Taumaturgia messianica/Appendice C: differenze tra le versioni

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Analoghe riflessioni, in uno schema metafisico più rigoroso, saranno riproposte nella teologia medievale da [[w:Tommaso d'Aquino|Tommaso d'Aquino]] (cfr. ''Contra Gentiles'', IV, c. 13).
 
Ma i passi del NT che associano il Verbo divino alla creazione del mondo non hanno per soggetto solo il Figlio-Verbo eterno del Padre. Essi dicono relazione anche al Verbo in quanto unito, in Cristo, alla natura umana (cfr. {{passo biblico2|Gv|1:1-3;14}}; {{passo biblico2|Ef|1:3-10}}; {{passo biblico2|Col|1:16-20}}; {{passo biblico2|Eb|1:1-3}}). Gesù Cristo, Parola del Padre fattasi uomo, mantiene una speciale relazione con la creazione, e questo almeno per due motivi: ''a)'' ad incarnarsi è la medesima parola creatrice, l'unico Verbo divino; ''b)'' con l'Incarnazione è Dio stesso a volersi in un certo senso "legare" alla creazione. Ne vedremo brevemente i contenuti biblici in due aspetti: '''1.''' la creazione ha in Cristo il suo principio di sussistenza; essa è stata fatta in Lui, per mezzo di Lui e ''in vista di Lui''; l'umanità di Cristo può dunque considerarsi come ''pienezza della creazione'', sommamente rivelatrice del progetto di Dio; '''2.''' in Cristo si rende già disponibile la logica di una ''nuova creazione'', che egli inaugura con la riconciliazione operata nel suo sangue e conduce misteriosamente al suo compimento escatologico mediante la sua resurrezione gloriosa.
 
=== La creazione sussiste in Cristo ed è stata fatta in vista di Cristo ===
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La Scrittura aveva già presentato la capitalità dell'uomo sulla creazione, posto al vertice dell'opera divina dei sei giorni, l'unica creatura fatta ad immagine di Dio e capace di riassumere in sé la coesistenza di spirito e di materia, quasi una sintesi di tutto il mondo creato. "Unità di anima e corpo, l'uomo sintetizza in sé, per la sua stessa condizione corporale, gli elementi del mondo materiale, così che questi, attraverso di lui, toccano il loro vertice e prendono voce per lodare in libertà il Creatore" (''Gaudium et spes'', 14; cfr. [[w:Concilio Lateranense IV|Concilio Lateranense IV]], DH 800). Una tale capitalità "antropocentrica" viene assunta e portata a pienezza in chiave "cristocentrica", perché il Verbo incarnato, oltre ad essere perfetta immagine del Padre, è anche immagine del vero uomo, di cui il primo Adamo era figura (cfr. {{passo biblico2|Rm|5:14}}). In lui non è più una sintesi di spirito e materia a venire espressa, bensì l'unione ipostatica (cioè nella Persona divina) e inconfusa della sua natura divina con una natura umana, corporale e spirituale: "Nam sicut anima rationali et caro unum est homo, ita Deus et homo unus est Christus" (''[[w:Simbolo degli apostoli|Simbolo pseudo-Atanasiano]]'', DH 76). Svelando il volto dell'uomo perfetto nei piani di Dio, il Verbo incarnato esprime in modo perfetto anche tutta la creazione, della quale l’uomo era stato messo a capo. Ciò non si realizza solo in forza della sua divinità, cioè per mezzo della mediazione creatrice del Verbo eterno generato prima di ogni cosa, ma anche in forza della sua vera e perfetta umanità.
 
Accanto ai già citati elementi di originalità del ''Logos'' cristiano nei confronti del pensiero greco, ne vanno qui segnalati alcuni altri. La filosofia stoica e neoplatonica conosceva una personificazione della natura (''physis''), con qualche analogia con quanto l'AT diceva riguardo la Sapienza divina. Ma l'origine di tutte le cose dalla natura e la loro riconducibilità ad essa (''ek, en, eis'') assumevano più il significato di un'armonia cosmica e di un archetipo esemplare, che quello di una finalità vera e propria. Di Cristo non si dice che il creato "derivi" da Lui, né che il creato sia un tutto armonico compiuto in se stesso perché fatto sul modello esemplare di Lui. Il ruolo del Cristo è piuttosto quello di esserne la causa, il fine e la sussistenza: "il cosmo non è solo creato in lui e per mezzo di lui, ma ha anche il suo ''ubi consistam'' in lui solo […]. Tutto ciò che esiste ha in lui la sua consistenza, perché lui è il Signore, il capo del Corpo" (E. Lohse, ''Le lettere a Filemone e ai Colossesi'', Brescia 1979, p. 117). Quando si afferma che in Lui abita la pienezza della divinità, non ci si riferisce ad una pienezza cosmologica, come nella tradizione greca, dove il cosmo costituisce il corpo stesso della divinità, bensì ad una pienezza soteriologica (cioè ''salvifica''), che esprime la potenza delle opere di Dio in Lui manifestate, e di conseguenza il compiacimento, la pace, la riconciliazione. Se nel pensiero greco il mondo è visto come qualcosa di necessario ed il ruolo del ''Logos'' come qualcosa di contingente, nella logica della creazione cristiana è il mondo ad essere contingente ed il Verbo, in quanto Dio, necessario (cfr. O’Callaghan, 1995): non è il Verbo ad essere fatto per il mondo, ma il mondo per il Verbo.
 
=== La nuova creazione in Cristo ===
Il Verbo incarnato è anche il mediatore universale di una "nuova creazione", quella inaugurata con la sua resurrezione gloriosa. Ne è figura solenne la visione del Verbo giudice, compimento escatologico dei nuovi cieli e della nuova terra (cfr. {{passo biblico2|Ap|21:1-6}}). Si tratta di una mediazione comprensibile se si pensa che il Verbo incarnato, in vista del quale fu fatta ogni cosa, è il Cristo risorto del mistero pasquale. La creazione, offuscata dal peccato dell'uomo, riacquista in Lui una nuova dignità, quella che aveva dal principio nei piani di Dio. Una peculiarità di questo rinnovamento, realizzato nella sua umanità passibile, è che esso non comporta un'azione diretta o estrinseca di Cristo sulla creazione — quasi una sorta di intervento miracoloso pronunciato sul cosmo — ma pone piuttosto l'umanità redenta ed il nuovo popolo di Dio in condizione di riportare a Dio tutte le cose quasi dal loro interno, cioè appunto ''in Cristo'', ed utilizzarle secondo la sapienza dei suoi piani salvifici. Si tratta di un rinnovamento che è mistericamente ''già dato'' in Cristo, e perciò già presente nella sua Chiesa come segno e sacramento universale di salvezza, ''ma non ancora'' realizzato, perché impegnerà il Suo corpo mistico in un’economia sacramentale che durerà fino alla fine dei tempi.
 
