Utente:Hellisp/Sandbox/Seconda guerra punica

Battaglie della seconda guerra punica

La Seconda guerra punica è la seconda guerra tra Roma e Cartagine, combattuta nel III secolo a.C., dal 219 a.C. al 202 a.C., prima in Europa e successivamente in Africa.

La guerra cominciò per iniziativa dei Cartaginesi, che volevano riscattarsi dalla sconfitta subita nella Prima guerra punica.

Ma se non fu certamente la più importante per durata, lo fu per l'ampiezza delle popolazioni coinvolte, per i suoi costi economici e umani, per le decisive conseguenze sul piano storico, politico e quindi sociale dell'intero mondo mediterraneo, conseguenze che, per certi versi, si risentono anche ai nostri giorni.

Contrariamente alla Prima guerra punica che fu combattuta e vinta essenzialmente sul mare, la Seconda guerra punica è stata un continuo succedersi di battaglie terrestri con movimenti di masse enormi di fanterie, elefanti e cavalieri. Le marine si scontrarono, certo, ma furono quasi solamente utilizzate per aiutare gli eserciti nei loro spostamenti. O per far viaggiare i diplomatici da un regno all'altro del Mediterraneo.

Perché anche se la condotta della guerra viene comunemente percepita per lo più seguendo il cammino di Annibale dalla Spagna al sud Italia, in realtà tutto il Mediterraneo fu direttamente e indirettamente coinvolto nella disputa fra Roma e Cartagine. Teatro di scontri terrestri furono Iberia, Gallia transalpina, Gallia cisalpina, Italia, Africa. Le diplomazie romana e cartaginese si attivarono verso la Numidia, la Grecia, la Macedonia, la Siria, i regni dell'Anatolia, l'Egitto.

Rinascita di Cartagine

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Risolto in qualche modo il problema generato dai mercenari, Cartagine cercò una via per riprendere il suo cammino storico. Il governo della città era diviso principalmente fra il partito dell'aristocrazia terriera, capeggiato dalla famiglia degli Annone da una parte, e il ceto imprenditoriale e commerciale che faceva riferimento ad Amilcare e in genere ai Barcidi. Annone propugnava l'accordo con Roma e l'allargamento del potere cartaginese verso l'interno dell'Africa, in direzione opposta alla città rivale. Amilcare vedeva nella Spagna, dove Cartagine già da secoli manteneva larghi interessi commerciali, il fulcro economico per la ripresa delle finanze puniche.

Politicamente sconfitto Amilcare, che aveva avuto un ruolo di primo piano nella repressione della rivolta dei mercenari, non ottenendo dal Senato cartaginese le navi per andare in Spagna, prese il comando dei reparti mercenari rimasti e con una marcia incredibile attraversò tutto il nordafrica fiancheggiando la costa fino allo stretto di Gibilterra. Amilcare, che era accompagnato dal figlio Annibale e dal genero Asdrubale attraversò lo stretto di Gibilterra e, seguendo la costa spagnola, la percorse verso oriente alla ricerca di nuove ricchezze per la sua città. La spedizione cartaginese prese l'aspetto di una conquista. Dal 237 a.C., anno della partenza dall'Africa al 229 a.C., anno della sua morte in combattimento, Amilcare riuscì a rendere la spedizione autosufficiente dal punto di vista economico e militare e perfino a inviare a Cartagine grandi quantità di merci e metalli requisiti come tributo alle tribù ispaniche.

Morto Amilcare il genero prese il suo posto e iniziò una politica di consolidamento delle conquiste. Con patti e trattati si accordò con i vari popoli locali e fondò una nuova città. La chiamò Karth Hadash, cioè Città Nuova, cioè Cartagine, oggi Cartagena.

Impegnati con i Galli, i romani preferirono accordarsi con Asdrubale e nel 226 a.C., spinti anche dall'alleata Marsiglia che vedeva avvicinarsi il pericolo, stipularono un trattato che poneva l'Ebro come limite dell'espansione di Cartagine. Si riconosceva così, in modo implicito, anche il nuovo territorio soggetto al controllo cartaginese. D'altra parte un esercito di circa 50.000 fanti, 6.000 cavalieri per lo più numidi e oltre 200 elefanti da guerra significava una notevole potenza militare e soprattutto indicava una base economica per il suo mantenimento che dava sicuramente da pensare ai possibili bersagli.

La svolta si ebbe nel 221 a.C.. Asdrubale, pare a causa di una donna, fu ucciso da un mercenario gallo. L'esercito cartaginese scelse Annibale, che aveva solo 26 anni, come suo comandante. Cartagine non disse di no.

Casus belli

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Annibale Barca

Annibale prima di partire era stato condotto al cospetto degli déi della città dal padre che gli aveva fatto giurare odio eterno a Roma. Era poco più di un bambino ma aveva compreso quello che aveva fatto. A 26 anni, capo dell'esercito, idolatrato dai suoi uomini con cui aveva vissuto per anni condividendo pericoli e disagi, Annibale impresse una svolta decisiva alla politica cartaginese in Spagna.

Il trattato del 226 a.C. fissava nell'Ebro il limite dell'espansione punica ma alcune città, anche se comprese nel territorio controllato dai cartaginesi erano alleate a Roma: Ampuiras, Rosas e la più famosa di tutte: Sagunto. Posta in posizione munitissima in cima a un'altura, Sagunto sarebbe servita per la rifinitura dell'esercito di Annibale, per arrivare al controllo finale della qualità del suo esercito. E Sagunto fu scelta come casus belli. Con un pretesto Annibale dichiara guerra alla città. Sagunto chiede aiuto a Roma che però si limita a inviare degli ambasciatori. Annibale non li riceve. Sagunto viene attaccata nel marzo del 219 a.C.. Il drammatico assedio si protrae per otto mesi senza che Roma decidesse di attivarsi; tristemente famosa la disperata richiesta dei delegati: "Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur" (Mentre a Roma si discute, Sagunto cade). Alla fine, la sfortunata città, martirizzata da mesi di fame, battaglie, lutti e disperazione si arrende e viene distrutta.

Roma interviene e invia una delegazione a Cartagine chiedendo la consegna di Annibale. Ma con le ricchezze che per anni sono arrivate dalla Spagna il partito della guerra aveva ripreso vigore a Cartagine. E Cartagine rifiuta. Roma dichiara guerra a Cartagine. Siamo alla fine del 219 a.C. e inizia la Seconda guerra punica.

Preparativi di Annibale

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Nella primavera del 218 a.C., pochi mesi dopo l'espugnazione di Sagunto, Annibale appronta il suo esercito: fa arrivare da Cartagine 15.000 uomini di cui 2.000 cavalieri numidi. Questi assieme ad altre forze locali e a un migliaio di Liguri vengono lasciati in Spagna, sotto il comando del fratello Asdrubale per tenere a bada le popolazioni. A Cartagine vengono mandati di rinforzo 14.000 fanti e 1.200 cavalieri iberici assieme a 4.000 nobili spagnoli che, apparentemente inviati come "forze scelte" erano in realtà ostaggi allontanati per assicurarsi la lealtà della Spagna.

Preparativi di Roma

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Memore delle battaglie navali della Prima guerra punica, Roma allestisce una flotta di oltre 200 quinquiremi, la città stessa fornisce 24.000 legionari e 2.000 cavalieri, gli alleati italici aggiungono 45.000 fanti e 4.000 cavalieri. I due consoli si spartiscono, come d'uso, i compiti; Tito Sempronio Longo viene mandato in Sicilia con due legioni più forze degli alleati, in tutto 24.000 fanti e 2.000 cavalieri con l'incarico di passare in Africa per attaccare direttamente Cartagine. Una flotta di 160 quinquiremi più naviglio leggero doveva trasportarli. La prima azione militare consiste nell'espugnare la piazzaforte punica di Melita (Malta), che s'arrende subito senza combattere. A Publio Cornelio Scipione padre dell'Africano ed al fratello Gneo Cornelio Scipione viene assegnata la Spagna con il resto delle forze: due legioni e le forze degli alleati: 22.000 fanti, 2.000 cavalieri e una sessantina di navi. Il piano prevedeva di colpire Cartagine ritenuta non del tutto pronta con un esercito e attaccare Annibale in Spagna cercando l'aiuto delle popolazioni locali.

Ambasciatori vengono inviati in Spagna per cercare l'alleanza delle tribù Celtibere, da anni in lotta contro i cartaginesi. Ma mentre qualche tribù accetta altre, ricordando la mancanza di aiuto data a Sagunto, rifiutano di aiutare Roma innestando una reazione negativa che investe anche la Gallia. Roma deve contare solo sulle proprie forze e quelle dell'Italia appena conquistata.

La marcia verso l'Italia

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Nel maggio del 218 a.C. Annibale lascia la penisola iberica, con circa 90.000 fanti, 12.000 cavalieri e 37 elefanti. Deve muoversi in fretta se vuole dividere le forze di Roma per evitare l'attacco diretto a Cartagine e deve terminare la guerra in breve tempo per nuocere il meno possibile ai commerci, linfa di Cartagine.

