Caccia tattici in azione/Anni '30-2

Indice del libro
 

La storia dei caccia americani di tipo 'moderno' è fatta di tanti passi. Uno di essi è il P-26, aereo che a vederlo, a stento dà l'idea di essere un caccia intercettore. Eppure a suo tempo fu il primo caccia monoplano e totalmente metallico a servire nell'USAAC. Peraltro fu anche l'ultimo ad avere abitacolo aperto e carrello fisso, per non dire delle ali con tiranti esterni; per la Boeing fu invece l'ultimo caccia prodotto, dopo tre lustri di dominio nei servizi aerei sia dell'Esercito che della Marina americani. Esso nacque da una richiesta del settembre 1931, per un caccia veloce a sufficienza per acchiappare i bombardieri moderni, a loro volta sempre più veloci, metallici e monoplani. IL Model 248 fu la risposta, ordinato già in tre prototipi il 5 dicembre 1931. La costruzione ebbe luogo dal gennaio successivo, e nonostante avesse sia caratteristiche avanzate che un po' obsolete, alla fine dimostrò di possedere il giusto 'mix' di innovazione e tradizione. Un aereo che guardava in avanti e all'indietro nell'evoluzione tecnica, e come tale, scelto dall'USAAC ma rimasto un po' un punto interrogativo per gli storici dell'aviazione. L'ala era a due longheroni, ma non sufficientemente robusta da tenersi da sola, così aveva anche la controventatura di diversi cavetti d'acciaio. Era così possibile fare un'ala talmente leggera, e sottile, che anche con i cavi era meno resistente all'attrito e meno pesante. Invece i piani di coda erano totalmente a sbalzo, a differenza, curiosamente, di progetti avanzati come sarebbe stato il Bf-109 iniziale. Il carrello, pesantemente provvisto di una carenatura a 'calzoni', che aveva a che fare sia con le ruote che con gli assi, era decisamente caratteristico. Il motore era ben collaudato e collocato dentro la fusoliera in lega leggera, un'unità radiale R-1340-9. C'era una nuova M2 da 12,7 mm e una da 7,62 mm nel muso, e la possibilità di portare 5 bombe da 13,6 kg o due da 122 lbs (circa 50 kg), o due bengala. Il cannocchiale di puntamento del tipo C-3, altro elemento caratterizzante dell'aereo, gli farà guadagnare il suo nome, di Peachshooter (sparapiselli). Il primo volo avvenne il 20 marzo 1932, all'epoca c'era davvero poco da aspettare per sviluppare un caccia: appena 9 settimane. Con un peso di circa 1.200 kg era capace di 227 mph a 3.048 m, e manteneva 210 mph a 6.096 e 174 a 8.473; poteva salire a circa 11 m.sec e arrivare a circa 9.000 m; l'autonomia, come in genere accadeva per i caccia USA, era commisurata -entro certi limiti- all'enorme superficie del territorio USA, e permetteva così ben 1.220 km.

Dopo i tre prototipi, venne fuori la produzione di serie, leggermente migliorata; l'11 gennaio 1933, grossomodo ai tempi dell'entrata in servizio del CR.32, vennero ordinati 111 P-26A, il cui primo esemplare volò il 10 gennaio 1934. L'ultimo venne consegnato il 30 giugno, il prezzo unitario -eccetto tutto quello che non era della Boeing, motore incluso- era di 9.999 dollari. Così il P-26 nacque all'epoca della Depressione e sarà destinato, malgrado i piccoli numeri, a durare in servizio fino a tempi tutto sommato più felici per l'economia USA (che venne 'rivitalizzata' dalle spese statali, specie quelle belliche degli anni '40). Battuto il rivale Curtiss XP-31 Swift, il P-26A ebbe come seguito altri velivoli; interessante notare che i vecchi caccia biplani che sostituiva, i P-12E, costavano 10.197 dollari, per una rara volta accadde quindi che un prodotto innovativo riuscì anche ad essere meno costoso di quello che sostituiva. E anche per questo, presto ne vennero fuori altri 25 esemplari come P-26B e C migliorati. Nonostante la potenza del motore limitata ad appena 500 hp, l'aereo era abbastanza veloce, ma il problema era che esso era anche troppo rapido all'atterraggio. Il 22 febbraio 1934 uno di essi si ribaltò, riportando pochi danni, ma uccidendo sul colpo il malcapitato pilota (tale F.I.Patrick). Per questo il poggiatesta, onde proteggere il collo (e la pelle) del pilota, venne rialzato di 203 mm, modifica che venne poi applicata a tutti gli aerei nuovi e retrofittata a quelli vecchi. Nel frattempo, giova ricordare che lo strano caccia Boeing appesantì la sua forma con un'altra novità, un'antenna radio con relativo filo, una cosa rara, forse unica, per un caccia dell'epoca. Non solo, ma i P-26 ebbero anche, ad un certo punto, dei galleggianti gonfiabili per l'ammaraggio d'emergenza. Non si sa di alcun pilota salvato da tali congegni, ma in compenso un caccia andò perso per via del gonfiaggio in volo di uno dei 'palloni'. Il problema maggiore però era l'atterraggio, con una velocità di ben 82,5 miglia orarie; questo rendeva pericoloso l'aereo, più che per esso stesso, per il fatto che i campi d'aviazione dell'epoca erano in effetti, dei veri 'campi', con ciocche d'erba e buche. Sebbene il P-26 non pesasse molto, veniva giù veloce e la concentrazione -per una migliore agilità- delle masse in avanti lo faceva cappottare rapidamente. Grazie ai contratti di produzione esteri si pensò a dei flap che abbassavano la velocità a 73 mph, un vantaggio che era più che sensibile, e che venne retrofittato a tutti i P-26A, B e C. Alla fine il peso, che era eccezionalmente basso, aumentò di poco, ma ne valse la pena: il P-26A pesava appena 996 kg a vuoto e circa 1.360 al decollo.

 

Così, in un'epoca in cui era esperienza piuttosto rara la vista di un monoplano, i P-26A entrarono in servizio con l'USAAC: era l'inizio del 1934 e il primo beneficiario fu il 20th Pursuit Group con i suoi 3 squadroni, basato in Louisiana, poi seguì il 1st PG di Selfridge e il 17th PG con altri 3 squadroni, ma basato in California. In seguito vi furono vari altri gruppi interessati all'aereo, tra cui il 18th e il 15th PG, quest'ultimo alle Hawaii, ma nel 1940 questi aerei erano del tutto superati. I P-26 rimasero nondimeno parecchio tempo in servizio, accanto ai loro sostituti designati, ovvero i P-35 e P-36. Il P-26 era un aereo popolare, ancorché dall'apparenza strana e anche un po' goffa, con quell'ala media e controventata, e il carrello fisso e carenato. Il pilota poteva assicurarsi una valida capacità di manovra grazie alle masse, tutte molto vicine al CG del velivolo.

IL problema vero era un altro, e cioè il rischio di cappottare all'atterraggio, per questo l'aereo ebbe presto una struttura di rinforzo dietro il sedile. I P-26, oramai obsolescenti nel '38-40, vennero trasferiti anche in America Centrale nel febbraio 1939, con il 37th PG, ma solo nove erano ancora funzionanti all'epoca dell'attacco a P.Harbour, e sei di essi andarono distrutti al suolo dall'attacco giapponese quel fatidico sette dicembre 1941.

C'erano anche nelle Filippine, con il 3rd Sqn, ma soprattutto molti vennero venduti al governo locale, se per molti si possono intendere 12 P-26A, comprati ne luglio del 1941 per il 6th PS dell'Aviazione dell'Esercito filippina. Incredibilmente, nonostante la loro totale obsolescenza e l'inferiorità complessiva, gli agili P-26 riuscirono a colpire qualche caccia A6M giapponese, specialmente nell'azione del 12 dicembre, quando sei di essi combatterono contro una formazione che attaccava Manila; il risultato fu di un bombardiere e due Zero abbattuti, contro la perdita di tre P-26. Evidentemente, non ci sono limiti a quello che può fare un pilota determinato e un aereo agile e minimamente armato. Ma presto i pochi caccia filippini (come anche quelli americani) vennero abbattuti o distrutti al suolo, o infine bruciati per impedire che cadessero nelle mani dei giapponesi avanzanti da terra. Altri 9 P-26 rimasero in servizio nella zona del Canale di Panama, fino a che nel giugno del '42 vennero finalmente rimpiazzati dai P-40. Ma non fu la fine, perché il Guatemala, nel novembre del '42 volle comprare gli aerei ex-USAAC; dato che c'era una legge del Congresso che proibiva la vendita di caccia nell'America Latina (l'abituale contraddizione americana, da un lato il controllo e il dominio nel 'giardino di casa', dall'altro molta ritrosia a vendere alcunché di bellico, con il risultato di far comprare al loro posto prodotti europei o di altra provenienza), li si fece passare per PT-26A, una specie di addestratori armati. In tutto ne vennero passati di mano sette fino al 4 maggio 1943. Potrà sembrare assurdo, ma alcuni di questi aerei, già totalmente obsoleti nel '41, riuscirono a sopravvivere -come addestratori- fino al '57, quando per esempio, gli Spitfire erano stati ritirati dalla RAF e da quasi tutti i loro utenti, e così i P-47. Uno di essi tornò negli USA ed è visibile nel Museo aeronautico di Chino (California), restaurato e in condizioni di volo, con i colori USAAC. Un altro è al museo Smithsonian.


 
Un P-26 con la sua sgargiante livrea (tipicamente americana) sopravvissuto fino ai nostri giorni

Il tipo export era il Model 281, che era diverso dal P-26A solo nei dettagli, tra cui i flap di atterraggio, per correggere l'eccessiva velocità dell'aereo, pericolosa nel toccare terra su piste erbose e dal fondo non sufficientemente duro: questa modifica ebbe luogo in maniera talmente soddisfacente che anche i P-26A vennero sottoposti a tale cambiamento. Il Model 281 aveva anche caratteristiche del P-26C ma al contempo lo precedeva temporalmente nella linea di produzione, e per migliorare la sua mobilità a terra aveva pneumatici Goodyear a bassa pressione. La protezione per la testa del pilota era già presente, in uno stile simile a quello delle auto da corsa. La velocità massima era 235 mph a 1.814 m, salita a circa 11 m.sec.

Furono i Cinesi che si batterono coraggiosamente con questo caccia, che diverrà nel suo piccolo una seccatura per i Giapponesi fino al 1941 (con l'aviazione filippina). Battaglia aerea del 20 agosto 1937: i Model 281 ingaggiano sei G3M della Marina giapponese, bombardieri nuovi di zecca e ad alte prestazioni per l'epoca. L'ingaggio fu possibile per la bassa quota che tenevano, necessaria per attaccare i bersagli. Il risultato fu di diversi aerei nipponici abbattuti. IN seguito i pochi Model 281 vennero abbattuti dai caccia A5M o costretti a restare a terra per mancanza di ricambi. Uno finì anche in Spagna nell'aprile del '35, ma non venne adottato in servizio. Il dimostratore restò tuttavia in Spagna e provvisto di due mtg leggere, combatté poi dalla parte repubblicana, finché non fu abbattuto il 21 ottobre 1938.

Gli italiani, che avevano -per quanto possa sorprendere- una lunga tradizione di progetti di caccia monoplani (tutti falliti), pensarono bene di farne un'edizione 'autarchica'. Era il Breda Ba.27, che non sarebbe rimasto caso isolato (vedi P-35/RE 2000), ma che non ebbe successo. Nemmeno quando divenne totalmente metallico la R.A. lo accettò (già dall'anno prima, il '33, volava il CR.32 che era praticamente altrettanto veloce), mentre almeno 11 vennero venduti alla Cina. Peso: 1.300-1.850 kg, dimensioni 7,67 x 10,8 x 3,4 m x 18,85 m2; velocità 380 km/h, motore A.R. Mercury IVA. Armamento 2 x 7,7 mm. I pochi esemplari prodotti vennero fatti a pezzi contro i Giapponesi, nonostante avessero qualcosa di più in termini di prestazioni rispetto ai P-26.


Il Rata: l'F-16 degli anni '30

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Molte sono le tappe per la costruzione di un caccia totalmente moderno. L'I-16 è una delle più importanti, e certamente la più consistente per esperienza di combattimento e numero di esemplari prodotti. Nel '35, l'Hurricane e soprattutto il Bf-109 furono la maturazione della formula. Peraltro, l'Hurricane era ancora in struttura parzialmente intelata, mentre il Bf-109 aveva un motore alquanto debole; anche se gettò la base di un aereo realmente moderno, il primo caccia definibile come 'completamente moderno' fu lo Spitfire nel '36. Fermo restando che l'elica era ancora una bipala in legno, degna di un Camel del '18.

