediterraneo, parlano coerentemente di questo come di un lago/limne piuttosto che seguire Marco (e Matteo) nel parlare del Mare di Galilea, o semplicemente del Mare (diciannove volte in tutto). Mentre l'espressione "Mare di Galilea" è senza dubbio una traduzione dell'ebraico yam kinnereth o yam ha-galil, secondo Theissen c'è un'ulteriore dimensione in questo uso, vale a dire il senso che il Grande Mare, il Mediterraneo, aveva poco significato per la popolazione contadina della Galilea, chiusa com'era la loro regione dalla potente presenza dei Fenici che avevano controllato il Mediterraneo per generazioni.

In tale prospettiva, che Gesù avrebbe condiviso, il Mare di Galilea potrebbe assumere anche un preciso significato simbolico. Marco o le sue fonti la pensano certamente così con le sue due storie dell'indemoniato di Gadarene (Marco 5:1-19) e del placarsi della tempesta (Marco 4:31-34), che riflettono entrambe il senso mitologico dell'Abisso dove dimorano mostri malvagi, che Yahweh come Dio creatore aveva vinto e poteva contenere sotto controllo (Isaia 27:1; Salmi 74:13;89:5-11). Ciò riflette un punto di vista mitologico del Vicino Oriente Antico molto diffuso, espresso in modo più famoso nell'epica Enūma eliš, e indubbiamente trasmesso oralmente nella tradizione popolare. Ovunque le persone vivessero in un ambiente dominato dall'acqua e dovessero lottare con le possibilità e i pericoli che un simile luogo offriva, la minaccia dell'Abisso era presente. Più le risorse naturali del Mare di Galilea potevano essere sfruttate per i bisogni umani, più era probabile che tali idee mitologiche si ritirassero dalla coscienza delle persone. Tuttavia, per Gesù, dietro tali nozioni "antiche" e "fuori moda" c'era una verità più importante, vale a dire, la sua fede nel Dio creatore, che osò chiamare Abba/Padre, e la cui cura per tutta la Sua creazione, espressa nel superamento del caos che costantemente minacciava, era un elemento centrale della sua fede e speranza ebraiche.

La regione circostante della Galilea

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Palestina nel I secolo E.V.

Il terzo "viaggio" in cui ci si propone di seguire Gesù nel giro ecologico della Galilea è quello che lo portò nelle regioni circostanti (perichoron) della Galilea, e che Marco ha descritto piuttosto goffamente in 7:31. Un simile viaggio avrebbe inevitabilmente portato Gesù nell'Alta Galilea, una regione i cui contorni fisici e il clima che ne risulta sono piuttosto distinti da quelli della Bassa Galilea e della Valle, come è stato riconosciuto nel passaggio mishnaico citato all'inizio di questo Capitolo. Mentre nessuno dei monti della Bassa Galilea supera i 300 metri, quelli della Galilea superiore raggiungono più di 600 metri. Le vette più alte sono quelle del sud, dove il massiccio del Meiron si erge a quasi 1200 metri sopra la valle di Beth ha-Kerem che segna l'estensione settentrionale della Bassa Galilea e attraverso la quale correva nell'antichità la strada Acco/Tiberiade. La formazione rocciosa dell'Alta Galilea è la stessa di quella delle tre creste più settentrionali della Bassa Galilea, vale a dire calcare cenomaniano e dolmen. Tuttavia, a causa dell'altezza delle montagne e dell'inclinazione delle colline, le precipitazioni sono abbondanti.[37] Il fatto che la scarpata meridionale con le sue caratteristiche aspre e brulle sia il punto più alto dell'Alta Galilea significa che c'è un cambiamento sorprendente e improvviso nel paesaggio mentre si sale a nord di Kfar Hananya, "oltre il quale i sicomori non crescono". Nell'Alta Galilea un'ulteriore fagliatura in direzione nord/sud crea una serie di colline e valli, inclinate a ovest verso la pianura costiera e a sud verso la Rift Valley. Come risultato di queste caratteristiche, le comunicazioni tra i villaggi dell'Alta Galilea sono alquanto più limitate che nella Bassa Galilea, e l'area non fu mai soggetta allo stesso grado di urbanizzazione in epoca romana.