La corrispondenza fra la prima creazione e la nuova creazione è simbolicamente espressa dalla domenica di Pasqua, alba della Chiesa e primo giorno dell'[[w:Exameron|esamerone]] genesiaco (ciclo dei sei giorni). Avendo come riferimento l’umanità trasfigurata di Cristo risorto, la nuova creazione non distrugge, ma trasforma la creazione precedente. Fra le due nozioni vi è certamente discontinuità, ma anche continuità: è la ricostruzione di un ordine originario del quale si scopre adesso quale fosse il vero senso. All’idea di una nuova creazione vi è associata la sottomissione definitiva di tutto il creato a Cristo, con speciale riferimento alla vittoria sulla morte, e una ricapitolazione universale che ha come finalità riordinare, instaurare e condurre tutte le cose al Padre nello Spirito.
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La creazione è per Cristo un’eredità filiale (cfr. {{passo biblico2|Eb|1:2}}; {{passo biblico2|Rm|8:17}}) sulla quale esercita la sua signoria regale. Tutto il creato è stato destinato a questa sottomissione (cfr. {{passo biblico2|Ef|1:22}}) perché occorre che alla fine della storia "Dio sia in tutte le cose" ({{passo biblico2|1Cor|15:28}}). Nella Lettera ai Colossesi si dirà che "Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose" ({{passo biblico2|Col|1:18}}). Cristo è il capo (''kephalé'') sotto cui sta il corpo (''sôma'') del cosmo, ma tutto secondo un'ottica marcatamente salvifica. Questo corpo infatti è la Chiesa stessa e la consistenza che la creazione trova sotto di lui vuol dire che in lui solo c'è salvezza e vittoria sulla morte. La sua condizione di primogenito risorto dai morti diventa normativa di una nuova discendenza universale come lo fu quella di Adamo.
 
Manifestazione e garanzia definitiva di questa sottomissione del creato è la sua resurrezione gloriosa, i cui frutti salvifici si rivelano già ora nella vita dei credenti (cfr. {{passo biblico2|Ef|2:6-7}}; {{passo biblico2|Col|3:1-4}}). In forza della sua resurrezione Egli può far vivere nel suo Corpo mistico le primizie di questa nuova economia-alleanza, capacitandolo a riconsegnare al Padre una creazione rinnovata nello Spirito (cfr. {{passo biblico2|Fil|3:20-21}}; {{passo biblico2|1Cor|15:28}}; {{passo biblico2|Rm|9:5}}; {{passo biblico2|Col|3:11}}; {{passo biblico2|Ef|4:6}}). Quest'ultima, attende con impazienza una trasfigurazione finale, in cui la vittoria sulla corruzione della morte sarà estesa ad ogni creatura, e sarà definitivamente rivelata e portata a pienezza l’immagine di una filiazione alla quale tutto il cosmo era chiamato a partecipare (cfr. {{passo biblico2|Rm|8:19-22}}).
 
Il tema della "ricapitolazione" ha il suo brano scritturistico principale nel prologo della Lettera agli Efesini: "[Egli] ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo quanto nella sua benevolenza aveva in Lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra" ({{passo biblico2|Ef|1:9-10}}). Nell'espressione biblica "ricapitolare in Cristo tutte le cose" (''anakephalaiósastai tà pánta'') convergono i due significati di "ridare un capo" ed "erigere". In Lui, tutte le cose sono contenute, ricapitolate a modo di riassunto, in primo luogo le opere salvifiche di Dio. Ma esse sono anche "restaurate" o "instaurate", cioè "fondate". Infine, in Cristo ogni cosa ritrova un capo o deve essere posta sotto la sua sovranità; cioè, vi si contiene anche l’idea, già vista, di sottomissione universale. La ricapitolazione universale di Cristo ha un'influenza cosmica: essa comprende le cose che sono "nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili" ({{passo biblico2|Col|1:16}}; cfr. {{passo biblico2|Ef|1:11}}), quelle del secolo presente e quelle del secolo futuro (cfr. {{passo biblico2|Ef|1:21}}). Il mistero della Chiesa, primizia del Regno di Dio sulla terra, sarà il luogo sacramentale e teologico ove si realizza già ma non ancora la logica di questa nuova creazione.
 
== Le conseguenze filosofiche e scientifiche di un mondo creato per mezzo di Cristo e in vista di Cristo ==
=== L'universo creato partecipa del mistero di Cristo ===
Il modo abituale con cui la riflessione teologica utilizza il dato biblico della mediazione esercitata da Cristo, Verbo incarnato, al principio e nel compimento della creazione, è quello di comprenderne la dinamica in rapporto al mistero trinitario. Il Padre ha creato il mondo nel suo Figlio e per Amore del suo Figlio, ed il Figlio riconduce ogni cosa al Padre per mezzo dello Spirito. I rapporti fra Dio e il mondo vengono così interpretati all'interno di uno schema di ''exitus-reditus'' (uscita e ritorno). La teologia medievale, specie quella di Tommaso d'Aquino e di Bonaventura, ne rappresentano un esempio classico. Nella teologia contemporanea, in continuità con una prospettiva già presente nella patristica ed in alcuni autori medievali, le conseguenze teologiche e filosofiche della mediazione universale di Cristo sono discusse all'interno di una visione chiamata «"cristocentrismo»" (per uno sguardo d'insieme, cfr. Moioli, 1989; Biffi, 1994). Minore attenzione è stata rivolta invece alle conseguenze che comparirebbero sul piano della nostra comprensione scientifica dell'universo creato. Alcune di esse, certamente collegate alle cinque note che la teologia associa alla creazione — cioè la sua temporalità, libertà, bontà, razionalità e finalità — meritano di essere qui meglio esplicitate.
 
