Israele – La scelta di un popolo/Capitolo 4: differenze tra le versioni

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Qui è minore la propensione alla tirannia che abbiamo notato nel primo e nel secondo approccio umano al cosmo (quello dell’''homo spectator'' scientifico e quello dell’''homo faber'' tecnologico). Perché qui è dove tutti nell'alleanza devono essere direttamente ed egualmente legati a Dio. Anche il moderno apostata per eccellenza, [[Baruch Spinoza]], fu colpito da questo aspetto politico dell'alleanza, come abbiamo visto in precedenza. È qui che il profeta può dire: "Oh, fossero pure (''miyiten'') tutti profeti nel popolo del Signore, e volesse il Signore mettere su di loro il suo Spirito!" ({{passo biblico2|Numeri|11:29}}).<ref>Cfr. {{passo biblico2|Esodo|20:15-18}}. Ecco perché, mi sembra, i rabbini dovettero impugnare i motivi della ribellione di Korah contro l'autorità di Mosè (cfr. per es., ''Bemidbar Rabbah'' 18.1 segg.), vale a dire, l'argomentazione "avete oltrepassato i limiti, perché tutta l'assemblea è santa, ciascuno di essi, e il Signore è in mezzo a loro; perché dunque vi innalzate sopra l'assemblea del Signore?" ({{passo biblico2|Numeri|16:3}}). La premessa dell'argomentazione è sicuramente valida ''prima facie''. In effetti, c'è sempre il sospetto di troppa autorità umana nella comunità dell'alleanza (cfr. per es., {{passo biblico2|Giudici|8:22-23}}; {{passo biblico2|1Samuele|8:7}} segg.).</ref>
 
Pensando in questo senso, si può vedere perché la Scrittura richieda al popolo di Israele, quando è a casa nella Terra d'Israele e sazio di un raccolto abbondante, di ricordare le proprie origini beduine dichiarando di Abramo (e forse anche degli altri patriarchi): "Mio padre era un Arameo errante" ({{passo biblico2|Dt|26:5}}).<ref>Si vedano i relativi commenti di Ibn Ezra e Rashbam.</ref> Infatti, anche nella Terra d'Israele, che è contemporaneamente alla stessa elezione di Abramo, eletta a patria, a dimora del suo popolo, a questo popolo è ricordato nelle Scritture che "la terra è Mia e voi siete presso di Me come forestieri e inquilini (''gerim ve-toshavim'')" ({{passo biblico2|Levitico|25:23}}).<ref>Cfr. {{passo biblico2|Salmi|119:19}}; {{passo biblico2|1Cronache|29:15}}.</ref> In effetti, lo scopo di una casa è di essere il luogo in cui le persone possono coesistere, un luogo di autentico ''mitsein''. Non è parte di loro, e loro non ne fanno parte come nel caso dei primi due atteggiamenti che abbiamo rilevato sopra. Sebbene Dio abiti con il popolo d'Israele ovunque si trovi, la più completa dimora di Dio e del suo popolo è solo nella Terra d'Israele.<ref>Cfr. Nahmanide, ''Commentario alla Torah'': {{passo biblico2|Dt|8:10}}; inoltre, Novak, ''The Theology of Nahmanides'', 89 segg.</ref> Il resto della terra è creato; la Terra d'Israele come il popolo d'Israele è eletto nella storia. È selezionato tra molteplici possibilità.
 
Sulla base di questa teologia, il tempo e lo spazio devono essere costituiti come astrazioni dall'evento e dal luogo.<ref>"And even as prayer is not in time but time in prayer, the sacrifice not in space but space in the sacrifice — and whoever reverses the relation annuls the reality" (Martin Buber, ''I and Thou'', trad. {{en}] W. Kaufmann [New York, 1970], 59).</ref> Il tempo è ordinato dagli eventi in cui Israele viene eletto e l'alleanza con lui ne dà il contenuto. Questi eventi sono il primo punto di riferimento temporale; non sono nel tempo, ma tutto il tempo è legato a loro. Come dice la Scrittura nella prima narrazione stessa della creazione: "Dio disse: «Ci siano luci nel firmamento del cielo, per distinguere il giorno dalla notte; servano da segni per le stagioni(''le’otot u-le-mo’adim''), per i giorni e per gli anni»" ({{passo biblico2|Genesi|1:14}}).<ref>Cfr. il relativo commentario di Rashi.</ref> E lo spazio è ordinato in base alla sua relazione con la Terra d'Israele. È l’''axis mundi'', il primo punto di riferimento spaziale.<ref>Cfr. Nahmanide, ''Commentario alla Torah'': Gen. 14:18; Deut. 16:20.</ref> Non è nello spazio, ma tutto lo spazio è in relazione con esso. Come dice la Scrittura poco prima che il popolo d'Israele entrasse in Terra d'Israele: "Quando l'Altissimo diede alle nazioni la loro eredità (''be-hanhel''), quando separò i figli degli uomini, egli fissò i confini (''gevulot'') dei popoli, tenendo conto del numero (''le-mispar'') dei figli d'Israele." ({{passo biblico2|Deuteronomio|32:8}}).<ref>Cfr. nello specifico, ''Targum Jonathan ben Uziel''.</ref>
 
