Robotica educativa/Sicurezza elettrica

Indice del libro

Ora è il momento di affrontare una tematica che si consiglia di leggere e rileggere almeno una volta all'anno e fatta propria. Vengono riportate le più elementari norme di sicurezza che sia l’installatore, sia l’utente finale, che non dovranno mai dimenticare.


Il cercafase

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Cercafase a contatto smontato per mostrare la lampada interna

Durante un lavoro di installazione o di ricerca guasti è fondamentale lavorare in assenza di tensione. Per ottenere questa condizione non è sufficiente aprire l’interruttore principale: mai dare per scontato che sia perfettamente funzionante. Un bravo tecnico utilizza sempre il principio di precauzione il quale suggerisce di verificare l'assenza di tensione con un tester o — più agevolmente — con un cercafase (riportato smontato in figura).

Il cercafase è uno dispositivo semplice ed economico, usato per rilevare la presenza di tensione elettrica su un elemento circuitale, in particolare per individuare la presenza di una fase su un conduttore[1]. Solitamente ha la forma e la funzionalità di un comune cacciavite, in aggiunta nel manico trasparente è alloggiata una lampada al neon con una resistenza elettrica collegata in serie. Una estremità del circuito è collegata alla punta del cacciavite, l’altra a una piastrina metallica presente sul manico. Per utilizzare il cercafase è necessario tenere un dito in contatto con la piastrina e con la punta toccare le parti da verificare (fili elettrici, morsetti, carcasse metalliche...). Se è presente una tensione sufficiente ad accendere la lampada, un flusso di corrente scorre attraverso lo strumento, e attraverso l’operatore, disperdendosi verso terra e si può osservare una debole luce arancione nel manico. Il flusso di corrente è talmente debole da non essere neppure percettibile dall'operatore.

In questo caso si deve procedere con la ricerca di un ulteriore interruttore a monte di quello che si era disconnesso e — successivamente — alla sostituzione dell'apparato malfunzionante.

Messa a terra

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Presa P 17/11 (1) e presa P 40 (2)

Quelle mostrate a fianco sono le due più comuni prese di corrente viste migliaia di volte. Se le si confronta col concetto di resistenza elettrica una domanda dovrebbe sorgere spontanea: «se il carico è una resistenza — avente due terminali — e il generatore anch’esso ha un polo positivo e negativo — oppure, come nel caso della tensione alternata, un neutro e una fase — perché i forellini nella presa sono tre e non due?».

Nodo equipotenziale con disgiuntore per l'effettuazione di prove.

La risposta è piuttosto semplice: ricordando il primo principio di Kirchhoff. I terminali in alto e in basso (o ai lati) sono connessi al generatore e al carico, come mostrato nello schema successivo, mentre il terminale centrale è la cosiddetta messa a terra[2] del supporto del dispositivo (nella figura a sinistra è mostrato una connessione tipica).

Se il circuito interno, con uno dei suoi mille fili,[3] venisse a contatto con il contenitore metallico, chi si trovasse a toccarlo si troverebbe a contatto con la tensione di rete come schematizzato nel disegno:

l

A questo punto la corrente si dirige verso terra, dove il potenziale è neutro. Può percorrere due vie: la malaugurata persona a e la messa a terra (il cavo a monte della presa). La corrente elettrica passa dove la resistenza è minore e risparmia la vita al il malcapitato.

In questo caso si parla di contatto indiretto,[4] questo si verifica quando un individuo viene in contatto con parti metalliche che si trovano in tensione accidentalmente e imprevedibilmente. Avviene in condizioni di guasto, come — per esempio — quando l’isolamento elettrico di un apparecchio cede o si deteriora in seguito a un guasto, spesso non visibile. L’involucro metallico dell’apparecchio elettrico si trova in questo caso sotto tensione e — in caso di contatto con una persona — questa può essere investita dal passaggio della corrente elettrica verso terra.

