Israele – La scelta di un popolo/Capitolo 4: differenze tra le versioni

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Si potrebbe facilmente vedere la ragione per praticare i comandamenti come gratitudine. In considerazione del grande bene che il Signore ha fatto a Israele nel riscattarla dalla schiavitù egiziana, sembra giusto che Israele debba in cambio al Signore un'espressione positiva di gratitudine.<ref>Per la nozione del ripagamento di un debito (''hov'') come base dell'obbligo dei figli di onorare i propri genitori ({{passo biblico2|Esodo|20:12}}), cfr. TG Kiddushin 1.7/61b.</ref> In questa prospettiva, il presente è debitore del passato. Il problema con questo punto di vista, tuttavia, è che si basa sulla logica del ''quid pro quo'': Dio ha fatto del bene a Israele, quindi Israele ora deve fare del bene a Dio. Ma alla fine i debiti vengono ripagati. Quando, allora, il debito di Israele verso Dio sarà saldato? E se un debito deve essere saldato, allora sembrerebbe che lo scopo dell'alleanza sia finalmente di estinguersi. Inoltre, specialmente dopo l'[[w:Shoah|Olocausto]] (anche se non originariamente), potremmo porci la domanda con grande intensità: qual è il nostro rapporto con Dio, basato sul modello del ''quid pro quo'', quando secondo tutti gli standard umanamente conosciuti ci sono momenti in cui Dio è stato un male e non un bene per Israele? Non ci sono momenti in cui "Il Signore è divenuto come un nemico" ({{passo biblico2|Lamentazioni|2:5}})? Infine, se Israele in cambio deve fare del bene a Dio, ciò significa che Dio e Israele hanno bisogni proporzionati. Sappiamo quali sono i bisogni di Israele. Certamente il bisogno di essere liberi dalla schiavitù umana è un tale bisogno. Ma quali sono i bisogni di Dio? In effetti, se Dio per natura ha bisogni come gli esseri umani hanno bisogni per natura, allora ciò non implica forse che la natura sia una realtà in cui sia Dio che gli esseri umani partecipano e alla quale, quindi, sono entrambi subordinati?<ref>Cfr. Eichrodt, ''Theology of the Old Testament'', 1:42 segg.</ref> Tutti questi problemi teologicamente preoccupanti nascono quando esaminiamo attentamente il modello della gratitudine.
 
[[File:Haggadah 15th cent.jpg|thumb|240px|right|[[w:Haggadah di Pesach|Haggadah di Pesach]], manoscritto del XIV secolo]]
Ma, d'altra parte, cosa succede se assumiamo che il passato sia per il bene del presente nell'alleanza? Interpretiamo quindi la relazione tra l'evento pasquale nel passato e la sua celebrazione nel presente come segue:
 
L'esperienza di ciò che è bene per noi può essere solo nel presente. Se una persona è infelice nel presente, ricordare il bene passato non solo non è in alcun modo compensativo, ma in realtà peggiora le cose ricordando alla persona ora infelice ciò che ha perso.<ref>In Aristotele, ''Etica Nicomachea'' 1100a1 segg. la famosa massima di Solone, "guarda fino in fondo", è presentata come un paradosso, cioè, solo dopo che uno è morto si sa se era felice o meno. Una delle implicazioni di questo paradosso è che anche se uno ha vissuto una vita felice per la maggior parte dei suoi anni, la miseria negli ultimi anni non è alleviata da piacevoli ricordi. Al contrario: la miseria del presente è esacerbata dal ricordare quanto sia diverso il bene del passato dalla miseria del presente.</ref> Un bene passato può essere apprezzato solo quando si sta vivendo bene nel presente. Si vuole quindi mettere in relazione il bene passato con il bene presente, come anche proiettare il bene futuro partendo dal bene presente, in modo che il bene presente non sia da prendere come periferico o effimero. "Celebrate (''hodu'') il Signore, perché Egli è buono, perché la Sua bontà dura in eterno" ({{passo biblico2|Salmi|118:1}}). Secondo l'insegnamento della [[w:Torah|Torah]], il bene primario sperimentato nel presente è attivo, non passivo. Più di ciò che Dio ha fatto per noi, il bene è ciò che Dio ci permette di fare con Lui qui e ora, cioè osservare i comandamenti. Quindi non è che gli ebrei debbano osservare i comandamenti in cambio di ciò che Dio attuò quando "ci fece uscire uscire dal paese d'Egitto, dalla casa di schiavitù" ({{passo biblico2|Esodo|20:2}}), ma piuttosto il fatto che Dio fece uscire Israele dall'Egitto è l'inizio del bene che ora sperimentiamo nell'obbedire ai suoi comandamenti.<ref>Cfr. ''Sifre'': Devarim, no. 33 rif. {{passo biblico2|Dt|6:6}}, cur. Finkelstein, 59; inoltre, Levenson, ''Sinai and Zion'', 43.</ref> A differenza di un debito, i comandamenti devono essere osservati per se stessi, non per la loro eliminazione.<ref>Cfr. Aristotele,''Etica Nicomachea'' 1094a1-5 per la distinzione tra teleologia integrale e strumentale. Pur non negando che i comandamenti abbiano le loro buone conseguenze, l'enfasi dell'insegnamento rabbinico è che sono fini a se stessi come risposte alla presenza comandante di Dio (cfr. M. Avot 1.3; ''Avot De-Rabbi Nathan'', A, cap. 5, cur. Schechter, 13b).</ref>
 