Passato l'Ebro, in circa due mesi sconfigge (perdendo però ben 22.000 uomini) le popolazioni che si frappongono fra il territorio cartaginese e i Pirenei dove poi lascia per protezione un contingente di oltre 10.000 uomini. Cerca l'alleanza delle popolazioni galliche sulle cui terre deve passare rassicurandole di non volere la loro conquista e cercando invece di fomentarle contro Roma ma deve farsi strada con le armi perdendo ancora 13.000 uomini di cui 1.000 cavalieri. Dopo la diserzione di 3.000 Carpetani permette ad altri 7.000 uomini, poco desiderosi di seguirlo, di ritornare a casa. Verso la metà di agosto arrivano al Rodano 38.000 fanti e 8.000 cavalieri; sono truppe sicuramente fedeli e già rodate da dure battaglie. Nel frattempo la diplomazia di Annibale nella Gallia Cisalpina spinge i Galli Boi e Insubri alla rivolta. Questi scacciano i coloni da Piacenza e li spingono fino a Modena che viene assediata. Scipione si vede costretto a dirottare verso al Pianura Padana le sue forze che si trovavano a Pisa per l'imbarco verso la Gallia e a tornare a Roma per arruolare una sesta legione. A causa della malaccorta condotta della guerra ai Galli, però Scipione si vide costretto a mandare contro di loro anche questa legione. Tornato ancora a Roma, leva altre forze e finalmente riesce ad arrivare a Marsiglia per fronteggiare Annibale. Ma è passato troppo tempo prezioso.

Le Alpi

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Annibale doveva passare sulla riva sinistra del Rodano. Lo aspettavano la forte tribù dei Volcari e Scipione con le sue legioni, che erano partiti per la Spagna e che, per gli anzidetti ritardi e per la veloce marcia di Annibale, avevano deviato su Marsiglia. Una volta sconfitti i Volcari con un trucco, a seguito di uno scontro fra le cavallerie, il cartaginese si rende conto di non poter passare in Italia per la strada costiera e si inoltra fra le montagne seguendo le vallate del Rodano e dell'Isère.

Se pensiamo che siamo verso la fine di settembre, l'epica della traversata, da tanti autori raccontata come di una spedizione trascinata alla meta solo dalla sovrumana volontà del condottiero, prende un aspetto meno eroico. Il freddo e la fatica si fanno certo sentire per uomini e animali acclimatati al sole della costa spagnola e probabilmente non sufficientemente attrezzati per una traversata a tali altezze, però l'esercito punico raggiunge la Pianura Padana prima che le nevi blocchino i passi. Annibale riesce ad arrivare in Italia in una ventina di giorni di aspri combattimenti con le popolazioni montanare che, anche se terrorizzate dall'avanzata di un esercito di dimensioni - per loro - incredibili, dettero filo da torcere alle agguerrite truppe cartaginesi. Sono rimasti al condottiero 30.000 fanti, 6.000 cavalieri e 21 elefanti da guerra superstiti. La prima battaglia è necessaria per raggiungere gli alleati Galli Insubri e i Boi. Annibale deve passare per il territorio dei loro nemici, i Galli Taurini che resistono ma vengono sopraffatti. Nel frattempo Publio Scipione, mandato il fratello Gneo in Spagna per proseguire quella parte del piano bellico, era ritornato in Italia con pochi rinforzi attestandosi a Piacenza. Tiberio Sempronio Longo, abbandonata l'idea di attaccare Cartagine, risaliva l'Italia con l'altro esercito. Questa parte del piano di Annibale aveva funzionato. Cartagine non sarà toccata. Non subito.

In Gallia Cisalpina

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Battaglie di Annibale in Italia

Scipione arriva a Piacenza, aggiunge i suoi limitati rinforzi alle truppe di stanza in Gallia Cisalpina, provate dalle battaglie contro i Galli e andando incontro ad Annibale oltrepassa il Ticino. La battaglia del Ticino è solo un primo scontro ma dà la misura delle capacità belliche di Annibale. Utilizzando la cavalleria numidica in modo non omogeneo alle consuetudini militari romane, Annibale sconfigge pesantemente Scipione che resta ferito, rischia la morte in battaglia e viene fortunosamente salvato - a quanto riportano gli storici - dal figlio diciassettenne Publio Cornelio Scipione che poi diventerà "Africano".

Clastidium

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Scipione ripiega su Piacenza. Qui avviene il tradimento di oltre 2.000 alleati Galli che, dopo aver massacrato molti commilitoni italici, disertano. Passano dalla parte di Annibale che li invia alle rispettive tribù per diffondere la defezione. Scipione all'avvicinarsi di Annibale e per non dare spazio alla sua cavalleria, avvantaggiata sul terreno pianeggiante, si sposta verso Stradella sulla riva destra della Trebbia, ai piedi dell'Appennino. L'esercito cartaginese, per un altro tradimento, questa volta del capo della guarnigione, conquista Clastidium (Casteggio) dove sono ammassate grandi riserve alimentari romane e si assicura buona parte dei rifornimenti per l'inverno.

Trebbia

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L'esercito romano che era stato inviato a sud per attaccare Cartagine aveva nel frattempo felicemente contrastato le navi puniche e conquistato Malta catturando i 2.000 uomini della guarnigione. Quando il Senato ordinò a Sempronio Longo di portare aiuto al collega, questi aveva risalito l'Adriatico ed era sbarcato a Rimini. La notizia dell'avvicinarsi di questo esercito spinge Annibale ad accelerare alcune operazioni per convincere le tribù celtiche ad unirsi a lui e manda al cavalleria a compiere rastrellamenti nel territorio controllato. Le tribù attaccate, però, cercano la protezione di Roma e Annibale si trova forzato a scontrarsi con i romani prima di perdere i vantaggi acquisiti. Ai primi di dicembre Sempronio Longo raggiunge Scipione. circa 16.000 legionari e 20.000 alleati, per lo più Galli Cenomani sono a Stradella mentre Annibale vede aumentare le sue forze a circa 40.000 uomini con l'arrivo di Galli Boi e Insubri. In uno scontro la cavalleria numidica viene battuta dalle forze di Sempronio e questo rende il console poco prudente. Un freddo mattino, siamo in dicembre, inizia la battaglia della Trebbia. Annibale invia ancora la cavalleria a provocare i romani fingendo un attacco seguito da una fuga. Contro il parere di Scipione, ancora ferito, Sempronio prima manda la cavalleria, poi fa uscire i veliti e infine tutto l'esercito ed ordina alle forze, ancora digiune, di attraversare il fiume. Annibale che ha preparato i suoi, asciutti e ben nutriti, non ha difficoltà a scardinare i manipoli di Roma che, bagnati e affamati, devono combattere con il fiume gelato alle spalle. L'esercito romano scompaginato prima dagli elefanti e dalla cavalleria e attaccato dalla fanteria e infine aggirato e attaccato anche sui fianchi dovette faticosamente ripiegare e si salvarono solo parte dei cavalieri e circa 10.000 fanti che raggiunsero Piacenza e Cremona.

Inverno

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Scipione e Longo devono ritornare a Roma. Le loro cariche scadono alla fine dell'anno e nuovi consoli devono essere eletti e nuove legioni devono essere arruolate. La minaccia si annuncia preoccupante e Roma allestisce nove ulteriori legioni, una viene inviata in Sardegna, due in Sicilia, due vengono poste a difesa di Roma, due vengono mandate in Spagna. Rinforzi arrivano alle legioni rimaste nella Gallia Cisalpina e alle guarnigioni della penisola. In Spagna, nel frattempo, Gneo Cornelio Scipione aveva riconquistato Ampurias, colonia greca di Marsiglia, e si era diretto con i suoi 24.000 uomini verso l'Ebro, battendosi vittoriosamente con alcune tribù locali e con Annone che era rimasto a presidiare i Pirenei con 11.000 uomini. Annone viene pesantemente sconfitto, subisce gravissime perdite e catturato. Asdrubale che con 8.000 uomini stava marciando per ricongiungersi a lui, dopo alcune scaramucce ritorna a Cartagena per svernare mentre Gneo Scipione pone la base presso Ampurias.

È l'anno 217 a.C. e i nuovi consoli, Gneo Servilio Gemino e Gaio Flaminio con le quattro legioni consolari e gli alleati, in tutto circa 50.000 uomini, si spostano nella via ritenuta più logica per marciare verso Roma. I resti delle due legioni di Sempronio Longo, rafforzate da nuovi elementi e da alleati di Siracusa si fermano a presidiare l'Etruria sotto la guida di Flaminio, altre due legioni al comando di Servilio Gemino si attestano a Rimini, confine nord della penisola. Roma abbandona la Gallia Cisalpina dove aveva appena iniziato a inserirsi. Restano fedeli i Galli Cenomani e i Veneti; questi alleati si rivelano preziosi per rifornire le guarnigioni delle due colonie di Cremona e Piacenza che Roma è costretta ad abbandonare in un mare di nemici. Annibale sverna fra i Galli Boi che però, secondo Polibio, alla lunga non sono poi così contenti di dover nutrire e mantenere l'esercito punico.

