William Shakespeare/Panoramica delle opere

William Shakespeare

Guida alle opere

CopertinaWilliam Shakespeare/Copertina
  1. Introduzione
  2. Primi drammi storici
  3. Drammi eufuistici
  4. Poemi e sonetti
  5. Secondo ciclo storico
  6. Tragicommedie e commedie romantiche
  7. Drammi dialettici
  8. Grandi tragedie e drammi classici
  9. Commedie romanzesche
  10. L'ultimo dramma storico
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Il primo periodo (1588-1594)

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Inizialmente, come era tradizione in età elisabettiana, Shakespeare collaborò con altri alla stesura dei copioni per gli attori, nello stesso modo in cui oggi vengono realizzate le sceneggiature cinematografiche. La tragedia Tito Andronico (1589-1593) è una di queste 'sceneggiature teatrali' scritta più mani. Aderente al genere della tragedia di vendetta che con la Spanish Tragedy di Thomas Kyd aveva avuto in quegli anni uno straordinario successo, l'opera si rifà a Seneca e Ovidio, mantenendo del primo la struttura tragica e del secondo un linguaggio e un tono elegiaco che rimandano alle Metamorfosi. L'impronta ovidiana era già evidente ai contemporanei, come il Meres, il quale afferma che «la dolce anima arguta di Ovidio vive nel mellifluo Shakespeare», e segnala già dall'inizio la sensibilità e la perizia di uno Shakespeare poeta drammatico, grande innovatore del teatro e della letteratura inglese ma costantemente ancorato a modelli classici. Quando il Titus fu pubblicato nel 1594, come molti altri drammi del periodo senza l'indicazione di un autore, era già stato rappresentato da piccole compagnie come i Derby's (o Lord Strange's) Men, i Pembroke's Men e i Sussex' Men [1].

Allo stesso modo nascono i quattro drammi intorno al regno del Lancaster Enrico VI, i primi drammi storici della letteratura inglese. Enrico VI, parte I (composto tra il 1588 e il 1592), potrebbe essere la prima opera di Shakespeare, sicuramente messa in scena (se non commissionata) da Philip Henslowe. Al successo della prima parte fanno seguito Enrico VI, parte II, Enrico VI, parte III e Riccardo III, costituendo a posteriori una tetralogia sulla guerra delle due rose e sui fatti immediatamente successivi. Opere in diversa misura composte a più mani attingendo copiosamente dalle Cronache di Raphael Holinshed (ma sempre più segnate dallo stile caratteristico del drammaturgo), descrivono i contrasti tra le dinastie York e Lancaster, conclusi con l'avvento della dinastia Tudor di cui discendeva la allora regnante Elisabetta I. Nel suo insieme, prima ancora che celebrazione della monarchia e dei meriti del suo casato, la tetralogia appare come un appello alla concordia civile[1]. Una particolarità sostanziale nel Riccardo III, oltre alla grande quantità di anacronismi, è nel ruolo del re gobbo, che a differenza dei protagonisti degli altri drammi giganteggia sulla scena, pronunciando circa un terzo delle battute.

Un'altra opera a cui Shakespeare collaborò (ma solo in piccola parte) fu il dramma mai rappresentato Sir Thomas More, incappato subito nella censura che ne impose tali e tanti tagli da renderne impossibile la rappresentazione. Stampato per la prima volta nel 1844, è un esempio della perizia degli uomini di teatro elisabettiani in questo genere di scrittura collaborativa, in cui, nonostante le diverse mani e le numerose revisioni e aggiunte, l'insieme ha una struttura coerente ricca di rimandi e di corrispondenze[1].

La produzione di opere storiche riguardanti le origini della dinastia regnante andò di pari passo con il successo suscitato da tale genere. Edoardo III, attribuibile a Shakespeare solo in parte, offre un esempio positivo di monarchia, contrapposto a quello del Riccardo III. Re Giovanni, abile riscrittura shakespeariana di un copione pubblicato nel 1591 (The Troublesome Reign of King John) e già utilizzato dai Queen's Men, narra di un monarca instabile e tormentato e dei discutibili personaggi che lo circondano.