Un viaggio dalla Bassa Galilea a quella Alta nell'antichità avrebbe comportato il viaggio attraverso le strette gole della spaccatura del Giordano o attraverso la ripida salita attraverso il passo Meiron sopra Kfar Hananya. Il confine politico con Tiro variava in periodi diversi e ai tempi di Gesù sembra che si trovasse a sud fino a Qadesh, così che effettivamente per lui raggiungere la regione di Tiro avrebbe comportato il passaggio attraverso l'Alta Galilea. Nonostante questi problemi politici, la regione costituiva un entroterra naturale per Tiro e aveva uno sbocco pronto per i suoi prodotti di grano, vino e olio, come discuteremo più ampiamente nel prossimo Capitolo. L'abbondante piovosità assicura ottimi raccolti nelle valli ben riparate, ma questa avrebbe dovuto essere raccolta in cisterne durante la stagione delle piogge, poiché il duro calcare rendeva difficile individuare le sorgenti alle quote più elevate. In effetti, la tradizione suggerisce che Gesù si sia mosso in territori non giudaici, ma è più riservata nella sua dichiarazione che egli attraversò lo spartiacque giudaico/gentile, come indica il racconto del suo dialogo con la donna siro-fenicia (Marco 7:24-30).

Questi incontri lo portarono non solo in diverse regioni microecologiche, ma anche in aree in cui il tradizionale impegno umano e l'apprezzamento dell'ambiente erano diversi da quelli che si verificavano, almeno in linea di principio, nel territorio israelita/ebraico. Questa differenza si esprimeva in modo più evidente nella varietà delle diverse divinità, alcune locali, altre universali, adorate in queste regioni, molte delle quali avevano un passato come divinità della natura, anche quando portavano nomi greci. Recenti studi sulle origini israelite in relazione ai loro predecessori cananei nella regione, specialmente alla luce della scoperta dei testi ugaritici di Ras Shamra, suggeriscono che la rottura con la più antica cultura delle "religioni naturali" non fu così netta come quella che il Deuteronomista aveva sperato o era stata riconosciuta da una precedente generazione di studiosi che si occupavano dell'emergere del primo Israele nella regione.[38]

Nell'antico mondo mediterraneo in genere il paesaggio forniva la chiave per le preoccupazioni religiose della gente del posto. La particolarità di tali caratteristiche naturali come sorgenti, grotte, boschetti, fiumi e cime montuose, erano tutte ritenute diverse, e l'alterità di tali luoghi li costituiva come luoghi sacri e adatti alla dimora di qualche dio, ninfa o spirito il cui patrocinio era importante coltivare da parte degli esseri umani.[39] Presso i greci questo primitivo senso della natura stessa come divina si sviluppò dalle speculazioni cosmologiche di Platone e di Aristotele e trovò la sua più chiara espressione presso gli stoici.[40] In effetti ci sono abbondanti prove che l'ebraismo ellenistico è stato in grado di incorporare tali idee nel proprio quadro teologico senza alcun pericolo di assimilazione, specialmente nei contesti in cui si sta sviluppando la nozione di Dio come creatore, come nel caso dell'omonimo Gesù di Gerusalemme, Gesù ben Sirach (Ben Sira), che combina le più antiche nozioni mitologiche dell'Abisso, già discusse, con le discussioni filosofiche più contemporanee, quando scrive:

« 23 Dio con la sua parola ha domato l'abisso e vi ha piantato isole. 24 I naviganti parlano dei pericoli del mare, a sentirli con i nostri orecchi restiamo stupiti; 25 là ci sono anche cose singolari e stupende, esseri viventi di ogni specie e mostri marini. 26 Per lui il messaggero cammina facilmente, tutto procede secondo la sua parola. 27 Potremmo dir molte cose e mai finiremmo; ma per concludere: "Egli è tutto!" [to pan estin autos»
(Siracide 43:23-27)