Dal Trasimeno a Canne

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Attraverso L'Appennino

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Primavera del 217 a.C. Annibale decide di scendere verso Roma. L'esercito è riposato e conta circa 50.000 uomini, in massima parte Galli che si sono aggiunti ai superstiti della marcia dell'anno precedente. Per il freddo è rimasto vivo, ma per poco, un solo elefante da guerra. Sapendo che le legioni romane sono attestate a Rimini e ad Arezzo, il generale cartaginese decide di attraversare l'Appennino, probabilmente al Passo di Collina, e scende verso Pistoia. Il territorio, all'epoca era paludoso e intransitabile, la marcia dell'esercito cartaginese lenta ed estremamente difficoltosa, molti uomini,per riposare, dovettero dormire sulle carcasse degli animali morti. Molti morirono e lo stesso Annibale ha perso un occhio a causa di un'infezione.

Le devastazioni dell'esercito cartaginese costrinsero Flaminio a spostarsi dalle basi di Arezzo e dirigersi verso sud per cercare di intercettare Annibale. Servilio, nel frattempo, essendo partito da posizioni ancora più lontane, stava marciando lungo la nuovissima Via Flaminia per ricongiungersi al collega, proprio quello che l'aveva costruita. Annibale non attese il ricongiungimento. Alla sera accampò le sue truppe appiedate sulle colline sopra il lago e nascose in una gola la micidiale cavalleria. Sulle rive del lago si accamparono gli ignari romani. Il giorno dopo iniziò la battaglia del Lago Trasimeno.

Trasimeno

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La mattina era nebbiosa. I 25.000 uomini di Flaminio, non essendo a conoscenza della posizione del nemico procedevano senza particolari accorgimenti difensivi. Annibale non schierò le sue truppe, le scatenò proditoriamente sulla colonna in marcia che venne stretta fra le colline e le rive del lago, accerchiata. Fu un massacro in cui persero la vita lo stesso console e 15.000 romani; 6.000 furono i prigionieri. Il giorno dopo vennero sconfitti anche alcuni reparti di cavalleria di Servilio appena arrivati, che si scontrarono con la cavalleria numida di Maarbale. Qualche migliaio di superstiti delle legioni si disperse in Etruria o riuscì a raggiungere Roma.

Questa volta il disastro non viene nascosto; il Trasimeno è troppo vicino. Servilio assume il comando delle forze navali, Regolo sostituisce il defunto Flaminio al consolato ma, come sempre nelle più dure avversità, Roma nomina un dittatore: Quinto Fabio Massimo che passerà alla storia come cunctator (Temporeggiatore).

Annibale fece trucidare i prigionieri romani, mandò liberi e senza riscatto i prigionieri italici. Con questa mossa cercava di staccare gli alleati da Roma. Ma le città dell'Etruria non tradirono e perfino i Sanniti, solo da poco conquistati, per il momento non cambiarono alleanza.

Il mancato funzionamento della mossa propagandistica, probabilmente, cambiò il corso della guerra. Non potendo resistere a lungo in un territorio totalmente ostile e non potendo quindi porre l'assedio a Roma stessa, Annibale si diresse verso l'Adriatico e poi lungo la costa verso il sud dell'Italia dove sapeva di trovare popolazioni meno legate all'Urbe. Prima destinazione l'Apulia.

Tirreno e Spagna

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Un altro motivo del mancato diretto attacco a Roma fu probabilmente il blocco navale posto dalla flotta romana alle coste del Tirreno. Al comando di Annone, una flotta cartaginese di circa 70 navi si riunì vicino alla Sardegna e cercò di portare rinforzi in Italia tentando di sbarcare sulle coste dell'Etruria. Fu ricacciata verso sud dalla flotta romana, 120 quinquiremi, che pattugliava il Tirreno, comandata da Servilio. Nel viaggio di ritorno verso l'Africa i cartaginesi si scontrano e distruggono una flotta da carico che Roma stava mandando in Spagna come aiuto a Gneo e Publio Scipione. Ma Servilio li incalza e, pur senza raggiungere i nemici, la flotta romana arriva fino al Golfo della Sirte da dove però viene respinta. Tornando verso l'Italia si accontenta di rioccupare Pantelleria che era caduta in mano cartaginese.

Anche le forze cartaginesi in Spagna non possono mandare aiuti ad Annibale. Alla ripresa delle ostilità dopo l'inverno, con una campagna diplomatica e militare, con l'uso della forza e degli ambasciatori, Gneo Scipione riesce a riconquistare il territorio fra l'Ebro e i Pirenei che l'anno precedente era stato preso da Annibale. Le popolazioni degli Illergeti e degli Ausertani che resistono a Roma vengono sconfitte e Asdrubale viene fermato al vecchio confine dopo una serie di battaglie terresti e navali. La flotta cartaginese di stanza in Spagna viene catturata da Scipione e i romani arrivano a saccheggiare il territorio vicino a Cartagena riuscendo anche a sottomettere le isole Baleari. Roma ha il controllo totale del Mediterraneo Occidentale. Verso la fine dell'anno in Spagna arriva anche il fratello Publio, guarito dalle ferite del Ticino. Con una dote di 30 navi e una legione. In Spagna Roma schiera adesso due legioni, 10.000 alleati, 80 quinquiremi, 25.000 marinai. Le forze cartaginesi sono bloccate in Spagna, non possono passare per via di terra senza cercare di riaprirsi la strada con la forza. Non possono usare le navi perché Cartagine ha perso l'antico predominio navale. Viene l'inverno e le operazioni si fermano nuovamente.

Filippo V di Macedonia

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L'unico alleato che può fare qualcosa per Annibale è Filippo V di Macedonia. La Macedonia è il più forte stato ellenistico e vede con preoccupazione l'ingerenza romana sulla Lega Etolica e sulla Grecia in genere. Filippo teme soprattutto l'espansione di Roma nelle coste illiriche, cominciata con l'attacco alla regina Teuta e proseguito con la parziale conquista dell'Illiria. Filippo V interviene contro queste forze. È la Prima guerra Macedonica. Da una parte Filippo V, la lega Achea, dall'altra la Lega Etolica con il supporto romano, vengono coinvolte anche le diplomazie di Atene da una parte e di Rodi dall'altra. Termina nel 205 a.C. con la pace di Fenice che segna il definitivo ingresso di Roma nel mare Egeo e nella politica del Mediterraneo Orientale. Ma, intanto, Filippo V non è un vero aiuto per Annibale. Annibale è solo.

Quinto Fabio Massimo

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Quinto Fabio Massimo diede una svolta alla strategia di Roma. Prudente e deciso evitò accuratamente tutti gli scontri diretti che non fossero strettamente necessari cercando di fare "terra bruciata" attorno all'esercito di Annibale e infliggendo continue perdite al cartaginese che non poteva rimpiazzarle con facilità.

Dall'Apulia, Annibale cambiò ancora direzione e si diresse sul Sannio e sulla Campania, probabilmente nel tentativo di raggiungere Roma da sud. Ma, diretto verso Cassino e invece guidato a Casilino, rischiò di essere annientato da Fabio Massimo che aspettava solo un'occasione veramente favorevole. Le forze di Annibale chiuse in una strettoia riuscirono a sfuggire nella notte grazie ad un ennesimo trucco del generale. Alle corna di duemila buoi furono appese torce e Fabio Massimo, vedendole in movimento e credendo che fosse l'esercito punico che si muoveva, seguì le luci lasciando aperta la strada della fuga ai cartaginesi che si attestarono, alla fine, nel territorio di Geronio.

La tattica di Fabio Massimo non piaceva a molti fra i romani e non piaceva a Marco Minucio Rufo, magister equitum, che continuamente la contestava. In assenza di Fabio Massimo Rufo attaccò un reparto di Annibale e vinse. A Roma fu portata la notizia di una grande vittoria e Rufo, su proposta del tribuno della plebe Marco Metello, fu innalzato allo stesso grado di Massimo. Si ebbero così due dittatori. Anziché comandare l'esercito a giorni alterni, com'era d'uso con i consoli, Fabio Massimo preferì dividere le forze. Annibale cercò di approfittare di questa debolezza avversaria e attirò Rufo in una trappola. Le forze di Rufo stavano per essere distrutte quando il Temporeggiatore, lanciò la sua metà dell'esercito, sbaragliò i cartaginesi e salvò Rufo che, pentito e grato, rinunciò alla carica di dittatore.

La carica di dittatore, a Roma, durava al massimo sei mesi. Quinto Fabio Massimo, alla scadenza, restituì le insegne e il comando ritornò ai consoli Gneo Servilio Gemino e Marco Attilio Regolo nel frattempo eletto al posto di Flaminio. Per tutto il resto dell'anno i consoli continuarono nella tattica di Massimo e, dice Tito Livio, Annibale fu ridotto a un tale malpartito da pensare seriamente di ritornare in Gallia. Non lo fece - pare - solo perché sarebbe sembrata una fuga. Roma sembrò aver assorbito il trauma e, visto che gli alleati italici non defezionavano, ricominciò a tenere sotto controllo la politica estera verso l'Illiria, la Macedonia, Siracusa, la Gallia, come se Annibale non fosse nemmeno presente.