In primo luogo, la creazione materiale, riassunta paradigmaticamente dall'umanità di Gesù Cristo, risulta in qualche modo associata al suo mistero pasquale. L'invito rivolto ad ogni essere umano, creato e redento in Cristo, ad entrare, come figli nel Figlio, in comunione con la Trinità, coinvolge anche l'universo materiale. Questo ordinamento del creato ad essere presente in Cristo accanto alla vita di Dio è conseguenza dell'ordinamento a Lui di tutto il creato (cfr. {{passo biblico2|1Cor |15,:26-28}}). L'umanità del Risorto è segno della presenza di tutta la creazione accanto al suo Salvatore. «"Padre misericordioso — prega la Chiesa cattolica nella sua IV Preghiera Eucaristica — concedi a noi, tuoi figli, di ottenere [...] l'eredità eterna del tuo regno, dove con tutte le creature, liberate dalla corruzione del peccato e della morte, canteremo la tua gloria in Cristo nostro Signore»". La bontà originaria della creazione, testimoniata dalla narrazione della Genesi, è certamente bontà “esemplare”"esemplare", perché l'universo assomiglia al suo Creatore (cfr. {{passo biblico2|Gen |1,:18; 1,:31}}), ma è anche una bontà “finale”"finale", perché esso è voluto in vista del Verbo fatto carne. Pertanto, con la sua incarnazione, il Verbo entra in un mondo e in una storia che gli appartengono. Egli non vi “atterra”"atterra" come un estraneo venuto da mondi lontani, ma come un re che viene a prendere possesso del suo Regno. L'avvento del Messia atteso dal popolo eletto è attesa di tutta la creazione. I miracoli di Gesù non sono interventi taumaturgici, ma dimostrazioni di sottomissione di una natura che esiste in Lui e per mezzo di Lui.
 
Il fatto poi che l'umanità del Verbo attraversi il mistero della sofferenza e della morte, rivela che anche la creazione è soggetta alla caducità. In essa si dà una sorta di incompletezza e la possibilità — storicamente datasi — di un disordine, quello introdotto dal peccato dell'uomo, cose che saranno superate dalla signoria definitiva di Cristo. La logica del mistero pasquale ha una portata cosmica: il limite, il dolore, l'inadeguatezza restano presenti nel creato fino a quando esso non sarà rinnovato dall'avvento di un nuovo cielo e di una nuova terra (cfr. {{passo biblico2|2Pt, |3,:13}}; {{passo biblico2|Ap |21,:1.6}}). La partecipazione futura del creato accanto alla vita di Dio parrebbe dunque prevedere un suo mistero di attesa e di travaglio, di morte e di resurrezione, la disponibilità ad essere trasfigurato. La portata di questo rinnovamento eccede senza dubbio le forze insite nell'universo materiale — soggetto della ricapitolazione finale sarà sempre Cristo vittorioso sulla morte — ma lo scenario del cosmo fisico ne è certamente coinvolto. La bontà originaria della creazione e l'assunzione della natura umana da parte del Verbo assicurano che la “continuità”"continuità" fra prima e nuova creazione è anche continuità fisica e materiale.
 
In secondo luogo va osservato che un universo creato in Cristo e in vista di Cristo assume una “unità”"unità" ed una “coerenza”"coerenza" senza precedenti. In prima istanza l'unità dell'universo e la coerenza della sua progettualità dipendono dall'unicità e dalla natura personale della sua Causa Prima, cioè dall'esistenza di un unico Creatore. Tuttavia, sapere che tale progettualità si è manifestata nella comparsa dell'uomo e, ancor più, nell'Incarnazione storica del Verbo, ne rafforza l'unità e la portata globale. In un universo voluto per Cristo e in vista di Cristo, la materia inanimata è per la vita, la vita per l'uomo, l'uomo per Cristo, Cristo per Dio (cfr. {{passo biblico2|1Cor |3,:22-23}}). Ogni segmento della storia del mondo risulta significativo. Nonostante la grande estensione degli spazi e dei tempi, si può a ragione affermare che non vi sia nulla di casuale o di superfluo. Inserita nel dinamismo del tempo, l'unità e la coerenza di un universo creato in Cristo può essere anche compresa come “sviluppo”"sviluppo" o perfino come “evoluzione”"evoluzione" senza timore di registrarvi un'opposizione con quanto teologicamente associato al concetto di creazione. Di fatto, la nozione stessa di evoluzione acquista in tale prospettiva un più profondo significato ed una maggiore carica noetica. Se il centro storico ed ermeneutico dell'universo è l'evento dell'incarnazione del Verbo, allora l'evoluzione verrebbe meglio compresa come una fenomenologia globale, capace di dare coerenza ed intelligibilità all'intero universo su scala cosmica, e non più solo come un semplice tentativo di spiegare o di riordinare morfologicamente quanto avvenuto su una scala relativamente locale come quella terrestre. Assumere un più ampio quadro evolutivo, espressione di un finalismo che coinvolge l'universo fin dal suo principio e lo accompagna verso il suo compimento, fa scartare l'idea che la vita sia un'emergenza casuale, il risultato di un processo aleatorio dovuto a coincidenze locali, la cui origine o il cui risultato dipenda da una regione spazio-temporale di proporzioni limitate; la interpreta piuttosto qualcosa cui “tutto” l'universo puntava fin dall'inizio, un frutto che l'intera creazione ha preparato con la lenta trasformazione dei suoi elementi e la pazienza dei suoi tempi cosmici.
 
=== L'opera di Teilhard de Chardin ===
Fra gli autori contemporanei che hanno maggiormente messo in luce la possibilità di una lettura “cristocentrica”"cristocentrica" dell'evoluzione cosmica, esplicitandone alcune conseguenze anche sul piano scientifico, va certamente menzionato P.[[w:Pierre Teilhard de Chardin|Teilhard de Chardin]] (1881-1955). Partendo dal dato biblico paolino e giovanneo circa la centralità dell'Incarnazione nel progetto divino sulla creazione, egli giunge a proporre una sintesi fra la fenomenologia dell'evoluzione cosmica verso la vita e la capitalità/ricapitolazione di Cristo su tutto il creato (cfr. Latourelle, 1990; Maldamé, 1995, pp. 162-166). Osservando il progresso da forme di vita inferiori e più semplici verso forme superiori, e poi fino all'uomo, Teilhard inquadra l'evoluzione biologica in un'evoluzione fisica di scala cosmica, manifestando un'intuizione che anticiperà di alcuni decenni i risultati della cosmologia contemporanea.
 
Egli concepisce così una scienza dell'universo che ricolleghi la cosmologia all'antropologia: l'uomo è il centro dell'universo, perché costituisce il coronamento e l'apice della sua evoluzione. Questa evoluzione è progressiva ed irreversibile, manifestativa di un progetto che dalla materia inerte porta fino al pensiero cosciente e poi alle più alte manifestazioni dello spirito e dell'amore: essa trova il suo senso in Qualcuno che dia consistenza a tutto il processo, ne costituisca la finalità e l'espressione più alta. Inizialmente indicato con il termine di «"[[w:Punto Omega|Punto Ω»]]", Teilhard identificherà l'apice ed il senso dell'evoluzione dell'intero universo con Cristo, compreso questa volta non solo come Verbo del Padre o come Gesù storico, ma anche come «"Cristo cosmico»".
 
