Israele – La scelta di un popolo/Capitolo 4: differenze tra le versioni

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Questo è il primo prerequisito per il recupero filosofico della Bibbia: appropriarsi della mondanità della filosofia razionalista e della teologia che su di essa si basa e poi superarla costituendo una propria mondanità più teologicamente convincente. Tale recupero richiede inevitabilmente l'astuta appropriazione del metodo filosofico. Più di chiunque altro, Rosenzweig ha saputo iniziarci a questo approccio perché è stato un filosofo straordinario. Ci ha permesso di imparare di nuovo dalla Scrittura tramite il recupero filosofico: essere nel mondo ma non di esso, piuttosto che semplicemente esserne separati in ritiro, un ritiro che dopo l'esposizione alla modernità, volenti o nolenti, non può che essere reazionario.
 
Il secondo presupposto per il recupero filosofico della Bibbia da parte degli ebrei contemporanei è il superamento della separazione dello storicismo del lettore dal testo biblico stesso. A questo punto occorre una riaffermazione del [[w:Farisei|farisaismo]]. E anche qui, la fonte di ciò che deve essere superato è Spinoza. Poiché si ricorderà che Spinoza aveva una particolare antipatia per il tentativo farisaico di estendere l'autorità del testo biblico oltre i confini del suo contesto più evidente. La sua preferenza era per la lettura più letteralmente circoscritta della Bibbia da parte dei [[w:Sadducei|sadducei]]. Tuttavia, ciò che fece la lettura letteralista della Bibbia da parte dei sadducei fu di fare della Bibbia un libro antiquario e di lasciare così vaste aree della vita umana al di fuori della sua autorità.<ref>Per il contenuto generale del progetto fariseo, si veda Louis Finkelstein, ''The Pharisees'' (2 voll., Philadelphia, 1938), 1:261 segg.</ref>
 
Rifiutando il legame storico continuo e ininterrotto del popolo d'Israele con la Bibbia per e attraverso la tradizione, una tradizione sia loro che della Bibbia stessa, i sadducei e il loro moderno ammiratore [[Baruch Spinoza]] preclusero la riflessione filosofica sulla Bibbia. Infatti la riflessione filosofica esige che sia presente il suo ''datum'' primario, anzi quel ''datum'' che ci è più costantemente presente. Solo un tale ''datum'' può essere preso con la massima serietà. Qualsiasi cosa in meno renderebbe il ''datum'' della filosofia riducibile infine a qualcosa di più primario di se stesso e così inevitabilmente porterebbe il filosofo a riflettere invece su di esso. Ciò che è primario per noi è sempre normativo in quanto rivendica pretese immediate e continue sulla nostra attenzione e suscita la nostra preoccupazione. E ciò che è primario per i filosofi è ciò che suscita la loro preoccupazione riflessiva. La serietà essenziale della filosofia richiede che l'orizzonte normativo della sua riflessione sia ben visibile. La costante presenza della Scrittura e l'intera gamma del suo potenziale normativo fu uno dei principali lasciti del fariseismo ai suoi eredi rabbinici (e cristiani). Per questo motivo, alcuni di loro hanno potuto riflettere filosoficamente sulla Bibbia.
 
A dire il vero, la comprensione che ora abbiamo del contesto iniziale del testo biblico nel tempo e nel luogo fornitoci dalla ricerca storica non può essere ignorata senza che diventiamo totalmente arbitrari nei nostri standard accademici. La ricerca storica non può essere rifiutata ''a priori'' più di quanto non possa fare la scienza naturale senza che il peso mondano della Bibbia venga contemporaneamente ceduto e i lettori ebrei della Bibbia siano relegati al livello degli oscurantisti.<ref>In questo senso si noti: "Es gibt nur Eine Wahrheit. Zu einem Gott, den er als wissenschaftlicher Mensch leugnet, kann kein Ehrlicher beten ... Aber Gott hat die Welt, also den Gegenstand der Wissenschaft, geschaffen" (Franz Rosenzweig, ''Die Schrift'', 32 – un poscritto a una lettera scritta al leader ebreo ortodosso Jakob Rosenheim nel 1927). Si veda anche Wolfhart Pannenberg, ''Systematic Theology'', trad. G. W. Bromiley (Grand Rapids, Mich., 1991), 1:231.</ref> La Bibbia all'interno della nostra tradizione, dove è la fonte primaria della verità, si trova anche in altri contesti. Ciò è stato dimostrato in modo convincente con mezzi storici moderni. E la dottrina della creazione implica sicuramente che c'è verità nel mondo più vasto, per quanto infine subordinata alla verità della rivelazione.<ref>Cfr. D. Novak, ''Jewish Social Ethics'' (New York, 1992), 3-4.</ref> Ciononostante, la ricerca storica deve essere sempre secondaria proprio perché la Bibbia è il libro che gli ebrei non hanno mai smesso di leggere. È un libro indirizzato a loro in tutte le loro generazioni. La moderna ricerca storica sulla Bibbia, al contrario, è stata condotta partendo dal presupposto che i lettori contemporanei della Bibbia leggono di qualcuno diverso da loro stessi. Occasionalmente, anche i rabbini hanno riconosciuto il divario tra il contesto storico delle proprie generazioni e il contesto storico di alcuni testi biblici. Tuttavia, l'idea che la Torah parli unicamente al suo tempo è menzionata solo di rado.<ref>Cfr. per es., TB Baba Batra 120a-121a.</ref> Molto più spesso si presume che la Torah parli molto oltre il tempo in cui è stata originariamente pronunciata.<ref>Cfr. TB Kiddushin 29a rif. {{passo biblico2|Deuteronomio|3:28}} e {{passo biblico2|Numeri|15:23}}; inoltre, R. Baruch Halevi Epstein, ''Torah Temimah'' (5 voll., New York, 1962): {{passo biblico2|Numeri|15:23}}, n. 61.</ref> La tradizione della lettura ebraica della Scrittura come documento fondativo della tradizione ebraica è ininterrotto. Di conseguenza, la tradizione è sempre il legame più immediato ed evidente tra la comunità dei lettori e il testo letto.
 
=== Creazione e Elezione ===