È l'anno 216 a.C. e, scaduti dalla carica i consoli Servilio e Regolo, dopo un breve interregno di Veturio Filone e Pomponio Matone, vengono eletti consoli Lucio Emilio Paolo e Gaio Terenzio Varrone. Paolo è sostenuto dall'aristocrazia, è il vincitore della guerra in Illiria e propende per il mantenimento della tattica di Quinto Fabio Massimo. Varrone, di parte plebea, figlio di un macellaio arricchito, è un demagogo impetuoso che ha però percorso una carriera pubblica dall'edilità alla pretura. Ma non sa come si comanda un esercito.

Le forze armate di Roma sono state aumentate e, contando gli alleati, ci sono ben 90.000 uomini schierati contro Annibale. I consoli, a luglio, si mettono alla testa dell'esercito contrastando Annibale ancora attestato a Geronio. Annibale si sposta in Apulia in cerca di viveri e qui lo segue l'esercito romano comandato a giorni alterni da Paolo e Varrone. I due eserciti si avvicinarono l'uno all'altro e a Canne in Apulia, dove Annibale aveva trovato e requisito grandi ammassi di grano raccolti dai romani, si ebbe lo scontro che, nelle intenzioni di Varrone, doveva essere decisivo. Il 2 agosto 216 a.C. il comando toccava a Varrone che forzò la mano al collega e dispose l'esercito per la battaglia. Le truppe romane erano circa il doppio delle forze di Annibale. Sembrava impossibile perdere.

Annibale dispose al centro i Galli nella quasi certezza che non avrebbero retto alla pressione dello schieramento romano. Vide giusto. I Galli lentamente cedettero terreno e le forze romane avanzarono, attirate sempre più verso il centro dello schieramento dalla retrocessione nemica. Annibale rispose facendo avanzare le ali e scatenando la terribile cavalleria pesante di Asdrubale, che già aveva dato prova di essere la sua arma migliore, verso le analoghe formazioni romane che la fronteggiavano. La cavalleria romana cedette e si ritirò lasciando aperta la strada ad Asdrubale il quale poté attaccare da dietro i reparti di cavalleria alleata che, sul fianco opposto, resistevano ad Annone e ai suoi cavalieri numidi. Sotto il doppio attacco anche questi reparti cedettero e i cavalieri punici poterono rinforzare le ali di fanteria che nel frattempo si erano ripiegate a stringere i fianchi delle legioni. L'intero esercito romano fu chiuso in un cerchio di ferro.

 
Scipione Africano

Roma perse un console, Paolo Emilio, che non voleva questa battaglia, i due consolari Servilio e Minucio che combattevano al centro dello schieramento, decine di ufficiali appartenenti alle grandi famiglie di Roma e delle città alleate. Ma soprattutto caddero 30.000 uomini e 10.000 furono presi prigionieri Altre fonti parlano di 48.000 caduti e 19.000 prigionieri). Il console superstite, Varrone, primo responsabile della sconfitta, con 10.000 sbandati si rifugiò a Venusia. Si salvò anche un certo Publio Cornelio Scipione, che Annibale si troverà davanti qualche anno dopo. In Africa. A Zama. Annibale perse circa 6.000 uomini. Ma cominciò a vedere qualche risultato politico. Alcuni centri cominciarono a defezionare: Arpi ed altri centri del sud Italia, qualche popolazione sannita, ma soprattutto Capua che era ancora, per importanza, la seconda città dopo Roma.

Per il resto dell'anno Annibale si aggirò nelle regioni meridionali conquistando colonie latine e romane e cercando di attirare dalla sua parte le popolazioni italiche. I risultati furono alterni. Alcune città come Napoli, Cuma, Nola e Pozzuoli resistettero e il condottiero scese nel Bruttium, dove cercò l'alleanza con le città greche della Magna Grecia. Anche in questo caso i risultati non furono dei migliori. Annibale conquistò Locri che divenne il porto per far affluire rinforzi dall'Africa, e Crotone. In genere però i greci, vedendo in lui non tanto un liberatore dai romani ma un avversario cartaginese, si guardarono bene dal cambiare bandiera; le classi sociali elevate, soprattutto, erano restie a inimicarsi Roma, fonte per loro di potere e ricchezze, se prima la situazione bellica e politica non fosse stata chiara. E non lo era. Annibale, per quanto abbastanza autosufficiente rispetto al problema degli approvvigionamenti, lo era molto meno come ricambio di forze addestrate. Roma possedeva un immenso serbatoio umano al quale, nel momento del pericolo attinse a piene mani. Cartagine aveva fatto sbarcare a Locri 4.000 cavalieri e una quarantina di elefanti. Non erano una grosso contingente e comunque Annibale trovava grandi difficoltà a nutrire le sue truppe. Le requisizioni che era costretto a compiere per il vettovagliamento gli alienavano la poca simpatia che aveva raccolto fra le popolazioni, ben felici di togliersi di torno i gabellieri romani ma nient'affatto disposte a pagare per la protezione.

Nel frattempo

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In Gallia Cisalpina due legioni romane vengono pressoché distrutte. Al comando del console designato Aulo Postumio Albino, eletto al posto del defunto Emilio Paolo, dovevano portare la guerra ai Galli Boi e Insubri. L'attacco ai loro territori doveva far ritornare a nord le forze locali che avevano seguito Annibale. Altra sconfitta di Roma. Le due legioni cadono in un'imboscata nella Selva Litana fra Bologna e Ravenna. I Galli segano gli alberi ma fanno in modo che restino ritti. Quando passano le legioni di Postumo i Galli fanno cadere le piante. Circa 16.000 uomini dei 25.000 cadono con Postumio Albino nel tentativo di resistere.

Nel basso Adriatico, Filipo V di Macedonia con 2.500 uomini parte per portare un attacco al protettorato romano di Apollonia. La flotta romana si muove verso di lui e Filippo preferisce non combattere e ritornare alla base.

Siracusa aveva inviato a Roma denaro, vettovaglie e combattenti ma il Senato romano deve a sua volta mandare una flotta di 70 navi per fermare gli attacchi cartaginesi a Siracusa e a Capo Lilibeo.

In Spagna Asdrubale, il fratello di Annibale, ricevuti alcune migliaia di uomini di rinforzo, è costretto a battersi con le popolazioni dei Carpetani che gli si sono rivoltate contro.

Cartagine, aveva inviato 4.000 uomini ad Annibale in Italia, altri 5.000 ad Asdrubale in Spagna e sembrava decisa a compiere ulteriori sforzi. Un esercito fu inviato in Sardegna. Circa 15.000 uomini furono così distolti dai teatri bellici principali per uno scopo non del tutto chiaro. Cartagine, per recuperare la Sardegna, avrebbe potuto attendere la fine della Seconda guerra punica come Roma aveva atteso la fine della Prima per prenderla. Roma era in uno stato di disperazione. Sembrava che nulla potesse fermare l'avanzata di Annibale e la città si chiuse su sé stessa. Furono nominati 177 nuovi senatori al posto degli 80 che, arruolatisi volontari, erano caduti a Canne. Abbreviato il periodo del lutto, vennero limitati i lussi e dato fondo alle ricchezze della città. Un insolito agire comune unì i cittadini. Il Senato rifiutò di riscattare i prigionieri, arruolò nuove legioni anche con giovani diciassettenni, vennero aggiunti 8.000 schiavi, i volones, cui fu promessa la libertà e perfino criminali comuni furono annessi all'esercito. In poche settimane Roma ricostruì sette legioni a difesa della Repubblica. Arriva l'inverno e Annibale col suo esercito va a Capua per svernare e portare avanti la parte politica della sua azione. Sono i cosiddetti "ozi di Capua" che secondo molti storici, indebolendo l'esercito di rudi Ispanici e Galli con inusitate mollezze, saranno una delle cause della futura sconfitta del cartaginese.

Un inizio di riscossa

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Il comando torna nelle mani di Quinto Fabio Massimo. Il Temporeggiatore, eletto console, guida il suo esercito consolare nell'entroterra campano, Tiberio Sempronio Gracco, l'altro console, si attesta vicino a Napoli mentre il proconsole Claudio Marcello presidia la zona di Cuma e Nola. L'esercito punico è disperso a presidiare i territori conquistati e che dovevano essere difesi contro le popolazioni locali che non avevano accettato i cartaginesi e contro le forze romane inviate a riprendere le posizioni. Annibale è quindi costretto ad inviare delle truppe di Capua contro Cuma. Sempronio Gracco resiste validamente e respinge Annibale.