Era improbabile che Gesù fosse stato toccato da tali formulazioni accademiche, eppure a livello popolare questa idea della sacralità della natura ha fatto parte per millenni della koine religiosa e sociale dell'Oriente. Un viaggio nei villaggi di Cesarea di Filippo comportava l'ingresso in una regione dell'alta Galilea dominata dalla credenza nel dio greco Pan, il cui culto era associato da almeno due secoli a una grotta alle pendici meridionali del monte Hermon. Pan, come indica il suo nome greco, aveva tratti universali, ai quali Ben Sira potrebbe aver alluso nel passo appena citato, suggerendo che fosse proprio il dio ebraico della creazione a meritare davvero l'epiteto "Il Tutto/Pan, poiché Yahweh era il creatore del cielo e della terra e di tutto ciò che era in essi. Nel mito greco Pan era associato alla campagna, in particolare al guardiano dei pastori e delle greggi, e anche, come inventore del flauto a sette canne, patrono della festa e della vita all'aria aperta. Come tale era spesso associato a Dioniso, il dio greco del vino, che, come Pan, poteva facilmente incarnare tratti molto più antichi come divinità della vegetazione e il cui culto era ampiamente diffuso nel Vicino Oriente, compresa la circostante regione della Galilea. Potrebbe benissimo esserci un'allusione alle attività dei devoti di entrambe le divinità nel noto contrasto di Gesù tra il suo stile di vita più gioioso e aperto e quello dell'asceta Giovanni Battista: "Ma a chi paragonerò io questa generazione? Essa è simile a quei fanciulli seduti sulle piazze che si rivolgono agli altri compagni e dicono: Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto". Mentre lo stile di vita di Giovanni può essere stato ascetico, quello di Gesù era tale da poter essere descritto, probabilmente dai suoi nemici, come "un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori" (Matteo 11:16-19; Luca 7:31-35). Ci sono echi qui sia di Pan che di Dioniso e della festosa allegria dei loro devoti.[41]

Nel prossimo Capitolo ci sarà occasione di approfondire le implicazioni culturali e religiose di un viaggio in questa regione. Qui la preoccupazione è suggerire possibili associazioni tra la tradizione di Gesù e l'ecologia di questa regione più settentrionale della Terra Promessa, dominata com'era dal Monte Hermon, che raggiunge oltre 2800 metri nel suo punto più alto. Da una prospettiva ecologica, l'Hermon era la fonte della risorsa naturale più importante della Valle, l'acqua. Questo fatto era ben noto agli scrittori romani come Tacito (Historiae, V, 6) e Plinio (Nat. Hist., V, 16). Nel descrivere il Lago di Gennesareth, Flavio Giuseppe parla delle eccellenti proprietà della sua acqua, "dolce al gusto", eccellente da bere, e pura, a causa delle spiagge sabbiose (Guerra 3.506). Più avanti nello stesso brano si riferisce alla qualità "geniale" dell'aria nella regione (ton aeron eukrasia) (Guerra 3.519). Questa combinazione di acqua e aria richiama il titolo di uno dei libri più letti nell'antichità, De aere, aquis et locis di Ippocrate, un'opera che raccomandava a qualsiasi medico di controllare la qualità sia dell'acqua che dell'aria quando si recava a visitare un luogo, poiché questi sono estremamente importanti per una buona salute. Si è tentati di chiedersi se il ministero di guarigione di Gesù, attestato in tutti i vangeli, non abbia potuto fargli apprezzare in modo speciale le condizioni climatiche della zona del lago, e la qualità delle sue acque, spingendo a visitarne la sorgente.[42]