Tornando di nuovo all'osservanza da parte di Abramo della "via del Signore per fare ciò che è equo (''tsedaqah'') e giusto (''u-mishpat'')", ora siamo in una posizione migliore per discernere il motivo della sua – e nostra – accettazione dell'elezione di Dio Va subito ricordato che la preoccupazione di Abramo per ''tsedaqah u-mishpat'' è in connessione con le nazioni del mondo che devono essere benedette attraverso di lui. In effetti, la sua preoccupazione qui è che sia resa giustizia al popolo di Sodoma e Gomorra, che la Scrittura poco prima ha descritto come " perversi e grandi peccatori (''ra’im ve-hat’im'') contro il Signore" ({{passo biblico2|Genesi|13:13}}). Abramo è preoccupato che sia resa giustizia a queste persone secondo il giusto processo di legge che anche loro meritano, indipendentemente dal fatto che il verdetto finale sia colpa o innocenza. La sua risposta al suo essere conosciuto e scelto da Dio è di voler imitare nel microcosmo il modo in cui Dio si relaziona al mondo intero nel macrocosmo. Sia Dio che Abramo ora si occupano della terra e specialmente di tutti i popoli in essa contenuti. Quindi la preoccupazione di Abramo è che si faccia ''mishpat''. Questo di per sé è un atto di giustizia; agisce come loro avvocato difensore cercando in loro qualche merito. E il fatto stesso che si coinvolga nel loro caso, quando non deve loro nulla, è un atto di ''tsedaqah''. Sapendo di essere conosciuto da Dio, Abramo è ora in grado di agire veramente come ''imitator Dei''.<ref>Cfr. TB Shabbat 133b rif. {{passo biblico2|Esodo|15:2;34:7}}; [[Maimonide]], ''[[Guida dei perplessi]]'', 3.54 rif. {{passo biblico2|Geremia|9:23}}.</ref> Il suo essere conosciuto da Dio non è solo qualcosa di cui gode e può celebrare; è qualcosa su cui può agire.
 
Come ''homo revelationis'', Abramo desidera dimorare con Dio nel e per il mondo. Al contrario, il desiderio dell’''homo spectator'' è di assorbimento in Dio fuori dal mondo; e il desiderio dell’''homo faber'' è di essere Dio contro il mondo. Solo il giusto rapporto con Dio fonda il proprio posto nel mondo. E solo l'accettazione del proprio posto umano legittimo nel mondo impedisce di intendere o l'assorbimento in Dio o la sostituzione di Dio.
 
Infine, nel patto, la relazione tra ''tsedaqah'' esistenziale e ''mishpat'' essenziale non è solo quella dell'evento originante e del processo successivo. A volte, ''tsedaqah'' è successiva a ''mishpat'' e non solo l'origine dietro di essa. Il mondo di ''mishpat'' non è mai costruito così strettamente che ''tsedaqah'' non possa occasionalmente intromettersi in esso. In effetti, la contingenza dell'esistenza creata sarebbe eclissata se anche la ''mishpat'' di Dio fosse presa come un ordine totale impermeabile, come un sistema perfetto in sé. Rimane sempre la possibilità del miracolo. ''Tsedaqah'' può essere sperimentata direttamente in rari momenti nella storia/natura (tempo/spazio). Poiché un miracolo è l'imprevedibile eccezione all'ordine ordinario e normale, ed è benefico per coloro per i quali è compiuto. Infatti, al di fuori della singolare esperienza dei fedeli, illuminato dalla rivelazione, un miracolo può presto essere spiegato con categorie più mondane.<ref>Cfr. Nahmanide, ''Commentario alla Torah'': {{passo biblico2|Genesi|14:10}}.</ref> Così l'apertura del Mar Rosso per Israele fu vista da loro come la "grande mano" ({{passo biblico2|Es|14:31}}) del Signore. Ma precludendo la presenza di Dio, si poteva vedere l'atto come quello di "un forte vento d'oriente" ({{passo biblico2|Es|14:21}}). La redenzione di Israele dalla schiavitù egiziana illuminata dalla rivelazione è perché "il Signore ci fece uscire dall'Egitto con mano potente" ({{passo biblico2|Deuteronomio|26:8}}). Ma precludendo la presenza di Dio, si poteva vederla come un'evasione di fuggiaschi: «Fu riferito al re d'Egitto che il popolo era fuggito (''barah'')" ({{passo biblico2|Es|14:5}}).
 
