Esistenzialismo shakespeariano/Vita etica: differenze tra le versioni

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"L'enfer, c'est les autres!": questa è la famigerata espressione di Garcin nell'opera teatrale di Sartre ''[[w:A porte chiuse (opera teatrale)|Huis clos]]'', che è stata spesso usata per riassumere la concezione esistenzialista dell'essere per gli altri.<ref>Jean-Paul Sartre, ''No Exit and Three Other Plays'', trad. {{en}} Stuart Gilbert e Lionel Abel (New York: Vintage, 1989), p. 45.</ref> Come abbiamo visto, per Sartre lo sguardo dell'altro è un'esperienza soggettivamente minacciosa e inquietante. Sfida il senso di libertà di un individuo. Garcin non può costringere Estelle e Inez a vederlo nel modo distorto in cui si vede lui; allo stesso modo, Estelle non può costringere Garcin e Inez ad amarla in un modo che confermi i propri impulsi narcisistici. Il problema dell'intrattabilità della coscienza altrui è insormontabile: lascia i personaggi del dramma di Sartre tortuosamente timorosi delle persone che li circondano. Secondo Sartre, lo sguardo dell'altro "makes me be beyond my being in this world and puts me in the midst of the world which is at once this world and beyond this world."<ref>Sartre, ''Being and Nothingness'', p. 285.</ref> Lo sguardo è parte del mondo che un individuo condivide con l'altro, ma trasporta anche quell'individuo oltre la sicurezza ontologica del proprio mondo e in uno strano territorio sul quale non ha alcun controllo. È un nuovo mondo che è occupato e conosciuto solo dall'altro. In altre parole, quando vedo le persone che mi guardano, riconosco che le altre persone sono libere di considerarmi come desiderano; non posso accedere direttamente alla loro coscienza e controllare la loro percezione di me. Sartre insiste sul fatto che la relazione tra sé e l'altro è antagonista, una lotta di potere che provoca profondi sentimenti di insicurezza esistenziale all'interno di un individuo.<ref>T. Storm Heter sostiene che nelle sue opere successive "Sartre develops the idea that ethical relations must be based on intersubjective recognition" (‘Authenticity and Others: Sartre’s Ethics of Recognition’, ''Sartre Studies International'', 12:2 (2006), p. 17). Ci sono buone basi per questa argomentazione. Tuttavia, Heter non attribuisce adeguatamente a Beauvoir e all'influenza del suo lavoro molto antecedente sul pensiero etico di Sartre.</ref> Chiaramente, questa idea sartriana risuona con ''Coriolanus''. Tuttavia, verso la fine dell'opera, Shakespeare passa da un esame del rapporto ostile di Coriolanus con gli altri verso una considerazione della natura reciprocamente vantaggiosa di un incontro autentico con gli altri. In questa tragedia, Shakespeare suggerisce che la libertà individuale deve riconoscere la libertà degli altri, se vuole formare la base della vita etica.
 
Beauvoir, a differenza di Sartre, sottolinea i reciproci obblighi etici che stanno alla base della relazione tra sé e l'altro. Piuttosto che concentrarsi esclusivamente su ciò che le altre persone portano via da un individuo, esamina ciò che un individuo può guadagnare da un incontro con altre persone. In effetti, Beauvoir si spinge fino a suggerire che un individuo può affermare la propria libertà solo se realizza simultaneamente la libertà degli altri. Mentre Sartre vede in definitiva l'altro come un'influenza restrittiva sulla libertà umana, producendo una relazione basata sulla subordinazione e sul conflitto, Beauvoir insiste sul fatto che l'altro svolge una funzione di convalida: è un garante della libertà individuale. In ''[[:fr:w:Pour une morale de l'ambiguïté|The Ethics of Ambiguity]]'' scrive: "It is not true that the recognition of the freedom of others limits my own freedom: to be free is not to have the power to do anything you like; it is to be able to surpass the given towards an open future; the existence of others as a freedom defines my situation and is even the condition of my own freedom."<ref>Beauvoir, {{en}} ''[[:fr:w:Pour une morale de l'ambiguïté|The Ethics of Ambiguity]]'', p. 91.</ref> Come Beauvoir, Shakespeare lascia intravedere la possibilità di un'etica esistenzialista per cui l'autentica esistenza umana si basa sulla reciprocità e sulla mutualità.
 
