Utente:Xinstalker/sandbox24

La mistica, e i relativi termini misticismo e misticità, intendono indicare quella contemplazione della dimensione del sacro, o della divinità, implicandone una sua esperienza diretta, "al di là" del pensiero logico-discorsivo[1].

La sua definizione, al pari di quella del termine religione, conserva tuttavia una natura problematica nel momento in cui si voglia applicarla nelle varietà delle sopracitate esperienze religiose[2].

Etimologie dei termini

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Persefone apre la cesta (λίκνον) mistica (μυστικών) contenente gli oggetti sacri propri dell'iniziazione. Pinax (πίναξ) rivenuta nel santuario di Persefone a Locri, risalente al V sec. a.C. e conservata al Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria.

Il sostantivo femminile "mistica" è entrato nella lingua italiana nel XVII secolo, derivando dall'aggettivo, sempre italiano, "mistico", questo entrato nella lingua italiana nel XIV secolo. Il sostantivo maschile "misticismo" entra invece nella lingua italiana solo nel XIX secolo.

L'italiano "mistico" deriva a sua volta dal latino mystĭcus, questo derivato dal greco antico μυστικός (mystikós) che in quella lingua indica ciò che è relativo ai misteri propri dei culti iniziatici.

In lingua italiana il termine "mistero" indica ciò che sfugge alle normali possibilità di conoscenza, quindi ciò è "enigmatico", oppure può significare ciò che è indicato come "segreto". "Mistero" deriva dal termine latino mystērĭum con analogo significato, a sua volta dal greco antico mystḕrion (μυστήριον).

Ma sia il greco antico mystikós (μυστικός) che il greco antico mystḕrion (μυστήριον), derivano dal greco antico mýstēs (μύστης) col significato di "iniziato".

Per inquadrare correttamente l'origine greco antica di questi terimini occorre infatti ricordare, con l'introduzione di Walter Burkert al suo saggio del 1987 Antike Mysterien, Funktionen und Gehalt[3], come sia più corretto intendere l'accezione riportata dal termine latino initiatio. Infatti:

« i misteri erano cerimonie di iniziazione, culti nei quali l'ammissione e la partecipazione dipendono da qualche rituale personale da celebrare sull'iniziando. La segretezza e, nella maggior parte dei casi, un'ambientazione notturna sono elementi concomitanti di questa esclusività. »
(Walter Burkert. Antichi culti misterici. Bari, Laterza, 1989, p. 13)

Il termine mýstēs (μύστης) deriva da μύω (mýo; "celare"), questo dall'atto di socchiudere gli occhi e, sull'etimologia di quest'ultimo termine e sulla sua correlazione con μύστης, nota Pierre Chantraine:

« [...] on en a concluque le μύστης est proprement celui qui ferme les yeux, ce qui n'apparaît pas très naturel; ce peut être aussi bien celui qui ne répète rien, qui tient les lèvres closes [...] »
(Dictionnaire étymologique de la langue grecque, p. 728)

Origine e storia dei significati

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Se nell'ambito delle religioni misteriche dell'antica Grecia, mystikós, mystḕrion, mýstēs, ineriscono alle relative "iniziazioni" cultuali, e alla loro concomitante "segretezza", il suo espresso riferimento alla contemplazione del "divino" lo si deve per la prima volta alla lettura che dà Plotino proprio di questi culti "misterici":

(IT)
« È questo il significato della famosa prescrizione dei misteri: "non divulgare nulla ai non iniziati". Proprio perché il Divino non dev'essere divulgato, fu proibito di manifestarlo ad altri, a meno che questi non abbia già avuto per sé stesso la fortuna di contemplare. »

(GRC)
« Τοῦτο δὴ ἐθέλον δηλοῦν τὸ τῶν μυστηρίων τῶνδε ἐπίταγμα, τὸ μὴ ἐκφέρειν εἰς μὴ μεμυημένους, ὡς οὐκ ἔκφορον ἐκεῖνο ὄν, ἀπεῖπε δηλοῦν πρὸς ἄλλον τὸ θεῖον, ὅτῳ μὴ καὶ αὐτῷ ἰδεῖν εὐτύχηται. »
(Plotino, Enneadi, VI, 9, 11. Traduzione di Giuseppe Faggin, Bompiani, Milano, 2004, pp. 1360-1)

Dal che

« La categoria della mistica nasce con l'applicazione di tale osservanza alla contemplazione dell'Assoluto neoplatonico, l'Uno inaccessibile. Già il filosofo Plotino (204-270) richiama alla disciplina misterica del silenzio [...]. I maestri a lui successivi seguono le sue orme, tratteggiando l'iter contemplativo sulla falsariga della prima ipotesi del Parmenide platonico, mentre estendono la terminologia relativa ai misteri a diversi risvolti della dottrina da essi insegnata e alle sue fonti: oltre a Platone, Pitagora, gli Oracoli caldaici e gli scritti orfici. Ciò riflette un clima culturale e cultuale largamente diffuso, in cui un alto numero di esperienze religiose e soteriologiche di matrice orientale si appropria dell'etichetta di "misteri", in origine usata per cerimonie elleniche. Lo stesso Paolo se ne serve per la propria fede, e i padri orientali lo seguono, applicando l'aggettivo "mistico" a una serie di referenti prettamente rituali. »
(Mario Piantelli, Mistica in "Dizionario delle religioni". Torino, Einaudi, p. 490)