Flavio Giuseppe fa certamente un collegamento diretto con la qualità dell'acqua del lago e dell'Hermon come fonte, notando la sua fresca temperatura: "Diventa fredda come la neve quando la si espone all'aria, come è abituata a fare la gente del paese nelle notti d'estate". Interrompe quindi la sua descrizione del lago e dei suoi immediati dintorni per descrivere con una certa ampiezza gli sforzi di Erode Filippo, il tetrarca della regione del Golan, per accertare la vera sorgente del fiume Giordano. Con un curioso test riuscì a dimostrare ai nativi del luogo che la sua origine non era, come pensavano gli antichi, lo stagno di Pan, ma un'altra sorgente chiamata Phiale a una certa distanza a est, sulla strada per Traconitide (Guerra 3.506-515). Il significato di questo aneddoto è incerto e si potrebbe facilmente leggere troppo in esso. Tuttavia, una spiegazione potrebbe benissimo essere che, cercando un adeguato approvvigionamento idrico per la vicina Cesarea di Filippo, il tetrarca cercò di convincere gli abitanti che il Giordano in realtà non aveva origine nello stagno di Pan, forse a causa della loro riluttanza a manomettere le acque che uscivano da questa sorgente sacra con le sue proprietà curative.

Come nel caso di Sepphoris già discusso, Gesù visita i villaggi di Cesarea di Filippo ma non la città stessa. Ciò è almeno coerente con il punto di vista di Marco, che Gesù era riluttante a farsi coinvolgere direttamente nella politica dell'urbanizzazione e nel danno che veniva arrecato al tessuto della vita del villaggio, anche quando il suo stile di vita e le sue azioni erano una sfida diretta ai valori di un tale ethos. La sua visita nella regione può essere intesa, almeno in parte, come derivante da un apprezzamento per la fonte riconosciuta della fertilità percepita della Galilea. Potrebbero esserci stati altri fattori all'opera nel viaggio di Gesù verso il nord, che saranno esaminati in seguito. Tuttavia, da una prospettiva ecologica, è importante rendersi conto che l'Hermon era una "montagna sacra" sia per gli ebrei che per i pagani della regione. Il fatto che anche altri, che non appartenevano alla sua tradizione, avessero trovato motivo di nominare il dio di questa regione "l'Altissimo e il Santo"[43] non deve precludere a Gesù anche il riconoscere con il Salmista che l'Hermon (insieme al Tabor, un montagna sacra all'altra estremità della Galilea con precedenti associazioni anche pagane, Deuteronomio 33:19; Osea 5:1) "manda grida di gioia al Tuo nome" (Salmi 89:13), ed "è come la rugiada che scende sui monti di Sion" (Salmi 133:3). Siti come Hermon e Tabor potevano dar luogo nell'antichità ad una vivace competizione religiosa, proprio per il loro particolare aspetto fisico, ma anche per la risorsa naturale che le nevi dell'Hermon portavano in Galilea.

