Cambiamento e transizione nell'Impero Romano/Capitolo I: differenze tra le versioni

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Concretamente, nell'ambito della struttura di tale fenomenologia uno può includere le dinamiche socio-economiche di ''Spätantike'' e la dissoluzione politica dell'Impero Romano Occidentale.<ref>E, nell'ambito di un'altra area di ricerca, le dinamiche socio-economiche della società agraria nel XVIII secolo, studiato da P. Vilar con metodi analitici marxisti nel suo ''La Catalogne dans l'Espagne moderne'', Parigi, 1962.</ref> Che la Tarda Antichità sia un'epoca di "rimarchevole" mobilità sociale, come crede A. H. M. Jones,<ref>A. H. M. Jones, ''The Later Roman Empire'', I-III, 1964 (cfr. I, VII; II, pp. 105 segg.)</ref> e la legislazione "coercitiva" degli imperatori interpretata come un tentativo di ostacolarla,<ref>Jones, ''Lat. Rom. Emp.'', pp. 1049-1053; sul problema cfr. anche R. MacMullen, "Social mobility and the Theodosian Code", ''JRS'', 1964, pp. 49-53; M.H. Hopkins, "Social Mobility in the Lat. Rom. Emp.: The Evidence of Ausonius", ''CQ'', 1961, pp. 239-248; "Elite mobility in the Roman Empire", ''Past & Present'', 1965, pp.12-26.</ref> o che sia ''tout court'' un'"epoca di rivoluzione sociale" come sostiene W. Seyfarth,<ref>W. Seyfarth, "Um die Problematik der Spätantike", ''F & F'', 1966, pp. 177-180; "Der Begriff ‘Epoche sozialer Revolution’ und die Spätantike", ''Klio'', 1967, pp. 271-284. In contrasto, cfr. A. Alföldi, ''A Conflict of Ideas in the Later Roman Empire'', Oxford, 1952, p. 28, che mantiene l'interpretazione tradizionale che il mondo romano fu "una società collassata... nelle morse di ferro della caste separate tra di loro da barriere che non potevano essere sormontate". Si veda anche F. Lot, ''La fin du monde antique'', cap. 6; S.L. Utčenko, ''Krisis i padienie rimskoii respubliki'', Mosckau, 1965, pp. 17-28 (trad. ital, Roma, 1976).</ref> ciononostante è un'epoca in cui le forze centrifughe e le tensioni sociali – più forti inquanto più represse – riuscirono in primo luogo a opporre le classi sfruttate alla classe dirigente, culture "nazionali" a quelle "classiche", religioni salvifiche – e il cristianesimo soprattutto – al politeismo "politico" della religiosità greco-romana e la religione imperiale ufficiale; e, in secondo luogo, riuscirono a dissolvere l'organismo statale dell'Impero consegnando un cadavere ai "barbari". Bisogna enfatizzare che ciò non fu un processo "naturale", un processo "predeterminato" da chissaà quale Provvidenza immanente o trascendentale; al contrario, è tutto alquanto verificabile, senza riserve, su un piano storico. Il compito dello studioso nell'analizzare questa "morte", questa "fine", sta nel chiarire e stabilire le precise responsabilità delle classi in lotta e le rispettive ideologie antagoniste. Prima di tutto, iniziò a frantumarsi il guscio della cultura "classica" greco-romana, e la sua struttura di supporto, le città e l'economia cittadina (o piuttosto, l'egemonia della città sulla campagna rurale). Questa fu la fase iniziale di quel processo che portò alla ''Spätantike'': e questo è, credo, il significato storico del III secolo, di questa "epoca bifronte", che guarda due mondi, il mondo classico e quello Tardo Antico. Un'epoca di rottura, quindi, che inizia la ''Spätantike'' e pertanto ha tutte le contraddizioni e ambiguità delle epoche transizionali, epoche di trasformazione — qui la forma classica svanisce e l'antichità rimane in strutture pseudomorfiche. G. Rodenwaldt, quando affermò che "spirito e forma della Tarda Antichità sono rimaste antiche, piuttosto che classiche"<ref>G. Rodenwaldt, "Zur Begrenzung und Gliederung der Spätantike", ''JDAI'', 1944-45, p. 87.</ref> era certamente nel giusto, a parte la sua proposta datazione; tuttavia, il compito che spetta allo storico del terzo secolo, se desidera comprenderne la sua storia "reale", è quello di investigare e determinare il momento in cui avvenne la frattura di ''Geist'' e ''Gestalt'' classici, i modi in cui avvenne e, specialmente, le forze che vi agirono.
 
