Cambiamento e transizione nell'Impero Romano/Capitolo II: differenze tra le versioni

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Forse il marxista potrebbe essere meno disperato circa il futuro della storia. La dialettica di sovrastruttura e struttura, che è coessenzialeè al concetto storico marxista, potrebbe ripetergli la dialettica del tempo "breve" della storia ''événementielle'', e della "longue durée" della storia "strutturale".<ref>P.Vilar, ''Sviluppo economico e analisi storica'', Bari, 1970, pp. 172 segg. (partic. pp. 200segg.)</ref> In effetti sul fondamento di queste dialettiche ho tentato, nel primo capitolo di questa ricerca, una breve analisi delle posizioni teoriche — che implicavano l'interpretazione del III secolo come epoca o di "decadenza", o di "crisi"; e ho tentato di indicare la sostanza "ideologica" di queste interpretazioni, sia negli antichi che nei moderni. A questo punto, è necessario analizzare, entro i limiti dettati dalla documentazione dispnibile, le strutture entro cui si sviluppò il processo trasformativo dalla società "classica", quella ellenistico-romana, alla società ''Spätantike'', e le forze che la iniziarono; un processo che, come ho già affermato e che analizzerò in seguito, non si sviluppò – quindi non può essere compreso – ad un livello di storia ''événementielle'', ma solo nell'ambito del tempo esteso, "longue", delle strutture. La storia reale, "strutturata", del III secolo apparirà quindi come un processo di "destrutturazione" per una società in cui le forze produttive entrano in opposizione contro i rapporti produttivi esistenti, e contro le forme giuridiche che le distinguono, sconvolgendo quindi la loro base materiale di produzione. Allo stesso tempo apparirà come un'epoca in cui sorgono nuove forze produttive e si riformano nuove associazioni di produzione, ristrutturandosi in un nuovo ''modus'' produttivo non più antico ma, secondo la definizione ampiamente accettata, "feudale".<ref>K. Marx, ''Formen, die der kapitalistischen Produktion vergehen''; K. Marx-F. Engels, ''The German Ideology'', 1938.</ref>
 
Dalla complessa opera storiografica di [[w:Theodor Mommsen|Theodor Mommsen]] sulla storia imperiale romana, alcuni studiosi hanno estratto essenzialmente la credenza che la storia dell'Impero, particolarmente da un punto di vista economico e sociale, sia la storia delle province.<ref>20</ref> Questa è la ''communis opinio''; e, in quanto tale, contenga delle verità. Tuttavia la cosa appare alquanto problematica, se uno considera dall'interno la prospettiva che Mommsen aveva della storia imperiale romana. ''[[w:Storia di Roma (Mommsen)|Le province dell'Impero Romano]]'' (1895 – vol. 5 della ''Storia di Roma'') è indubbiamente un capolavoro di storiografia positivista; ma è anche vero che l'apparato concettuale sul quale si basa, le premesse teoriche da cui inizia, sono sostanzialmente deboli.<ref>21</ref> Nel suo famoso quinto volume di ''Römische Geschichte'', il grande storico del XIX secolo descrive il grandioso processo di penetrazione e vittoria delle strutture politiche e amministrative di Roma sulle regioni del mondo antico; esamina, usando la documentazione letteraria, epigrafica e archeologica più vasta possibile, sulle istituzioni della civiltà romana, in mondi diversi e culturalmente eterogenei; alla fine prova come le province rimpiazzarono, quale forza vitale, la decadenza dell’''Urbs'' e dell'Italia — ma non può, o non desidera, spiegare il processo di "decadenza" ancor più grandioso e tragico o la trasformazione di questa civiltà e di queste istituzioni, la dissoluzione del rimarchevole edificio politico e amministrativo che egli ha scandagliato in tutte le sue parti più remote; Mommsen non scrisse mai, come tutti sanno, il quarto volume della sua ''Storia'', quella storia dell'Impero che avrebbe dovuto rispondere a tali domande complesse.<ref>22</ref>
 
In realtà, la storia dell'Impero non è la storia delle province, almeno non nel senso prospettato da Mommsen; ora possiamo spiegare, insieme alle motivazioni pricologiche interiori dello studioso,<ref> 23</ref> le ragioni del suo rifiuto.<ref>24</ref> La storia dell'Impero è la storia di un organismo unitario, di un tutto altamente strutturato, sia economicamente che socialmente in trasformazione continua; vive tramite una dialettica costante tra governo centrale e realtà provinciale; tra classi dirigenti, educate o assimilate alla cultura ellenistico-romana, e le forze produttive, cioè, il proletariato urbano e rurale vincolato dai suoi schemi culturali; infine, tra la sovrastruttura ideologica proposta dal ''Dominans'', e la struttura economica basilare presentata dalle province. In questo senso, la storia "interna" degli imperatori e della classe dirigente è inseparabile dalla storia "esterna" delle province e delle forze produttive. Possono accavallarsi, come in effetti accadde a Rostovtzeff; ma non possono essere trattate in isolamento.<ref>25</ref> È la storia di un divenire costante, della destrutturazione della società classica e la ristrutturazione di quella nuova.
 
L’''imperium romanum'', allora, è un organismo unitario, tuttavia altamente "strutturato", la cui storia socio-economica "reale" si articola come una dialettica continua tra centro e province; tra classe dirigente e realtà provinciali: pertanto, non una "somma" di storie "provinciali". Questo dovrebbe essere l'approccio dello storico che non vuole indugiare sulla storia politica "événementielle" dell'Impero; o sulla descrizione, che è anche storia, ma, bisogna ricordare, quasi sempre della sovrastruttura. Ciò è specialmente valido per lo studioso della trasformazione dell'impero "ellenistico-romano" in impero "tardo-antico": lo studioso deve trattare sia la dissoluzione delle sovrastrutture, sia, soprattutto, la trasformazione delle strutture. Su tale trasformazione egli condurrà la sua ricerca, mantenendo sempre in mente la permanenza delle strutture nel tempo e nello spazio; senza trascurare, naturalmente, come questo processo possa apparire più o meno precoce e con caratteristiche peculiari a seconda delle province e regioni, sollecitato da condizioni storico-ambientali e geopolitiche molto differenti: un concreto intreccio analitico di prospettive locali che potrebbero essere momentaneamente trascurate – ma non ignorate – per concentrare l'attenzione su problemi più generali. Per tali ragioni, prima di cominciare l'analisi degli eventi economici e sociali del III secolo, tenterò di presentare alcune caratteristiche essenziali della struttura socio-economica imperiale, come si sviluppò nel suo complesso, cominciando dagli anni cruciali del [[w:Principato (storia romana)|Principato]] di [[w:Augusto|Augusto]].<ref>26</ref>
 
 
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