Questa lettura del viaggio di Gesù nell'alta Galilea nel contesto della comprensione mitica del mondo naturale e delle sue caratteristiche fisiche più rilevanti solleva la questione già toccata riguardo alla desacralizzazione della natura nella tradizione giudaico-cristiana. Il suggerimento che anche Gesù possa essere stato attratto dalla regione dell'Hermon a causa della sua presenza fisica e naturale dominante, non intende implicare che fosse tollerante nei confronti dell'adorazione di dèi diversi da Yahweh. Gesù non era un facile sincretista e la sua fiducia in Yahweh, il Dio creatore del cielo e della terra, preclude qualsiasi implicazione del genere. Credere in un Dio creatore non significa, tuttavia, che il rispetto per i doni della natura fosse in qualche modo diminuito. Come abbiamo visto, la fiducia di Gesù nella grazia di Yahweh era fondata sul dono della fertilità della terra e sulla sua convinzione della cura di Dio anche per la più piccola e insignificante delle sue creature. Il fatto che il suo seguito permanente di seguaci fosse reclutato dalla regione della Valle lo mise in contatto con il loro stile di vita dentro e intorno al lago e deve averlo reso consapevole della benedizione dell'acqua per la vita umana. Forniva anche un ricco campo di associazioni simboliche per parlare del Dio di Israele e della sua grazia verso il suo popolo. I poeti d'Israele, i profeti come Geremia, Isaia ed Ezechiele e i salmisti, erano profondamente consapevoli della benedizione della pioggia, della rugiada, della primavera e della neve. Yahweh aveva salvato gli antenati nel deserto facendo sgorgare l'acqua dalla roccia, e la futura redenzione potrebbe ugualmente essere descritta in termini di doni di abbondanza e fecondità che il dono dell'acqua nelle sue varie forme rendeva possibile. Tuttavia, c'era anche una reale consapevolezza della minaccia dell'Abisso. Con una tale ricchezza di immagini basate sull'acqua, è sorprendente che non sia presente in modo più prominente nelle immagini di Gesù riguardo alla presenza di Dio sulla terra. Eppure il riconoscimento che tutta la vita in una terra assetata era così dipendente dall'acqua, assicurava che dietro le molte altre immagini, che Gesù usò per la presenza e l'attività di Dio, la realtà e l'importanza dell'acqua non potessero mai essere ignorate.

Le parabole sono, forse, le più caratteristiche delle forme linguistiche impiegate da Gesù, ed è stato a lungo riconosciuto che forniscono un ricco campo per indagare sia l'immaginazione religiosa di Gesù che il mondo quotidiano della sua vita galilea. Come già notato di sfuggita, i vari personaggi delle parabole ci danno uno spaccato di diverse situazioni sociali galilee, anche quando si riconosce che il realismo delle storie è fittizio piuttosto che storico. Nessuna di esse ha una collocazione specifica, ma è sorprendente che, a parte l'unico racconto della rete gettata in mare (Matteo 13:47s.), tutti gli altri ambienti siano più tipici della situazione sociale della Bassa Galilea rispetto alla riva del lago e sue presunte attività. Sono le parabole della natura, e il senso misterioso ma benigno della terra, che sono di immediato interesse per le considerazioni ecologiche, soprattutto in vista dei loro legami con la saggezza popolare e la sua connessione con un senso della vicinanza di Dio all'interno dei modelli quotidiani di vita.

Parte del genio di Gesù nel creare parabole è la sua capacità di prendere esperienze quotidiane, come la semina e il raccolto, e intrecciarle in narrazioni che sono allo stesso tempo altamente realistiche in termini del mondo dei suoi ascoltatori e delle loro esperienze, e profondamente risonanti dell'attività di Yahweh a favore di Israele come questa era stata descritta nei salmi e nei profeti. Per i suoi ascoltatori contadini il loro lavoro quotidiano e le loro esperienze venivano elevate a un livello simbolico con riferimento alla presenza premurosa di Dio in Israele, come succedeva anche con la saggezza proverbiale delle Scritture Ebraiche. L'elemento di sorpresa e disorientamento che molte di queste storie contengono aveva lo scopo di sfidare gli ascoltatori a riconsiderare la loro comprensione di Dio e dei suoi rapporti con Israele, e di sentire la Sua presenza nel mondo di tutti i giorni, il mondo della casa, del villaggio, del campo, di cielo e montagne. Le parabole di Gesù sono metafore religiose così splendidamente riuscite perché sono il prodotto di un'immaginazione religiosa profondamente radicata nel mondo della natura e della lotta umana con essa, e allo stesso tempo profondamente basata sulle tradizioni di Israele che parlano di Dio come creatore del cielo e della terra e di tutto ciò che è in essi.