Le idee di Beauvoir sulla relazione tra autocoscienza e alterità devono molto al racconto di [[w:Georg Wilhelm Friedrich Hegel|Hegel]] del viaggio ambiguo dell'autocoscienza lontano da se stessa quando si trova di fronte all'esistenza di un'altra coscienza. Lui scrive:
{{q|First, [self-consciousness] must proceed to supersede the ''other'' independent being in order thereby to become certain of ''itself'' as the essential being; secondly, in so doing it proceeds to supersede its ''own'' self, for this other is itself. This ambiguous supersession of its ambiguous otherness is equally an ambiguous return ''into itself''. For first, through the supersession, it receives back its own self, because, by superseding ''its'' otherness, it again becomes equal to itself; but secondly, the other self-consciousness equally gives it back again to itself, for it saw itself in the other, but supersedes this being of itself in the other and thus lets the other again go free.|Hegel, ''Phenomenology of Spirit'', p. 111<ref>G. W. F. Hegel, ''[[w:Fenomenologia dello spirito|Phenomenology of Spirit]]'', trad. {{en}} A. V. Miller (Oxford: Clarendon Press, 1977), p. 111.</ref>}}
Come Sartre, Hegel insiste su una lotta epica e duratura tra sé e l'altro. Ma secondo la sua logica dialettica, l'autocoscienza viene trasformata dall'incontro con un altro essere. Questo confronto ambiguo è, infatti, una parte positiva e necessaria dell'autenticità, un modo per l'autocoscienza di familiarizzare con se stessa avventurandosi fuori di sé. È un movimento di autoscoperta che implica la perdita di sé; l'alienazione di sé apre la strada all'autentica autoconoscenza. Questa comprensione di importanza cruciale della necessità ontologica di un viaggio via da se stessi per tornare a se stessi, risuona profondamente in ''Coriolanus''. Come osserva Nancy Selleck in ''The Interpersonal Idiom in Shakespeare, Donne, and Early Modern Culture'': "The selves coined by Renaissance speakers and writers are various, but they share a tendency to locate selfhood beyond subjective experience, in the experience of an ''other''".<ref>Nancy Selleck, [https://www.google.co.uk/books/edition/The Interpersonal Idiom in Shakespeare D/3p6GDAAAQBAJ?hl=en ''The Interpersonal Idiom in Shakespeare, Donne, and Early Modern Culture''] (Basingstoke: Palgrave Macmillan, 2008), pp. 1-2.</ref>
 