Così, e ad esempio, Paolo, che precede Plotino ma che ancora lo riferisce al culto:

(IT)
« Ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. »

(GRC)
« Οὕτως ἡμᾶς λογιζέσθω ἄνθρωπος ὡς ὑπηρέτας Χριστοῦ καὶ οἰκονόμους μυστηρίων Θεοῦ. »
(Paolo di Tarso, Prima lettera ai Corinzi, 4,1)

O, sempre in ambito proto-cristiano, nell'accezione che il termine mystikós riserva alla verità rivelata sottintesa nel significato letterale delle Scritture e quindi non ancora nel comune significato di particolare relazione con il divino[4].

Il primo autore che utilizza i termini relativi alla "mistica", offrendo loro un primo significato "spirituale"[5] questo proprio anche dell'accezione moderna, è quel Dionigi l'Areopagita, vissuto nel V-VI secolo, ritenuto uno scrittore cristiano[6] e autore, tra gli altri, della Teologia mistica (Περὶ μυστικῆς θεολογίας), il quale presenta quelle nozioni proprie del tardo neoplatonismo in un linguaggio cristiano[7]:

« Là il discorso, discendendo dalla sommità verso l'infimo, secondo la misura della sua discesa, si allargava verso un'estensione proporzionata, ma ora esso, salendo dalle cose inferiori verso ciò che sta al di sopra di tutto, man mano che si innalza, si abbrevia; e finita tutta l'ascesa si fa completamente muto e si unirà totalmente a colui che è inesprimibile. »
(Dionigi l'Areopagita, Teologia mistica (Περὶ μυστικῆς θεολογίας), III, 1033 C; traduzione di Piero Scazzoso, p. 608-609.)
« Tu, o caro Timoteo, con un esercizio attentissimo nei riguardi delle contemplazioni mistiche, abbandona i sensi e le operazioni intellettuali, tutte le cose sensibili e intelligibili, tutte le cose che non sono e quelle che sono; e in piena ignoranza protenditi, per quanto è possibile, verso l'unione con colui che supera ogni essere e conoscenza. »
(Dionigi l'Areopagita, Teologia mistica (Περὶ μυστικῆς θεολογίας),)
  1. Dizionario di storia della Treccani
  2. « The term mysticism, like the term religion itself, is a problematic but indispensable one. Identifying a broad spectrum of ideas, experiences, and practices across a diversity of cultures and traditions, it is a generic term rather than the name for any particular doctrine or mode of life. »
    (Peter Moore, p. 6355)
  3. Ancient Mystery Cults, President and Fellows of Harvard College, 1987; trad. it. Antichi culti misterici. Bari, Laterza, 1989, p. 13
  4. « Nor does the early Christian term mustikos correspond to our present understanding, since it referred to the spiritual meaning that Christians, in the light of revelation, detected under the original, literal meaning of the scriptures. »
    (Louis Dupré, vol. 9 p. 6341)
  5. Mario Piantelli, Mistica in "Dizionario delle religioni". Torino, Einaudi, p. 490.
  6. Su questo autore, che nei suoi scritti indica sé stesso come contemporaneo di Paolo di Tarso, esistono numerose problematicità. Mentre Massimo il Confessore, Scoto Eriugena, Alberto Magno, Tommaso d'Aquino e Nicola Cusano, gli offrono credibilità considerandolo, tra l'altro, Theologorum Maximus, a partire dal Rinascimento si è certi che le opere del Corpus Dionysiacum non siano altro che degli pseudoepigrafi redatti secoli dopo la data attestata dagli stessi. Recentemente uno studio di Carlo Maria Mazzucchi (cfr. Dionigi Areopagita, Tutte le opere, Milano, Bompiani, 2010, pp. 707-762), sostiene l'ipotesi che dietro il nome di Dionigi l'Areopagita si celi l'ultimo scolarca di Atene, il "pagano" Damascio, intenzionato a trasferire nelle teologie cristiane ormai dominanti, i contenuti propri delle teologie neoplatoniche "pagane". Giovanni Reale non segue ma prende in seria considerazione (cfr. Introduzione a Dionigi Areopagita, Tutte le opere, Milano, Bompiani, 2010, pp. 9 e sgg.).
  7. Mario Piantelli, Mistica in "Dizionario delle religioni". Torino, Einaudi, p. 490.