L'opera di Teilhard ha sostanzialmente due meriti. Il primo di essi è aver offerto una lettura non materialista dell'evoluzione, contrarrestando così un paradigma interpretativo cominciato con [[w:Herbert Spencer|H. Spencer]] (1820-1903) e C.[[w:Charles Darwin|Charles Darwin]] (1809-1882), dal quale la teologia era stata fortemente condizionata, fino a distanziarsi sempre più dall'analisi delle scienze. Ad un evoluzionismo che cercava la sua soluzione indietro nel tempo, nelle forme sempre più semplici e nella materia, Teilhard oppone un'evoluzione che guarda in avanti, all'uomo e allo spirito, e in alto, a Cristo. Rintracciamo questa proposta, molti secoli addietro, nel cristocentrismo di [[w:Massimo il Confessore|Massimo il Confessore]] (580-662). Strenuo difensore della compiutezza delle due nature di Cristo contro l'eresia monotelita, egli segnalava: «"Cercando il suo fine, l'uomo incontra il suo principio, che è là, dove si trova il fine... Non bisogna, come ho già detto, cercare il principio indietro, ma bisogna rilevare il fine che è in avanti, per conoscere il principio nascosto nel fine»" (''Quaestiones ad Thalassius'', 59: PG 90, 631).
 
Il secondo merito è aver tracciato le linee di una cristologia “proporzionata"proporzionata alle dimensioni dell'universo”universo", adeguata alle prospettive delle conoscenze contemporanee. Se la perdita di centralità cosmologica e filosofica sofferta dall'uomo moderno e contemporaneo, accantonata la sintesi medievale, aveva finito col trascinare dietro di sé anche il cristianesimo, che di quella centralità ne era stato il principale sostenitore, riconoscere adesso che l'incarnazione e la resurrezione di Cristo possiedono degli attributi universali capaci di unificare il senso dell'intero cosmo, riporta l'Uomo-Dio in una situazione privilegiata. Dalla visione teilhardiana emerge un motivo di singolarità del cristianesimo nel panorama delle altre religioni. Solo la religione cristiana possiede un fondatore che sia mediatore universale nel principio e nella fine del cosmo, perché intimamente legato al senso dell'intera creazione. Se la fenomenologia dell'universo e dell'uomo puntano verso un apice, solo il cristianesimo può porre in questo apice un soggetto storico e personale, una vita che ha trionfato sulla morte.
 
Alcuni aspetti della sintesi teilhardiana sono però rimasti poco convincenti. Ad esempio, come armonizzare la naturalezza della continuità dell'evoluzione con la discontinuità rappresentata dall'apparizione della vita, della coscienza e poi dall'Incarnazione, senza cadere nella proposta di un processo determinista. In prospettiva escatologica, tale insufficienza si manifesta nella scarsa precisazione di quale debba essere il canone della continuità/discontinuità nel rapporto fra prima creazione e nuova creazione. Ciò equivale a dover chiarire meglio il rapporto fra storia del cosmo e storia della salvezza, all'interno della quale non va ignorato il ruolo del peccato. Il linguaggio di Teilhard, di difficile comprensione e spesso poco rigoroso, ha dato luogo a fraintendimenti. Una dichiarazione dell’alloradell'allora sant’Uffizio[[w:Congregazione per la dottrina della fede|sant'Uffizio]], anni dopo la morte dello scienziato, segnalerà che alcuni aspetti del suo pensiero contenevano gravi errori di dottrina cattolica, senza però specificare quali (cfr. AAS 54 (1962), p. 526). La teologia ha raccolto alcune delle sue intuizioni essenziali (cfr. H. De Lubac, ''Il pensiero religioso di P. Teilhard de Chardin'', Milano 1983). La cosmologia fisica ne ripropone il pensiero nella discussione filosofica sul [[w:Principio antropico|Principio Antropico]] per interpretare quale possa essere la logica e la direzione finale dell'evoluzione cosmica (cfr. J. Barrow, F. Tipler, ''The Anthropic Cosmological Principle'', Oxford 1986).
 
=== L'intelligibilità dell'universo cristiano, luogo di dialogo fra Dio e l'uomo ===
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È stato rilevato da più autori che la fede cristiana in un ''Logos'' creatore ha favorito lo sviluppo di una mentalità scientifica nella quale trovasse posto una fede nella razionalità del mondo, nella significatività della nozione di leggi di natura, sostenendo così la ragionevolezza di cercare un ordine stabile ed universale. Questa convinzione è anche condivisa da un buon numero di scienziati. In realtà, potrebbe trattarsi di un'associazione soltanto funzionale, nel senso che un certo ordine di idee, indipendentemente dalla verifica del loro fondamento oggettivo nella realtà delle cose, abbia potuto storicamente favorire con successo l'impiego di una gnoseologia maggiormente adeguata all'analisi delle scienze. Una teologia cristiana della creazione non si limita però a registrare questo successo funzionale, ma sostiene che esso radica in re, cioè nelle cose. Porre il Verbo a fondamento del reale, anche di quello fisico, non solo rende possibile un'attività scientifica, ma rivela la struttura intima del reale, quella di essere effetto di una parola e di mantenere pertanto un'apertura costitutiva al dialogo fra l'uomo e la natura, fra l'uomo e Dio.
 
Un possibile riflesso sul dibattito scientifico potrebbe essere ad esempio l'interrogativo circa la «"irragionevole efficacia della matematica»" (E. Wigner, ''The Unreasonable Effectiveness of Mathematics in the Natural Sciences'', “Comunications"Comunications in Pure and Applied Mathematics”Mathematics" 13 (1960), pp. 1-14; J.D. Barrow, ''Perché il mondo è matematico?'', Roma-Bari 1992). Sarebbe sempre possibile ipotizzare un universo che non avesse la proprietà di essere così facilmente matematizzabile come il nostro, dove le principali leggi fisiche non posseggano integrali convergenti, non siano rappresentabili con leggi scientifiche semplici, dove la geometria dello spazio, ad esempio, non consenta ai potenziali radiali di decrescere con l'inverso della distanza o alla legge di gravità di essere regolata dall'inverso del suo quadrato. Sebbene la mente umana eserciti una evidente proiezione dei suoi canoni all'interno del mondo fisico, cercando di matematizzarlo, questo deve essere al contempo matematizzabile. Esistono ragioni per rifiutare l'idea che sia unicamente lo scienziato ad imporre un simile ordine nella natura. Il linguaggio della razionalità scientifica, della logica come della matematica, non è un idioma totalmente convenzionale, uno fra i tanti possibili. «"Le cose stanno in modo esattamente opposto — osserva [[w:John Polkinghorne|Polkinghorne]] —. I fisici padroneggiano faticosamente le tecniche matematiche perché l'esperienza ha insegnato loro che esse costituiscono la via migliore, anzi l'unica, per capire il mondo fisico. Scegliamo quel linguaggio perché è l'unico col quale il cosmo ci parla»" (''Scienza e Fede'', 1987, p. 72). Dietro l'idea di un cosmo «"capace di parlare»" non è difficile intravedere quella di un suo legame costitutivo con una Parola orginaria.
 