Torniamo all'I-16. È un caccia di tipo moderno, dalla sagoma eccezionalmente compatta: la lunghezza stentava a raggiungere i 6 metri, mentre la fusoliera, come al solito, era tozza; tuttavia, la costruzione era in legno, mentre l'ala era metallica con doppio longherone, ma era almeno in parte rivestita in tela; l'abitacolo aveva tettuccio scorrevole, ma ai piloti non piaceva. Questo minuscolo caccia ('Mosca', come era noto ai Repubblicani, o 'Rata', topo, come era noto ai Nazionalisti) era un aereo talmente ignoto all'estero, malgrado che avesse partecipato a diverse manifestazioni aeree, che all'inizio lo consideravano come una sorta di caccia Boeing (che era per l'appunto monoplano) prodotto in URSS. La sua velocità ed energia erano impressionanti, ma non venne usato al meglio (come del resto non sarà nemmeno per i primi caccia '0' italiani) per quel che era, un velivolo meno agile dei biplani ma più di altri monoplani, specie nella velocità di virata. In Spagna, però, finirà per essere superato in agilità dal CR.32 e in velocità dal Bf-109, ma questa è un'altra storia.

La nascita di questo caccia venne decisa per rispondere alla competizione per il nuovo caccia per la V-VS, in concorso contro l'ANT-31 (primo caccia moderno a tutti gli effetti, primo volo 27 maggio 1933) dell'ufficio Tupolev, ma sviluppato grazie alle invenzioni dello TSAGI (all'epoca diretto da Sukhoi). Era il marzo 1933, e Polikarpov era stato appena liberato dalla prigione. La base di partenza, come è facile da notare, era lo stesso I-15, che a sua volta era il miglioramento netto dell'I-5. Già il 30 dicembre 1933 volò per la prima volta, ancora con l'M-22 da 480 hp, poi con un SGR-1820 americano (il Cyclone) da 710 hp, il 18 febbraio 1934.

Vennero presto prodotte grandi quantità di questo velivolo, senz'altro straordinari per gli anni '30, a dimostrazione dell'importanza che gli si attribuiva. Il Tip 1 venne realizzato solo in trenta esemplari, i quali avevano sì il motore meno potente, ma pesavano a vuoto una tonnellata scarsa.

Poi fu la volta del Tip 4 con il Cyclone importato; nel '36 venne prodotto il Tipo 5 con l'M-25 da 700 hp, lo stesso motore dell'I-15 di tarda produzione. Esso pesava 1.460 kg al decollo, mentre la velocità era di 395 km/h/slm e 454 a 3.000 m; poi fu la volta dell'I-16 Tip 6, che aveva una terza mitragliatrice ShKAS; il Tip 10 o 'Super Rata' aveva motore M-25V da 750 hp, 4 armi, introducendone altre due nella fusoliera, oltre alle due alari (ma non è chiarissimo, se gli esemplari biarma avessero le mitragliatrici nel muso o nelle ali); il Tip 12 aveva invece un ulteriore innovazione, i potentei cannoni ShVAK da 20 mm, sistemati nelle ali, mentre le due armi da 7,62 erano nel muso; il Tip 17 ebbe il motore M-25V, il Tip 18 l'M-62 da 830 CV turbocompresso con motore a doppia velocità; il Tip 20 ebbe 4 ShKAS e due serbatoi da 93 l ausiliari; il Tip 24, infine, aveva l'M-63 da 900 hp e ipersostentatori convenzionali anziché il tipo precedente alettone-ipersostentatore.

Non finì qui: il Tip 27 era simile al Tip 17 ma con motore M-62, il Tip 28 era simile al -24 ma con due armi da 7,62 e 2 da 20 mm; il Tip 29 aveva carello abbassato e allargato, motore M-63, cannone da 20 e due UBS da 12,7; il Tip 30 era simile al -24 con motore M-63, in produzione dal 1941.

Non mancò un I-16 con motore M-22 e funzione di attacco al suolo, il che comportava corazze protettive per l'abitacolo, 4 ShKAS e due bombe da 50 kg; ancora più impressionante era però l'I-16SPB che era un vero bombardiere in picchiata, con tanto di freni aerodinamici e il carrello con comando pneumatico, anziché meccanico come i tipi precedenti. L'I-16TK era invece turbocompresso con 494 km/h a 8.600 m. Tuttavia, tutti questi tipi rimasero prototipi. Così avvenne anche per l'I-17, un caccia con motore in linea basato sull'HS 12Y da 760 hp. L'obiettivo era una velocità di 500 km/h e il nuovo aereo, derivato dal precedente, venne pensato già nel '33, tanto che volò il 1 settembre 1934. Ma in tal caso risultò non più veloce dei tipi con motori radiali, ovvero 455 km/h. Il migliorato TsKB-19 aveva un valore di ben 485 km/h, ancora un po' poco. Venne presentato a Parigi nel '36 e a Milano nel '37 (quando gli I-16 stavano combattendo contro i C.R.32 in Spagna!). Con un cannone da 20 ShVAK e due ShKAS era senz'altro un velivolo interessante. Ve ne fu anche un tipo che tornava ai radiali GR.14K, noto come I-19 o TsKB-25. Ma tutto finì perché nel frattempo venne studiato l'I-180. Questo sfortunato aereo ebbe un paio di prototipi in volo dal 14 giugno 1938, ma precipitarono nei collaudi. Ne seguì un terzo con un radiale M-88 da 1.000 hp, febbraio 1939. Ma nonostante questo e altri sviluppi, alla fine verrà scelto un progetto nuovo, e per tanti aspetto simile concettualmente all'I-16 primigenio: il LaGG-5.


Non fu così per il biposto d'addestramento. Per quanto possa sembrare bizzarro che in un aereo così corto fosse possibile installare due abitacoli in teandem, la sua tozza fusoliera lo permetteva: UTI-1 (su base Tip 1), UTI-2 (con carrello fisso), UTI-4 (Tip 5, sia con carrello fisso che retrattile). La produzione dei biposto fu imponente, a testimonianza della difficoltà di padroneggiare nuove tecnologie come il carrello retrattile e altro ancora; ben 1.639 biposto (tutti disarmati) più 7.005 monoposto, totale 8.644 aerei. Ovvero, più di tutti gli altri caccia della sua generazione messi insieme (almeno considerando quelli al di fuori dell'URSS). Basti pensare che il CR.32, tra i più prodotti, è stato realizzato in circa 1.200 esemplari (e non 1.800 come talvolta riportato), in Gauntlet meno di 200. In Spagna giunse nell'ottobre del '36, in tutto ne vengono valutati come forniti tra appena 180 e 475. Gli I-16 combatterono ampiamente in Estremo Oriente, di cui 250 cinesi e gli altri usati dalla V-VS. I tipi cinesi erano in genere i Tip 10. Ancora nel giugno del '41 equipaggiavano circa i due terzi dei reparti della V-VS, mentre nel '43, quando vennero posti fuori servizio, erano ancora sopravvissuti circa la metà del totale prodotto, ma oramai relegati essenzialmente a bassa quota. In Spagna finirono il servizio nel '53, così come i loro ex-avversari CR.32.

I-16 Tip 10:

  • Motore M-25V a 9 cilindri radiale, 775 hp al decollo e 2.000 g.min; elica A-1 bipala metallica a doppio passo e 255 l di carburante
  • Dimensioni: 5,99 x 9 x 2,56 m x 14,54 m2
  • Pesi: 1.350-1.750 kg, carico 118 kg/m2 e 2,2 kg/hp
  • Prestazioni: 440 km/h/3.000 m, 389/slm, 5.000 m saliti in 6,9 min, tangenza pratica 8.270 m, raggio 360 km, autonomia 800 km
  • Armamento: 4 ShKAS da 7,62 mm, 2.600 cp


Caratteristiche dei vari I-16 principali:

  • Motore
I-16 Tip 1, M-22 da 480 hp
I-16 Tip 4, M-25A da 725 hp
I-16 Tip 5, M-25 da 775 hp (?)
I-16 Tip 10
I-16 Tip 17
I-16 Tip 18, M-62R da 1.000 hp
I-16 Tip 24
  • Dimensioni: circa 5,99 m, da l TIp 17 6,08; apertura alare 9 m, altezza 2,45 ma dal Tipo 18 2,56 m
  • Pesi
I-16 Tip 1, 998-1.345 kg
I-16 Tip 4, 1.266-1.422 kg
I-16 Tip 5 ,1.660 kg
I-16 Tip 10, 1.350-1.715 kg, carico 118 kg/m2, 2,2 kg/hp
I-16 Tip 17, 1.815 kg
I-16 Tip 18, 1.410-1.830 kg
I-16 Tip 24, 1.490-1.912 kg
  • Prestazioni
I-16 Tip 1, 360 km/h,
I-16 Tip 4, 450 km/h, salita 850 m.min, tangenza 9.000 m, raggio 800 km,
I-16 Tip 5
I-16 Tip 10, 440 km/h/3.000 m, salita 5 km/6,9 min, tangenza 8.270 m, raggio 360 km, autonomia 800 km
I-16 Tip 17
I-16 Tip 18
I-16 Tip 24, 525 km/h, 400 km o con 2x100 l, 700 km
  • Armamento
I-16 Tip 1, 2x7,62 alari
I-16 Tip 4
I-16 Tip 5
I-16 Tip 10 4x7,62 (650 cp per arma)
I-16 Tip 17 2x7,62 e 2x20 mm
I-16 Tip 18, come Tip 10 o 17
I-16 Tip 24, come Tip 17


Interessante è anche notare che i sovietici fossero riusciti anche ad ideare altri monoplani da caccia. Uno fu il Tupolev I-14, il primo in assoluto con caratteristiche moderne, quelle che poi troviamo nell'I-16. Inoltre era totalmente metallico con rivettature annegate per una struttura esterna molto pulita ed aerodinamica, a parte la superficie ondulata di scuola Junkers sulle ali. Solo 18 esemplari vennero realizzati, data la preferenza al più leggero I-16. Si trattava di un caccia del '33, con un motore Cyclone (M-25), dimensioni 6,11 x 11,25 x 2,74 m x 16,93 m2; pesi 1.170-1.540 kg, velocità 449 km/h a 3.400 m e tangenza 8.800 m. Pare che l'armamento comprendesse anche due cannoni da 37 mm, oltre a due da 7,62. Un altro caccia super-armato fu l'I-12 del '31, che rimase però prototipo. Aveva una doppia trave di coda con un motore centrale, e due cannoni da 76 mm senza rinculo nelle semifusoliere. Il peso era contenuto in 2.400 kg, motore GR.9AK da 525 hp, dimensioni 9,5 x 15,6 m x 30 m2, velocità 300 km/h. C'era anche l'I-Z, prodotto da un progetto di Grigorovich, ma con carrello fisso, e comunque in piccola quantità. Il successivo IP-1 e l'IP-4 furono, assieme all'I-14 (ANT-31), i rivali dell'I-16. Nonostantet qualche dubbio sull'agilità dell'aereo, venne scelto il progetto di Polikarpov. Da segnalare che sia l'ANT-31 che l'IP-4 erano caccia dotati di piani di coda sulla deriva. Specialmente il secondo dei due sembrava a tutti gli effetti un precursore del MiG-15 quanto ad impostazione generale, fermo restando l'ala diritta e il motore, ovviamente. Gli I-16 vennero mostrati già per la parata del 1 maggio 1935, ma erano ancora i Tipo 1, che non ebbero assegnazione operativa. Questa toccò ai Tipo 4 e poi ai Tipo 5, seguendo una logica che oggi è comunemente usata da aerei come gli F-16 (i famosi 'Blocks'). Uno dei primissimi Tipo 5 venne mostrato in Occidente, e persino -ottobre 1935- al Salone Internazionale di Milano. Poco dopo i primi I-16 iniziarono la loro carriera operativa con la V-VS. Ma nonostante tutto, l'I-16 passò inosservato e si vociferò che fosse un aereo americano ('Boeing'). Questo, nonostante che la sua fusoliera fosse sì a guscio, ma costruita in legno, e che il ruotino di coda non c'era, ma solo una sorta di slittino metallico. Interessanti invece gli alettoni a spacco, che con la funzione ipersostentatore si abbassavano (valva inferiore) di 15 gradi. Le nuovissime ShKAS, con 900 cp per arma, erano nelle ali, fuori dal disco dell'elica.


In azione con il Rata

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Come volava e come combatteva l'I-16? Questa è una questione molto dibattuta, data la quantità di combattimenti (Spagna, Cina, Finlandia, URSS) che lo ha visto protagonista, in genere piuttosto sfortunato, ma da non sottovalutare.

