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[[File:חייל מתפלל בימי מלחמת יום הכיפורים.jpg|500px|Soldato israeliano in preghiera, penisola del Sinai durante la Guerra del Kippur]]
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{{Citazione|Se io non sono per me, chi è per me? E se io sono solo per me stesso, cosa sono? E se non ora, quando?|[[w:Hillel|Rabbi Hillel]], ''[[w:Pirkei Avot|Pirkei Avot]], I.14''.| אם אני לא בשביל עצמי מי יהיה בשבילי? עם זאת, אם אני רק בשביל עצמי, מה אני? ואם לא עכשיו, מתי?|lingua=he}}
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== Introduzione ==
Avevo ventitre anni e da un anno mi trovavo in Australia, a [[w:Brisbane|Brisbane]], con mia moglie. Era il 3 ottobre 1973, primo giorno di [[w:Yom Kippur|Yom Kippur]], importante ricorrenza religiosa per noi ebrei, ma stavamo pensando a tutt'altro mentre ascoltavamo le notizie radio: quella mattina (mio pomeriggio australe) l'esercito egiziano aveva attraversato la [[w:Guerra dei sei giorni|linea "cease-fire" del 1967]] e attaccato Israele nel [[w:Penisola del Sinai|Deserto del Sinai]]. Simultaneamente, un esercito siriano aveva invaso le [[w:Alture del Golan|Alture del Golan]]. Erano queste le prime ore della [[w:Guerra del Kippur|Guerra dello Yom Kippur]], in cui Israele, preso di sorpresa su due fronti, venne quasi distrutto. "Decidemmo di far loro sferrare il primo pugno", disse in seguito [[w:Moshe Dayan|Moshe Dayan]], "e quel primo pugno quasi ci uccise".<ref>Per questo studio ho consulato molte fonti dell'epoca e recenti, tra cui: S.Y. Agnon, ''Only Yesterday'', 1945; S. Amiry, ''Sharon and My Mother-in-Law: Ramallah Diaries'', 2003; G. Antonius, ''The Arab Awakening'', 1939; K. Armstrong, ''Jerusalem: One City, Three Faiths'', 1996; S. Bellow, ''To Jerusalem and Back'', 1976; P. Berman, ''Terror and Liberalism'', 2003; M. Buber, ''Israel and Palestine: The History of an Idea'', 1953; R. Cohen, ''Israel is Real'', 2009; M. Dayan, ''Moshe Dayan: Story of My Life'', 1976; A. Eban, ''Diplomacy for the Next Century'', 1998; A. Elon, ''A Blood-Dimmed Tide: Dispatches from the Middle East'', 1997; Hashomer Hatzair, ''The Massacre of the European Jewry: An Anthology'', 1963; C. Herzog e Shlomo Gazit, ''The Arab-Israeli Wars: War and Peace in the Middle East from the War of Independence to the Present'', 1982; A.J. Heschel, ''Israel: An Echo of Eternity'', 1967; T. Segev, ''1967: Israel, the War, and the Year That Transformed the Middle East'', 2007; A. Sharon & David Chanoff, ''Warrior: An Autobiography'', 1989; A. Shlaim, ''The Iron Wall: Israel and the Arab World'', 1999.</ref>
 
Quasi un ''déjà-vu'' riproposto oggi, mezzo secolo dopo, con l'invasione dell'Ucraina da parte di una neo-dispotica Russia, la Guerra del Kippur fu un punto di svolta per Israele. Per molte persone, ci vollero decenni per capire cosa significasse, ma gli astuti capirono istintivamente: la lotta con gli arabi, che gli israeliani credevano di aver vinto nel [[w:Guerra dei sei giorni|1967]], in realtà non erano stati vinti, e non sarebbero stati vinti per una generazione, e forse per sempre. La strategia [[w:Sionismo|sionista]] a lungo termine, in cui Israele batteva gli arabi finché, come la metteva Ariel Sharon, "non avessero sviluppato una psicologia di disfatta", e fossero arrivati a credere che non avrebbero mai vinto, e quindi accettato lo Stato ebraico, non aveva funzionato. Il fatto che tu potessi vincere e vincere e comunque non vincere, fu come uno shock per la maggioranza degli israeliani. Un giorno è vittoria e cieli blu, e il giorno dopo è guerra ovunque, in ogni direzione dell'orizzonte.
 