Se tutta la creazione rispetta la logica di un Verbo fonte di razionalità e di intelligibilità, allora devono esistere delle categorie interpretative capaci di abbracciare tutto l'essere del mondo, nessuna parte esclusa. Ne deriva per tutto il cosmo una forte unità gnoseologica e caratteriologica, riconoscibile in ogni suo sottoinsieme, con evidenti conseguenze sul piano della comprensione globale. Solo in un simile uni-verso le categorie di identità e di universalità, così importanti per l'analisi delle scienze, divengono davvero significative. Con esse diviene significativo sia il processo di deduzione di proprietà su larga scala a partire dall'osservazione di proprietà locali — come abituale ad esempio nella metodologia della cosmologia contemporanea —, sia l’ideal'idea di voler concettualizzare l'universo come un tutto, potendo procedere alla ricerca di proprietà globali ed unificanti, come nel caso dei princìpi di simmetria e di invarianza o in quelli che fanno ricorso ad un approccio metodologico totalizzante, come accade ad esempio con il principio di Mach. Non desta allora più sorpresa la “comprensibilità”"comprensibilità" dell'universo — cosa che suscitava la meraviglia di [[w:Albert Einstein|Einstein]] —, e neppure il fatto che le stesse particelle elementari siano tutte rigorosamente identiche. Su quest'ultima meraviglia ferma l’attenzionel'attenzione [[w:John David Barrow|John Barrow]], segnalando che se tutti gli elettroni non fossero assolutamente uguali, e si comportassero ad esempio come dei palloni da football, ciascuno leggermente diverso dall'altro, l'intero universo diventerebbe inintelligibile (cfr. ''Theories of Everything. The quest for Ultimate Explanation'', Oxford 1991, p. 197).
 
Secondo un punto di vista ancor più generale, il tema della dialogicità del cosmo si collega con quello della sua “progettualità”"progettualità". Come effetto di una parola intelligente, lo sviluppo di un mondo creato punta verso un fine, incarna una storia significativa, proprio perché il suo ''Logos'' ne esprime il progetto. Accanto alla materia e all'energia, l’informazionel'informazione viene riconosciuta una componente originaria del cosmo. Il mondo possiede una quantità positiva di informazione, capace di conservarsi e di esplicitarsi lungo la sua evoluzione: la storia dell'universo è portatrice di significato. La Rivelazione cristiana segna qui un nuovo punto di originalità se paragonata con le tradizioni extrabibliche, proprio a causa del suo peculiare rapporto con la storia. La visione biblica si distanzia alquanto dalle concezioni del tempo presenti nel pensiero greco o nelle filosofie orientali in genere, ove il mito dell'“eterno"eterno ritorno”ritorno" aveva come risultato la cancellazione di ogni informazione che la storia poteva aver prodotto, perché ogni emergenza e novità erano destinate a riazzerarsi nel nulla. L'universo creato per mezzo di Cristo e in vista di Cristo possiede un principio ed uno scopo, un A e un W, ed entrambi appartengono al suo mistero. Sia la teologia che la storia della scienza hanno registrato l'importanza e la portata di questa specificità cristiana nella formazione del pensiero occidentale (cfr. J. Mouroux, ''Il mistero del tempo'', Brescia 1965; C. Journet, ''Per una teologia ecclesiale della storia della salvezza'', Napoli 1972, pp. 11-76; S. Jaki, ''Science and Creation. From Eternal Cycles to an Oscillating Universe'', Edinburgh 1986).
 
=== ''Logos'' cristiano e realismo delle scienze ===
È stato già osservato che la razionalità associata al ''Logos'' cristiano si presenta simultaneamente con i caratteri della trascendenza e dell'immanenza, con la solennità del mistero del disegno divino sul mondo e con la concretezza della storia e della carne. Non è una razionalità confinata nel circolo platonico del mondo delle idee, ma attraversa la natura con tutta l’oggettivitàl'oggettività dell'evento terreno di Gesù di NazaretNazareth. Non è una razionalità totalmente immanente nella materia, come quella del ''Logos'' degli stoici, né totalmente immanente nel soggetto, come quella delle categorie ''a-priori'' [[w:Immanuel Kant|kantiane]].
 
Il Verbo ha una propria personalità trascendente, ma nondimeno ha voluto legarsi allo spazio, al tempo, alla materia: un universo plasmato dal ''Logos'' cristiano appare in maggiore sintonia con una gnoseologia realista, in accordo con l'impostazione induttiva delle scienze, ed assai meno con le varie forme di idealismo, dal funzionalismo allo psicologismo. In un universo così, in sostanza, viene favorita la convinzione che la verità delle cose non esista solo nella nostra mente, né implichi solo una coerenza astratta, ma appartenga alle cose stesse. La verità può certamente oltrepassare il paradigma dell'adaequatio, ma l'adeguazione fra intelletto ed oggetto resta un momento insostituibile del processo di conoscenza. Si registrerebbe dunque una consonanza con il realismo classico dell'impresa scientifica, come esposto ad esempio nelle riflessioni epistemologiche di [[w:Max Planck|Planck]] o Einstein, ed una implicita sintonia con il primato della esperienza. Vi sarebbe invece una maggiore distanza da interpretazioni del mondo fisico debitrici ad una prospettiva idealista, come potrebbero essere ad esempio la visione della meccanica quantistica offerta dalla scuola di Copenhagen o la visione di una cosmologia che si preoccupi esclusivamente della coerenza interna delle proprie formulazioni, rinunciando ad elaborare modelli in grado di mantenere un controllo con la realtà osservabile. Una comprensione realista dei rapporti fra matematica e fisica, inoltre, suggerirebbe che il fondamento di ogni teoria scientifica, anche di quella che faccia ricorso al formalismo più astratto, debba in ultima analisi poggiare su basi empiriche.
 
Fra le ragioni del realismo degli scienziati non compare certamente in modo esplicito quella dell'incarnazione del Verbo. Esistono però delle eccezioni interessanti. [[w:James Clerk Maxwell|Maxwell]] vi farà un riferimento remoto quando, commentando l'itinerario concettuale che lo condusse alla formulazione delle sue note equazioni del campo elettromagnetico, affermava che la matematica, per rappresentare efficacemente la realtà, doveva materializzarsi, «"calarsi nel corporeo»". Einstein farà uso della stessa immagine al parlare dell'ordine e della razionalità della natura come di una intelligenza cosmica «"incarnata nella materia»".
 