L'I-16 introdusse per la prima volta una forma di combattimento ad alta velocità, che ben si può considerare l'archetipo degli 'energy fighter'. Non che non vi fossero anche prima dei caccia monoplani; ma l'I-16 era veramente un aereo 'veloce': niente ali controventate, niente carrello fisso, radiatori ventrali di generose proporzioni ecc. La sua fusoliera era estremamente tozza e apparentemente poco aerodinamica, ma nel suo insieme, ben proporzionata e robusta. L'ala era solida, bilongherone metallica. Il carrello era retrattile, seppure ad azionamento manuale (ma inizialmente era lo stesso anche per lo Spitfire..), e così via. L'armamento comprendeva le ShKAS, mitragliatrici ultra-rapide, che rispetto a molte armi dell'epoca quasi triplicavano la cadenza di tiro, grazie alla camera di scoppio a revolver, nonostante la quale però, le dimensioni e i pesi erano ridotti.

L'I-16 entrò inizialmente in servizio con il Tip 1, una specie di macchina di preserie, ma già con il motore da 480 hp M-22 era capace di volare ad alta velocità; ma fu solo con i motori potenziati che la sua formula poté essere sfruttata, e lo fu. Il problema erano i piloti, perché non era facile far capire come si combattesse in velocità, come una sorta di FW-190 ante-litteram. Il fatto è che l'I-16 era anche molto agile e non si lasciava intimidire negli scontri manovrati con i biplani. Ma gli unici caccia monoplani capaci di primeggiare persino in questi scontri erano quelli giapponesi, e paradossalmente l'I-16, proprio per la sua agilità, rischiava di fare brutti scherzi ai suoi piloti, che erano piuttosto propensi ad accettare lo scontro con biplani inevitabilmente più lenti, ma anche più agili. Del resto anche il CR.32 era meno agile del NiD.52, ma -come anche l'He-51- sfruttava la maggiore velocità per non farsi abbattere. Il CR era più agile dell'I-16, e di qualcosina più veloce dell'I-15. Quest'ultimo era un caccia eccezionalmente agile. I piloti italiani che lo provarono in Spagna lo definirono proprio così, 'eccezionale'. I Russi che provarono i CR.32 catturati, invece, li trovarono difficili da far decollare e duri in manovra. L'I-15 era più leggero e rapido in salita -anche se inizialmente vennero mandati in Spagna, presumibilmente, solo i tipi con l'M-22-, era grossomodo altrettanto veloce, se non qualcosa di più (dipende dalle versioni) in orizzontale, mentre era più lento in picchiata, sia per la fusoliera tozza (dopo tutto era noto in Spagna come 'Chatos', naso piatto), sia perché le sue ali, prive della robustezza del sistema Warren (con montanti alari a.. W), tendevano a spezzarsi nelle picchiate più accentuate. La velocità di salita era oltremodo vantaggiosa per i caccia intercettori; quella di picchiata, invece, è un vantaggio tattico importante per i caccia da superiorità aerea, o in generale impegnati negli scontri con aerei simili. Questo è quello che si sarebbe visto, per esempio, tra l'AVG e i caccia giapponesi: mentre i Ki-27 e 43 erano certo più rapidi in salita, i P-40 potevano scappare in picchiata lasciandoli nettamente dietro. Anche in Corea, forse l'unico altro parallelo con la Spagna, le cose andarono così: l'F-86 poteva seminare in picchiata il MiG-15 (degno erede dell'I-15, nonché dello stesso I-16), mentre in orizzontale non c'era quasi differenza, e in salita (e accelerazione) il MiG superava largamente l'F-86, tant'è che mentre l'americano si buttava in picchiata per disimpegnarsi (come del resto facevano anche i caccia tedeschi), il russo accelerava e saliva in quota, tanto da arrivare in alto a sufficienza per lasciarsi indietro il rivale, e-o superarlo in agilità (specie sopra i 10.000 m).

Nel caso del CR.32 c'era una struttura robusta che aiutava a resistere a danni e sollecitazioni, e un motore a cilindri in linea che permetteva una fusoliera fine. Non è noto fino a che punto fosse in grado di arrivare in picchiata: l'anemometro arrivava a 460 km/h, ma i piloti superavano di sicuro i 500. Al di là dell'inaffidabilità degli strumenti dell'epoca, che fossero veloci era verificabile sia dalla possibilità di lasciarsi dietro gli I-15, che dalla capacità di raggiungere gli SB-2 (in volo orizzontale, se anche loro si fossero buttati in picchiata non ci sarebbe stata storia). Gli I-15 non erano tanto robusti, e gli I-153 raggiunsero un po' il limite della struttura: pare che uno di essi si disintegrò in picchiata a circa 500 km/h. Questo non vuol dire che gli I-153 non sarebbero stati un caccia superiore ai CR.32, in verità la loro salita era talmente rapida da lasciarsi indietro anche i successivi CR.42. In termini di velocità, sarebbe interessante conoscere le prestazioni dei successori del CR.32, il '42. Ma, nonostante la potenza molto maggiore, è probabile che non potessero andare molto più veloce, a causa della resistenza di una fusoliera dalla sezione nettamente più larga (motore radiale). Un paragone può essere il P-36/H-75, dalla potenza motrice paragonabile a quella di Bf-109 e Spitfire, ma nettamente più lento in picchiata data la diversa motorizzazione (radiale vs lineare).

In ogni caso, il CR.32 aveva anche altre due capacità extra: una era la potenza del motore, che permetteva di mantenere una quota maggiore di quella pratica dei caccia sovietici, il che contribuiva a sfruttare la picchiata sia in attacco che in difesa, potendo partire da quote maggiori. Certo che è strano, se si pensa che proprio l'I-15 ottenne un record di quota massima, ma in pratica le cose stavano diversamente, persino contro un caccia come il Freccia, che non era niente di eccezionale quanto a tangenza. L'altra era la presenza delle Breda-SAFAT. I CR.32 entrarono in servizio attorno al '34, quando queste non erano ancora presenti, così inizialmente ebbero solo due armi da 7,7 mm Mod 1928. Ma il CR.32bis, che seguì attorno al '35-36, era invece armato sia di due 12,7 mm, che di due 7,7 mm. Persino troppo, visto che questo gli aumentava i pesi, e le versioni successive omisero (come anche molti tipi bis) le armi da 7,7 subalari. Le Breda da 12,7 erano potenti e rispettate, con una portata utile e una distruttività notevoli. E dire che esse potevano solo essere descritte come 'inferiori' rispetto alle loro progenitrici, le Browning (+60% di potenza, nonché maggiore cadenza di tiro).

In ogni caso, non c'è dubbio che entrambi i caccia Polikarpov erano degli avversari più che degni; prima apparvero gli I-15, poi di lì a poco tempo, anche gli I-16. Questi erano più veloci in ogni condizione rispetto ai CR, ma meno agili. Per ottenere un compromesso tra velocità e agilità si penserà poi all'I-153, ma questo entrerà in servizio troppo tardi per la guerra in Spagna.

Un altro problema era l'armamento: gli I-15, pur se armati con le PV-1, erano quelli meglio messi al riguardo. Almeno dopo che raddoppiarono il numero di armi, tra l'altro con una ricca dotazione di proiettili. Le armi ultra-rapide degli I-16 avevano una dispersione elevata e soprattutto, l'aereo non era di per sé una piattaforma di tiro molto stabile, specie sull'asse longitudinale. Questo affliggeva soprattutto l'efficacia delle armi alari, sottoposte sia a movimenti di rollio che di beccheggio, e non solo a questi ultimi. Citando l'enciclopedia 'Armi da guerra': In azione l'I-16 era instabile fino al punto di diventare pericoloso. La sua guida era affaticante perché i piloti non potevano mai distrarsi, e ciò rendeva anche difficile la mira per un tiro accurato. Ma in compenso l'aereo poteva virare più velocemente di tutti i caccia del tempo, e nell'insieme offriva ottime prestazioni e manovrabilità.

L'instabilità dell'I-16 era dovuta alla compattezza, tipica più di un aereo da corsa come il Bee Gee Racer americano. Questo rendeva i piani di coda troppo vicini alle ali e al CG dell'aereo, ma come con il successivo MiG-1, si decise che il gioco valesse la candela: un caccia il più piccolo possibile per valorizzare al meglio la potenza del motore.

L'I-16, poi, non è stato solo un caccia tattico. La sua evoluzione, benché trovasse presto i limiti del progetto, fu molto ricca e variegata. Dall'addestratore biposto (il capostipite di tanti altri tipi sovietici), al cacciabombardiere d'attacco. Vi furono I-16 armati di due bombe da 250 kg, lanciati a mò di missili cruise verso obiettivi specifici, grazie al trasporto con un TB-3 appositamente attrezzato. L'esperienza delle 'portaerei volanti' sovietiche merita un approfondimento, e lo avrà. Altre esperienze, magari meno spettacolari, sono state portate avanti con questo caccia. Una è stata l'armamento di mitragliatrici ad alta cadenza di tiro, per compattare nella sua piccola cellula tutta la potenza possibile. Un'altra è stata l'introduzione di cannoni da 20 mm, poco impiegati nelle versioni iniziali dato il loro peso, ma potenzialmente micidiali e sicuramente utili per gli aerei che sarebbero venuti dopo. Un'altra ancora erano i razzi aria-aria, gli RS-75 e poi gli RS-82, anch'essi iniziatori di una formula, la reintroduzione dei razzi nel combattimento aereo (i precursori erano i tipi anti-pallone della I GM). Inoltre i sovietici sperimentarono, con entrambi i caccia Polikarpov, le corazze protettive per i piloti. Sebbene esse garantissero solo contro le armi leggere, e non sempre potessero fermare anche le Breda (qui c'era in effetti una grossa differenza tra mtg leggere e pesanti, allorché si tratta di affrontare bersagli leggermente protetti), si trattava di una notevole innovazione per i caccia. Si pensi che solo nel '40 diverrà comune la blindatura protettiva per i Bf-109, Spitfire e Hurricane.


 

Ora vediamo come l'I-16 arrivò in Spagna, e quel che ne pensano i piloti[1].

Una delle descrizioni dell'I-16 lo considera quel che era, un capolavori di semplificazione. 'Poco più di un'ala, un motore e due mitragliatrici'. Questo è quel che ne pensava Frank Tinker, pilota americano di I-16, un altro volontario che come Hemingway combatté dalla parte Repubblicana.

Questi caccia russi erano notevolmente innovativi per l'epoca, anche se la costruzione mista era semplice ed economica, senz'altro anche robusta, mentre il carrello era retrattile sì, ma con 44 giri di manovella che il pilota doveva imprimere (in che non aiutava certo i tempi di salita iniziale dell'aereo). Come già detto, nessuno sembrò interessarsi dei nuovi caccia comunisti, che pure erano già stati mostrati durante la parata del 1 maggio 1934, quando tuttavia non erano ancora in servizio. Lo furono dal '35 e presto divennero molto diffusi. Ma, ancora al loro debutto in Spagna, erano ritenuti da molti una copia del P-26. Rispetto a quest'aereo, però, la loro struttura era molto meno avanzata, o meglio, costosa, non essendo metallici ma di costruzione mista. Concettualmente erano però largamente superiori, con ala a sbalzo e carrello retrattile. Era la via per il futuro.

Per il presente di allora, i caccia che comparvero furono il Tipo 5 e poi il Tipo 6. I primi vennero scaricati ancora imballati a Cartagena, nell'ottobre del '36. Si trattava di un primo lotto di 31 apparecchi Tipo 5, che vennero seguiti da altrettanti verso la fine dell'anno. Entro l'estate successiva, ulteriori consegne arrivarono a circa 130 apparecchi. Nell'immediato, vennero presto costituite tre squadriglie di I-16, raddoppiate nell'anno successivo: inizialmente ebbero 12 aerei di linea e tre di riserva; poi questo lusso calò e si ridussero in tutto a solo 9 esemplari. Le tecniche dell'epoca erano ancora basate sulle formazioni a tre aerei, per cui ogni squadriglia aveva tre sezioni, ciascuna formata da capopattuglia e da due 'punti', o se si preferisce, guardiaspalle. Quando i piloti spagnoli e internazionali cominciarono ad affluire a queste unità, i capi restavano russi, mentre i 'novizi' facevano i gregari. I primi spagnoli vennero addestrati a Kirovabad e presero servizio nel luglio del '37. I piccoli caccia erano usualmente dipinti in verde oliva sui lati e superiormente, azzurro chiaro sulle superfici inferiori, nero nel muso (ma non sempre), rosso per le estremità alari e la fascia di fusoliera, spesso anche la bandiera repubblicana aveva i suoi colori dipinti in coda. Noti dal maggio del '37 come CM (Caza Mosca), questi caccia erano sempre più importanti per i Repubblicani, soprattutto dopo il debutto del Bf-109, che chiamava per macchine ad alte prestazioni, e soprattutto, capaci di scortare gli SB-2.