Si presume che l'elezione di Israele sia la più grande intrusione di ''tsedaqah'' divina nel normale ordine della natura e della storia:
{{citazione| Interroga pure i tempi antichi, che furono prima di te: dal giorno in cui Dio creò l'uomo (''adam'') sulla terra e da un'estremità dei cieli all'altra, vi fu mai cosa grande come questa e si udì mai cosa simile a questa? Che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l'hai udita tu, e che rimanesse vivo? O ha mai tentato un dio di andare a scegliersi una nazione in mezzo a un'altra con prove, segni, prodigi (''hanissah'') e battaglie, con mano potente e braccio teso e grandi terrori, come fece per voi il Signore vostro Dio in Egitto, sotto i vostri occhi?|{{passo biblico2|Deuteronomio|4:32-34}}}}
 
Questa nozione di ''tsedaqah'' invadente – grazia miracolosa – diventa il contesto per spiegare come Dio può misericordiosamente annullare le inevitabili conseguenze del peccato mediante il perdono e l'espiazione. Per i rabbini, il mondo non potrebbe essere sostenuto se la rigorosa giustizia (''mishpat'' come ''din'') fosse sempre mantenuta in modo costante da Dio.<ref>Si veda per es., ''Bere’sheet Rabbah'' 12.15 rif. {{passo biblico2|Genesi|2:4}}; TB Rosh Hashanah 17b; anche, Ephraim E. Urbach, ''Hazal'' (Gerusalemme, 1971), 400 segg.</ref> E la comunità dell'alleanza non potrebbe essere sostenuta senza periodiche infusioni di grazia da parte di coloro che hanno autorità legale, a volte governando "più profondamente oltre il limite della legge (''lifnim me-shurat ha-din'')".<ref>Cfr. T. Shekalim 2.3; TB Baba Metsia 30b. Per l'uso del termine ''lifnim me-shurat hadin'' rif. il misericordioso annullamento da parte di Dio della sua stessa ''mishpat'' creata, cfr. TB Berakhot 7a; anche TG Makkot 2.6/31d rif. {{passo biblico2|Salmi|25:8}} e R. Moses Margolis, ''Perm Mosheh''. Cfr. W. Eichrodt, ''Theology of the Old Testament'', trad. {{en}} J. A. Baker (2 voll., Philadelphia, 1961), 1:244.</ref> L'importanza teologica di tutto ciò è enorme.
 
Inoltre, nei termini del nostro recupero filosofico della dottrina biblica dell'elezione, nessuna riflessione filosofica può ignorare la prospettiva e le scoperte della sua scienza contemporanea. In questo momento storico, le prospettive e le scoperte della [[w:Meccanica quantistica|Teoria Quantistica]] possono essere utili. Poiché, a differenza della precedente scienza moderna, dove era richiesto un modello causale universale totalmente interconnesso, la Teoria Quantistica richiede solo un modello statistico. Qui i fenomeni in generale, ma non tutti i fenomeni, hanno una spiegazione causale.<ref>Cfr. Bernard Lonergan, ''Insight'', III ediz. (San Francisco, 1970), 97 segg.</ref> Inoltre, qui il ruolo intrinseco svolto dagli stessi osservatori scientifici rende impossibile l'astrazione totale degli oggetti scientifici.<ref>Cfr. M. Sachs, ''Einstein versus Bohr'' (La Salle, 111., 1988), 235 segg.</ref> Così la Teoria Quantistica costituisce un universo fisico in cui l'insolito e il soggettivo non sono preclusi in linea di principio. Ed è il ''[[w:dato|datum]]'' inconsueto più il ruolo integrale di colui per il quale viene compiuto, che è la ''sine qua non'' ontologica per un'accettazione filosofica della possibilità di miracoli. Non è che la Teoria Quantistica "dimostri" un qualche miracolo o addirittura generi il concetto di miracolo. Ciò che fa per noi, tuttavia, è presentare una scienza naturale che non contraddica ciò che la rivelazione insegna sui miracoli. Questo è sufficiente per la nostra teologia.
 
=== Obbligo dell'Alleanza e libertà ===