Il confronto fra approccio realista ed approccio idealista nella nostra conoscenza dell'universo è ben riassunto da una metafora che accomuna autori diversi. [[w:Arthur Eddington|Eddington]] vede lo scienziato che indaga la natura come chi, camminando sulla spiaggia, cerca l'origine di alcune orme assai interessanti, per scoprire in seguito che si tratta delle stesse orme lasciate dai suoi piedi, e concludere così che l’uomo ritrova nella scienza solo quelle idee che vi ha posto con la sua stessa attività di ricerca. [[w:Isaac Newton|Newton]], anch'egli immaginando di passeggiare sulla spiaggia, si paragonava al termine della sua vita scientifica come un bambino che ha potuto solo divertirsi con un sassolino e qualche conchiglia, mentre lo sconfinato oceano del sapere sta ancora davanti a lui, con tutta la sua oggettività. Nel primo caso ci troviamo di fronte ad una visione della ricerca, e di conseguenza ad una interpretazione dell'universo, di carattere idealista: tutto quello che la scienza ci dice è solo l'eco delle nostre relazioni mentali, perché non esiste nulla che sia oggettivamente dato. Nel secondo caso, l'attività della scienza è sempre vista come una scoperta, come un trovare qualcosa che l'uomo non crea ma riceve: la natura, ed il ''lógos'' che la regge, sono visti invece come un “dono”"dono".
 
In continuità con il tema del realismo, la teologia cristiana del Verbo manifesta interessanti conseguenze circa il carattere di “oggettività”"oggettività" della natura. Il Verbo-generato mantiene la sua piena distinzione dal mondo-creato. Tutte le cose sono fatte nell'unico Verbo, «"per quem omnia facta sunt»", ma egli è «"genitum, non factum»" (DH 150). La natura non è divina: essa non procede da Dio come invece il Figlio, lui che è Dio da Dio. Chi indaga la natura può porsi di fronte ad essa considerandola oggettivamente, come qualcosa di autonomo, la cui razionalità è effetto della causalità esemplare e finale di un ''Logos'' che non si identifica con essa. Ne viene esclusa ogni forma di panteismo, ma anche ogni tentazione dualista. La creazione procede ''ex nihilo'' e ciò assicura che il suo principio esemplare è unico, non il risultato di una dialettica fra spirito e materia o fra il bene e il male. Non vi sono altre logiche che reggono le sorti del cosmo se non quella del «"''Logos'' che si è fatto carne»" (Gv{{passo biblico2|Gv|1,:14}}).
 
== Il mistero di Gesù-Cristo, Verbo incarnato, principio di comprensione dei rapporti fra Dio e il mondo ==
=== La ''lex incarnationis'', origine della specificità del cristianesimo oltre il linguaggio del mito ===
Il fatto che la pienezza della rivelazione e della donazione di Dio al mondo avvengano nella Persona del Verbo caratterizza in modo determinante i rapporti fra l'uomo, il mondo e Dio. L'aggettivo «"cristiano»", in quanto espressione di un modo specifico di unire l'umano ed il divino, ha in sé la capacità di originare e di illuminare coerentemente un intero panorama teologico-culturale, poiché nel rapporto fra ciò che è umano e ciò che è divino, in definitiva nel rapporto fra natura e grazia, sono contenuti temi ben più ampi. Tale rapporto è rappresentativo di quello che intercorre fra realtà come creazione e redenzione, immanenza e trascendenza, storia ed eternità, segno e sacramento, ragione e fede, cultura e Vangelo, lavoro e preghiera, la città degli uomini e la città di Dio, l'essere umani e l'essere cristiani. Dalla nostra comprensione di cosa sia l’Incarnazione dipende anche la nostra concezione del mondo e dell'uomo, e si decide la nostra concezione di Dio.
 
La fede cristiana nell'Incarnazione ha suscitato a volte domande in merito al suo rapporto col mito (cfr. C. Schönborn, ''Il mistero dell'Incarnazione'', Casale Monferrato 1989). La dottrina dell'unione ipostatica (cioè unione delle due nature, umana e divina, nell'unico soggetto o «"[[w:Ipostasi|ipostasi»]]" del Verbo) non ha però precedenti ed occupa un posto unico nella storia delle religioni. La mitologia pagana conosceva vari modi per unire l'umano al divino, ad esempio quello del semidio (come nel caso di [[w:Achille|Achille]]), o quello dell'apoteosi (come nella morte di [[w:Ercole|Ercole]]). Con queste figure si voleva indicare l'elevazione di un personaggio umano alla sfera del divino o del sacro, fino a trasfigurare e perdere i caratteri della sua umanità. Ciò avveniva al momento della sua generazione, perché nato dall'unione di un dio con un essere umano, o dopo la sua morte, mediante un'esaltazione mitica che lo associava al regno degli dèi. Il contesto sacrale nel quale questi personaggi prendevano forma come semidèi è quello di una assoluta commistione fra i caratteri umani e quelli della divinità. Come si vede ad esempio nelle ''[[w:Le metamorfosi (Ovidio)|Metamorfosi]]'' di [[w:Publio Ovidio Nasone|Ovidio]] o nelle ''[[w:Teogonia (Esiodo)|Teogonie]]'' di [[w:Esiodo|Esiodo]], tutto — animali, uomini, dèi — può dare origine a tutto, e tutto può trasformarsi in tutto. Nell'incontro fra l'uomo e gli dèi, il desiderio di dar origine a qualcosa di intermedio, con il carattere di novità, conduceva a perdere ogni distinzione, generando in fondo una vera e propria confusione. Il divino poteva poi unirsi all'umano quando alcuni uomini venivano investiti in modo transitorio e delegato di speciali poteri; oppure quando un dio si impossessava di un essere umano, assoggettandolo a sé e privandolo per questo della sua libertà ed autonomia.
 