Quanto al nome, Mosca era quello assegnato dai repubblicani, ma per i Nazionalisti era noto come Rata, sorcio, per via che i suoi stormi apparivano come i branchi di topi che sbucavano dai canali. I sovietici lo chiamavano Ishak, che vuoli dire asinello, ma non tanto per la sua forma un po' da 'pony' più che da cavallo da battaglia (anche per l'epoca era un velivolo davvero minuscolo), ma per via della similitudine di pronuncia con il 16 in russo.

I primi Moscas erano i Tipo 5, con motore M.25 da 700 hp e capaci di 450 km/h. Avevano solo due armi, che notare bene, non erano nel muso come ci si potrebbe aspettare (in genere quando ce ne sono solo due, sono sempre 'lì'), ma nelle ali. Questo rendeva piuttosto imprecisa la mira, che si poteva fare tra l'altro con diversi tipi di mirini a cannocchiale o a reticolo libero, e nonostante che le armi di per sé fossero molto precise. La cadenza di tiro, almeno 1.500 c.min, era per l'epoca scioccante e queste armi erano considerate qualcosa di più di una normale arma della categoria: come la MG42 diverrà in seguito nota come 'sega di Hitler', anche queste armi (persino superiori come cadenza di tiro) non mancavano di colpire. Laddove le vecchie mitragliatrici sparavano in maniera simile al latrato di un cane, queste tiravano ad una velocità tale da crivellare qualunque cosa trovassero di fronte. Erano definite 'rabbiose'. E nonostante la loro potenza, molto affidabili in azione, pressoché esenti da inceppamenti di sorta (che invece non mancheranno di affliggere anche le pur affidabili SAFAT). Ma, un po' per il consumo di munizioni, un po' per l'inevitabile surriscaldamento (specie nel clima ispanico), le raffiche erano da limitarsi a 3-5 secondi. Ad alcuni piloti piacevano, erano considerate capaci di 'segare un aereo a fette'. Molti però rimarcavano il fatto che non c'era modo di abbattere gli aerei da bombardamento, specie quelli tedeschi (totalmente metallici), o che il raggio di tiro utile fosse di una trentina di metri, o che bisognasse mirare alla testa del pilota nemico per ottenere un risultato pratico.

Il Mosca, se ben pilotato era capace di sopraffare i rivali. Ma se si metteva a duellare con il CR.32, allora la maggiore agilità del biplano si trasformava in 'veleno' per l'I-16. L'abitacolo dell'aereo era chiuso, ma ai piloti non piaceva molto questa soluzione, che penalizzava la velocità e l'uscita in emergenza. Da notare che il tettuccio si apriva scorrendo in avanti e non all'indietro, il che non era certo ideale per l'abbandono in velocità. Così i piloti, in genere, lasciavano aperto l'abitacolo, ma questo non mancava di causare loro l'inalazione dei gas di scarico, dato che i tubi erano sistemati ognuno per un cilindro, anche nella parte superiore del muso. L'I-16 Tipo 6, consegnato in una trentina di esemplari, era provvisto fin dall'inizio di abitacolo aperto, nonché di motore M.25A da 750 hp. Ma anche il peso aumentava e così il vantaggio era poco sensibile.

Per ottenere un risultato maggiore venne fornito il Tipo 10 o 'Supermosca'. Era stato necessario in quanto dal luglio del '37 i Tedeschi uscirono finalmente dall'impasse, allorché ai loro He-51 (apparentemente paragonabili ai CR.32, in realtà, malgrado un carico alare inferiore e una potenza maggiore, decisamente inferiori rispetto a questo e all'I-15). Era pronto già dall'inizio del '38. L'esame della sua struttura lo mostra più semplice di quanto non si possa immaginare, l'uso di profilati metallici, anche per una parte delle centine, lo rende più attuale delle analoghe soluzioni impostate per i Macchi 205 di 4 anni successivi. Il motore M-25V era capace di maggiore potenza, purtuttavia l'aereo era anche più pesante dei predecessori e così continuava a perdere in agilità. Ma nell'insieme era chiaramente un passo in avanti, a cominciare dalla presenza di altre due armi nel muso. Inizialmente queste erano PV-1, proprio perché sincronizzare il tiro delle ShKAS con l'elica (che pure era solo una bipala) era difficile. Questo significa che le due armi alari erano disposte a distanza dall'asse dell'aereo, sparavano fuori dal disco dell'elica, ma al contempo perdevano in stabilità di tiro (l'I-16 ondeggiava con facilità). Questo rendeva possibile sparare con 4 armi anziché due, ma la leva di comando aveva 4 bottoni, ognuno associato ad una mitragliatrice, nonché una per sparare con tutte, che poi era quella usata in combattimento. L'I-16 Tip 10 aveva una diversa disposizione dei tubi di scarico, così si teneva di conto dell'abitacolo aperto, evitando di affumicare il pilota al decollo. Poi c'era la corazzatura protettiva, verificata da uno dei piloti, tale Luis Sirvent. Prese una piastra dei sedili, caricò il fucile Mauser (un'arma dotata di notevole potenza penetrante anche per la sua categoria) con 5 proiettili perforanti, e sparò da 20 metri. Il risultato era confortante: tutti e 5 si erano schiacciati contro la piastra senza passarla. Questo significa che le Breda da 7,7 e le MG-15 o 17 da 7,92 mm non potevano passare le protezioni, anche se queste erano relativamente limitate in estensione. Le Breda da 12,7 avrebbero potuto ancora farcela, ma non da grande distanza.

L'acciaio sovietico era di qualità, meno validi gli alettoni-flap, ora che l'aereo era più pesante. Erano scarsi in efficacia, pur essendo estesi per tutta l'ala. Ma ora che l'aereo si era appesantito, diventavano quasi inuti e spesso nemmeno venivano usati. L'atterraggio era fatto a 160-180 km/h, oggi sembra uno scherzo, ma all'epoca no, e i campi d'aviazione (in genere sterrati o a prato) non erano certo dalle superfici perfette. Se l'aereo si impuntava in qualche ostacolo, si ribaltava e ammazzava il pilota (un po' come i primi P-26). Così l'ordine era chiaro: se c'erano problemi (danni in combattimento, ferite al pilota ecc) si doveva atterrare senza estrarre il carrello, frenando col ventre del caccia. L'I-16 non disponeva di struttura anti-cappottamento e questo era l'unico modo per non rimetterci il collo.

Tutta la fornitura di I-16 è stata costituita, in Spagna, da circa 130 Tipo 5, 30 Tipo 6, 120 Tipo 10. Non è assolutamente certo, e vi sono anche dati che parlano di 180, come di 475. Il numero di serie progressivo più alto conosciuto è il CM-276. Così il Mosca non sarebbe stato un po' più numeroso dei 380 (o più probabilmente, oltre 400) CR.32, ma assai meno diffuso.

In volo, malgrado tutto, l'I-16 si faceva rispettare: un vero gioello: fantastico per il combattimento rapido, delizioso per il combattimento acrobatico, salita ecc, tranne che per l'armamento. Questo secondo Miguel Sanz. Andrés Fierro, che si è accreditato ben 6 Bf-109 e 3 CR-32, abbattere da parte di un singolo I-16 un bombardiere era pressoché impossibile, specie contro quelli tedeschi, interamente metallici, come il Do-17 e l'He-111. Mentre esistevano dimostrazioni di abbattimenti contro l'S-79, di struttura mista. In effetti vi sono dati che dimostrano il contrario, i bombardieri tedeschi erano indubbiamente meno vulnerabili, ma erano anche più lenti e meno armati.


Contro i Bf-109 l'abilità del pilota poteva fare la differenza. In termini di maturazione, l'I-16 era già un progetto collaudato, il Bf-109 nella sua infanzia. Era potenzialmente superiore, ma non ancora al livello degli anni successivi.

Uno dei piloti spagnoli, Tarazona, definisce il Bf-109 come bello, snello ed elegante. Ma l'I-16 è 'tozzo, virile, forte'. E Tinker avrebbe preferito l'I-16 al Bf-109 per un duello aereo. Pare che i Bf-109B non fossero superiori agli I-16, meno armati, agili e robusti (niente corazze), erano superiori solo per via della tangenza e della velocità un po' più alta. I Bf-109C e D raddoppiavano le mitragliatrici e introducevano il motore a iniezione, buono per l'accelerazione in picchiata; ma i supermosca non erano inferiori.

Forse questo giudizio può sorprendere. Ma c'è anche da aggiungere quello del collaudatore più celebre tra i 'moderni' che si sono cimentati con i 'classici'. Mark Hanna, compianto esperto di aerei storici (morì anni fa durante un ennesimo volo) ebbe il privilegio di provare in volo I-15 e I-153 ricostruiti, e il suo giudizio, al di là di problemi di dettaglio, è stato lusinghiero. È possibile ricostruire la 'rinascita del Rata' grazie ad internet, una storia molto interessante: [2]. Il Rata e l'I-153 sono stati ricreati in piccola serie, grazie all'uso dei motori radiali che adesso sono gli ASh-62. Si è scoperto qualcosa anche grazie a quest'esperienza. I Rata e ancora di più gli I-153, nonostante il naso così piatto, hanno dimostrato di avere una maggiore spinta dai gas riscaldati di quanto sia la resistenza data dal loro muso piatto, e anche per questo sono macchine così veloci. In generale, hanno conquistato pienamente il rispetto di chi ne ha curato la ricostruzione e li ha provati in volo. Mark Hanna ha riportato diversi dati interessanti. Per esempio, che lo stallo, ancorché a velocità abbastanza elevate per un velivolo da 2 t (130-140 km/h) è gentile e non causa problemi di uscita (differentemente dall'I-153, che è l'esatto contrario: entra in stallo con estrema difficoltà, ma è difficile uscirne). Il rateo di rollio è eccellente, 100-120 gradi/s, grazie alle corte e tozze ali (pesantemente raccordate sul bordo d'uscita con la fusoliera, un po' all'incontrario di quel che si fa attualmente con gli aerei); così lo è quello di beccheggio e in generale, l'aereo è delizioso in acrobazia, oltre a dare un'impressione di velocità eccezionale quando visto da terra (essendo lungo appena 6 metri). La retrazione del carrello è possibile, ma con 44 rotazioni dell'apposita manovella. Decollo in circa 270 m, atterraggio in circa 450 anche senza usare i freni. E come macchina bellica, Hanna si era fatto un'idea precisa: [3]

How do they compare with other WW2 fighters? Well, I believe, very favourably with some of the other aeroplanes. I had just flown a Hurricane for the first time, a week before ..and sorry to Hurricane aficionados, but I was really surprised and disappointed in the aeroplane's handling and performance (although very interesting and lovely to fly the type). I felt that you would be better off fighting in a Rata. At any rate I felt quickly far more comfortable in it.. In air combat against early low powered 109's, I would suspect that the two aircraft were very comparable. Later variants of the Messerschmitt would easily be able to dictate the fight against the Rata due to the 109's superior speed and vertical performance.

Quindi, non solo gli I-16 erano preferiti secondo l'opinione dei piloti repubblicani ai Bf-109B, ma secondo Hanna, sarebbero stati pienamente preferibili anche ad un altro famoso 'Classe 1935', l'Hurricane, il quale, seppure gradevole da volare, è stato una delusione quanto a prestazioni e maneggevolezza. Niente male come riconoscimento, diretto o indiretto, alla qualità del 'Rata', o meglio ancora del 'Mosca', o ancora Yastrebok (falchetto, primo soprannome russo) o infine Ishak (soprannome degli ultimi tempi, quando era oramai superato). Del resto, nonostante il generale disfacimento dell'organizzazione militare repubblicana, qualcuno degli ultimi Bf-109E venne spedito al suolo dai Rata, ultimi di una lunga serie di macchine nazionaliste. Serie senz'altro più congrua se solo si fossero adottate tecniche di combattimento più efficaci e valevoli per questo caccia così innovativo.

Diversamente dagli I-16, i Bf-109 volavano in coppie, almeno a partire da una certa epoca, e questo tatticamente li avvantaggiava. Da alta quota si buttavano sugli I-16, magari controsole, e poi si sganciavano in picchiata. Gli I-16 rispondevano così: se vedevano il Bf-109 venire giù, dovevano salire dritti verso di lui in rotta di collisione. Questo voleva dire o far virare il Bf-109 per evitare la collisione, e sparargli mentre mostrava il 'bersaglio grosso' (pianta alare) oppure coinvolgerlo in un duello manovrato, dove gli I-16 erano superiori. E non solo, erano anche più numerosi nella maggior parte delle occasioni in cui si presentarono sul campo di battaglia.