In Sicilia sono acquartierate, in punizione, i resti delle due legioni superstiti a Canne. Gerone manda rifornimenti in grano ma all'età di 92 anni muore. A Siracusa la morte di Gerone, fedele alleato di Roma lascia il posto al nipote Geronimo. Cartagine lo riconosce re di tutta la Sicilia in quanto nipote di Pirro, re dell'Epiro, in cambio della defezione da Roma.

Per Annibale è comunque un periodo difficile. Subisce scacchi importanti un po' dovunque nelle regioni del sud Italia. Annone che comanda le forze di guarnigione viene ripetutamente sconfitto e perde molti uomini in Lucania, i romani di Fabio Massimo riconquistano varie città fra cui Compulteria, Trebula, Levino e colpiscono i Sanniti. Annone, mandato in Calabria cerca di conquistare le città greche rimaste fedeli a Roma e ottiene qualche risultato positivo con la presa di Locri e Crotone. Annibale prova a prendere Nola ma viene pesantemente sconfitto da Marcello. Restano sul terreno 5.000 cartaginesi e 500 vengono fatti prigionieri. Annibale si sgancia e seguito dall'esercito di Sempronio Gracco, sverna ad Arpi; Sempronio pone il campo a Lucera, Fabio Massimo saccheggia il territorio di Capua.

In Sardegna giunge un esercito punico di 15.000 uomini appena arruolato. Ma arriva dopo che Tito Manlio Torquato, forte di oltre 20.000 uomini ha sconfitto Amsicora e il figlio Hosta. Quando si giunge alla battaglia fra le forze alleate sarde e puniche i Sardi vengono sbaragliati, perdono 4.000 uomini fra caduti e prigionieri. I Cartaginesi resistono più a lungo ma perduti 3.500 prigionieri, si reimbarcano precipitosamente verso l'Africa. La flotta viene intercettata da una flotta romana e sbaragliata.

Sull'isola i Sardi vengono sconfitti e segue un periodo di dura repressione che richiede la presenza di due legioni distolte dalla penisola. È il solo risultato utile raggiunto da Cartagine con questa azione.

In Spagna, con la notizia della vittoria di Canne, Asdrubale riceve anche l'ordine di portare truppe di rinforzo al fratello in Italia. Parte con 25.000 uomini ma i fratelli Scipioni con un esercito altrettanto numeroso lo fermano. Questa sconfitta è un altro tassello nella sfortuna di Annibale. Un altro esercito di oltre 14.000 uomini e 20 elefanti doveva essere inviato ad Annibale a Locri, quando a Cartagine giunse la notizia della sconfitta di Asdrubale in Spagna. E la Spagna era vitale per reclutare guerrieri e per l'argento, necessario a pagare i mercenari. Cartagine doveva tenere la Spagna. L'esercito fu dirottato verso ovest. Annibale doveva resistere con le proprie forze.

10 anni logoranti

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Dal 214 al 204 la guerra in Italia si protrae senza più grandi battaglie.

Annibale non riesce a conquistare definitivamente nessun territorio e, per contro, comincia a trovare difficoltà ad ottenere degli aiuti. Le popolazioni sottomesse non lo vedono come un liberatore ma come un conquistatore, devono fornire armi e uomini e vettovaglie all'esercito che scorrazza per le loro terre; e sanno che per questo saranno punite quando, come a Capua e poi a Taranto, Roma estrometterà Annibale.

Roma, impegnata su molti fronti, vede che Annibale non riesce più ad attaccare in maniera decisa e continuativa e, attenendosi ai principi di Q. Fabio Massimo, continua a contendere territorio e risorse al cartaginese senza farsi coinvolgere in battaglie spettacolari. Un continuo stillicidio di perdite, non rimpiazzabili, costringe così Annibale a una serie di battaglie quasi da guerriglia fra le colline e le montagne della Calabria e della Lucania. Anche Roma, persa buona parte delle conquiste nel sud, aveva grandi difficoltà a reperire forze armate e poteva contare quasi solo sull'Etruria (che aveva i Galli appena più a nord), sulle sue colonie e su varie città greche (ma anche queste sempre più in difficoltà a reperire leve di armati).

La guerra continua sul mare con battaglie navali, in Africa con scorrerie romane e attacchi di Siface, con battaglie e reclutamenti in Spagna e, per alleanze contro Filippo V, in Grecia.

Sicilia

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Mentre gli scontri si diradano nella penisola, la guerra, per qualche anno si rinfocola in Sicilia dove Geronimo, cambiando le alleanze, attira nuove truppe romane alle porte di Siracusa. Anche i cartaginesi mandano truppe nell'isola e fra Palermo, Siracusa, Agrigento e Enna, Roma e Cartagine si affrontano direttamente in battaglie e assedi che alternano a tratti il controllo dell'isola. La conclusione di questa parte della guerra avviene con la presa di Siracusa da parte delle forze di Marcello, con la famosa morte di Archimede che aveva aiutato la sua città con le sue macchine e con i suoi specchi ustiori. Siracusa poi -non più regno alleato- verrà inglobata nella Provincia di Sicilia di cui diventerà capitale.

Altro punto decisivo fu la conquista di Taranto. Annibale, con l'aiuto di un traditore, prese la città ma non la rocca che bloccava il porto, rimasta in mani romane, che poteva essere rifornita dal mare. Così Annibale non poteva usare lo scalo, più capiente di quello di Locri (già in suo possesso) per ricevere i necessari aiuti da Cartagine. La successiva riconquista della città da parte dei romani chiuse definitivamente questa possibilità. Annibale si trovò quindi a dover dipendere da alleati sempre più renitenti e da aiuti della madrepatria sempre meno consistenti.

L'attenzione, quindi si concentra sulla Spagna. Qui, Asdrubale e Magone Barca, fratelli di Annibale, Asdrubale di Giscone, Asdrubale di Amilcare, si battono a fondo contro le forze di Publio Cornelio Scipione (figlio) e di Caio Claudio Nerone distogliendo da Annibale importanti risorse di Roma. Però in quel momento la Spagna è molto più importante per Cartagine che per Roma; è la base economica di tutta la guerra. È dalla Spagna che vengono truppe mercenarie, truppe alleate e, soprattutto, argento e rame, indispensabili supporti finanziari per sopportare i costi sempre crescenti dello sforzo bellico, esteso ormai a tutto il Mediterraneo. Ed è sulla Spagna che Cartagine deve appoggiarsi per mandare aiuti ad Annibale.

Morti il padre e lo zio, Publio Scipione riesce infatti a farsi inviare in Spagna con 11.000 uomini resi disponibili dopo la riconquista di Capua, e con una serie di brillanti operazioni belliche e diplomatiche restringe sempre più il controllo cartaginese nella penisola iberica. Scipione riesce a rovesciare alcune alleanze fra iberici e cartaginesi rendendo difficile il reclutamento di forze contro Roma e contestualmente sferra attacchi, in genere coronati da successo, contro colonie cartaginesi e città loro alleate. Viene riconquistata Sagunto, presa Cartagena. I territori sotto controllo cartaginese si riducono man mano alla punta attorno Gibilterra. Asdrubale Barca si salva a stento ma raduna uomini e mezzi e riesce e passare i Pirenei e ad arrivare in Italia. Con la definitiva battaglia di Ilipa Scipione elimina il pericolo cartaginese in Spagna. Roma chiude il "fronte occidentale" mantenendo solo le necessarie forze di presidio.

Filippo V di Macedonia non riesce a portare ad Annibale nessun aiuto per tutta la durata della guerra. La diplomazia e le legioni di Roma chiudono il re e i suoi alleati in un cerchio composto da forze romane a nord e ovest, Lega Etolica e forze romane (circa 4.000 uomini) a sud e Attalo di Pergamo a est. Filippo pur non riuscendo a portare ad Annibale nessun aiuto si difende brillantemente e a sua volta scatena Sparta contro gli Etoli. Le convulsioni della situazione politica e bellica in Grecia, descritte da Polibio, sono complicatissime e in modo più o meno diretto entrano in gioco molte città e isole della Grecia e dell'Asia Minore. Con la pace di Fenice Roma riesce ad assicurarsi la tranquillità sul "fronte orientale". Si liberano così ingenti forze militari che possono essere, finalmente, concentrate contro l'avversario principale che da lungo tempo staziona alle porte dell'Urbe.

Nemmeno vicino casa per Cartagine era vita facile. La Numidia che confinava a ovest con i possedimenti cartaginesi, era divisa in due. La parte orientale, confinante con Cartagine (regno dei Massili), era in potere di di Gaia e poi del figlio Massinissa mentre la Numidia Occidentale, più vicina alla Mauritania (regno dei Massesili)), era retta da Siface. Dopo una prima fase di alleanza con Cartagine, Siface, si avvicinò ai romani, in corrispondenza di un passaggio di Gaia e poi Massinissa ad un'alleanza con Cartagine. All'inizio Siface viene sconfitto da Massinissa ma, con le sconfitte iberiche la situazione si inverte. Siface, perdonato dai cartaginesi e forse forzato, si allea a loro. Massinissa che ha conosciuto Scipione in Spagna e che forse già meditava di cambiare alleanza, si allea con Roma. L'alleanza con Siface sembra favorire Cartagine. Ma Massinissa ha per Roma qualcosa di più importante. Con il suo passaggio in campo avverso, Annibale viene privato di una vera e propria "arma strategica": la cavalleria numidica, che Roma ha sofferto sulla Trebbia e a Canne e il cui uso "moderno" Scipione ha imparato a conoscere in Spagna. Cartagine perde un'esclusiva determinante.