Il mistero dell'Incarnazione si colloca in un contesto radicalmente diverso. Nel [[Taumaturgia messianica/Capitolo 9|concepimento verginale di Maria]], madre di Gesù (cfr. Mt{{passo biblico2|Mt|1,:18-21}}; Lc{{passo biblico2|Lc|1,:27-35}}), l'azione divina conserva tutta la sua trascendenza, in piena continuità con l'immagine di Dio propria di tutto l'AT. Nel figlio di Maria, la natura divina e quella umana non sono confuse fra loro, ma restano distinte nelle loro rispettive operazioni: l'essere vero e perfetto Dio non impedisce a Cristo di essere nel contempo vero e perfetto uomo. La persona increata del Verbo garantisce il pieno rispetto della trascendenza divina, mentre l’assunzione di una vera natura umana creata ne garantisce la veridicità della sua immanenza nel mondo; l'unione inconfusa delle due nature del Cristo assicura che l'una non venga dissolta nell'altra. Ciò che ascende alla sfera del divino non è un personaggio umano, ma la natura umana assunta in un soggetto divino: l'origine della dinamica è discendente; solo come frutto di questa con-''discendenza'', ne deriverà un moto ascendente dell'umanità verso Dio. In Cristo gli apostoli vedranno un Dio dal volto umano, come Gesù stesso rivela a Filippo (cfr. {{passo biblico2|Gv |14,:8-10}}), e vedranno un uomo dal volto di Dio, come Pietro, Giacomo e Giovanni sperimenteranno di fronte alla gloria del [[w:Monte Tabor|Tabor]] (cfr. Mc{{passo biblico2|Mc|9,:2-4}}). A differenza dei semidèi del pantheon greco, che per rendere credibile la loro ascensione dovevano perdere ogni collegamento con il territorio e con la storia, per eternizzare la propria memoria Gesù Cristo non avrà bisogno di far perdere le tracce del proprio evento terreno, né di uscire dalla storia e diventare un'idea. Come la sua passibilità, fino all'esperienza della morte e della sepoltura, lo legano allo spazio e al tempo in modo reale e non apparente, così nella trascendenza della sua resurrezione non sarà la storia che lo renderà eterno, ma sarà Lui a rendere eterna la storia.
 
Grazie a questa peculiarità di unione dell'umano al divino, l'Incarnazione prende sul serio la natura umana ed ogni uomo concreto. L'essere umano non è più terreno della lotta fra gli dèi; l'uomo cessa di essere una creatura illusa da una mitica divinizzazione oppure umiliata dall'assolutizzazione di un'incolmabile differenza con Dio. L'intimità con Dio lascia intatta la personalità della creatura: lo Spirito Santo, che dopo l'Incarnazione può abitare in ogni uomo perché Spirito del Cristo (cfr. {{passo biblico2|Gal |4,:4-6}}), non si impossessa della persona umana per rimuovere la sua libertà, ma piuttosto per darle fondamento (cfr. {{passo biblico2|2Cor |3,:17}}).
 
=== Il mondo creato può essere pienamente compreso solo alla luce del mistero del Verbo incarnato ===
Le considerazioni sviluppate nella sezione II ci hanno mostrato come il mondo appartenga al mistero di Cristo, che è ''mistero del Padre''. Il mondo, cioè, nasce dal mistero della volontà del Padre che vuole ogni cosa nel Figlio, per mezzo del Figlio, e nasce da quell'amore, lo Spirito, che ne sigilla il rapporto. Il mondo non è solo una “parabola"parabola di Dio”Dio", una sua “icona”"icona", ma è in Cristo anche un suo “sacramento”"sacramento". In un certo senso, nel mondo non vi è nulla di puramente “mondano”"mondano" o “neutro”"neutro", ma tutto ciò che esiste pone l'uomo di fronte alla possibilità di accettare il mistero che vi è contenuto oppure di rifiutarlo. Sul piano etico ciò equivale all'alternativa fra vivere secondo una legge che Dio ha inscritto nella natura delle cose oppure disporre delle cose vivendo secondo il proprio arbitrio (cfr. {{passo biblico2|Gen |2,:16}}). Prendere posizione di fronte a Dio e prendere posizione su cosa sia il mondo sono due versanti di un'unica opzione.
 
L'appartenenza del mondo al mistero di Cristo e, attraverso di Lui, al Dio uno e trino, implica che il mondo materiale non possa comprendersi fino in fondo, tanto nelle ragioni ultime del suo essere come in quelle del suo divenire, prescindendo da categorie “religiose”"religiose", quelle categorie cioè che indirizzano correttamente il rapporto fra l'uomo e Dio: «
{{q|Il mondo materiale ha origine nella azione delle Persone divine ed è chiamato ad essere riassunto e trasfigurato dalle Persone divine. È questo uno degli aspetti fondamentali per la visione attuale del mondo. La sconsacrazione del cosmo è una delle grandi tentazioni dell'uomo moderno, che tende a concepire il mondo della natura, in cui esercita la scienza, come estraneo al destino religioso. L'uomo moderno tende a dissociare un destino religioso che sarebbe puramente personale, da un destino cosmico che sarebbe profano e materiale: come se la religione fosse un affare privato, e il problema religioso un problema individuale e non il problema del senso dell'intero universo e quindi della sua realtà materiale» (.|J. Danielou, ''La Trinità e il mistero dell'esistenza'', Brescia 1989, pp. 12-13. Per il collegamento con la modernità, cfr. R. Guardini, ''La fine dell'epoca moderna'', Brescia 1984, pp. 91-108).}}
 
L'incarnazione del Verbo e la sua solidarietà con la storia del mondo rappresentano la ragione di fondo per ritenere che non esistano realtà terrene totalmente profane: «"A rigore, non si danno realtà nobili che siano tali in senso totalmente profano, dal momento che il Verbo si è degnato di assumere integralmente la natura umana e di consacrare la terra con la sua presenza e con il lavoro delle sue mani»" (Beato[[w:Josemaría Escrivá de Balaguer|J. Escrivá]], ''È Gesù che passa'', Milano 1988, n. 120). Ogni attività umana ed ogni realtà terrena, nella misura in cui vengono associate al mistero dell'Incarnazione e ricondotte filialmente al Padre per mezzo dello Spirito, rivelano il loro ordinamento a Cristo, la loro disponibilità ad essere in lui ricapitolate ed associate alla sua salvezza. Il mistero pasquale è il principio ermeneutico per decodificare non solo il mistero di Cristo, ma anche il mistero del mondo (vedi ''supra, III.1''). La libertà dell'amore, la suprema legge della carità, diventano allora l'unico metro per valutare la verità di ogni autentico progresso e la perfezione del cosmo (cfr. ''Gaudium et spes'', 38).
 