Il ricordo degli eventi del passato, in cui la potenza salvifica di Dio si è manifestata a Israele, ci indica ciò che per primo ha causato l'osservanza dei comandamenti. L'evento è per il bene della pratica, non viceversa. Questo può essere visto nell'interpretazione del seguente versetto che discute l'osservanza della Pesach: "Ti ricorderai che sei stato schiavo in Egitto e che di là ti ha liberato il Signore tuo Dio; perciò (''al ken'') ti comando di fare questa cosa." ({{passo biblico2|Deuteronomio|24:18}}). Il commentatore francese dell'XI secolo [[w:Rashi|Rashi]] sottolinea che questa è la logica del versetto: "Per questo (''al menat ken'') ti ho liberato, per osservare le mie leggi, anche se comporta dei costi".<ref>Il commento di Nahmanide al riguardo, tuttavia, sottolinea il ricordo stesso come ragione del comandamento. Per Nahmanide, gli ''edot'' sono le partecipazioni agli eventi archetipici del passato.</ref> In altre parole, la celebrazione della redenzione passata è perché ha consentito l'osservanza presente. E una parte essenziale di questo bene presente è che può essere sperimentato solo da esseri liberi, coloro che hanno scelto di essere redenti, a qualunque costo. Così l'[[w:Haggadah di Pesach|Haggadah di Pesach]] osserva che colui che considera l'osservanza della Pasqua un peso piuttosto che un vantaggio nel presente non sarebbe stato redento se fosse stato in Egitto. "Se fosse stato lì (''ilu hayah sham''), non sarebbe stato redento". Solo coloro che si considerano "come se" (''k’ilu'') fossero usciti essi stessi dall'Egitto nel presente, adempiono il comandamento di "raccontare" (''haggadah'') l'evento della Pesach.<ref>Cfr. Kasher, ''Haggadah Shlemah'' pt. 2, pp. 23-24; 63-64 rif. {{passo biblico2|Esodo|13:8}}.</ref> Inoltre, è importante ricordare che la prima Pesach fu osservata in previsione della redenzione, non a causa di essa.<ref>130 Cfr. {{passo biblico2|Esodo|12:11-14}}.</ref> In altre parole, la redenzione è retroattiva dal presente al passato o proiettiva dal presente al futuro. La Pesach è tanto una celebrazione del passato quanto un'anticipazione del futuro. In quanto tale, il suo significato è essenzialmente presente prima che sia passato o futuro. Anche questo potrebbe essere il motivo per cui gli elementi dell'osservanza della Pesach hanno un significato simbolico nel presente ma non sono fondamentalmente rappresentativi del passato. Non sono rievocazioni. Non tutti i dettagli del passato vanno ripetuti nel presente.<ref>Cfr. M. Pesahim 9.5; B. Pesahim 96a-b.</ref> In questo modo il passato ricordato fa spazio al presente vissuto, fornendogli punti di riferimento ma non sussumendolo facendone un clone.
 
Questo spiega la gioia che gli ebrei tradizionali hanno provato nell'osservanza dei comandamenti, in particolare dei comandamenti commemorativi, i cui principali punti di riferimento sono così esperienziali. Anche se siamo pienamente consapevoli del fatto che pecchiamo frequentemente – "Non c'è infatti sulla terra un uomo così giusto che faccia solo il bene e non pecchi" ({{passo biblico2|Ecclesiaste|7:20}}) – questa è un'occasione che vale la pena prendere per il bene di poter osservare i comandamenti e vivere la vita dell'alleanza. "Meglio un cane vivo che un leone morto" ({{passo biblico2|Ecclesiaste|9:4}}) è interpretato dai rabbini come segue: "''il cane vivo'' è il malvagio ancora vivo in questo mondo; se si pente Dio lo accetta. Ma il giusto [''il leone morto''] una volta morto non potrà mai più aumentare il beneficio (''zekhut'') per se stesso."<ref>''Avot De-Rabbi Nathan'', A, cap. 27, p. 27b.</ref> Il precedente testo rabbinico nella [[w:Mishnah|Mishnah]] che ha ispirato questa interpretazione è l'affermazione del saggio [[w:Hillel|Hillel]]: E se non ora (''im lo akhshav''), quando?"<ref>M. Avot 1.14.</ref>
 
=== Futuro dell'Alleanza ===