La flotta cartaginese, che anni prima era la dominatrice del Mediterraneo, era ridotta all'ombra di sé stessa. Ormai Roma, che solo da pochi anni aveva imparato l'importanza di mantenere una flotta, era regina incontrastata di tutto i mari a ovest di Malta. Sconfitti i pirati Illirici, controllava l'Adriatico; sconfitti i cartaginesi nella Prima guerra punica controllava il Tirreno a est e ovest della Sardegna, dalla Provincia di Sicilia controllava l'omonimo Canale e lo Ionio. L'Egeo era greco ma Rodi e Pergamo erano buoni alleati. A Cartagine restava il Mediterraneo della costa africana e della costa spagnola. Con l'arrivo dei romani in Spagna, in pochi anni Cartagine perse anche quella costa. Tanto che Nerone, quando portò gli aiuti a Scipione, poté tirare in secca le navi e arruolare i marinai come truppe di terra.

Nondimeno le flotte romana e punica si scontrarono. Nel 208 Marco Valerio Levino dopo una razzia a Clupea si deve difendere da una flotta cartaginese di 87 navi che nello scontro ne perde 21 e deve ritirarsi. È la più grande battaglia navale della guerra. Questo ci può dare la misura delle dimensioni degli scontri navali al paragone di quelli della Prima guerra punica.

Le coste africane e siciliane sono però state sempre sotto attacco da parte delle marinerie avversarie; in special modo Cartagine compiva scorrerie in Sicilia e mandava (poche) truppe in Calabria e Puglia. Per contro Roma bersagliava la costa della Libia (Leptis in particolare) e della Tunisia.

Il cerchio si stringe

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Nel 207 Roma sconfigge Asdrubale che muore nella battaglia del Metauro.

Nel 206 Roma espelle Cartagine dalla Spagna. Chiuso il fronte occidentale.

Nel 205 Roma sottoscrive la pace di Fenice. Chiuso il fronte orientale.

Restano i fratelli Barca. Magone a nord e Annibale a Sud.

Sulla scia del successo in Spagna Scipione viene eletto console. Gli viene affidata la Sicilia

Scipione

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Scipione decide che è tempo di chiudere la partita con Cartagine. Scipione, non Roma.

Il Senato, infatti, si oppone pesantemente all'idea di Scipione di portare la guerra in Africa. Quinto Fabio Massimo e il figlio capitanavano la fazione attendista. Si può comprendere come l'ex dittatore, ormai ultraottantenne fosse affezionato alla sua concezione della guerra che fino ad allora aveva permesso a Roma di resistere.

Meno comprensibile l'atteggiamento del Senato che doveva aver ormai capito di avere di fronte un nemico stanco e demotivato. Le devastazioni del territorio erano impressionanti, oltre dieci anni di guerra continua avevano distrutto in pratica l'economia agricola della regione. La terra non poteva essere lavorata senza che fossero attivate razzie degli eserciti di entrambe le parti. I commerci erano bloccati per carenza di denaro, per il pericolo di rapine, per mancanza di compratori. Gli uomini validi erano arruolati, per volontà o per forza tanto che alcune colonie romane furono esentate dal fornire uomini. Il Senato di Roma riconobbe che erano state drenate fino alla consunzione.

Scipione decide che è tempo di chiudere la partita con Cartagine. Scipione, non Roma.

Dalla devastazione diretta si salvano il Lazio e l'Etruria. Questi però, specialmente l'Etruria, devono fronteggiare i Galli che chiudono buona parte delle vie commerciali verso il nord; anche il centro Italia, d'altra parte deve fornire uomini e mezzi alla guerra; anche il centro Italia comincia ad avere difficoltà, anche il centro Italia comincia a dare segni di ribellione. Tanto che una legione viene mandata a percorrere l'Etruria a causa di presunti contatti con Magone, accampato nella Pianura Padana.

Il Senato di Roma, sotto la pressione dei Fabii, vuole prima sconfiggere Annibale e rifiuta di supportare Scipione che in Sicilia ha a sua disposizione solo le legioni "cannensi" e poche navi. Le legioni "cannensi" sono i resti delle forze sbaragliate a Canne da Annibale. Però mentre Varrone, il maggiore responsabile della disfatta, tornato a Roma era stato perdonato, la bassa forza, come punizione era stata mandata in Sicilia col divieto di tornare a Roma fino a quando Annibale fosse rimasto in Italia. Nonostante delegazioni di supplici avessero fatto notare al Senato la differenza di trattamento, la punizione era rimasta applicata e circa 15.000 uomini sognavano Scipione, la vendetta ed il riscatto sociale.

Scipione decide che è tempo di chiudere la partita con Cartagine. Scipione, non Roma.

Preso atto dell'atteggiamento del Senato, Scipione si rivolge agli alleati italici per avere uomini, armi, navi e vettovaglie. La risposta è entusiastica. Le città dell'Etruria e del Lazio forniscono ciurme per le navi, tela per le vele, grano e farro e vivande di tutti i tipi, punte di frecce, scudi, spade, lance, e uomini. In meno di due mesi Scipione aggiunge alle sue legioni "cannensi" circa 7.000 volontari italici e comincia a preparare seriamente lo sbarco in Africa. Gli ci vorrà, però, quasi un anno.

Convinto da alcuni locresi a riconquistare la città, Scipione accetta e dopo la caduta lascia un luogotenente Quinto Pleminio a governare Locri. Le malversazioni di Pleminio vengono portate davanti a Scipione che però non crede ai locresi. Costoro allora si appellano al Senato che invia una commissione. Per fortuna di Scipione la commissione di inchiesta prima, a Locri, appura che il console non ha parte nel comportamento di Pleminio e poi, a Siracusa vede che l'esercito approntato da Scipione è perfettamente addestrato e rifornito. La commissione torna a Roma lodando Scipione e le sue capacità di organizzazione e di comando. Con tutte questa difficoltà Scipione perde un anno nella sua guerra contro Annibale. Viene l'anno 204 a.C. e scade il suo periodo di consolato. Ma Scipione viene nominato proconsole e può portare avanti il suo progetto.

Annibale

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Mentre Scipione raggiungeva l'apice del potere a Roma, Annibale, asserragliato sulle montagne della Calabria riusciva a resistere alle forze romane forse solo in virtù della sua fama, della paura che il suo nome incuteva. Scipione era concentrato sui preparativi per portare le legioni in Africa e il Senato voleva continuare con la guerra di logoramento. Con tutto ciò Annibale non era in grado di compiere azioni di rilevanza e doveva continuare una guerriglia disperata. Persa anche la base di Locri per opera di Scipione, quando questi ritornò in Sicilia cercò di contrattaccare. Scipione, alla notizia, ritornò a Locri via mare e Annibale dovette rinunciare anche a quel porto. L'ultima possibilità di ricevere velocemente rinforzi consistenti gli era stata preclusa. D'altro canto il generale cartaginese, probabilmente, sentiva che la sua avventura stava per concludersi, infatti al Tempio di Hera di Capo Licinio aveva fatto incidere, come un monarca ellenistico, una tavola di bronzo che narrava le sue imprese. Una specie di testamento.

Ma Cartagine aveva ancora frecce al suo arco. E stava predisponendo la difesa del territorio metropolitano. Reclutamenti di mercenari, acquisti di armi, ammassi di grano, ricerca di alleati. La mossa più importante in questo senso fu compiuta da Asdrubale di Gascone che dando in sposa a Siface la bellissima figlia Sofonisba cementò l'alleanza con questo confinante re numida. Questo mise a disposizione di Cartagine altri 50.000 uomini e 10.000 cavalieri. In termini romani, circa 8 legioni. Scipione, una volta sceso a terra dalle navi, avrebbe potuto contare su 35.000 uomini.

Scipione sbarca in Africa

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Cartagine non poteva non sapere quello che si stava preparando in Sicilia. E infatti invia a Magone, in Liguria, 6.000 fanti, 800 cavalieri e sette elefanti. Invia anche ingenti somme che dovevano servire per assoldare mercenari Galli della Padania. Queste forze dovevano congiungersi con Annibale sempre asserragliato fra Crotone e Locri come un falco in attesa di calare su una preda disattenta. Purtroppo per Magone, per Annibale e per Cartagine, Roma adesso aveva meno problemi di reperimento di forze armate. A Rimini stazionavano la legione di Marco Livio e in Etruria due legioni con Lucrezio. I Galli non risposero al richiamo cartaginese. Non quanto sarebbe stato necessario.