Ma questo non bastava ad evitare che il Bf-109 possedesse l'iniziativa. Così i meccanici spagnoli la presero con un ordine per 25 motori Cyclone, americani originali. La 4a Squadriglia ebbe così gli I-16 con motore capace di salire a 8.000 m di quota, combattendo contro i loro avversari in un regime di parità. I 'Nariz Fria' (naso freddo) ebbero l'ogiva dell'elica bianca, e dato il respiratore necessario, la squadriglia era anche nota come quella del 'biberon'. Comandata da Tripa A (A. Arias Arias) combatté con onore persino contro gli ultimi, e formidabili, Bf-109E. Nonostante che, anche per alleggerirsi, tornassero alle sole due armi alari. Queste dovevano essere riscaldate, o altrimenti l'olio lubrificante avrebbe gelato a temperature anche di -40 gradi. Uno dei meccanici della squadriglia riuscì nell'intento con dei tubi di aria calda portati dagli scarichi alle armi alari.


Riassumendo le caratteristiche dei Rata spagnoli:

  • Dimensioni: tutti 9 m di apertura alare, lunghezza 5,9 m per i Tipo 5, 5,99 m per tutti gli altri
  • Pesi: Tipo 5, 1.460 kg; T.6, 1.660 kh; T.10, 1.710 kg, N.Fria, 1.800 kg
  • Prestazioni: Tipo 5, 454 km/h, tangenza pratica 5.200 m, autonomia 8.200 m; Tipo 6, 440 km/h, 5.000 m, 810 km; T.10, 444 km/h, 6.000 m, 800 km; N.F: 465 km/h, 8.000 m, 800 km

Dopo la guerra restavano diversi Rata, almeno diverse dozzine. L'Ejercito de l'Aire, formatosi nel '39, li inglobò e servirono inizialmente nel Grupo 28, dove erano presenti anche i CR.32. Questo gruppo era nelle Baleari. Non solo, ma la fabbrica locale SAF-15 aveva anche iniziato a produrre i Supermosca partendo da parti di aerei rottamati e costruendo quanto mancava. Alcuni di questi velivoli vennero resi disponibili entro la fine delle ostilità. Erano noti come CH (Caza Hispano) e rappresentarono una nuova epoca per l'industria spagnola. In tutto i Rata disponibili per l'aviazione riunificata arrivarono a circa 50 e in seguiti passarono al Grupo 26 di Siviglia come C.8.

Ironia del destino, vennero ampiamente utilizzati nei combattimenti aerei simulati contro gli stessi, vecchi CR.32, nonché in film celebrativi dei nazionalisti di Franco, e persino come scorta di aerei VIP quali (1948) l'aereo di Evita Peron. L'ultimo Rata, il C.8-25, venne radiato dalla scuola caccia di Moron nel novembre del '53. Più o meno in contemporanea con i CR.32.

In URSS le cose andarono diversamente, ma come già accennato, gli I-16 erano ancora molto numerosi all'inizio della guerra e continuarono a combattere per un paio d'anni, consumando le proprie forze residue contro una scatenata Luftwaffe, nonché contro altri suoi alleati: Finlandesi (G.50 e Buffalo), Rumeni, Ungheresi (che ottennero sugli I-16 varie vittorie con i Re.2000 e con i CR.42, questi ultimi pressoché analoghi in velocità). Ma non sempre gli I-16 erano carne da cannone.


Il programma per le portaerei volanti, così fallimentare negli USA con i dirigibili Akron e Macon, in URSS ebbe un diverso sviluppo. Infatti, piuttosto che usare i dirigibili, si preferì affidarsi al 'più pesante dell'aria', perché i Sovietici avevano una delle poche, forse la sola, forze di efficienti quadrimotori degli anni '30. Questi erano i Tupolev TB-3, resistenti e robusti aerei metallici, non solo capaci di portare un gran carico utile, ma anche affidabili. E soprattutto, ce n'erano moltissimi: ne vennero prodotti più di 800, il che, assieme ai leggeri SB-2 bimotori da attacco veloce, faceva della V-VS una potenza irraggiungibile quanto a capacità di bombardamento. In pratica, gli SB-2 erano equivalenti degli F-111, i TB-3 dei B-52, e poi i DB-3 (bimotori, ma strategici e veloci quasi quanto gli SB-2) che si potrebbero considerare un po' i B-58 o i Tu-16 della situazione, dipende da come si vuol impostare il parallelismo. Tutti questi tipi cominciarono ad invecchiare (come un po' tutti i velivoli della metà anni '30) verso la fine del decennio, ma fornirono una solida esperienza per i progetti successivi, e per la grande famiglia di Tupolev da bombardamento strategico. I TB-3 vennero anche usati come aerei-portaerei. Si arrivò ad un tale parossismo, che un singolo apparecchio era caricato con più velivoli monomotori. Era il progetto 'Sweno' (catena) che inizialmente era stato pensato nel 1930 con un TB-1 e due I-4, collaudati dal tardo 1931. Ma questo era ancora un bimotore, mentre dal '33 apparve il quadrimotore TB-3. Quest'ultimo aereo, costruito con tecniche Junkers in solido metallo, poteva portare due I-5 sopra le ali (stranamente non vennero considerati gli I-15), due I-16 sotto, e tra le gambe del carrello un I-Z monoplano. Alla fine, l'unico impiego pratico che se ne poté fare fu il 'vettore' per missili cruise ante-litteram. Grazie allo sviluppo del Polikarpov I-16 SPB, si ottenne un cacciabombardiere d'attacco in picchiata capace di portare due bombe da 250 kg sotto le ali. Questo minuscolo caccia diventava quindi capace di trasportare un rilevante carico di bombe, ma era necessario colpire obiettivi che fossero vicini. Oppure portare l'aereo vicino a loro. Così durante la prima fase dell'invasione tedesca vi furono diversi casi in cui due I-16 vennero portati appesi sotto le ali del bombardiere, come 'postini' per recapitare quattro bombe da 250 kg. L'ultima missione di cui si ha notizia fu un attacco da parte di un aereo TB-3 contro il ponte di Cernovoda, sul Danubio. I due I-16 sganciati nelle sue vicinanze si approssimarono sul bersaglio, e le loro minuscole e veloci sagome passarono inosservate finché fu troppo tardi: il ponte venne distrutto. E i due I-16, ancora con sufficiente carburante, tornarono alla base assieme al bombardiere (non è chiaro se riagganciandosi sotto le ali oppure no). Così 'L'aereo portaerei' divenne non un mezzo difensivo per portarsi dietro caccia di scorta, ma una realtà di natura offensiva e notevolmente efficiente. Tutte le missioni volate da aerei lanciamissili, in definitiva, discendono da quelle esperienze primitive ma valide, solo che nel frattempo ai cacciabombardieri pilotati si sono preferiti o il rifornimento in volo (un altro modo per risolvere il problema, in fondo è sempre un aereo di grosse dimensioni che fornisce l'autonomia ad un piccolo cacciabombardiere) oppure i missili da crociera come gli ALCM.


L'A5M: il 'papà' dello Zero

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Frutto del lavoro di Jiro Horikoshi, che diverrà in seguito ben più noto per l'A6M Zero, questo caccia navale era il primo in assoluto che poteva confrontarsi in condizioni di superiorità rispetto agli equivalenti terrestri. Aereo con carrello fisso, ma estremamente 'pulito' in termini di aerodinamica, con una carenatura per la testa del pilota onde diminuire la sezione della lunga fusoliera posteriore, esso aveva struttura interamente metallica con rivettatura a filo e rivestimento a guscio, per ottenere un peso strutturale inferiore (se il rivestimento esterno era sufficientemente spesso, calava il peso della struttura di sostegno interna). Il prototipo dell'A6M volò già nel febbraio del 1935, e all'epoca non c'erano forse altri caccia altrettanto moderni già in aria, anche perché gli I-16 delle prime generazioni erano ancora ancorati ai motori M-22, dalla scarsa potenza. In tutto vennero prodotti 982 A5M in 4 versioni principali; solo una aveva il tettuccio scorrevole, che i piloti giapponesi -al pari di altri- odiavano, tanto da toglierlo ben presto dagli apparecchi in produzione. Per il resto era un caccia estremamente moderno: radio, luci per il volo notturno, ossigeno. L'elica di serie (tripala metallica) però, aveva un passo regolabile solo a terra. Ma nonostante questo (chissà cosa sarebbe stato in grado di fare con un sistema a giri costanti), il 'Claude' (come fu chiamato in seguito dagli americani) era un aereo sorprendentemente veloce sia in orizzontale che in salita, pur avendo solo 780 hp di potenza, per giunta assicurati da un robusto, ma largo, motore radiale Nakajima Kotobuki (ovvero un Bristol Jupiter su licenza) a 9 cilindri. Era lo stesso motore che poi motorizzerà il successivo (circa un anno) Ki-27, il quale era capace di prestazioni persino migliori: 470 km/h vs 434 (A5M4), salita a 3.000 m in 3 minuti anziché 3,6, tangenza 12.500 m anziché 9.800, nonché un'agilità persino superiore. Ma l'A5M, circa 100 kg più pesante a vuoto (a pieno carico erano grossomodo alla pari) era capace di una maggiore autonomia ed era eccezionalmente robusto, ben più di quello che sarebbe stato il suo più potente successore, l'A6M. Inoltre, sebbene un po' inferiore al Ki-27 dell'esercito, era eccezionalmente maneggevole, tanto da competere in condizioni di parità con i biplani pur conservando una superiore velocità, mentre al contempo era altrettanto veloce dei monoplani Polikarpov pur essendone più agile.

 
Anche se può stupire, l'esordio dell'asso Saburo Sakai non fu con lo Zero, ma con il 'Claude'

L'A5M entrò in azione sulla Cina dal '37, e tra l'autunno di quell'anno e il 1940 ebbe modo di farsi valere. Dal sito Hakas Aviation si nota che gli A5M hanno dichiarato non meno di 237 vittorie aeree durante la loro carriera sulla Cina. Anche se i riscontri incrociati riducono questi risultati -con tutte le prudenze del caso- a 83 successi reali, grossomodo tutti contro altri caccia (e quindi bersagli difficili), dall'altro lato solo 24 A5M vennero perduti per causa nemica: davvero ben pochi avversari, quindi, riuscirono a collimare le loro armi su di loro. E talvolta nemmeno questo bastò. Un A5M venne sorpreso da un caccia cinese che gli sparò a segno non meno di 22 colpi da 13 e 7,7 mm. Le pallottole rimbalzarono letteralmente sulla fusoliera posteriore dell'aereo, che appena resosi conto di quanto stava avvenendo, virò stretto e si pose in coda al suo aggressore, abbattendolo prontamente. Un altro A5M entrò in collisione con un I-15 o un I-16: l'aereo russo cadde, ma quello giapponese riuscì a rientrare alla base senza una semiala. Insomma, benché mancasse di corazzatura protettiva, l'A5M era davvero un nemico molto 'tosto', e certamente fuori dagli standard delle costruzioni giapponesi.

Ma al di là dei risultati in combattimento aereo, l'A5M fu fondamentale per ridurre la strage di bombardieri giapponesi che i caccia cinesi riuscivano, anche con velivoli piuttosto obsoleti, a causare. I G3M erano efficaci e dalle capacità avanzate, ma non erano molto veloci e nemmeno il loro robusto armamento difensivo non riusciva a proteggerli, specie se volavano a bassa quota. Per l'A5M il peggior nemico era senz'altro il Rata (I-16), specie degli ultimi tipi con 4 armi, e pilotati da esperti aviatori sovietici (magari appena rientrati dalla Spagna). Non erano agili quanto l'A5M, ma potevano combattere apprendendo finalmente l'efficacia degli attacchi ad alta velocità, sfruttando appieno la loro potenza di fuoco, per poi disimpegnarsi. L'unico problema dell'A5M qui era proprio la carenza di armamento: le due 7,7 mm erano ancora armi classiche, con volume di fuoco limitato a circa 600 c/min. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, bastarono allo scopo, in genere abbinate al collimatore a cannocchiale Tipo 89-1. Per aumentare l'autonomia, affidata a 4 serbatoi alari per 346 litri (2x104 e 2x69 l esterni) ben presto comparvero serbatoi ventrali da 160 e poi da 210 litri, con i quali si potevano superare i 1.200 km di autonomia. Ma nemmeno questi erano sufficienti e così la soluzione 'finale', meglio armata, più veloce e con maggiore autonomia, fu l'A6M.

