Abulafia e i segreti della Torah/Parabola della Perla 5: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
m immagine
testo+compl.
 
Riga 56:
Tuttavia, Abulafia adottò un'altra concezione dell'elezione: l'idea che alcune entità debbano essere intese come le migliori nella loro categoria, il che non significa, o almeno non necessariamente, che siano state scelte nel senso comune del termine. Per questo Abulafia gioca con i vari significati della radice ebraica ''BḤR'', che significa "scegliere": ''muvḥar'', o ''mivḥar''. Nel contesto discusso sopra, questa radice significa "il migliore di tutti"; tuttavia, può avere anche la connotazione di "prescelto" nel senso più tradizionale. Questo è un caso piuttosto interessante di equivocità, e abbiamo visto premesse che incoraggiano una lettura più universalistica che particolaristica nel [[Abulafia e i segreti della Torah/Persecuzione e segreti 2|Capitolo III.2]] ''supra''.<ref>Per la questione del rapporto tra volontà divina e sapienza divina in Maimonide e seguaci, cfr.Nuriel, ''Concealed and Revealed in Medieval Jewish Philosophy'', 41–63; Halbertal, ''Maimonides'', 263; Arthur Hyman, "Maimonides on Creation and Emanation", in ''Studies in Medieval Philosophy'', cur. John F. Wippel (Washington: Catholic University of America Press, 1987):57–59; Aviezer Ravitzky, ''ʿAl Daʿat ha-Maqom: Studies in the History of Jewish Thought'' {{he}} (Gerusalemme: Keter, 1991), 212–41; Vajda, ''Isaac Albalag'', 91–129; e Isaac Albalag, ''Tiqqun ha-Deʿot'', 77–78. Cfr. anche Alfred L. Ivry, "The Will of God and Practical Intellect of Man in Averroes’ Philosophy", ''Israel Oriental Studies'' 9 (1979): 377–91. Una lettura di Abulafia dal punto di vista della sua continua adesione agli approcci di Maimonide alla natura della volontà divina, alla saggezza e alla natura, specialmente a quella che presumo fosse la posizione esoterica di quest'ultimo, significa che il primo può difficilmente essere considerato un teurgo, come Elliot Wolfson e i suoi seguaci vorrebbero farci credere. Cfr. Sagerman, ''The Serpent Kills'', 235-36, o Pedaya, "The Sixth Millennium", 67-68. Questo problema richiede un'analisi più dettagliata che non può essere intrapresa qui; si veda, per il momento, la dichiarazione di Abulafia nel suo primo libro ''Mafteaḥ ha-Raʿayon'', 5. Sulla connessione tra la negazione dei concetti di volontà divina e la pre-eternità del mondo, si veda la discussione su Al-Ġazālī e Averroè in van den Bergh, ''The Incoherence of Incoherence'', 1:224-66.</ref>
 
Pertanto, la migliore delle lingue non è necessariamente una lingua scelta concreta, selezionata da un atto divino arbitrario. Non è il risultato dell'atto di libero arbitrio della divinità che determina o predetermina la superiorità di un'entità su molte altre. Nel pensiero di Abulafia, l'ebraico è concepito non necessariamente come la lingua specifica parlata dagli ebrei, ma piuttosto come espressione naturale della capacità umana di parlare usando le ventidue lettere naturali, come si trova nello ''Sefer Yetzirah'', dove l'associazione tra lettere e l'apparato vocale umano è evidente. L'idea che questo linguaggio sia naturale si ritrova anche in questo libro: secondo la sua prima parte, Dio ha creato il mondo per mezzo dell'unione delle lettere, e secondo la sua seconda parte, le lettere sono nominate nei vari reami dell'esistenza.
 