Una prospettiva che voglia interpretare la realtà a partire da categorie religiose, e non come qualcosa di semplicemente profano, deve chiarire i suoi rapporti con l'autonomia delle cose create e con la loro secolarità. Un primo chiarimento è fornito dalla metafisica della creazione. L'autonomia (''autós nómos'') della creatura mantiene il suo necessario riferimento ontologico alla [[w:Motore immobile|Causa Prima]], ragione ultima dell'essere e della essenza/natura di ogni ente creaturale: senza questo legame con l'essere, la creatura non ha alcuna legge (''nómos'') propria. Ciò è vero sia sul piano dei fenomeni naturali sia sul piano antropologico, dove l'autonomia si chiama libertà e la sua realizzazione carità. Riproponiamo in proposito la nota riflessione della ''[[w:Gaudium et spes:|Gaudium «et spes]]'':
{{q|Se per autonomia delle realtà terrene si vuol dire che le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri che l'uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare, allora si tratta di una esigenza di autonomia legittima: non solamente essa è rivendicata dagli uomini del nostro tempo, ma è anche conforme al volere del Creatore [...]. Se invece con l'espressione “autonomia"autonomia delle realtà temporali”temporali" si intende dire che le cose create non dipendono da Dio e che l'uomo può adoperarle senza riferirle al Creatore, allora a nessuno che creda in Dio sfugge quanto false siano tali opinioni. La creatura, infatti, senza il Creatore svanisce» (|n. 36).}}
 
Un secondo chiarimento a sostegno della non conflittualità fra interpretazione religiosa del mondo ed autonomia del creato può ricavarsi dalla convergenza fra “essere”"essere" e “significato”"significato". La relazione creatura-Creatore, infatti, è portatrice anche di significato e non solo di esistenza o di operatività. Ogni creatura umana, ad esempio, non può cogliere la realtà del suo essere se non come “essere"essere filiale”filiale" e non può realizzare pienamente la sua vita se non comprendendo in cosa consista questa filiazione e quale sia il suo modello normativo. Quando, dal prendere semplicemente atto del mondo, si passa ad interpellarsi sul suo senso, al chiedersi se e come le cose debbano essere viste, comprese o utilizzate in accordo col disegno di un possibile Creatore, allora si sta già ammettendo l'interpretabilità del mondo in base categorie religiose e non solo metafisiche. Al riconoscere poi che quel disegno consista nella capitalità di Cristo sul creato e che la logica (''lógos'') che pervade il mondo è la logica filiale di un Verbo-Figlio che tutto riferisce al Padre per Amore, e che le modalità con cui una simile logica si realizza sono quelle di una libertà nella carità, allora si sta giudicando, interpretando, comprendendo il mondo con categorie «"cristiane»". Negare questa associabilità fra essere e significato equivarebbe ad operare una intima scissione: poter ammettere l'esistenza di un Dio Creatore, ma ritenere che ciò non debba influenzare o modificare i propri rapporti con il mondo o con se stessi. In realtà, oltre all'essere del mondo occorre ricevere come donato anche il suo “senso”"senso", pena il rischio di esercitare su di esso un dominio despotico: «
{{q|La metafisica cristiana della creazione separata dall'ermeneutica pasquale della filiazione, che ne articola il senso per l'uomo, si trasforma in una “scienza"scienza dell'essere”essere" che fornisce all'uomo “la"la ragion d'essere”essere" di ogni cosa. Proclamando che Dio è il fondamento dell'essere, l'uomo si impadronisce della sua trascendenza, mettendola al servizio del proprio titanismo, fa di essa la “ragion"ragion d'essere”essere" che gli permette di rendere ragione al mondo e di dominarlo» (.|M.J. Le Guillou, ''Il mistero del Padre'', Milano 1979, p. 211).}}
 
Sul piano filosofico, una prospettiva che veda nell’appartenenza del mondo al mistero fontale di Dio la necessaria chiave di lettura per comprenderne appieno il senso e il significato, è quella espressa dal ''credo ut intelligam'' di Agostino o dal ''lumen fidei'' di Bonaventura e di Tommaso. In ambedue i casi, la fede in un «"principio di creazione»" ed in ciò che esso implica diviene luce interpretativa per la ragione (cfr. ''Fides et ratio'', 16-23). Applicazioni feconde sono rintracciabili nella teologia dei Padri, nella migliore scolastica medievale e nel personalismo cristiano contemporaneo. Sul piano etico ed antropologico, le conseguenze di una rinuncia ad interpretare il mondo e la vita umana secondo il progetto di Dio hanno storicamente portato a teorizzare un “umanesimo"umanesimo ateo”ateo". Il tentativo di una fondazione etica che prescinda da ogni rapporto con la trascendenza e con Dio non è esente da contraddizioni interne e non pare poter condurre ad un modello di società pienamente conforme alla dignità dell'uomo (spunti in ''[[w:Redemptor Hominis|Redemptor hominis]]'', 15-16; ''[[w:Evangelium Vitae|Evangelium vitae]]'', 18-20). Qualcuno ha acutamente osservato che questo programma, ove perseguito, è destinato a sfociare in un “dramma”"dramma": l'uomo che cerca di organizzare la sua vita senza Dio finirebbe per organizzarla, in fin dei conti, contro se stesso, perché un umanesimo assoluto è un umanesimo non umano (H. De Lubac, ''Il dramma dell'umanesimo ateo'', Brescia 1978). Progettare un'antropologia compiuta ignorando l'evento terreno di Gesù di NazaretNazareth e la novità della sua dottrina sarebbe perfino filosoficamente riduttivo (cfr. R. Latourelle, L'uomo'L’uomo e i suoi problemi alla luce di Cristo'', Assisi 1982; X. Tilliette, ''Il Cristo della filosofia. Prolegomeni a una cristologia filosofica'', Brescia 1997). In prospettiva teologica, la necessità di penetrare nel mistero pasquale di Cristo per comprendere la vocazione della creatura umana ed il suo ruolo nel piano divino sulla creazione, costituisce un tema ricorrente del magistero ecclesiale in questo cambio di millennio (''Gaudium et spes'', 22; ''Redemptor hominis'', 13, 18; ''[[w:Veritatis Splendor|Veritatis splendor]]'', 84-87).
 
La singolarità del mistero di Cristo e della sua incarnazione non costituiscono infine un ostacolo sulla strada del dialogo fra il cristianesimo e le religioni della terra: impongono solo alla teologia di saper chiarire i rapporti fra il ''Logos'' cristiano e l'universalità della verità, fra il discorso sul Dio di Gesù Cristo ed il discorso su Dio presente nelle altre tradizioni religiose. Il legame fra Cristo e il cosmo, che la fede cristiana confessa, intende farsi carico proprio di quell'universalità ed assicura che quella strada esiste.
 
<div style="color: teal; text-align: right; font-size: 0.8em;">''(estratto/redatto dai documenti DISF, Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede, 2002)''</div>
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<div style="text-align: center; font-size: 1.5em;">'''[[Taumaturgia messianica|<< Torna all'Indice]]'''</div>
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[[Categoria:Taumaturgia messianica|Appendice C]]