L'anno successivo, 203 a.C. Magone dovrà combattere nei pressi di Milano contro i romani guidati dal proconsole Marco Cornelio Cetego e dal pretore Publio Quintilio Varo. Ferito e sconfitto si dovrà ritirare a Savona dove aveva posto la base. Ma ormai la stretta su Cartagine stava diventando irresistibile. Magone viene richiamato in Africa per rinforzare le difese. Buona parte delle forze arriva a Cartagine con le navi ma Magone, durante le traversata, è morto per le ferite. Ancora una volta Cartagine non riesce ad aiutare Annibale.

Annibale=

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Nell'estate del 204 a.C. il nuovo console, Sempronio Tuditano attacca Annibale a Crotone. Vince Annibale e le perdite romane ammontano a oltre 1.000 uomini. Viene inviato anche l'altro esercito consolare sotto la guida del proconsole Crasso che nel frattempo ha occupato la zona di Cosenza. La vittoria romana assomiglia più una non-vittoria di Annibale e rinforza nel Senato la convinzione che la tattica di Fabio Massimo non deve essere abbandonata.

Che il Senato avesse torto, Annibale lo dimostrò l'anno successivo. Richiamato in patria come il fratello Magone, Annibale saccheggia tutto quello che può servire per allestire una flotta da carico, uccide chiunque voglia abbandonare l'avventura e -pare 4.000 cavalli che non può trasportare-. Annibale parte per Cartagine.

Scipione

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Contestualmente alle battaglie di Annibale, Scipione lascia la Sicilia con 400 navi da carico, una scorta di 40 navi da guerra comandate da Lelio e da Marco Porcio Catone e 35.000 uomini. L'armata romana è diretta a Emporia, grosso centro commerciale punico e fonte di enormi entrate per Cartagine. Ma la nebbia fa dirottare le navi che prendono terra vicino a Utica. Le forze cartaginesi sono appostate quasi tutte a Emporia e uno squadrone di 4.000 cavalieri, al comando di Annone viene mandato per rendere difficili le operazioni ai romani mentre le truppe si ridispiegano a difesa. Annone si scontra con la cavalleria romana e viene battuto e ucciso. Cadono 1.000 uomini e 2.000 vengono presi prigionieri. Scipione conquista Selica e si dedica al saccheggio del territorio. Per ovvi motivi politici e di immagine si affretta a mandare a Roma il bottino fra cui 8.000 schiavi. Roma esulta. Scipione cerca di conquistare Utica ma l'impresa non gli riesce e decide di svernare nel territorio mentre pone d'assedio la città. Nel frattempo Scipione porta dalla sua parte Massinissa che, acerrimo nemico di Siface e da questi disastrosamente sconfitto, stava attraversando un periodo di sfortuna ma conservava un grande ascendente sulle popolazioni della Numidia.

La campagna riprende l'anno successivo. Siface e Asdrubale sono alla testa di una forza pari a circa 100.000 uomini (probabilmente il dato è eccessivo). Scipione ha ricevuto pochi rinforzi di cavalleria da Massinissa e le sue forze sono molto inferiori di numero, forse meno della metà. Col pretesto di intavolare trattative manda agenti al campo cartaginese notandone il disordine e la composizione. Con un attacco notturno, dividendo in due parti il suo esercito, manda Lelio e Massinissa ad attaccare il campo di Siface mentre egli guida l'attacco a quello di Asdrubale. Fu una strage. Le forze romane, incendiando le tende e le capanne indifese poterono approfittare dello spavento e della disorganizzazione e disintegrarono i reparti nemici. Si parla di poco più di 20.000 superstiti. Ma probabilmente anche queste sono cifre esagerate, questa volta in basso. Asdrubale si ritira a Cartagine. Siface torna in Numidia dove ha la fortuna di trovare 4.000 mercenari celtiberi appena giunti.

Galvanizzati dalla vittoria i romani insistono nelle operazioni e ai Campi Magni distruggono i resti dell'esercito numidico-cartaginese. Le truppe cartaginesi e numidiche poste alle ali cedono completamente e solo l'eroica resistenza dei celtiberi, posti al centro, che cadono quasi tutti, permette ad Asdrubale e a Siface di salvarsi con pochi uomini al seguito. Asdrubale viene condannato a morte ma riesce a sfuggire e a reclutare altri 10.000 uomini. Siface cerca rifugio nella sua terra inseguito da Massinissa che cerca la totale rivincita. Cartagine è alle corde. Finge di intavolare trattative, ottiene un armistizio e approfitta del tempo concesso per mandare messaggeri in Italia. Uno raggiunge il ferito Magone e gli ordina di tornare in patria. Un altro raggiunge Annibale con lo stesso ordine.

Zama - 202 a.C.

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Per la prima volta dopo ben trentaquattro anni Annibale torna nella patria che aveva lasciato da ragazzo per seguire il padre.

Abbandonata l'Italia, Annibale arriva indisturbato in Africa e sbarca a Leptis Minor da dove si dirige si Hadrumetum. Cartagine è galvanizzata dall'arrivo del suo eroe. Interrompe le trattative e comincia a riorganizzarsi.

Annibale raccoglie tutte le disperse forze cartaginesi: gli uomini del fratello Magone, gli uomini di Asdrubale, per lo più mercenari. Con queste forze si diresse verso la Numidia per cercare forze di cavalleria ma dovette accontentarsi di 3.000 cavalieri forniti dal figlio del deposto Siface, Vermina. Cartagine, assediata da Scipione gli chiede di tornare in sua difesa e Annibale è costretto a marciare verso est per tornare mentre Scipione, per evitare che Annibale si rafforzi troppo velocemente muove verso di lui con tutto il suo esercito. Le due armate giungono a contatto nei pressi del fiume Bagrada, vicino alla città di Naraggara.

A Zama.

Annibale cerca di evitare lo scontro - per mostrare, pare, alla fazione pacifista cartaginese di aver cercato una possibile soluzione incruenta. I due più grandi condottieri del periodo si incontrano di persona ma la trattativa fallisce. La parola passa alle armi.

La battaglia di Zama

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I due eserciti avevano circa la stessa consistenza numerica. Circa trentacinquemila romani fronteggiavano circa cinquantamila cartaginesi. Ma la differenza qualitativa era importante.

Annibale guidava forze di fanteria più numerose ma composite: 12.000 fanti celti e liguri, 15.000 reduci dalle campagne italiche, 18.000 mercenari di varia provenienza, numidi, macedoni, iberici e qualche cartaginese. La cavalleria punica era composta da 4.000 uomini. Annibale aveva a disposizione, inoltre, 80 elefanti da guerra su cui contava molto.

Scipione aveva a sua disposizione due legioni addestrate, compatte e disciplinate (circa 23.000 fanti e 2.000 cavalieri. 7.000 fanti e 4.500 cavalieri erano forniti da Massinissa e dal suo alleato Damakas.

Annibale pose gli elefanti davanti alla fanteria per lanciarli in una carica di sfondamento che avrebbe permesso alle altre forze di attaccare linee romane scompaginate. Dietro agli elefanti le linee cartaginesi vedevano in prima fila i mercenari galli, mauritani, liguri e iberici, in seconda linea le forze terrestri cartaginesi e a circa 200 metri dietro i veterani delle campagne d'Italia che dovevano attaccare le truppe nemiche quando fossero state stanche. Le ali di cavalleria cartaginese erano poste a destra e quella numidica a sinistra.

Scipione dispose i suoi uomini sulle classiche tre file. Prima gli hastati, poi i princeps e dietro i triarii ma, innovazione rispetto alla classica manovra delle legioni, evitò di offrire un fronte compatto lasciando spazio di manovra fra un manipolo e l'altro. Le ali di cavalleria vedevano a destra Massinissa e a sinistra la cavalleria italica comandata da Lelio.

Annibale lanciò la carica degli elefanti ma ormai i romani avevano imparato come trattare quelle enormi bestie; con trombe acute e alte grida spaventarono i bestioni che, imbizzarriti, si volsero contro la cavalleria numidica dell'ala sinistra cartaginese. Massinissa che era posto di fronte a questa con i suoi cavalieri, approfittò della disorganizzazione per sbaragliare totalmente gli avversari diretti.

Qualche elefante che non si era spaventato si avventò contro la fanteria romana. I manipoli degli hastati romani, utilizzando lo spazio libero, semplicemente si fecero da parte lasciando passare i bestioni lasciandoli alla mercé di princeps e velites che colpendoli di fianco e davanti li costrinsero alla fuga. Questi Elefanti si avventarono contro l'altra ala della cavalleria cartaginese. Anche qui, Lelio, al comando della cavalleria italica approfittò dell'occasione per chiudere la partita con i diretti avversari.

Tutta la cavalleria di Annibale fugge inseguita da Massinissa e Lelio. Premeditazione? In effetti potrebbe essere. La cavalleria di Annibale, che aspettava -invano- rinforzi da Vermina, non era forte come quella romana ed è possibile che il condottiero l'avesse utilizzata come specchietto per allodole, per fare credere a una parziale vittoria e allontanare la cavalleria romana. Sta di fatto che sul campo si arriva infine allo scontro fra le fanterie.