Già il 22 agosto 1937 il nuovo caccia entrò in azione sulla Cina; il 3 settembre ottenne un successo significativo con l'abbattimento di tre Curtiss Hawk. Questi primi aerei operavano dalla KAGA e da terra con il 13° Gruppo. Tra il 19 e il 25 settembre vennero dichiarati circa 20 aerei nemici e al contempo, soprattutto, consentirono ai bombardieri di volare liberamente sui bersagli, devastando città e installazioni militari. Può sembrare paradossale, ma per varie ragioni, le operazioni nell'entroterra cinese furono inizialmente più un affare della Marina che dell'Esercito, ancora privo di aerei idonei (come i Ki-21 e 27). Dall'ottobre del '37 giunsero anche i Sovietici e così si accesero presto violente battaglie aeree. Il 18 febbraio 1938 vide 15 G3M e 11 A5M scontrarsi con circa 30 I-15 e 16, con la perdita -secondo una fonte, ma i risultati sono controversi- di 5 russi, 4 A5M e vari G3M; il 29 aprile ben 67 Polikarpov vennero mandati ad intercettare 18 G3M e 27 A5M di scorta. SI parla di 2 G3M e 2 A5M perduti, secondo le fonti giapponesi. I difensori sino-russi invece se ne accreditarono 21, 11 bombardieri e 10 caccia, con 50 aviatori uccisi e due prigionieri. A sua volta i giapponesi si accreditarono non meno di 40 caccia nemici, mentre pare che le perdite sino-russe furono di 11 in tutto. Gli A5M furono quindi protagonisti di una superiorità che-per quanto sofferta- divenne molto concreta e penalizzante per i Cinesi: entro il '38 la Marina giapponese ammetteva la perdita in azione di 111 aerei e 3.600 sortite di guerra con oltre 60 mila bombe lanciate; i 'Nordisti' con sovietici e cinesi uniti, eseguirono 3.200 missioni circa, sganciando 519 t di bombe e perdendo 202 aerei, in larga misura sotto i colpi dell'A5M. Solo quando iniziarono le missioni strategiche contro Chungking gli A5M apparvero inadeguati, ma pochi mesi dopo giungeranno gli Zero a dare la risposta adatta, spazzando via quello che restava dell'aviazione cinese[2].

 

Questo è un altro caccia fondamentale per il Giappone, nonché uno dei più prodotti. Condivideva con l'A5M, apparso un anno prima, alcuni limiti. Il motore Jupiter su licenza e le due mitragliatrici a basso rateo di fuoco (circa 600 c.min, il che significa che un I-16 poteva superarlo di almeno 4, forse 5 volte). La sua costruzione era estremamente leggera, e la sua capacità di salita, così come quella massima, era eccellente, nonostante l'esile carrello fisso. Quest'ultimo aveva forme sottili che lasciavano intuire la sua principale caratteristicha, la leggerezza estrema (1.110 kg a vuoto) che era necessaria per ricavare il meglio delle prestazioni da un aereo altrimenti sottopotenziato. Differentemente da quasi tutti i caccia dell'epoca, il Ki-27 aveva un abitacolo chiuso con un'eccellente visibilità tutt'attorno, e così (anche se spesso i piloti volavano con il tettuccio arretrato) fu una delle prime applicazioni pratiche di questo dispositivo (mentre nel caso degli A5M esso venne rimosso appena possibile). Del resto, il Ki-27, che aveva un carico alare eccezionalmente basso, era così leggero da superare i 12.000 metri di quota, così era assolutamente necessario fornire il pilota di una qualche forma di protezione dal contatto diretto con l'atmosfera. Sarebbe stato anche preferibile, per quelle quote, un abitacolo pressurizzato, ma ciò avrebbe comportato un aggravio di peso eccessivo, e poi il 'Nate' (nome in codice alleato) in genere volava e combatteva assai più in basso: l'esuberante portanza era così sfruttata più che altro per ridurre il raggio di virata, e in generale ad un comportamento in volo che risultava paragonabile a quello dei suoi avversari biplani pur conservando una maggiore velocità.

Essendo apparso nel '36, il Ki-27 era coevo del Bf-110 e dello Spitfire, e precedeva di un anno il G.50 e il C.200. Non si poteva dire che questi fosse una macchina destinata ad una lunga carriera operativa, vista la rapidità del progresso tecnico dell'epoca e la presenza di alcuni nuovi protagonisti (Bf.109 e Hurricane) già volanti da tempo. Eppure, come si dirà poi, avrà un notevole successo e longevità.

Dal '38 un gran numero di Ki-27 entrò in azione sulla Cina e fece piazza pulita degli avversari, trovando un ostacolo serio solo durante la guerra -non dichiarata- estiva con l'Unione Sovietica (Incidente del Nomohan). In quell'occasione, nella quale finalmente la V-VS scese ufficialmente in campo (prima ebbe una lunga tradizione di 'volontari' affiancati all'aviazione cinese), entrambe le parti si combatterono con perdite elevatissime. I Sovietici erano inizialmente meno esperti, ma sopravvivendo alle battaglie fecero valere la loro superiorità numerica, mentre i Giapponesi non avevano riserve sufficienti. Infine, la presenza degli ultimi tipi di I-16 si dimostrò una dura realtà per i giapponesi, così come l'esordio dell'I-153, biplano da caccia quasi veloce quanto i monoplani e ben armato. Ma forse, anche più pericolosa fu l'azione dell'SB-2 (aereo che poi ispirerà il Ki-48), un bombardiere tattico veloce e difficile da contrastare, che era capace di azioni anche solitarie (come gli interdittori moderni, quali il Tornado IDS) tanto era veloce ed elusivo. Alla fine i Giapponesi furono costretti a cedere, soprattutto dopo la disastrosa offensiva scatenata a terra da Georgy Zukhov, che con perdite accettabili (10.000) stritolò il meno equipaggiato esercito nipponico (50.000 perdite in pochi giorni di offensiva). Paradossalmente, questo fu il primo esempio di Blitzkrieg, ma passò totalmente inosservato in Occidente, dove invece tale forma moderna di combattimento verrà applicata con altrettanta efficacia dalla Germania appena pochi giorni dopo (contro la Polonia). In tutto, il sito Hakas biplane riporta battaglie nelle quali il Ki-27 ebbe solo quattro perdite in combattimento, dichiarando 50 vittorie, delle quali tuttavia solo 16 parrebbero confermate. Al solito, non è possibile scendere molto nel dettaglio e calcolare adeguatamente il rapporto 'abbattimenti-perdite', e certamente non tenendo in acconto delle rivendicazioni di entrambe le parti. Tutto questo però non comprende il cosiddetto 'Incidente di Nomohan', una guerra non dichiarata nella quale si registrarono i maggiori scontri aerei mai combattuti fino allora.

I Gruppi da caccia N.1, 11, 24, 59 e 64°, impegnati negli scontri con i sovietici si diedero indubbiamente molto da fare, tanto che il 15 settembre, dopo diverse settimane di battaglia, pare[3] che i sovietici avessero perduto 202 aerei, mentre i giapponesi si limitarono a 'soli' 162. Una gran parte degli aerei russi caddero sicuramente per mano dei Ki-27, così questi risultati non vengono presi in considerazione dal sito Hakas, che è focalizzato piuttosto nello scontro tra Cina e Giappone, e poi nell'intervento americano; delle battaglie di Nomohan, invece, nessuna traccia.

Dopo di che, tra i due Stati vi sarà pace fino al '45 (URSS e Giappone infatti rimasero neutrali, nonostante le alleanze). Il Ki-27 fu protagonista di battaglie aeree ravvicinate con notevole successo. Mancava della robustezza e anche dell'autonomia dell'A5M, ma era anche più veloce e si batté molto bene, grazie anche ai piloti oramai esperti. Così, finalmente, venne posta fine all'epoca dei biplani da caccia con le F.A. giapponesi, l'ultimo dei quali fu l'ottimo Ki-10 (400 km/h, grossomodo equivalente al Gladiator). I Ki-27 ebbero un grande successo e l'ultimo di 3.396 esemplari venne prodotto nella primavera del '42. Dal successo del Ki-27, dovuto alla costruzione interamente in lega leggera, deriverà il suo successore, il Ki-43, con un motore più potente e il carrello retrattile. Nonostante la sua eccellente maneggevolezza, subì le critiche dei piloti che lo paragonavano sfavorevolmente al suo predecessore, tanto che dovette subire varie modifiche che ne ritardarono l'impiego. Entrambi si ritroveranno a combattere contro l'AVG e le forze aeree Alleate; anzi, inizialmente il Ki-43, pure inferiore nell'insieme allo Zero, sarà presente solo in una quarantina di esemplari (anziché oltre 300 come per l'equivalente della Marina). Così, mentre l'A5M venne usato sporadicamente e solo all'inizio della guerra, il Ki-27 era ancora il principale caccia dell'Esercito e dovette affrontare aerei ben più robusti come gli Hurricane, P-40 e Buffalo. Nonostante il suo ridotto armamento, inizialmente ebbe successo, ma ben presto, nonostante i suoi esperti piloti, risultò penalizzato in combattimento. La chiave del successo, al solito, fu quella di non combattere come l'avversario combatteva: ovvero evitare gli scontri ravvicinati e far valere appieno velocità e potenza di fuoco, cosicché i 'Nate' risultarono abbattuti in gran numero dai P-40 delle 'Tigri Volanti'(AVG).

Non che il Ki-43 fosse nettamente superiore: leggermente meno agile, altrettanto (poco) armato, appena più veloce (495 km/h), ma se non altro offriva un certo margine di sviluppo. L'evoluzione dei caccia Nakajima arriverà fino al Ki-84, ma nell'insieme, come anche altre 'dinastie' (per esempio, Seversky/Republic) restando abbastanza simili al piccolo e riuscito Ki-27: muso piuttosto grosso, fusoliera molto allungata e snella, abitacolo con montanti leggeri ed eccellente visibilità, ali di notevole superficie e piani di coda rimasti quasi identici nella forma e angolazione delle superfici.

Gli ultimi 'Nate', oramai relegati (dopo il '42) a compiti secondari e d'addestramento, erano ancora in servizio alla fine della guerra. Alcuni di essi -oltre a qualche raro A5M- verranno anche spesi in azioni kamikaze nel '45, accompagnando così l'Impero in tutta la sua parabola discendente: dal momento più alto, alla rovina finale.


Può sembrare strano, ma negli anni '30, ad un certo punto, gli aerei da caccia più interessanti erano quasi tutti nell'Europa orientale. C'era la famiglia dei Polikarpov, sia biplani che monoplani; quella degli Avia, biplani dalla notevole potenza; e i PZL polacchi, che erano qualcosa di diverso dalle altre configurazioni.

Del resto, all'epoca del primo dopo-guerra c'era davvero poca voglia di innovazione. La I GM era finita prima che i monoplani -che pure inizialmente dominavano i cieli- riuscissero a ritrovare la loro ragion d'essere, nonostante l'avanzato Fokker VIII, alquanto sottopotenziato (è forse l'aereo ricostruito nel film 'La caduta delle aquile', anche se non è specificatamente menzionato). Nel primo dopoguerra le potenze occidentali erano 'a terra' in termini economici, gli USA non avevano ancora -paradossalmente, visto che gli aerei li inventarono loro- un'industria aeronautica apprezzabile-, l'Italia pensava essenzialmente in termini di biplani e continuò così per quasi 20 anni. La Polonia, pur se con i suoi problemi, trovò il modo di superare tutti grazie al coraggio dell'innovazione. E i suoi aerei, per un certo periodo di tempo, furono veramente all'avanguardia.

Nacquero allorché un giovane progettista, Zygmund Pulawski, uscito da poco dal Politecnico di Varsavia, venne messo a capo dell'ufficio di progettazione della PZL, industria di Varsavia nata nel '27 per costruire aerei avanzati e di costruzione metallica. Negli anni '20 era un qualcosa che suonava quasi eretico, essendo stabilmente affermata la formula biplana con struttura mista e rivestimento in tela sia per i caccia che per le macchine di maggiore peso, come i bombardieri e i trasporti (anche civili). Ma Per ottenere un caccia con sufficiente portanza e resistenza aerodinamica relativamente contenuta era pur sempre possibile tentare altre vie. Pulawsky provò con una formula, per l'appunto 'l'ala Pulawsky', che era una sorta di ala parasole come quella degli attuali aerei da turismo. Grazie ai montanti di sostegno inferiore, si ovviava ai problemi di rigidità che per esempio, avevano afflitto il Fokker VIII. La costruzione era in metallo a sandwich, ovvero con più strati, profilo avanzato Bartel per l'ala, la cui radice si assottigliava vicino alla fusoliera (per migliorare la visuale), con la quale si univa com sull'I-15. C'erano anche numerosi portelli d'ispezione, fatto insolito all'epoca. Il P.1, primo della dinastia, non venne adottato. Esso volò nel 1929 e per l'epoca era davvero una macchina d'avanguardia, così non stupì che la sua rielaborazione P.7 ebbe invece seguito e venisse adottata dall'aviazione. Questi tipi portarono in avanti la tecnologia e l'aviazione polacca ad un certo punto era praticamente l'unica ad avere una forza da caccia interamente monoplani. L'ala poggiava su due robusti montanti, collegati ad altrettante strutture di sostegno del carrello. L'abitacolo era aperto, anche con il P.7, che aveva pure il motore ben carenato per ridurre la resistenza; le eliche però erano in genere a passo fisso, anche sui P.24.