Diversamente, si parla di contatto diretto quando si viene a contatto[5] con una parte attiva dell’impianto, ovvero una parte normalmente in tensione, come per esempio un conduttore, un morsetto, l’attacco di una lampada.

Interruttore differenziale

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Interruttore differenziale monofase.

Ma non sempre le cose vanno per il verso giusto. La persona che si trova a contatto con la corrente elettrica potrebbe essere scalza, coi piedi bagnati o magari con una ferita sia nella mano, sia nel piede. Per farla breve: il principio di precauzione impone di considerare il caso peggiore che si possa mai verificare.

Pertanto, un secondo accorgimento — contestuale alla messa a terra — è interrompere l'alimentazione quando la corrente dispersa (la differenza tra corrente erogata e corrente restituita) supera un valore prefissato (nelle utenze domestiche il valore tipico è ). Questo avviene ricorrendo all’interruttore differenziale,[6] popolarmente, ma impropriamente, noto come salvavita, mostrato qui a destra.

Il suo funzionamento si basa su un fenomeno elettromagnetico: la differenza di corrente entrante e uscente, superando un valore prefissato, genera una forza tale da aprire entrambi i contatti mostrati nel circuito sottostante:

Principio di funzionamento di un interruttore differenziale

tale differenza è data da: e quando supera i il dispositivo si apre.[7]

Interruttore magnetotermico

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Interruttore magnetotermico monofase

Infine, per un lavoro "a regola d’arte", va inserito un interruttore magnetotermico, detto anche interruttore automatico.[8] È un dispositivo in grado di aprire un circuito in caso di sovracorrente. Sostituisce il fusibile, col vantaggio di una maggior precisione di intervento e di essere più facilmente ripristinabile con la semplice pressione di un pulsante o l'azionamento di una leva. Come si intuisce dal nome, all'interno di un interruttore magneto-termico sono presenti due distinte sezioni che rilevano i due fenomeni per mezzo di altrettanti differenti principi fisici.

Inizialmente l’interruttore deve essere chiuso agendo sul comando manuale. Così viene caricata una molla che tende a provocare l'apertura dei contatti, trattenuta da un'ancora. Quando una sezione del dispositivo rileva un guasto, la molla viene liberata e si ha l'apertura dell'interruttore. La forza prodotta dalla molla deve essere tanto più elevata quanto maggiore è l'intensità della corrente da interrompere, ovvero il potere di interruzione del dispositivo.

Interruttore magnetotermico aperto

A destra è riportato l'interno di un interruttore magnetotermico con evidenziati i suoi componenti:

  1. Leva di comando;
  2. meccanismo di scatto;
  3. contatti di interruzione;
  4. morsetti di collegamento;
  5. lamina bimetallica (rilevamento sovraccarichi);
  6. vite per la regolazione della sensibilità (in fabbrica);
  7. solenoide (rilevamento dei cortocircuiti);
  8. sistema di estinzione d’arco.

La protezione dai cortocircuiti avviene per mezzo di un solenoide avvolto su una barra magnetica, in pratica un relè. L'elevato impulso di corrente induce un campo magnetico, il quale attira un'ancora che provoca l'apertura dell'interruttore.

La protezione da sovraccarichi avviene mediante una resistenza elettrica abbinata ad una lamina bimetallica. Grazie alla differenza nella dilatazione termica di due metalli accoppiati, la lamina si piega fino a provocare lo scatto dell'interruttore. Il tempo di intervento non è istantaneo: dipende — con funzione caratteristica dei diversi modelli — dall'inverso dell'entità del superamento del valore di soglia. Alcuni apparecchi più moderni impiegano sistemi elettronici per espletare questa funzione in tempi decisamente più rapidi.

