Missione a Israele/Dio e Israele: differenze tra le versioni

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I Gentili erano quindi ammessi nella propria corte. Ed erano quindi limitati ad essa, nello stesso modo in cui le donne potevano inoltarsi solo fino alla propria area, senza poter entrare in quella degli uomini, e gli uomini potevano accedere la corte di Israele, ma non la corte dei sacerdoti, e i sacerdoti potevano servire nella propria corte, ma solo il Sommo sacerdote poteva entrare il santuario. Flavio Giuseppe descrive la corte dei Gentili affermando che era delimitata da "una balaustra di pietra, alta tre cubiti [circa 140 centimetri] e di squisita fattura.In questa, ad intervalli regolari, si trovavano lastre di pietra che ammonivano, alcune in greco, altre in latino, riguardo alla legge di purificazione, cioè che ''a nessun straniero era permesso accedere al luogo sacro'', poiché così veniva chiamata la seconda sezione del Tempio" (''BJ'' 5.193-94). Una di queste iscrizioni, rinvenuta il secolo scorso, riporta:
{{q|Nessun uomo di un'altra nazione può entrare dentro il recinto e sezione intorno al Tempio. E chiunque viene preso deve incolpare solo se stesso per la pena di morte che ne consegue.}}
L'obiezione contro l'accesso dei Gentili non poteva riferirsi, come abbiamo visto, alla loro impurità: non erano infatti soggetti alle leggi di purezza che regolavano l'accesso all'altare. Il problema, piuttosto, riguardava il loro ''status'' rispetto a Israele. Israele era stato "eletto a parte" da Dio: tale è il significato di "santo" o "santificato". Così anche, per esempio, la formula pronunciata dallo sposo alla propria sposa durante la cerimonia delle nozze: "Io ti ''santifico'' a me secondo la legge di Mosè e Israele" — la sposa viene consacrata a suo marito. Il termine binario con "santo" è "comune/profano" — che è ciò che sono i Gentili, rispetto a Israele. E proprio come il sacerdote menomato era "comune/profano" e non poteva servire all'altare, stessa cosa per il Gentile: egli stava alla corretta distanza dall'altare, come la donna stava alla sua, e come l'ebreo laico alla sua. Ma un Gentile poteva avvicinarsi all'altare più di un'ebrea mestruante o di un ebreo lebbroso che, secondo le leggi di purezza d'Israele, era bandito da l'intera area templare.
 
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Questi giorni di convocazione santa e di assemblea solenne, come Dio le chiama in Levitico, formavano l'anno ebraico. Nell'ambito della terra di Israele – unico scenario contemplato dalla Torah – agli Israeliti maschi veniva specificamente ingiunto di radunarsi per presentare offerte: al tempo di Gesù, naturalmente, ciò significava il Tempio di Gerusalemme. Gli ebrei che vivevano fuori del territorio – la maggioranza al tempo di Gesù – svilupparono varie improvvisazioni per compensare o sostituire l'adorazione al Tempio: un esempio potrebbe essere, la ripetizione di preghiere durante i tempi approssimativi delle offerte al Tempio, negli ambienti comunitari della sinagoga. Oppure si faceva un pellegrinaggio dalle terre della dispersione durante le festività. O, più concretamente, si contribuiva il mezzo siclo annuale della tassa del Tempio – obbligatoria per gli Israeliti maschi residenti nella Terra d'Israele, ma volontaria nel periodo del Secondo Tempio per coloro che ne stavano fuori – che veniva assegnato alle spese generali del Tempio, specialmente per i sacrifici a nome della comunità che venivano offerti nello Shabbat e durante le festività. Pertanto, il tempo sacro condiviso dava la possibilità, culturalmente e religiosamente, di abbreviare la distanza tra Gerusaleme – spazio sacro – e tutte le altre località.
 
Il legante temporale ultimo per la vita, la famiglia e la comunità ebraiche, era lo Shabbat. Qui le testimonianze sia dalla Diaspora sia dalla Terra d'Israele è fuori discussione. Lo Shabbat fu una delle pratiche ebraiche che gli scrittori pagani commentarono più frequentemente; e abbiamo testimonianze in tutto l'impero delle leggi speciali che esentavano gli ebrei dal servizio militare, o dal testimoniare in tribunali, a causa del loro obbligo ad osservare lo Shabbat. Come dimostrano le storie dei Vangeli, c'era un notevole spazio interpretativo nel definire cosa significasse "osservare lo Shabbat". Ma il principio di osservare lo Shabbat stesso non era in discussione: era, come Dio aveva detto nel Libro dell'Esodo...
{{q|un segno tra me e voi, per le vostre generazioni, perché si sappia che io sono il Signore che vi santifica. Osserverete dunque il Sabbath, perché lo dovete ritenere santo... Pertanto i figli d'Israele osserveranno il Sabbath, festeggiando il Sabbath nelle loro generazioni come un'alleanza perenne. Esso è un segno perenne fra me e i figli d'Israele, perché il Signore in sei giorni ha fatto il cielo e la terra, ma nel settimo ha cessato e si è riposato.|{{passo biblico2|Esodo|31:12-17}}}}
Lo Shabbat era quindi un segno speciale della dignità unica quale nazione eletta da Dio. Condensava in un unico simbolo quegli elementi dell'antico ebraismo che erano contemporaneamente universalisti e precisamente particolaristi. Nel riferirsi a Dio come Creatore, lo Shabbat implicava l'asserzione che Dio era una divinità universale, la fonte di tutta la Creazione: Egli era, quindi, il giusto oggetto di venerazione sia dei Gentili che degli ebrei.<ref>Per un'affermazione retoricamente altisonante di questa posizione, si veda il primo capitolo della Lettera ai Romani di Paolo, {{passo biblico|Romani|1}}.</ref>
 
Ma questo Dio che crea non è un essere supremo generico, che sta in un qualche rapporto vagamente causale rispetto a tutto il resto. Il Dio Unico era specificamente il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Lo stesso Dio che aveva fatto i cieli e la terra e tutto ciò che vi stava era anche interessato ai particolari della vita matrimoniale di Israele, all'educazione dei loro figli, alle loro giuste misure e tribunali imparziali. Più specificamente, Egli era il Redentore di Israele, che realizzava la Sua promessa ad Abramo liberando il suo popolo dalla schiavitù in Egitto. Il Dio di tutta la Creazione era, allo stesso tempo, il Dio della storia ebraica.