Utente:Xinstalker/sandbox44
Con il termine Geofilosofia si indica, negli studi filosofici, quell'ambito, problematico, relativo al pensare della terra nell'epoca della globalizzazione[1], ossia al «tema della pluralità dei luoghi della terra a confronto con la crescente omologazione delle tecniche in un mondo globalizzato»[2].
Origine del termine e della problematica
modificaIl termine "geofilosofia" (dal francese: géophilosophie) fu coniato dai filosofi francesi Gilles Deleuze e Félix Guattari e utilizzato per la prima volta nella loro opera Qu'est-ce que la philosophie? del 1991.
In questa opera, segnatamente nel capitolo 4 significativamente intitolato "Géophilosophie", i due filosofi francesi osservano:
Nel 1993 questo termine viene utilizzato, ampliandone i significati, nella pubblicazione dell'opera collettanea Penser l'Europe à sans frontières che raccoglie i contributi del "Carrefour des Littératures européennes de Strasbourg", tenutosi a Strasburgo tra il 7 e il 10 novembre 1992. Tale pubblicazione, a cui hanno contribuito autori quali Alain Badiou, Václav Bělohradský, Eduardo Lourenço, Denis Guénoun, Giorgio Agamben, Étienne Balibar, Paul Virilio, Jean-Luc Nancy, Bernhard Waldenfels, Philippe Lacoue-Labarthe e lo stesso Gilles Deleuze, reca come intestazione l'espressione Géophilosophie de l'Europe.
Nel 1994 l'opera Geo-filosofia dell'Europa di Massimo Cacciari ne sviluppa ulteriormente il tema, introducendone le potenziali letture ed ermeneutiche in Italia. In questa opera Cacciari individua, ad esempio, la nascita dell'idea di "Occidente" nella contrapposizione politico-geografica tra il mondo greco e quello persiano[3]. Contrapposizione che conduce i Greci a "definirsi", a individuare il proprio "dèmone-carattere":
Per tale approccio problematico, la geografia diviene dunque un contesto impreteribile per una filosofia che ritiene doveroso portare il territorio e la terra al pensiero, in analogo modo con cui altre discipline, come la "geopolitica" o la "geoeconomia", hanno inteso ripensare l'orizzonte della terra alla luce dell'affermazione planetaria della tecnoscienza[4].
Luisa Bonesio nota[5] che se diversi sono sono gli studi che hanno arricchito la geofilosofia, essi possono essere ricondotti a due filoni apparentemente antitetici già individuati da Massimo Cacciari nel suo Icone della legge[6] (precisamente nel capitolo Errante radice), là dove il filosofo italiano individua due differenti letture della problematica.
La prima inerisce a una lettura del filosofo tedesco di cultura ebraica Franz Rosenzweig, in particolar modo nell'opera Der Stern der Erlösung (1921, "La Stella della redenzione"), là dove viene individuata la tradizione ebraica dello sradicamento e quindi della interminabile ricerca della terra santa che obbliga il popolo ebraico alla erranza, per cui nessuna terra può mettere in quiete, in quanto esso è legato alla legge e all'ascolto dei suoi dettami. Per questa ragione l'ebreo risulterebbe la figura metafisica dello sradicamento[7], condizione che nella mistica ebraica è resa con l'immagine dell'albero rovesciato le cui radici sono nel cielo, nella Torah, e che spiega l'unicità del popolo eletto:
La seconda lettura è propria dell'opera Der Nomos der Erde im Völkerrecht des Jus Publicum Europaeum (1950) del filosofo tedesco Carl Schmitt, dove alla de-localizzazione (Entortung) presente nella prima, viene opposta la nozione greca di nomos, ossia della spartizione secondo le regole della terra decidendone possedimenti e quindi i confini. In questa opera, Schmitt rileva che, a differenza del mare e del deserto, solo sulla terra è possibile abitare, solo per mezzo di essa si esprime la legge, il diritto:
Dal che per lo Schmitt la terra è la radice del diritto, mentre lo sradicamento in atto causato dalla delocalizzazione planetaria è causa del nichilismo e della fine di quel ius publicum europaeum che era in grado di regolare e limitare i conflitti. E, come sintetizza Luisa Bonesio, per Carl Schmitt «La crisi del nomos è il prodromo dell'era attuale, di quel processo di globalizzazione che ha travolto gli ordinamenti statali e terranei, ma segna anche l'inizio di una più vasta perdita di radicamento che comporta la fine della memoria culturale, delle identità, dei paesaggi tradizionali, rimettendo tutto nel flusso indifferenziato, distruttore e omologante della tecnica, della sua forza delocalizzatrice astraente e nichilistica.»[8].
Le radici nietzschiane della geofilosofia
modificaNote
modifica- ↑ Luisa Bonesio, Geofilosofia, in "Enciclopedia filosofica", vol. 5 p. 4637. Milano, Bompiani, 2006
- ↑ Cfr. Geofilosofia in "Lessico del XXI secolo", Roma, Treccani, 2012.
- ↑ Il tema delle origini e del destino dell'Europa sarà ancora affrontato da Cacciari nel suo L'arcipelago del 1996 edito sempre dalla Adelphi di Milano, opera che rappresenta la continuazione della Geo-filosofia dell'Europa.
- ↑ Bonesio, p. 4637
- ↑ Cfr. Luisa Bonesio, Geofilosofia, in "Enciclopedia filosofica", vol. 5 p. 4637. Milano, Bompiani, 2006
- ↑ Massimo Cacciari, Icone della legge. Milano, Adelphi, (1985) 2002
- ↑ Luisa Bonesio, p.4637
- ↑ Luisa Bonesio, p. 4638.