Israele – La scelta di un popolo/Capitolo 6: differenze tra le versioni

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A questo punto, però, è bene ricordare che l'affermazione di R. Simon ben Yohai è fatta in chiave halakhica, non teologica. Di conseguenza, si dovrebbe anche ricordare il principio rabbinico dell'esegesi halakhica che postula: "Un principio generale (''kelal'') è limitato all'esempio specifico (''perat'') che caratterizza".<ref>''Sifra'': Va-yiqra, cur. Weiss, 2a.</ref> Nel caso in esame, ciò significa che la differenza sostanziale proposta da R. Simon ben Yohai si limita a certe questioni di purezza e impurità religiosa. L'affermazione può essere interpretata nel senso che le questioni relative alla purezza religiosa sono unicamente ebraiche e, pertanto, ebrei e gentili devono essere considerati essenzialmente diversi — almeno in questo contesto.<ref>Va sottolineato che questo è solo il punto di vista di R. Simon (cfr. TB Baba Batra 58a, ''Tos.'', ''s.v.'' "metsayyen"). Inoltre, anche Maimonide, che accetta la sua conclusione halakhica (''[[Mishneh Torah]]'': Tum’at Met, 1.13), non la basa sul ragionamento di R. Simon riguardo ad ''adam''. Inoltre, Rabbenu Tarn mette in discussione l'intera linea di ragionamento di R. Simon e si schiera con l'opinione opposta dei saggi (cfr. TB Yevamot 61a, ''Tos.'', ''s.v.'' "v'ein" e Nahmanide, ''Hiddushei Ha-Ramban'' su M. Ohalot 18.9, e su TB Baba Batra 58a). Si veda anche R. Israel Lipschütz, ''Tif’eret Yisra’el'': M. Avot 3.14 (Bo’az); M. Guttmann, ''Das Judenthum und seine Umwelt'' (Berlino, 1927); D. Novak, ''The Image of the Non-Jew in Judaism'' (New York e Toronto, 1983), 265 segg. Cfr. T. Eruvin 5.19 e Saul Lieberman, ''Tosefta Kifshuta'': Mo’ed (New York, 1962), 404-405.</ref> Ma anche se il punto di vista di R. Simon ha un significato più ampio, si deve ricordare che egli insegnava al culmine della persecuzione romana degli ebrei e dell'ebraismo, e che la sua visione generalmente negativa dei gentili è ben evidenziata.<ref>Cfr. TB Shabbat 33b.</ref> Di conseguenza, la sua affermazione può essere in una certa misura storicamente qualificata.
 
Sembrerebbe, tuttavia, che Yehuda Ha-Levi teologicamente avesse un punto di vista abbastanza simile al punto di vista di R. Simon ben Yohai, cioè Israele è una specie separata e distinta dal resto dell'umanità.<ref>Nella Kabbalah, la particolarità ontologica di Israele è un tema importante; tuttavia, i cabalisti vanno anche oltre Ha-Levi. Per loro, Israele non è solo una specie creata separata, ma è in realtà '''parte della stessa divinità'''. Cfr. ''[[Zohar]]'': Bere’sheet, 1:20b; Emor: 3:104b; R. Judah Loewe (Maharal), ''Gevurot Ha-Shem'' (Cracow, 1582), cap. 44; R. Hayyim ibn Attar, ''Or Ha-Hayyim'': {{passo biblico2|Genesi|1:27}}.</ref> Ma c'è un'aggiunta considerevole. Tale aggiunta è dovuta alla mediazione della filosofia nella teologia di Ha-Levi.
 
Si ricorderà che l'utilità della filosofia per i teologi è duplice: nell'area della ragione teorica, e nell'area della ragione pratica. Nell'area della ragione teorica, il servizio della filosofia alla teologia consiste nell'affermare in modo convincente Dio come l'assoluto e aiutarci a rimuovere qualsiasi antropomorfismo letterale dal nostro discorso religioso. Quando Ha-Levi tratta l'argomento di ciò che oggi chiamiamo "discorso di Dio", impiega prontamente la ragione filosofica ''qua'' metafisica.<ref>''Kuzari'', 2.1 segg.</ref> Nell'area della ragione pratica, il servizio della filosofia alla teologia consiste nell'affermare in modo convincente una moralità del diritto naturale, che cioè, riconosce che ci sono alcune strutture politiche essenziali necessarie per una società degna di fedeltà (alleanza) umana integrale, e che queste strutture sono note alla ragione umana ordinaria (cioè nonprofetica, persino nonmetafisica).<ref>''Ibid.'', 2.48.</ref>
 
Ciò che fa la teologia, poiché si basa sulla rivelazione soprannaturale, è duplice. In primo luogo, aggiunge una dimensione completamente nuova e superiore sia alla ''vita contemplativa'' che alla ''vita activa''. In secondo luogo, fornisce dettagli specifici sia su Dio che sulla moralità, che la ragione umana da sola, confinata com'è alle generalità, non può ottenere da sé.<ref>''Ibid.'', 1.24; 3.7. Cfr. R. Joseph Albo, ''Iqqarim'', 1.8.</ref> Così la filosofia fornisce un piano per la teologia, per così dire. Indica il limite inferiore al di sotto del quale la teologia non può spingersi in modo convincente; ma non fornisce un tetto per la teologia, un limite superiore. Le altezze a cui può elevarsi la teologia sulle ali della rivelazione non sono trattenute da alcuna gravità filosofica.
 
=== Distintività relazionale o sostanziale ===