Di datazione controversa, ma collocabili prima delle opere della maturità, sono un piccolo gruppo di commedie (La bisbetica domata, La commedia degli errori, I due gentiluomini di Verona, Pene d'amore perdute, Sogno di una notte di mezza estate) e la tragedia Romeo e Giulietta. In tutti questi drammi è forte l'influenza dell'eufuismo, ed emerge un nuovo genere: la commedia italiana, ispirata ai testi dei letterati rinascimentali e alle ambientazioni della penisola.

In tutte queste opere, compresa la tragedia Romeo e Giulietta, è presente il wit, gioco letterario basato sulle sottigliezze lessicali. Shakespeare riesce a rendere i giochi di parole, gli ossimori, le figure retoriche, come strumenti espressivi. Il gioco di parole raffinato non è mai fine a sé stesso, ma inserito a creare voluti contrasti tra l'eleganza della convenzione letteraria e i sentimenti autentici dei personaggi. Esempi di un tale contrasto sono ravvisabili appunto anche in Romeo e Giulietta, dove gli stilemi del linguaggio sono utilizzati per sottolineare stati d'animo tutt'altro che giocosi (un esempio è la scena di Giulietta con la Balia, al momento di apprendere la notizia dell'esilio di Romeo).

Poemi e sonetti

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Negli anni dal 1592 al 1594 a Londra infuriò la peste, provocando la chiusura dei teatri. Shakespeare, nell'attesa di riprendere la sua attività sul palcoscenico, scrive alcuni poemi, di diverso stile. Venere e Adone, pubblicato nel 1593, fu ristampato numerose volte ed ebbe un notevole seguito. Lo stupro di Lucrezia, registrato l'anno seguente, ebbe un successo molto inferiore. Negli anni seguenti Shakespeare continuò occasionalmente a scrivere poemi e sonetti, perlopiù diffusi nella cerchia delle sue amicizie.

Nel 1609 l'editore Thomas Thorpe stampa senza il consenso dell'autore Sonnets, una raccolta di 154 sonetti di William Shakespeare. Scritti presumibilmente tra il 1593 e il 1595, i sonetti sono di una validità artistica tale che da soli basterebbero per assicurare a Shakespeare un posto rilevante nella storia della letteratura inglese. La critica ha suddiviso sommariamente la raccolta in due grossi tronconi: la prima parte è dedicata a un non meglio specificato "fair friend" (bell'amico, sonetti 1-126), la seconda ad una "dark lady" (donna bruna,misteriosa, sonetti 127-154); tra questi possiamo poi individuare la sequenza del "poeta rivale" (sonetti 76-86). Thorpe appose una dedica nell'opera in cui ringraziava l'autore e un fantomatico "begetter" (l'"ispiratore" dei versi della prima parte, ma per alcuni semplicemente il "procacciatore" della copia fraudolenta). Molto si è dibattuto e indagato per scoprire l'identità di questa persona; la critica storicamente si è divisa principalmente su due candidati: il Conte di Southampton Henry Wriothesly e William Herbert. I sonetti, trasfigurando nel mezzo letterario gli stati d'animo dell'autore, rappresentano l'unica opera autobiografica di Shakespeare; d'altra parte, come sottolineato da diversi critici, l'intera raccolta è da considerarsi anche come libro filosofico colmo di implicazioni meditative.

The Chamberlain's Men (1594-1603)

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Nel 1594 Shakespeare trova una situazione per lui molto propizia. La peste e l'inasprirsi della censura hanno prodotto la scomparsa di molte compagnie, tra cui i celebri Queen's Men. Nascono nuove realtà teatrali che ne raccolgono i migliori talenti, e in una di queste, i "servi del Ciambellano" (The Lord Chamberlain's Men) egli prende parte come autore e azionista. La abilità del drammaturgo e uomo di teatro di identificare i temi più richiesti e il suo talento nella riscrittura dei copioni perché non incappino nei tagli del Master of the Revels (il maestro di cerimonie incaricato di supervisionare le opere rappresentate) gli assicurano in questo periodo una rapida ascesa al successo.

Nacque per i Chamberlain's la seconda serie di drammi storici inglesi, il William Shakespeare/Riccardo II, le due parti dell'Enrico IV e Enrico V. Fu determinante per il successo dei drammi l'introduzione di personaggi fittizi a cui il pubblico si affezionò, come Falstaff.

Seguì un nutrito gruppo di commedie, caratterizzate per i toni a volte più scuri e propri di un tragicommedia come Il mercante di Venezia e Molto rumore per nulla, altre più leggere (e definite commedie romantiche): Come vi piace, La dodicesima notte, Le allegre comari di Windsor.