 
Immagine artistica di Gesù ricostruita da più fonti, tra cui la Sindone di Torino (XIV secolo)
  Per approfondire, vedi Serie cristologica, Serie delle interpretazioni e Serie misticismo ebraico.
  1. Gerhard Von Rad, Old Testament Theology, 2 vols., trad. (EN) D. M. G. Stalker, Edinburgh: Oliver and Boyd, 1962, specialmente vol. I, e Oscar Cullmann, Salvation in History, trad. (EN) Sidney G. Sowers, London: SCM Press, 1967, sono esempi influenti dell'interesse per la "Storia della salvezza" negli studi sia dell'Antico che del Nuovo Testamento.
  2. In qualità di rappresentante dell'influente Albright School, che combinava l'interpretazione biblica e l'indagine archeologica per evidenziare l'unicità di Israele, cfr. George Ernest Wright, The Old Testament Against its Environment, Londra: SCM Press, 1950.
  3. Arlene Miller Rosen, "Paleoenvironmental Reconstruction", in Eric M. Meyers cur., The Oxford Encyclopaedia of Archaeology in the Near East, 5 voll., New York & Oxford: Oxford University Press, 1997, vol. 4, 200-205, è una buona introduzione a questi sviluppi in archeologia oggi, con ulteriore bibliografia.
  4. Elizabeth Schussler Fiorenza, Jesus, Miriam's Child, Sophia's Prophet: Critical Issues in Feminist Christology, New York: Crossroad, 1994; Ingrid Rosa Kitzberger, cur., Transformative Encounters. Jesus and Women Re-viewed, Leiden: Brill, 2000; Kathleen E. Corley, Women and the Historical Jesus. Feminist Myths of Christian Origins, Santa Rosa, CA: Polebridge Press, 2002.
  5. Per una discussione sulla connessione tra la strumentalizzazione della natura e il dominio delle donne nel pensiero occidentale, cfr. la filosofa ecofemminista Val Plumwood, Feminism and the Mastery of Nature, Londra and New York: Routledge, 1993, 41-68 (46f).
  6. Ps. 74.13-14,19; 89.9-10, 104.26; Isa. 27.1; Job 3.8, 7.12, 40.25E. Nella mitologia babilonese dell'Enuma Elish, Tiāmat (l'Abisso) cooperò alla nascita degli Dei solo per essere estromessa da una rivolta degli dei più giovani, guidati da Marduk. Lei rispose con la creazione di mostri ma non furono in grado di sconfiggere Marduk. La portata dell'influenza di questo mito sulle tradizioni della creazione israelita è dibattuta tra gli studiosi, anche se sembra esserci una visione del mondo condivisa.
  7. Glaus Westerman, Genesis 1-11. A Commentary, Minneapolis: Augsburg Press, 1984; Bernhard Anderson, cur., Creation in the Old Testament, Londra: SPCK, 1984.
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  33. Peregrine Horden e Nicholas Purcell, The Corrupting Sea. A Study of Mediterranean History, Oxford: Blackwell, 2000, 190-197.
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  35. Marianne Sawicki, Crossing Galilee, 143-153.
  36. Gerd Theissen, "‘Meer’ und ‘See’ in den Evangelien: Ein Beitrag zur Lokalcoloritforschung', Studien zum Neuen Testament und seiner Umwelt, 10(1985) 5-25.
  37. Baly, The Geography of the Bible, 152-163.
  38. Mark Smith, "Ugaritic Studies and Israelite Religion: A Retrospective View", Near Eastern Archaeology (già Biblical Archaeology) 65(2002)17-29.
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  42. Hippocrates, (EN) Airs, Waters, Places, Loeb Classical Library, Cambridge, MA: Harvard University Press, 1923.
  43. Questa iscrizione fu scoperta dall'esploratore Sir Charles Warren nel 1870 e pubblicata dall'esploratore francese Ch. Clermont-Ganneau, "Le Mont Hermon et son dieu d'apres une inscription inedite", Receuil d'Archeologie Orientale 5(1903) 346-366. Lo scrittore cristiano Eusebio (IV secolo E.V.) menziona la continuazione di pratiche pagane ai suoi giorni. L'identità del Dio in questione è incerta, ma Zeus, il capo del pantheon greco o Helios il dio Sole, sono due possibilità.