Ecco l'uomo/Purezza rituale: differenze tra le versioni

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Tuttavia, se prendiamo il detto in senso assoluto, potrebbe emergere un messaggio diverso. Yair Furstenberg (2008) sostiene che il detto centrale di Gesù ha senso in un dibattito ebraico del I secolo sulla halakhah della purezza. In una continuazione della disputa sul lavaggio delle mani prima dei pasti (Marco 7:1–5), la dichiarazione di Gesù in 7:15 è diretta contro l'opinione farisaica secondo cui il cibo contaminato renderebbe una persona impura (Furstenberg 2008:184). Secondo la halakha farisaica, lavarsi le mani prima dei pasti era una salvaguardia contro l'inquinamento del cibo (specialmente cibo umido) che a sua volta avrebbe inquinato il corpo (di sé e degli altri). Questa comprensione della trasmissione dell'impurità, che Gesù contesta, è nuova rispetto alle leggi del Levitico. Pertanto, Gesù contrappone l'assunzione di cibo contaminato che non contamina con le cose che escono dal corpo (fluidi corporei) che contaminano una persona, cioè sangue mestruale, sperma e perdite (Lev. 15). Il detto probabilmente non si riferisce a cibi proibiti come la carne di maiale, che non è una questione in discussione nel primo secolo (Kazen 2002:86) (sebbene, il cibo tecnicamente proibito di solito non renda una persona ritualmente impura; vedi Furstenberg 2008:183). Come accennato, le spiegazioni successive appartengono a elaborazioni susseguenti per fasi. Gesù quindi dice che il cibo contaminato non trasferisce l'impurità per ingestione in contrasto con le perdite corporee irregolari, che danno impurità. Poiché le successive elaborazioni probabilmente riflettono un'interpretazione successiva e spiritualizzata dell'affermazione halakica di Gesù, il suo detto non dovrebbe essere compreso alla loro luce. Anche se dovessimo accettare una comprensione relativa del detto (la purezza rituale è meno importante della purezza morale) non vi è ancora alcuna prova di una critica di per sé del sistema di purezza.
 
Come molti altri studiosi, prendo la spiegazione di Marco "Cosí dicendo, dichiarava puri tutti gli alimenti" (7:19) come riflesso della visione marciana nel contesto del dibattito sul cibo al momento della sua redazione(ca. 70 e.v.). In confronto, Matteo sceglieo di saltare il commento di Marco nella sua riscrittura della storia (Matteo {{passo b iblicobiblico|Mt|15:17}}). Tuttavia, l'interpretazione di Matteo, che egli fornisce alla fine del discorso, potrebbe essere più vicina al senso originale dell'insegnamento di Gesù: "Queste sono le cose che contaminano l'uomo; ma il ''mangiare senza lavarsi le mani non contamina l'uomo''" (Matteo {{passo biblico|Mt|15:20}}, corsivo aggiunto).
 
Oltre a queste specifiche storie evangeliche (le storie di guarigione; le controversie sul lavaggio delle mani; i detti sul cibo) gli studiosi indicano la ferma tradizione che Gesù mangiò coi "peccatori" (ad esempio, Marco {{passo biblico|Mc|2:15-17}}; Matt. {{passo biblico|Mt|11:19}}), e poiché molto probabilmente queste persone includevano coloro che non osservavano correttamente l'halakhah (e non si purificavano secondo le norme), Gesù sarebbe diventato ritualmente impuro. Bird, ad esempio, trova la mancanza di preoccupazione di Gesù riguardo alla contrazione di impurità "scioccante e antisociale" (Bird 2008: 16n58). Su questo tema, per prima cosa chiarirò semplicemente che mangiare con persone moralmente e ritualmente impure non era un peccato (cfr. Crossley 2006:75–96). In secondo luogo, l'intera argomentazione si basa sul presupposto che gli ebrei in generale evitassero attivamente l'impurità. Dato che la maggior parte degli uomini e delle donne sposati faceva sesso su base regolare e quindi abbastanza spesso erano ritualmente impuri, questa ipotesi appare errata. È evidente che alcuni gruppi nella società dell'epoca avrebbero fatto uno sforzo maggiore di altri per evitare di contrarre impurità inutili; cioè sacerdoti, farisei e esseni — ma il loro stile di vita era piuttosto estremo rispetto alle persone in generale (che il nome "farisei" – ''separati''<ref>Il termine fariseo deriva dal latino ''pharisæus'', -i; dall'ebraico פָּרוּשׁ, ''pārûsh'' (al plurale פְּרוּשִׁים, ''pĕrûshîm''), cioè "distinto", participio passivo (''qal'') del verbo פָּרָשׁ ''pārāsh'', per via del greco φαρισαῖος, -ου ''pharisaios''. Cfr. Ernest Klein, ''A Comprehensive Etymological Dictionary of the Hebrew Language for Readers of English'', University of Haifa, 1987; anche [http://www.biblestudytools.com/lexicons/hebrew/kjv/parash.html ''Lessico Strong'' nr. 6567] {{he}}.</ref> – sembra implicare).