Mentre riconosce che il suo tradimento di Roma avrà inevitabilmente conseguenze pericolose per la sua famiglia, Coriolanus dice: "it is no little thing to make / Mine eyes to sweat compassion" (V.iii.196-7). È interessante notare che Volumnia invoca un'immagine di reclusione per persuadere suo figlio a riconoscere la di lei esistenza. Esclama: "There’s no man in the world / More bound to’s mother, yet here he lets me prate / Like one i’th’ stocks" (V.iii.159-61). Nel tentativo di utilizzare la psicologia inversa, Volumnia si vede come una vagabonda confinata tra i ceppi e ignorata dai passanti. La tecnica funziona con grande efficacia: Coriolanus è costretto a riconoscere la madre, come indicato dalla regia: ''"He holds her by the hand, silent"'' (V.iii). Tenersi per mano è un potente simbolo di unità e rispetto reciproco nel dramma shakespeariano. Nelle righe finali di ''[[w:La commedia degli errori|Comedy of Errors]]'', Dromio di Efeso dice: "We came into the world like brother and brother, / And now let’s go hand in hand, not one before another" (V.i.426-7). Kiernan Ryan suggerisce che questo sentimento egualitario, espresso da un personaggio che è stato sottoposto a ripetute percosse nella commedia, incarna lo spirito livellante e liberatorio della commedia shakespeariana.<ref>Kiernan Ryan, ''Shakespeare’s Comedies'' (Basingstoke: Palgrave Macmillan, 2009), p. 18.</ref>
Il modo in cui Coriolano tocca gli altri è significativo. In II.i esce di scena in posizione infantile, tenendosi per mano con sua madre e sua moglie. Il collegamento fisico delle mani simboleggia la solidarietà umana. Come gli abbracci fisici notati in precedenza, allacciare le mani implica l'indicazione semplice, ma eticamente importante, che gli esseri umani sono collegati tra loro. A questo proposito, Shakespeare differisce da Sartre, che si concentra sulle esperienze radicalmente distinte del toccare e dell'essere toccati, e scrive: "I see my hand touching objects, but do not ''know'' it in the act of touching them. . . . For my hand reveals to me the resistance of objects, their hardness or softness, but not ''itself''."<ref>Sartre, ''Being and Nothingness'', p. 328.</ref> L'esperienza di toccare un'altra persona, implica l'opera shakespeariana, attira un individuo nel reame di un'umanità comune e condivisa. Gli esseri umani hanno bisogno di conforto, riconoscimento e affetto. Quando Coriolanus tiene la mano di Volumnia, non sta suggellando un patto, come fa quando stringe la mano ad Aufidius in IV.v. Afferma invece silenziosamente l'esistenza della sua famiglia.
 
All'inizio del dramma, Brutus informa il pubblico della profonda mancanza di rispetto di Coriolanus per la libertà dei cittadini. Egli osserva:
{{q|[Coriolanus] would<br/>
Have made them mules, silenced their pleaders,<br/>
And dispropertied their freedoms, holding them<br/>
In human action and capacity<br/>
Of no more soul nor fitness for the world<br/>
Than camels in the war, who have their provand<br/>
Only for bearing burdens, and sore blows<br/>
For sinking under them.|II.i.242-9}}
Questa valutazione del trattamento riservato da Coriolanus agli altri in passato forse non sorprende. I cittadini sono arrabbiati perché non sono stati trattati "humanely" (I.i.17). Ridono al suggerimento che i patrizi si siano presi cura di loro "like fathers" (I.i.74). Coriolanus mostra la sua dimenticanza degli altri quando non ricorda il nome del prigioniero che lo ha aiutato a Corioles. Evita di rivelare le sue ferite agli altri, perché non vuole accettare di essere un oggetto per gli altri nello stesso modo in cui lo sono per lui. Il sorprendente cambiamento di atteggiamento da parte di Coriolanus nei confronti della sua famiglia nella scena dell'identificazione, è una notevole affermazione del suo legame fondamentale con gli altri. La trasformazione è notevole. "These eyes are not the same I wore in Rome" (V.iii.38), dice alla sua famiglia, segnalando un cambiamento nella sua comprensione fondamentale del suo rapporto con le persone a lui più vicine. Sappiamo che Coriolanus ha già cercato di "Not to be other than one thing" (IV.vii.42). Quando confessa: "I melt, and am not / Of stronger earth than others" (V.III.28-9), si avverte in Coriolanus l'inizio di una conversione etica. È un'esperienza tremendamente inquietante. Ancora una volta, Shakespeare utilizza immagini deliquescenti come metafora della dissoluzione soggettiva. Coriolanus riconosce la natura inevitabilmente sociale dell'esistenza umana e si rende conto che la sua libertà può essere significativa solo se viene affermata per conto di un altro.
 