In Francia si seguì una via simile, con il Dewoitine D.371 e poi, circa 5 anni dopo (1935) con il Loire 46, ma senza molto entusiasmo perché oramai stavano entrando in servizio i primi monoplani ad ala bassa e senza supporti esterni.

I Polacchi costruirono diverse centinaia di P.7 e poi di P.11c, i quali ultimi erano i principali velivoli intercettori dell'aviazione nel '39. Essi erano il frutto della collaborazione con i francesi, i quali offrirono il motore G.R. del tipo da ben 760 hp (14 cilindri). In teoria sarebbe potuto diventare il caccia 'comune' anche per Parigi, ma data l'anarchia che regnava nel settore delle ditte aeronautiche d'oltralpe, stupisce poco che la cosa non sia stata concretizzata e che ognuno andasse per la sua via. Erano capaci di 390 km/h e armati con due mitragliatrici ai fianchi della fusoliera e due nelle ali interne. Il primo settembre, con l'attacco tedesco alla Polonia, i P.11 combatterono duramente, sebbene fossero superati. Durante i primi attacchi, un paio di questi caccia salirono in per affrontare le formazioni della Luftwaffe, allorché finirono senza accorgersene in una formazione di Ju-87. Questi, grossomodo altrettanto veloci, erano armati di due mitragliatrici offensive e una difensiva. Ineditamente, però, gli Ju-87 si comportarono come caccia: avendo visto salire i PZL non esitarono un istante a gettarglisi addosso, e una raffica di mitragliatrice centrò il serbatoio del capo-coppia, facendolo esplodere. Il gregario, tale ten. Gnys, si disimpegnò rapidamente dalla minaccia mortale. Non ebbe molto tempo per pensare alla perdita del suo comandante o alla propria incolumità, perché di lì a poco si imbatté in due Do-17E. Fece fuoco su entrambi e poi li perse tra le nubi. Non confermò di averli abbattuti. Ma non andarono lontano. Si trattava di due aerei del KG 77, di ritorno dal bombardamento su Cracovia, ed entrambi si schiantarono al suolo, a circa 100 metri di distanza l'uno dall'altro. Così la Luftwaffe ottenne la sua prima vittoria della II GM, non per mano dei Bf-109 o 110, ma di uno Ju-87; e subì le sue prime perdite, due anziani ma ancora validi bombardieri Dornier[4]. Con una buona posizione anche dei relativamente moderni e veloci bombardieri erano quindi vulnerabili ad un caccia mediocre, che si permise una doppietta, evento raro (per esempio, tra i caccia CR.32 e 42 accadde molto di rado che si riuscisse anche solo a rivendicare due bombardieri Blenheim da parte di un solo cacciatore), ma date certe condizioni, possibile. Contro i Bf-110 già era diverso. Sebbene meno agili, già nel primo incontro dichiararono 5 vittorie senza perdite, nel pomeriggio del 1 settembre. Si trattava dell'LG 1, in scorta agli He 111. Mentre in seguito lo ZG 76 dichiarò 3 aerei con due perdite, e -sempre nei primissimi giorni di guerra, l'LG 1 abbatté altri 5 aerei con una sola perdita. Bisognava solo evitare di scendere di velocità e affrontare i nemici in duelli manovrati, dove erano superiori. I Bf-110, dopo questi primi 3 giorni di combattimento incontrarono molta meno resistenza: entro la fine della guerra ebbero solo 12 perdite contro 68 vittorie aeree accreditate. Molto più rari i Bf-109, per lo più D, in quanto le lunghe distanze li tagliavano un po' fuori dalle principali azioni belliche e finirono per lo più per mitragliare gli obiettivi a terra, perdendo in tutto ben 67 aerei (da l'enciclopedia l'Aviazione e Osprey), anche se il solo JGr.102 dichiarò 68 aerei, di cui 29 distrutti al suolo (spesso i polacchi li nascondevano sotto dei covoni di fieno, se c'erano i tedeschi se ne accorgevano mitragliandoli e mettendoli a fuoco).


Per l'aviazione polacca non c'era nulla da fare: tecnologicamente avanzata per molti anni, era adesso decisamente superata, oltre che inferiore in numero. Tuttavia, la situazione venne peggiorata dall'inerzia. Come spesso accade (anche in URSS e Italia) chi si è mosso per primo, poi ha subito il problema di una linea obsolescente da rimpiazzare, ma con programmi costosi e complessi, non adeguatamente seguiti perché ci si attardava a produrre quello che era già disponibile, magari migliorato leggermente. Ma anche così, lasciare la responsabilità della difesa aerea ad un centinaio di P.7 e a circa 150 P.11 era davvero una sconfitta sicura, mentre non si fece nulla per rinforzare tale componente con velivoli più moderni. Mentre questi erano allo studio, va anche detto che c'era già un apparecchio nettamente migliore, il P.24, ultimo della dinastia. Era simile agli altri, ma con motore da circa 1.000 hp e un potente armamento. Purtroppo questo discreto intercettore era in produzione sì, ma solo per l'export, mentre l'aviazione polacca ne aveva ricevuto soltanto uno al momento dell'invasione.

Il P.24, caratterizzato da un abitacolo chiuso, dovette adottare per lo più motori Gnome-Rhone francesi. Non c'era un analogo tipo in produzione in Polonia, per questo (o anche per questo) venne prodotto solo per clienti esteri. Il P.24c (Turchia, due cannoni da 20 e due mtg, oppure 4 di queste ultime), il P.24e (Romania, due cannoni e due mtg.), P.24F (Bulgaria, idem), P.24f e g (Grecia, l'ultimo di questi due tipi aveva 4 mtg) furono così un successo commerciale non indifferente per l'epoca. Il modello per la Polonia era il P.24p, ma non venne prodotto in serie: l'ordine arrivò appena prima dell'invasionte tedesca, troppo tardi. Questi aerei dovettero adottare l'elica tripala Letov per sfruttare al meglio la potenza del nuovo motore. Tra i clienti, particolarmente interessanti i Rumeni e i Greci, questi ultimi volevano inizialmente un caccia inglese, ma si accontentarono di quello polacco, anche perché la Polonia accettò il pagamento sotto forma di tabacco. Le armi, oltre a quelle di lancio, comprendevano anche 4 bombe da 12,5 kg. Le mitragliatrici leggere erano le Colt-Browning MG40, un modello export da 7,92 mm; i cannoni Oerlikon FF erano più potenti, ma c'erano difficoltà per i rifornimenti di munizioni e così vennero sostituiti spesso con le mitragliatrici. Da notare che, con i cannoni, i PZL 24 erano armati più o meno come i Bf-109E e gli Zero, ovvero tra i meglio armati caccia dell'epoca.

I P.24 ebbero impiego piuttosto diffuso durante la II GM. L'uso più importante fu forse quello fattone dalla Grecia, i cui pochi aerei tentarono di arginare le formazioni di bombardieri e caccia della Regia Aeronautica; c'erano 4 gruppi da caccia greci, i 21-24. Uno, il 21, aveva 10 PZL 24F e G, il 22 ne aveva 9, il 23 11 e il 24, che proteggeva Atene, 8 nuovi MB-151. Dato che questi ultimi erano afflitti da vari problemi di manutenzione e operativi, i PZL, per quanto pochi e superati, dovettero farsi carico della difesa aerea pressoché da soli. Appena 30 PZL contro una delle forze aeree più potenti del mondo, che nel teatro operativo aveva 180 caccia di vario tipo, tra cui ben presto i G.50 e C.200.[5]

Sembra che però gli aviatori italiani non si aspettassero una grande resistenza da parte di un'aviazione che in tutto allineava circa 160 aerei. Già il 28 ottobre 10 SM.79 attaccarono con 12 CR.42 di scorta, ma vennero attaccati prima da pochi PZL, che li dispersero e impedirono il bombardamento di Tessalonica, anche se persero uno dei loro, abbattuto in fiamme. Questa battaglia si ebbe il primo giorno di guerra, e presto altre ne sarebbero seguite. Forse l'abbattiture fu Ugo Drago, futuro asso della caccia italiana (per ora già titolare di 20 missioni di guerra).


IL 2 novembre tre PZL contrastarono dei bombardieri, ma persero due dei tre aerei, con i loro piloti (Sakellairou e Papadopoulos). Altre fonti parlano di un solo aereo perduto, forse per la contraerea, al cui pilota vennero accreditate due vittorie sui bombardieri, peraltro prive di conferma. Graffer, asso della caccia italiana, dichiarò tre vittorie sui PZL, ovvero in base alla sua dichiarazione avrebbe annientato da solo tutta la formazione nemica.

Ma i greci non si persero d'animo e lo stesso giorno 10 bombardieri Z-1007 attaccarono Tessalonica e vennero attaccati da sei PZL, che li costrinsero ad allontanarsi dalla rotta per Salonicco. Mitralexes usò tutti i proiettili contro uno dei bombardieri, e alla fine lo speronò causandone la perdita, mentre lui riuscì a salvarsi con un atterraggio di fortuna. Venne pluridecorato per quest'azione, che rappresentava la prima vittoria greca (era il bombardiere di tale Matteuzzi, 210 squadriglia, 50imo gruppo). I Greci in tutto dichiararono ben 4 bombardieri e in effetti pare che due vennero distrutti e uno danneggiato contro due caccia costretti ad atterrare per i danni e un altro danneggiati in maniera meno grave, con il pilota però ferito.

Lo stesso giorno altri 15 bombardieri con sette caccia di scorta attaccarono ancora Tessalonica, contrastati dai PZL del 22imo squadrone, che persero tuttavia un altro aereo (pilota salvo), contro un caccia nemico.


Il 3 novembre altri 5 caccia del 22imo combatterono altri 9 aerei italiani e dichiararono una vittoria contro un caccia.

Il 14 novembre, nove PZL del 23imo abbatterono due CR-42 danneggiandone un terzo che poi si sfasciò al suolo all'atterraggio. Ugo Drago, già visto prima, combatté accanitamente quel giorno, prima contro un Battle, poi contro 5 PZL che vennero rinforzati da altri due; Drago evitò d'essere abbattuto solo per l'intervento di un altro caccia CR, che lo aiutò a disimpegnarsi. Nel pomeriggio combatté ancora contro altri due PZL; i CR.42 si avvicinarono (erano solo quattro aerei) e pensarono che fossero un bersaglio facile; in realtà era una trappola, c'erano infatti altri 10 caccia greci che aspettavano in quota ed erano pronti a picchiare addosso agli italiani. Drago stavolta dichiarò di avere abbattuto due nemici, e ben 3 suddivisi con gli altri tre piloti; però anche i Greci dichiararono 8 (sic) vittorie. Pare che vinsero i Greci del 23imo Mira, che abbatterono due CR uccidendo un pilota, e un terzo aereo venne danneggiato e si scassò all'atterraggio. Nessun P.24 risulta perduto, anche se alcuni possono essere stati danneggiati. Alla fine, stavolta, l'unico indenne era Ugo Drago, che passò davvero una brutta giornata (era il suo quarto combattimento aereo), e ottenne poi una Medaglia d'Argento al valore. In tutto quella giornata gli Italiani ebbero a dichiarare su Koritza ben 8 P.24, così come i greci dichiararono altrettanti CR.

Il 18 novembre i PZL del 22 e 23imo combatterono contro i caccia su Morova, e un pilota greco entrò in collisione contro un caccia, mentre un altro pilota venne abbattuto, ma si salvò con il paracadute. Il 160imo Gruppo dichiarò complessivamente sei vittorie e una probabile, senza perdite. I Greci in tutto pare che persero ben tre caccia. Si sa di un paio di piloti uccisi (Valcanas del 23 e Yianikostas del 22 Mira) venenro uccisi, e Corneleus del 22 Mira riuscì ad atterrare in emergenza l'aereo seppur ferito. I Greci a loro volta dichiararono due vittorie aeree, non riconosciute dagli italiani.