Ormai il drammaturgo è riconosciuto e famoso, e negli anni a cavallo tra i due secoli riesce ad esprimersi al massimo delle sue potenzialità creative, facendo rappresentare al Globe moltissimi dei suoi drammi tra cui il Giulio Cesare, precursore di altre opere di argomento romano, e un nuovo tipo di tragedia: l'Amleto. Il problem play, dramma dialettico, segna un nuovo modo di intendere la rappresentazione, in cui i personaggi esprimono compiutamente le contraddizioni umane, dando voce alle problematiche di un'epoca che si è ormai distaccata completamente dagli schemi medioevali.

La transizione è un passaggio definitivo, che influenzerà la produzione successiva, sia tragica (Troilo e Cressida) che dei drammi a lieto fine come Tutto è bene quel che finisce bene e Misura per misura.

The King's Men (1603-1608)

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Il 1603 segna una svolta storica per il teatro inglese. Salito al trono, Giacomo I promuove un nuovo impulso delle arti sceniche, avocando a sé la migliore compagnia dell'epoca, i Chamberlain's Men, che da quel momento si chiameranno The King's Men. A Giacomo I Shakespeare dedicò alcune delle sue opere maggiori, scritte per l'ascesa al trono del sovrano scozzese, come Otello (1604), Re Lear (1605), Macbeth (1606, omaggio alla dinastìa Stuart), e La tempesta (1611, che include tra l'altro una "maschera", interludio musicale in onore del re che assistette alla prima rappresentazione).

Le tre ultime tragedie risentono della lezione di Amleto, sono drammi che restano aperti, senza ristabilire un ordine ma generando casomai ulteriori interrogativi. Ciò che conta non è l'esito finale, ma l'esperienza, l'essere maturi (ripeness is all), come afferma Edgar nel quinto atto del Re Lear (parafrasando Amleto, the readiness is all). Ciò a cui si dà maggiore importanza è l'esperienza catartica dell'azione scenica, piuttosto che la sua conclusione.

I drammi di argomento classico sono l'occasione per affrontare il tema politico, calato nella dimensione della storia antica, ricca di corrispondenze con la realtà britannica, ma con la possibilità di assumere una valenza universale. In Antonio e Cleopatra l'utilizzo di una scrittura poetica sottolinea la grandiosità del tema, le vicissitudini storiche e politiche dell'impero romano, non limitandosi a raccontare della tragedia privata dei protagonisti. Coriolano è occasione per affrontare il tema del crollo dei potenti, l'indagine sui vizi e sulle virtù. Viene data voce ad una intera comunità (cittadini, servitori, senatori senza nome) come in una sorta di coro. Timone d'Atene, probabilmente scritto in collaborazione con Thomas Middleton, contiene allo stesso tempo la coscienza dei rischi di un individualismo moderno e la denuncia (fatta per bocca del misantropo Timone) della corruzione, del potere dell'oro, gialla carogna che farà diventare bianco il nero, bello il brutto.

Il Blackfriars (1608-1616)

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Negli ultimi anni della produzione scespiriana, il mondo del teatro londinese subisce un cambiamento sensibile. Il pubblico aristocratico e della nuova borghesia agiata non frequentava più i grandi anfiteatri, ma teatri più raccolti come il Blackfriars. Le richieste di tale pubblico andavano più nella direzione dell'intrattenimento che non del coinvolgimento nella rappresentazione. Shakespeare, sempre attento ai cambiamenti del gusto e della sensibilità dei suoi spettatori, produce dei nuovi drammi, i cosiddetti romances, "drammi romanzeschi". Nascono Pericle, principe di Tiro, Cimbelino, Il racconto d'inverno, La tempesta, I due nobili cugini.

Un discorso a parte merita Enrico VIII, l'ultimo grande rifacimento di un dramma storico già in cartellone per le compagnie rivali. La versione di Shakespeare (aiutato probabilmente da Fletcher) arricchiva e perfezionava la vicenda, riprendendo i temi della produzione precedente, dalla cronaca storica e nazionale al dramma morale, riprendendo lo stile dell'età elisabettiana nel momento in cui quell'epoca era giunta al termine.


  1. 1,0 1,1 1,2 G. Melchiori, Shakespeare. Genesi e struttura delle opere. Laterza, 1994