Questa concentrazione sul linguaggio si riflette in una breve ma convincente descrizione di Abulafia che si trova nel ''[[w:Storia dei responsa nell'ebraismo|responsum]]'' del rabbino [[w:Shlomo ben Aderet|Solomon ibn Adret]] come appartenente a coloro che "si approfondiscono nel linguaggio secondo la loro opinione".<ref>''Responsum'' 1, nr. 548: מעמיקים בלשון לדעתם.</ref> Sfortunatamente, non sappiamo chi siano gli altri autori appartenenti a questa categoria. Sono propenso a identificarli con il gruppo di cabalisti che si occupava dello ''Sefer Yetzirah'' con cui Abulafia era in contatto a Barcellona nei primi anni 1270. Questo gruppo fu molto influente nella carriera di Abulafia come cabalista.<ref>Cfr. Idel, "''Sefer Yetzirah'' and Its Commentaries", 527–31.</ref> In effetti, il ''Commentario allo Sefer Yeṣirah'' del rabbino Baruch Togarmi mostra una forte propensione alle speculazioni linguistiche.
 
Qui c'è un evidente atteggiamento speciale che considera la lingua ebraica più naturale di altre lingue senza accettare il mito che sia stata detta da Dio ai profeti o che sia stata lo strumento della creazione del mondo, come si trova in Genesi 1, poiché Abulafia preferisce il resoconto combinatorio della creazione all'inizio dello ''Sefer Yetzirah''. Questo è anche il caso del suo atteggiamento verso la questione di quale lingua un bambino parlerebbe "naturalmente" senza che gli si insegnasse a parlare affatto – cioè, quale fosse la lingua innata – che fu molto dibattuta nella seconda parte del XIII secolo. Abulafia deride il punto di vista trovato in un'epistola del suo ex insegnante Rabbi Hillel di Verona – sebbene senza menzionare il suo nome – che opta per l'ipotesi che un bambino parlerebbe spontaneamente ebraico.<ref>Cfr. Idel, ''Kabbalah in Italy'', 327–33; Irene E. Zwiep, ''Mother of Reason and Revelation: A Short History of Medieval Jewish Linguistic Thought'' (Amsterdam: Gieben, 1997), 172–77; e Rosier-Catach, "Sur Adam et Babel: Dante et Aboulafia", 124–32. Si veda anche Gad Freudenthal, "Dieu parle-t-il hébreu? De l’origine du langage humain selon quelques penseurs juifs médiévaux", ''Cahiers du judaïsme'' 23 (2008):4–18.</ref> In breve, l'atteggiamento di Abulafia come cabalista la cui Cabala è incentrata sul linguaggio, è tuttavia molto più naturalistico, essendo alquanto più consono al modo in cui Rabbi Zeraḥyah Ḥen, che era attivo a Roma negli anni in cui Abulafia era lì, comprendeva la storia rispetto a l'approccio più particolaristico — come si trova, ad esempio, nell'epistola del suo ex insegnante.<ref>Non vedo prove storiche per l'ipotesi di Hames che la reazione di Zeraḥyah alla venuta di Abulafia a Roma possa essere stata così "negativa da includere un'ammonimento ai suoi contatti cristiani contro di lui". Cfr. Hames, ''Like Angels on Jacob’s Ladder'', 98.</ref>
 