Il 20 novembre una sezione di 4 PZL del 21° combatté contro tre CR.42 e un bombardiere Caproni (in realtà si trattava quasi di sicuro di un Ca.311 da ricognizione armata), che venne abbattuto dal cap. Kellas. Poche ore dopo i PZL vennero sostituiti dai Gladiator, più agili, ma più lenti e con problemi di efficienza dovuti all'uso fattone dai britannici nei mesi precedenti. Del resto, anche la RAF aveva i Gladiator e Pattle, il loro asso di punta, venne accreditato di almeno 11 vittorie con questi caccia, prima di passare agli Hurricane.

Altre battaglie non mancarono: il 3 dicembre sei aerei del 23imo (23 Mira, per la precisione) combatterono contro ben 18 CR.42 del 160° Gruppo, e inesorabilmente, persero. Gli Italiani dichiararono ben 4 vittorie e due probabili (ancora una volta, sufficienti per annientare l'intera formazione greca). I loro oppositori dichiararono a loro volta un CR.42 (non confermato) mentre ebbero un pilota ucciso, quindi almeno un caccia abbattuto, non è chiaro se ve ne furono altri colpito o abbattuti.

Nel '41 la piccola aviazione greca era oramai supportata pesantemente dalla RAF, che per la fine della campagna in Grecia avrebbe dichiarato oltre 230 vittorie, contro la perdita in azione di circa 70 apparecchi. Quanto ai Greci, all'inizio del '41 la loro forza comprendeva ancora 19 PZL, solo 2 Bloch e sette Gladiator. Dall'inizio di quell'anno iniziò a cambiare tattiche per uniformarle a quelle RAF e pattugliò il campo di battaglia con le sue piccole formazioni. Alle volte erano anche grandi: l'8 gennaio 1941, su Ostrovo, c'erano 9 PZL del 22imo e sei Gladiator del 21imo, che attaccarono i veloci Z.1007, di cui uno venne dichiarato probabilmente abbattuto, mentre poco dopo vennero alle mani con 9 CR e un Ro.37bis da ricognizione, dichiarando altre due vittorie.

Dopo una pausa dovuta al cattivo tempo, si ritornò in azione il 25 gennaio, con la distruzione di un altro Z1007 su Tessalonica. Poi, in pomeriggio, altri sette caccia PZL e altrettanti Gladiator dei soliti squadroni 21 e 22imo attaccarono 8 BR-20 su Clisura, il pilota Antoniou dichiarò due vittorie, e altri 4 vennero abbattuti da parte della formazione mista greca.

Il 28 gennaio vi fu un'altra battaglia, sempre su Tessalonica, il 22imo attaccò i bombardieri Z1007 e ne abbatté uno.

L'8 febbraio le cose andarono diversamente, allorché 7 Gladiator dell'21imo e 8 PZL del 22 e 23imo attaccarono un bombardiere italiano, ma non riuscirono ad abbatterlo.


Il 9 finalmente venne usato anche il 24imo squadrone, con i suoi MB 151 che attaccarono i bombardiere su Tessalonica, ancora una volta cadde un Z.1007. Nel mentre c'erano 8 PZL e 4 Gladiator degli altri 3 squadroni che combatterono contro 30 bombardieri italiani e 24 caccia CR e G.50, cercando di arrivare ai bombardieri e lottando a lungo, infine dichiarando 8 vittorie e altrettante probabili, tutti caccia. L'esercito da terra confermò le dichiarazioni dei piloti. Tuttavia, almeno due caccia greci si sfasciarono al suolo all'atterraggio (o anche, due diversi danneggiati, con un solo PZL scassato e due Gladiator gravemente colpiti). Gli italiani dichiararono un Gladiator e 3 PZL (dai G.50) e 3 Gladiator e 2 PZL (per i CR.42). Ma di queste 17 vittorie, nessuna venne ottenuta, piuttosto vi furono diversi apparecchi danneggiati (probabilmente anche da parte italiana). Strano quindi che l'esercito greco confermasse tutte le vittorie dell'aviazione, se queste non ebbero luogo.

Il 10 febbraio 11 caccia greci di 3 squadroni dichiararono un bombardiere probabile, l'11 febbraio due Gladiator del 21imo vennero invece sorpresi e abbattuti entrambi dai caccia nemici, i piloti vennero uccisi; dall'altro lato pare che due caccia nemici venissero danneggiati in azione. Altro bombardiere dichiarato il 15 febbraio.

Il 20 febbraio 19 caccia decollarono da tutti gli squadroni per scortare bombardieri alleati. La battaglia più feroce avvenne tra 7 PZL del 22imo squadrone e 15 G.50, dei quali vennero dichiarati 4 abbattuti contro un PZL fracassato all'atterraggio, quello del comandante, che era rimasto gravemente danneggiato.

Il 23 febbraio vi fu un'altra grossa formazione greca, con 3 Gladiator e 14 PZL, tuttavia, pur affrontando solo sette caccia italiani, subirono due perdite di aerei e dei loro piloti (entrambi di Gladiator).

Il 2 aprile, su Florina, vi fu l'ultima grande battaglia tra italiani e greci, 8 Gladiator del 21imo squadrone contro 10 Z.1007, dichiarando 2 vittorie contro questi veloci trimostori.

Il 6 aprile avvenne la temuta invasione tedesca, nonostante i greci avessero fatto di tutto per evitare una qualunque provocazione, incluse pesanti limitazioni di sorvolo del confine con la Bulgaria, all'epoca alleata della Germania.

Fino a quel momento i greci avevano combattuto al loro meglio. La sola RAF ottenne nel periodo novembre-dicembre 1940 42 vittorie contro 16 perdite aeree, e i greci avevano invece volato con i caccia 1531 ore, di cui solo 158 con i Bloch 151. A loro accredito avevano 64 vittorie e 24 probabili, contro 19 perdite.

Tuttavia, come sempre, è difficile accreditare storicamente tutte le dichiarazioni fatte. In effetti, analizzando le vittorie greche si parla di un totale di 22 confermate e 12 probabili (solo una parte ottenute dai PZL), forse le altre vittorie (spesso verificate di per sé per la caduta dell'aereo sul proprio territorio) erano forse state ottenute dalla flak, che si accreditò 31 aerei abbattuti. Del resto, gli Italiani dichiararono d'aver distrutto praticamente l'intera aviazione greca con pochi combattimenti aerei, e tra le loro vittorie, circa 20 Spitfire, aerei che per loro fortuna non incontrarono mai in Grecia.

Contro la Luftwaffe non c'era scampo, con i suoi caccia (circa 300 Bf-109 e 110), tuttavia i greci cercarono di combattere ancora e qualche vittoria l'ebbero, come l'Hs-126 colpito nel primo giorno d'invasione, seguito da un secondo, da un Do-17 e poi, il 15 aprile, un altro Hs-126. L'ultima battaglia aerea di grandi proporzioni vide gli squadroni (tutti e 4) dei greci che mandarono tutto quello che avevano disponibile per fermare una grossa formazione tedesca, perdendo un Gladiator, un PZL e un Bloch). Il resto degli aerei greci venne distrutto al suolo, così non vi sono attualmente superstiti nemmeno nei musei, anche se alcuni PZL vennero catturati e usati, per esempio dagli italiani per addestramento e collegamento. L'unico PZL esistente di quell'epoca è un PZL 11c a Varsavia, mentre la Grecia moderna usa i PZL come aerei agricoli, un ritorno di fiamma dopo decenni di separazione.

IL miglior pilota greco fu A.Antoniou, capitano del 22imo squadrone, con 5,5 vittorie, che fu anche l'unico a meritarsi la qualifica di 'asso' (almeno 5 successi).

Infine da notare una cosa piuttosto curiosa. Il CR.42 fu l'aereo che forse combatté più spesso contro il PZL-24. Nonostante che quest'ultimo fosse non solo monoplano, ma anche dotato di un motore molto più potente (circa 140 hp in più) e pesasse circa 300 kg in meno, la differenza di velocità era pressoché nulla. Entrambi avevano il carrello fisso mentre il polacco aveva anche l'abitacolo chiuso, ma era piuttosto piccolo e incassato così che non avrebbe dovuto fare molta differenza. Con un motore grossomodo analogo, se non meno potente, il Bloch era capace di almno 450 e oltre km/h, sensibilmente di più dei 430 km/h del PZL. Certo il CR era molto veloce per essere un biplano, ma il PZL non brillava come monoplano (il Macchi 200, sempre con 840 hp, superava i 500 km/h).

Ma in termini di salita, vi è una curiosa equivalenza che rispetta almeno il rapporto potenza-peso. Il CR.42 pesava al decollo circa 2.200 kg per 840 hp; il PZL invece, circa 1.900 kg per 970 hp. Questo significa che il primo aveva circa 2,65 kg/hp, il secondo circa 2 kg/hp, quindi il PZL era superiore del 30%, il che doveva essere vantaggioso per l'accelerazione (sulla quale non abbiamo dati), ma anche per la salita. E infatti, il CR.42 saliva a 6.000 m in 9 minuti; il PZL-24 arrivava a 5.000 m in 5,67 minuti. Purtroppo non vi sono notizie sui tempi a parità esatta di quota, però 5 e 6 km di tangenza sono molto simili. E curiosamente, dividendo la quota per il tempo medio, si nota che il CR aveva circa 11 m.s e il PZL 14,5 m.sec di salita, ovvero rispecchiava pressoché fedelmente quel 30% di rapporto-potenza in più. Si può pensare che la cosa non debba stupire, invece è una corrispondenza tutt'altro che scontata in molti casi. Se ne deduce che in caso di difficoltà il PZL poteva tentare forse una fuga in picchiata, ma in mancanza di meglio, andava bene anche una ripida cabrata per salire rapidamente ad alta quota. Pare che i PZL fossero, almeno in alcuni casi, dotati di radio e anche questo aiutava. L'aver eliminato gran parte dei cannoni li rendeva più leggeri, ma meno efficaci contro i bombardieri. Nell'insieme un progetto superato, ma non privo di speranza contro disegni anche più moderni. Sicuramente un peccato per i Polacchi non avere sostituito i loro P.11 con i PZL 24.

Dewoitine

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Un altro passo avanti importante per la tecnologia aeronautica fu senz'altro la famiglia di caccia monoplani Dewoitine. Abbandonata la configurazione a 'parasole' (ala alta con travatura di sostegno inferiore) dei tipi D.371, la ditta francese creò un nuovo aereo per il concorso C.1 del 1930, per un nuovo caccia monoposto. Era un progetto molto avanzato e venne chiamato D.500. Ala grande ma quasi interamente a sbalzo (in pratica era sostenuta dal grosso carrello fisso con sostegno a tre travi), rivestimento liscio metallico e l'unico elemento non tanto felice rappresentato dal grosso radiatore ventrale, assai goffo. Volò il 18 giugno 1932 e si dimostrò il migliore dei tipi presentati, da qui la vittoria e la produzione in serie. Di esso vennero realizzati relativamente pochi esemplari, armati con 4 Darne o MAC 1934 da 7,5 mm. Poi ne verranno realizzati altri, complessivamente ben 25 sottotipi diversi: D.501 e D.510, in più configurazioni. Per l'Aviazione francese vennero costruiti 100 D.500 e 133 D.501, mentre nel '34 apparve il D.510 con un motore potenziato da 860 hp, sempre a cilindri in linea. In tutto ne vennero realizzati 118, su una produzione che contando anche l'export, era stata di 398 apparecchi. Non era un caccia eccezionale, a dire il vero. La velocità massima del D.501 era di 367 km/h, più lento (alla stessa quota di 5.000 m) dello SPAD 510, il D.510 era invece capace di circa 400 km/h. Ma era ancora lento rispetto agli I-16, pure monoplani e che apparvero in quel periodo: il radiatore, il carrello fisso e l'ala molto ampia (oltre 12 m) non lo aiutavano molto nel valorizzare le proprie qualità. Ma la strada era tracciata e portò al D.520, il migliore caccia francese della II GM. L'armamento di questi monoplani era possibile scegliendo varie combinazioni, tra il 7,5 e il 23 mm (cannoni Madsen, tra i migliori dell'epoca); il pezzo più significativo fu l'HS S7 da 20 mm, che sparava dal mozzo dell'elica. Da notare che con una motorizzazione simile, così come le armi (un cannone e due mtg) il successivo MS.406 era capace di arrivare (almeno teoricamente) a circa 480 km/h, superando nettamente il D.510, anche se quest'ultimo poteva salire a 5 km in 6 minuti e 5 secondi, un tempo eccellente per l'epoca. Il D.510 ebbe uso solo in qualche circostanza, soprattutto da parte cinese contro l'aviazione giapponese nei tardi anni '30.




  1. Magnani, Alberto, I-16 sulla Spagna, Aerei nella Storia N.43
  2. P.F. Vaccari, Guerra aerea sulla Cina, Rivista Storica Maggio 1996
  3. P.F. Vaccari, RiD 5/2002
  4. Monografia Bf-109, Osprey aviation
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