Anni fa mi misi in viaggio per tutto Israele ad incontrare alcuni degli uomini che avevano comandato l'[[w:Forze di difesa israeliane|esercito israeliano]] (IDF) nel 1967 e 1973. Erano ormai molto anziani e curvi, ma conservavano quella fisicità vivace che ti aspetti dai soldati. Abbracciavano, afferravano, spingevcano, ridevano. Conversammo in café e appartamenti, con l'[[:en:w:desert lark|allodola del deserto sul davanzale e le fronde delle palme che battevano applausi. Alcuni aprirono dalle mappe davanti a noi, indicano poi alcune scene di battaglia, o un passo di montagna da cui erano sgusciati via coperti dalla nebbia. Altri mi mostrarono foto di amici che erano morti combattendo, giovani che sarebbero quindi rimasti giovani nel ricordo. Altri ancora mi mostrarono foto di loro stessi, denti bianchi e capelli scuri, aitanti e vigorosi. Alcuni parlavano un inglese perfetto, altri per nulla, qualcuno persino l'italiano, qualcun altro frasi spezzate, con spalucce e sospiri. Io a quel tempo parlavo poco l'ebraico, studiandolo la sera con un amico che mi accompagnò in queste escursioni in giro per Israele e che mi aiutò come interprete quando le conversazioni si facevano più complesse. Era l'anno 2000, durante la [[w:Seconda intifada|Seconda Intifada]] palestinese – ogni giorno c'erano notizie di un nuovo attacco terrorista – e in questi miei incontri, i vecchi soldati erano cupi e tristi. Parlavano della situazione in Israele n el modo in cui i loro nonni una volta parlavano della ''Questione Ebraica''. Non c'era speranza, dicevano: ogni vittoria i riporta indietro a questa stessa guerra estenuante e spietata. Molti incolpavano non i regressi ma i trionfi, specialmente la Guerra dei Sei Giorni, da cui Israele aveva appreso le lezioni sbagliate. "È stato il peccato dell'arroganza, l’''[[w:hybris|hybris]]'' che ci ha pervaso", ci disse un generale. "L'idea che eravamo grandi e forti, e vincitori, e che avremmo continuato a vincere, e che potevamo ottenere tutto, come se avessimo risolto l'enigma della storia ebraica."
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Tornato dal mio ufficio a fine giornata, ascoltando la radio appresi le prime notizie frammentarie e poi sempre più dettagliate: gli egiziani avevano attraversato il Nilo ed erano entrati nel Sinai, non con pochi soldati ma con un intero esercito. Ottantamila uomini. Avanzavano coperti da missili [[w:Missile terra-aria|SAM]] russi. La frontiera era stata sorvegliata da avamposti fortificati: la [[w:Linea Bar-Lev|Linea Bar-Lev]]. Molte di queste fortificazioni erano già state distrutte – poiché era Yom Kippur, gran parte dei difensori erano in licenza quando vennero sparati i prini colpi – e le poche installazioni che erano sopravvissute furono intrappolate dietro le linee egiziane. I siriani avevano cacciato gli israeliani dal [[w:Monte Hermon|Monte Hermon]] nel Golan e i carri armati siriani si trovavano a poche miglia dalle cittadine israeliane nella [[w:Galilea|Galilea]]. Se avessero sfondato, la guerra sarebbe finita ben presto.
 
== La sorpresa di Golda Meir ==
[...]
Perché l'attacco fu una tale sorpresa?
 
Tanto per cominciare, gli israeliani (come ho già detto) pensavano di aver già vinto, che la vittoria del 1967 fosse la fine decisiva del conflitto. Nel 1971 Moshe Dayan, allora ministro della Difesa, concesse un'intervista al settimanale ''[[w:Time|Time]]'' in cui prometteva che non ci sarebbero state guerre per almeno dieci anni. "Siamo alle soglie del coronamento del ritorno a Sion", spiegava Dayan. Ogni rapporto dell'[[w: intelligence|intelligence]], non importa quanto fosse preoccupante, doveva adattarsi a questa ''certezza''. Nei mesi prima dell'attacco, il [[w:Mossad|Mossad]] – agenzia dei servizi segreti israeliani – emise undici avvertimenti generali. C'erano infatti dozzine di indizi preoccupanti: gli egiziani che mobilitavano le proprie truppe, spostandole lungo il [[w:Canale di Suez|Canale di Suez]], acquisti massicci di armi, l'oscuramento dei fari dei loro autocarri. Gli aerei da trasporto russi trasferirono i diplomatici sovietici con rispettive famiglie fuori dall'Egitto. Poi, una settimana prima dell'invasione, che (guarda caso) avvenne durante il [[w:Ramadan|Ramadan]], ai soldati mussulmani venne detto di rompere il digiuno. La notte successiva, una pattuglia israeliana trovò impronte sulla sabbia rastrellata lungo il Canale.
 
 
 
== Devastazione ==
 
 
== Note ==
{{Vedi anche|Serie delle interpretazioni|Interpretazione e scrittura dell'Olocausto}}
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<references/></div>