Direi quindi che il radicalismo allegorico di Abulafia complica drammaticamente il diffuso quadro accademico dei cabalisti concepiti come al polo concettuale opposto ai pensatori allegorici maimonidei. Un presupposto migliore sarebbe che sia abbastanza plausibile che questi ultimi siano stati innescati da Abulafia che annota i segreti della ''Guida''.<ref>Cfr. Yossef Schwartz, "Magic, Philosophy and Kabbalah", 114.</ref> È ancora più plausibile che Abulafia e le sue fonti o il suo circolo possano essere modestamente concepiti come uno dei fattori scatenanti per quei commentatori<ref>Si veda la diversa ipotesi formulata in Idel, "Maimonide's Guide of the Perplexed and the Kabbalah", 219, dove, seguendo un suggerimento di Steven Harvey, Idel sostiene che l'impatto delle tradizioni esoteriche mistiche e magiche sui filosofi/commentatori fosse stato sia una sfida che una spinta a reagire.</ref> orientati filosoficamente, come Rabbi Joseph ibn Kaspi<ref>Idel, "Abraham Abulafia’s Works and Doctrine", 12. Mi riferisco qui all'importante osservazione del curatore dei due commentari alla ''Guida'' di ibn Kaspi, Salomon Z. Werbluner, 21-22, nota, che già si riferiva esplicitamente al commentario di Abulafia alla ''Guida''. Si confronti anche la discussione di Abulafia sul danno che gli insegnamenti dei discepoli estremi del pensiero maimonideo inflissero, secondo il suo ''Ḥayyei ha-Nefeš'', Ms. Munich, 408, fol. 47a, 81. Cfr. anche la discussione di ibn Kaspi nel suo commentario a {{passo biblico2|Proverbi|1}}, ''ʿAśarah Kelei Kesef'', 1:19. Va sottolineato che un simile attacco nel rivolgersi ai seguaci radicali di Maimonide, che tanto danneggiarono la sua immagine da farlo talvolta considerare un campione del tradizionalismo ebraico, si trova in Rabbi Joseph Ashkenazi, ''Commentary on Genesis Rabbah'', 80.</ref> e Rabbi Zera-ḥyah Ḥen. In una delle sue epistole, Rabbi Zeraḥya Ḥen reagì alle interpretazioni magico-mitiche del termine ''Ben'' trovate probabilmente in un perduto commentario alla ''Guida''.
 
Abulafia, tuttavia, non sembra reagire a quello che può essere chiamato maimonideismo radicale, come suggerisce [https://english.tau.ac.il/profile/yschwart Yossef Schwartz], poiché era già uno dei più radicali tra loro. Così, per esempio, egli è concettualmente molto più vicino a Rabbi Zeraḥyah che a Rabbi Hillel per quanto riguarda l'esperienza del bambino, come abbiamo detto sopra. Questo fatto mostra che la possibile direzione dell'impatto è lungi dall'essere chiara; è possibile che entrambe le direzioni siano ugualmente plausibili.
 
Inoltre, per rafforzare il mio punto sull'indipendenza di Abulafia nel trattare i segreti della ''Guida'', va detto che scrisse i suoi commentari nel contesto del suo insegnamento orale di questi segreti ad alcuni dei suoi studenti, forse come risposta ad una loro richiesta, come egli stesso sostiene. Abbiamo dunque almeno una buona ragione per la sua attività letteraria, come la specifica in due suoi commentari.<ref>Ciò è ovvio in ''Sefer Geʾulah'', 32, e in ''Sitrei Torah'', 17–19.</ref> Inoltre, l'ipotesi che la rivelazione dei segreti sia legata all'imminente redenzione offre un'altra plausibile ragione della sua indipendente e intensa attività letteraria. In ogni caso, in quella che propongo di ritenere come l'introduzione al primo commentario di Abulafia sui segreti della ''Guida'', egli dice espressamente che gli fu manifestato in una rivelazione di scrivere qualcosa che nessuno aveva scritto prima. Questa affermazione riduce al minimo la possibilità che stesse reagendo ad altri commentari.<ref>Cfr. Idel, "Abraham Abulafia’s Works and Doctrine", 10.</ref>
 
{{clear}}
== Note ==
{{Vedi anche|Il Nome di Dio nell'Ebraismo|Rivelazione e Cabala|Serie maimonidea}}
<div style="height: 240px; overflow: auto; padding: 3px; border:1px solid #AAAAAA; reflist4" > <references/> </div>
 
{{Avanzamento|75100%|910 settembre 2021}}
[[Categoria:Abulafia e i segreti della Torah|Parabola della Perla 5]]