Da non dimenticare

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È molto importante sapere che la maggior parte della resistenza elettrica che il nostro corpo offre al passaggio di corrente elettrica è data dall'epidermide (la pelle). I tessuti muscolari, il sangue e gli organi interni hanno resistenza pressoché trascurabile rispetto la pelle.[9] L'acqua — in particolare se impura — è un buon conduttore di corrente elettrica e potrebbe fare il resto.

Da sottolineare inoltre che non è la tensione a essere letale, ma la corrente che attraversa l'organismo. Naturalmente, se la tensione è alta, la probabilità che sia alta pure la corrente aumenta poiché , tuttavia per avere effetti letali sono sufficienti meno di . Con , invece, si perde il controllo dei muscoli (che il cervello controllerebbe mediante impulsi elettrici, ma — ora che è presente una corrente molto maggiore rispetto a quella generabile dalla propria volontà — si rimane attaccati come si dice volgarmente).

Possiamo riassumere questi concetti con questa tabella:

Valori di corrente Definizione Effetti
Soglia di percezione Non si corrono rischi o pericoli per la salute.
Elettrificazione Produce una sensazione di formicolio più o meno forte e può provocare movimenti riflessi.
Tetanizzazione Si hanno contrazioni muscolari. Se la parte in tensione è stata afferrata con la mano si può avere paralisi dei muscoli, rendendo difficile il distacco.
Difficoltà respiratorie Si hanno a causa della contrazione di muscoli addetti alla respirazione, e del passaggio di corrente per i centri nervosi che sovrintendono alla funzione respiratoria.
Asfissia La tetanizzazione dei muscoli della respirazione, può essere tale da provocare la morte per asfissia.
Fibrillazione Se la corrente attraversa il cuore può alterarne il regolare funzionamento, provocando una contrazione irregolare e disordinata delle fibre cardiache che può portare alla morte.
  1. Da qui trae il suo nome cerca-fase.
  2. Obbligatoria per legge, sin dal D.P.R. 547/55, Legge 46/90 art. 7, Norma CEI 64-8/4.
  3. Da sottolineare che la schematizzazione del carico con una resistenza è sì agevole dal punto di vista del calcolo dei consumi, ma non è altrettanto fedele alla realtà di circuiti talvolta complicati a piacere, dove è possibile che uno dei tanti componenti si stacchi dalla sua sede naturale e venga a contatto con il contenitore metallico e quindi con chi lo tocca dall’esterno.
  4. Norme CEI 11-1 art.1.2.08 e CEI 64-8/2 art. 23.6.
  5. Norme CEI 11-1 art.1.2.07 e CEI 64-8/2 art. 23.5.
  6. L’impiego dell'interruttore differenziale è disciplinato a partire dalle seguenti leggi e normative: legge 5 marzo 1990 n. 46 (norme per la sicurezza degli impianti); DPR 6 dicembre 1991 n. 447 (regolamento di attuazione della legge 5 marzo 1990, n. 46, in materia di sicurezza degli impianti); legge 1 marzo 1968 n. 186 (disposizioni concernenti la produzione di materiali, apparecchiature, macchinari, installazione e impianti elettrici ed elettronici); norma CEI 64-8 (disciplina gli impianti elettrici in bassa tensione attualmente alla sesta edizione); norma CEI 11-1 (disciplina gli impianti elettrici con tensione superiore a   in corrente alternata).
  7.   è un valore tipico delle utenze domestiche. Esistono interruttori differenziali tarati su diversi valori di  , a seconda delle esigenze dell’impiantista.
  8. L'interruttore automatico è presente in ogni abitazione poiché il gestore pone un limite massimo (stabilito in sede di contratto) ai consumi. Un valore tipico di un'abitazione civile è  , al quale si applica una tolleranza del 10%.
  9. Per avere una prova immediata di quanto detto basta pensare al test che si fa, per sapere se una pila da   è carica, appoggiandola alla lingua. Si avverte l'effetto della corrente elettrica. Tale effetto non è invece nemmeno percettibile se il test lo si esegue appoggiando la medesima pila su una mano.