L'argomento di [[w:Charles Taylor (filosofo)|Charles Taylor]] in ''The Ethics of Authenticity'', risuona dell'etica esistenzialista in ''Coriolanus''. Taylor scrive: "If authenticity is being true to ourselves, is recovering our own “sentiment de l’existence,” then perhaps we can only achieve it integrally if we recognize that this sentiment connects us to a wider whole. . . . Perhaps the loss of a sense of belonging through a publicly defined order needs to be compensated by a stronger, more inner sense of linkage."<ref>[[w:Charles Taylor (filosofo)|Charles Taylor]], ''The Ethics of Authenticity'' (Cambridge Massachusetts and London: Harvard University Press, 1991), p. 91.</ref> Taylor affronta direttamente il problema della nozione di autenticità: se consideriamo l'autenticità il nostro valore esistenziale più alto, e quindi seguiamo a tutti i costi i nostri desideri e impulsi, rischiamo di perdere di vista le nostre responsabilità e obblighi morali nei confronti delle comunità in cui viviamo. In ''Coriolanus'', possiamo vedere Shakespeare anticipare questa preoccupazione drammatizzando i pericoli di credere troppo fermamente nella propria singolarità esistenziale. Volumnia evidenzia la sua convinzione che i destini degli esseri umani siano legati insieme. Dice a Coriolanus:
{{q|Thou barr’st us<br/>
Our prayers to the gods, which is a comfort<br/>
That all but we enjoy. For how can we,<br/>
Alas, how can we for our country pray,<br/>
Whereto we are bound, together with thy victory,<br/>
Whereto we are bound? Alack, or we must lose<br/>
The country, our dear nurse, or else thy person,<br/>
Our comfort in the country. We must find<br/>
An evident calamity, though we had<br/>
Our wish which side should win. For either thou<br/>
Must as a foreign recreant be led<br/>
With manacles thorough our streets, or else<br/>
Triumphantly tread on thy country’s ruin,<br/>
And bear the palm for having bravely shed<br/>
Thy wife and children’s blood.|V.iii.105-19}}
L'[[w:epanalessi|epizeusi]] in questo discorso, la ripetizione emotiva da parte di Volumnia della frase "Whereto we are bound", è esistenzialmente rivelatrice. Il tradimento di Coriolanus, suggerisce, comporterà o il suo trascinamento per le strade di Roma in catene, o la rovina di Roma e la morte della sua famiglia. Il discorso di Volumnia invoca l'immaginario del sangue degli altri, in particolare quello della moglie e del figlio di Coriolanus, e poi minaccia il figlio con la prospettiva del suo stesso suicidio. Coriolanus è sbalordito dalle suppliche emotive della sua famiglia, costretta a confrontarsi con la realtà che le sue azioni avranno conseguenze devastanti per loro. La stessa idea emerge nel romanzo esistenzialista di Beauvoir. Mentre viene trascinato ulteriormente nelle attività della resistenza, Jean riconosce di avere la responsabilità etica di agire. Il suo amante gli chiede: "why should other people have rights over us?", e Jean risponde: "It’s not a question of rights . . . they are there."<ref>Beauvoir, ''The Blood of Others'', p. 137.</ref> Mentre attende la morte di Hélène, riflette su come è arrivato a comprendere il significato di questa idea: "I was anchored to the world by tenacious roots which fed my own sap with a thousand borrowed juices; I was incapable of freeing myself so that I could soar above it, and destroy it, remake it; and I was only separated from it by a lonely anguish which bore witness to my own presence."<ref>''Ibid.'', p. 132.</ref> Qualcosa di questo risuona nella scena dell'identificazione in ''Coriolanus''. Coriolanus inizia a vedere gli altri non come soggettivamente minacciosi, ma come individui a cui deve scegliere di rispondere. Questa è la libertà di Coriolanus: la libertà di scegliere come ricambiare con gli altri. Decidendo di riconciliarsi con Roma, sa che sta mettendo la vita di sua madre, sua moglie e suo figlio prima della sua. Emotivamente colpito, dice:
{{q|O mother, mother!<br/>
What have you done? Behold, the heavens do ope,<br/>
The gods look down, and this unnatural scene<br/>
They laugh at. O my mother, mother, O!<br/>
You have won a happy victory to Rome;<br/>
But for your son, believe it, O believe it,<br/>
Most dangerously you have with him prevailed,<br/>
If not most mortal to him. But let it come.—|V.iii.183-90}}
 
{{clear}}
== Conclusione ==