Le prime file di Annibale non reggono (o sembrano non reggere) a lungo allo sforzo e arretrano fra le seconde file. Forse una mossa tattica; Annibale potrebbe aver studiato il racconto dei reduci della battaglia ai Campi Magni e aver capito che le legioni di Scipione non manovravano più come quelle vinte alla Trebbia e a Canne.

Comunque sia gli hastati di Scipione sono stanchi e le seconde file cartaginesi rinforzano la difesa. Scipione tenta di ripetere la manovra dei Campi Magni e muove le sue file di princeps e triarii sui fianchi per accerchiare le forze di Annibale. La manovra fallisce parzialmente perché i veterani che Annibale tiene di riserva nella terza linea, lontana dalle prime, non possono essere circondati. Scipione è costretto a far tornare indietro le seconde file per reggere l'urto dei cartaginesi e non ha più massa di manovra.

La situazione sta diventando critica per Scipione ma Annibale ha davanti a sé le legioni di Canne. Quegli uomini sconfitti dai nemici ed esecrati dai loro stessi concittadini hanno, alla fine, una seconda possibilità e da quella speranza, da quella rabbia, traggono la forza di resistere alle forze puniche che li sovrastano.

Definitivamente dispersa la cavalleria avversaria o disperatamente chiamati indietro da Scipione alla fine tornano Lelio e Massinissa con i loro cavalieri. Si avventano alle spalle delle forze cartaginesi e le annientano.

Quella che forse stava per diventare un'altra sconfitta per Roma diventa la disfatta finale di Annibale e di Cartagine.

La Seconda guerra punica termina, così, con un ennesimo massacro sulle rive di un fiume africano.

Cronologia

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  • 219 a.C. - Annibale attacca ed espugna Sagunto. È il casus belli per l'inizio della Seconda guerra punica.
  • 218 a.C. - Annibale parte dalla Spagna in maggio e dopo varie battaglie e scaramucce attraversa le Alpi. Sconfigge i Galli Taurini, le legioni di Sempronio loongo si ricongiungono alle forze di Publio Cornelio Scipione. Battaglia del Ticino, Battaglia della Trebbia.
  • 217 a.C. - Le legioni di Roma si attestano ad Arezzo e Rimini guidate rispettivamente da Caio Flaminio e Servilio Gemino. Annibale attraversa l'Appennino e marcia su Roma. Sconfitta romana al lago Trasimeno. Morte di C. Flaminio. Q. Fabio Massimo nominato dittatore. Annibale scende in Puglia.
  • 216 a.C. - Eletti consoli L. Emilio Paolo e C. Terenzio Varrone. Battaglia di Canne e morte di Paolo. A Roma nominati due dittatori. Capua si allea ad Annibale che vi sverna. Filippo V di Macedonia invia una flotta in Adriatico.
  • 215 a.C. - Roma elegge consoli Q. Fabio Massimo (ex dittatore) e Tiberio Sempronio Gracco. Proconsole Claudio Marcello. Marcello costringe Annibale a lasciare Capua. Massimo e Gracco recuperano alcuni centri. In Spagna Asdrubale viene sconfitto a Detrosa dai fratelli Scipioni. Roma riconquista Sagunto. Alleanza fra Annibale e Filippo V, Roma invia M. Valerio Levino in Illiria. Inizia la Prima guerra macedonica. Morte di Gerone di Siracusa, il successore Geronimo si allea a Cartagine. La Numidia si divide in due regni: uno retto da Siface e uno da Gaia padre di Massinissa.
  • 214 a.C. - Annibale si aggira nelle regioni meridionali con alterna fortuna; i romani mantengono un atteggiamento prudente rintuzzando le iniziative del cartaginese. Tentativo di Annibale di conquistare Taranto. In Spagna Asdrubale e gli Scipioni si combattono con vittorie prima di Roma e poi di Cartagine. In Sicilia Geronimo prende Lentini ma viene ucciso. Marcello inviato in Sicilia riprende Lentini. In Africa, Siface, re vassallo, attacca Cartagine e Asdrubale viene richiamato dalla Spagna con parte dell'esercito. Filippo V attacca Apollonia me viene pesantemente sconfitto da Levino.
  • 213 a.C. - Annibale conquista Taranto ma non la rocca, tenuta dai romani. Ancora piccole battaglie in tutto il meridione. Marcello attacca Siracusa ma respinto decide l'assedio con Appio Claudio. Sbarchi cartaginesi e romani in Sicilia dove si combatte a tutto campo con alterne fortune. Roma aiuta Siface ma Cartagine, con l'aiuto dell'altro re numida Gaia e del figlio Massinissa, lo sconfigge in due battaglie.
  • 212 a.C. - Annibale conquista quasi tutto il meridione tranne Reggio e il porto di Taranto, gli unici porti adatti a ricevere rinforzi consistenti. Intervento cartaginese a Siracusa, la peste decima l'esercito punico. Asdrubale torna in Iberia, con Massinissa alla guida della cavalleria numidica. Cartagine concede la pace a Siface. Filippo V, via terra, attacca città della costa adriatica.
  • 211 a.C. - In funzione anti-Filippo, Roma si allea alla Lega Etolica. Entra nell'alleanza anche il re Attalo di Pergamo. Annibale guida l'esercito alle porte di Roma ma non osa l'attacco e nuovamente torna a sud. Capua riconquistata dai romani. Caduta di Siracusa, Morte di Archimede ucciso per errore. In Spagna durante due distinte battaglie muoiono prima Publio Scipione e poi Gneo Scipione L'esercito romano arretra verso l'Ebro. Riconquistata Capua Claudio Nerone viene mandato in Spagna con quelle legioni. Asdrubale cerca di partire verso l'Italia ma incontra grosse difficoltà .
  • 210 a.C. - Publio Cornelio Scipione (figlio del defunto Publio) sbarca a Emporia, Nerone si attesta sull'Ebro e poiché la flotta cartaginese è impotente arruola a terra anche i marinai.
  • 209 a.C. - I romani riconquistano Taranto. Termina la guerra in Sicilia con l'estromissione definitiva di Cartagine. Publio Scipione conquista Cartagena. Popolazioni spagnole passano nuovamente ai romani. Scipione attacca Asdrubale che si sta preparando a partire per l'Italia. Magone inviato alle Baleari per cercare mercenari. Filippo V, bloccato, deve combattere in Grecia contro la Lega Etolica, Attalo di Pergamo e rinforzi romani.
  • 208 a.C. - Continui ma poco importanti combattimenti nel sud Italia, Marcello muore in un agguato. Asdrubale sconfitto a Becula riesce a sfuggire a Scipione e marcia sull'Italia. Continue battaglie in Grecia fra Filippo V e i suoi alleati contro Etoli e Attalo.
  • 207 a.C. - Asdrubale arriva in Italia. Battaglia del Metauro e morte di Asdrubale. Vittorie di Filippo V. Battaglia di Mantinea e sconfitta di Sparta contro gli Etoli. Annibale mantiene le posizioni nel meridione.
  • 206 a.C. - I cartaginesi Magone, Giscone e Asdrubale, sconfitti da Scipione, devono evacuare la Spagna quasi completamente. Scipione fonda la colonia di Italica e torna a Roma. Massinissa torna in Africa rivendicando il trono del padre. Siface glielo contende alleandosi con Cartagine; Massinissa si allea con Roma. Annibale e Roma si controllano senza grandi combattimenti.
  • 205 a.C. - Scipione eletto console. Riconquista Locri e prepara lo sbarco in Africa reclutando volontari per forzare la mano al Senato che è contrario. La pace di Fenice fra Etoli e Filippo V sospende l'intervento romano in Grecia. Magone arriva in Liguria, assale Genova e inizia a reclutare mercenari per portarli in aiuto ad Annibale. Tentativo di Cartagine di inviare rinforzi in Italia via mare, una tempesta disgrega la flotta che viene attaccata dai romani. Massinissa attacca Cartagine ma viene sconfitto e messo in fuga.
  • 204 a.C. - Scipione con i volontari e le legioni "cannensi" sbarca a Utica. Magone e Roma si fronteggiano nel nord, Annibale e Roma si fronteggiano nel sud.
  • 203 a.C. - Liguri e Celti arruolati da Magone si battono contro i romani a Milano. Magone viene ferito, sconfitto e messo in fuga. Cartagine richiama Annibale e Magone. Scipione batte le forze di Asdrubale e Siface. Asdrubale si rifugia a Cartagine ma viene condannato a morte, Siface si ritira in Numidia. Massinissa attacca Siface e occupa la Numidia.
  • 202 a.C. - Siracusa perde l'indipendenza e diventa capitale della Provincia di Sicilia. Annibale sbarca presso Leptis, tratta inutilmente con Scipione. Battaglia di Zama. Scipione sconfigge Annibale. Termina la Seconda guerra punica.
  • 201 a.C. - Publio Cornelio Scipione celebra a Roma un grandioso trionfo e viene nominato "Africano"