La trasformazione è evidente in tutti i settori della vita culturale. I profondi cambiamenti dei valori stabiliti affiorano nel comportamento religioso e filosofico, nella produzione letteraria, nell'espressione artistica. La natura di questa trasformazione deve essere chiarita. Alcuni studiosi l'hanno vista come risultato di un'evoluzione lineare di vita spirituale nel mondo classico; altri, tuttavia, hanno preferito applicare il ''deus ex machina'' dell'antica (tardo-antica) spiritualità, l'"orientalizzazione". In realtà, anche se nella ricerca concreta uno possa anche muoversi lungo queste linee interpretative, d'altra parte è nel "riorientamento" sostanziale del quadro culturale, nel capovolgimento del sistema di riferimenti ideologici del III secolo, che uno deve valutare la natura e le implicazioni di tale trasformazione.
 
Alcuni esempi possono aiutarci ad illustrare sommariamente ciò che ho appena esposto. Da un punto di vista intelligentemente freudiano, [[w:Eric Dodds|E. R. Dodds]] ha indicato come le agitazioni religiose e spirituali che attraversarono quell’''Età dell’Ansia'' che fu il periodo da Marco Aurelio a Costantino, furono risolti proprio dal cambiamento di prospettiva mentale, mell'affermazione di nuove relazioni col mondo materiale e con quello soprannaturale: vale a dire, infine, nella ridefinizione del ruolo dell'uomo rispetto alla sua esperienza sia sensoriale che spirituale. Era veramente nato l’''Homo Novus'', come richiedevano quei testi filosofici mistici comunemente raggruppati nel cosiddetto ''[[w:Corpus Hermeticum|Corpus Hermeticum]]'' e che certamente rappresentava una delle manifestazioni più strane della spiritualità del III secolo?<ref>''Corp. Herm.'', XIII, 1; Plot., ''Enn.'', II, p. 5 (Henry-Schwyzer, I, pp. 229, 23 segg.) Su questo tema di παλιγγενεσία e l'uomo "nuovo" nel ''Corpus Hermeticum'' (specie l'importante Parte XIII) e gli scritti della filosofia mistica del III secolo, cfr. Festugière, ''La Révélation d'Herm. Trism.'', IV, Cap. I, "Les Thémes de la régéneration", partic. ¶ 2-3; J. Zandee, "Gnostic Ideas on the Fall and Salvation", ''Numen'', 1964, pp. 13-74.</ref> In effetti, era nato un uomo tardo-antico, per il quale la relazione col mondo era differente da quella dell'uomo classico; un tipo d'uomo la cui esperienza spirituale costituirà la base della cultura medievale. Il razionalismo glorioso classico greco-romano, in cui veniva mantenuta l'alterità soggetto/oggetto e in cui il soggetto tentava un'appropriazione "razionale" dell'oggetto, lasciò il posto al misticismo, che permea ogni esperienza spirituale di questa nuova epoca del mondo antico. Dodds giustamente osserva, "... se accettiamo come ‘mistico’ in senso lato ''qualsiasi'' tentativo di costruire un ponte psicologico tra uomo e Divinità, allora si può dire che il misticismo sia endemico in quasi tutto il pensiero religioso del periodo, crescendo in forza da Marco Aurelio a Plotino e da Giustino a Origene".<ref>E.R. Dodds, ''Pagan and Christian'', p. 100: naturalmente, si dovrebbe consultare tutto il Cap. III, "Man and the Divine World".</ref> Possiamo spiegare tutto ciò con la formula di Festugiére, che "miseria e misticismo sono fatti correlati"?<ref>Cfr. A.J. Festugiére, "Cadre de la mystique hellénistique", Mél. Goguel'', 1950, p. 84; si veda anche ''Révélation'', 1950<sup>2</sup>, I, Cap. I, "Le declin du rationalisme", citato anche da Dodds, ''op. cit.'', p. 100.</ref> E meccanicamente derivare tale complesso comportamento spirituale – che presuppone una nuova visione del mndo e del ruolo assegnatovi all'individuo<ref>Sull'aspetto filosofico del misticismo, si veda in generale, W.T. Stace, ''Mysticism and Philosophy'', Oxford, 1960; R.C. Zaehner, ''Mysticism Sacred and Profane'', Londra, 1961<sup>2</sup></ref> – dalle difficoltà materiali, dalle guerre e dall'inflazione del III secolo? O bisogna vederci il prodotto di "una nevrosi endogena, un indice di senso di colpevolezza intenso e dilagante..."<ref>Dodds, ''Pagan and Christian'', p. 36. Dodds giustamente osserva che "i disagi materiali del Terzo Secolo certamente lo incoraggiarono [il senso di colpevolezza], ma non lo causarono, poiché gli inizi, come abbiamo visto, risolgono a molto prima."</ref> (spiegazione questa che a sua volta dovrebbe essere spiegata, in quanto si devono determinare le cause della nevrosi "endogena" e le origini del "senso di colpevolezza dilagante").<ref>Si vedano le acute osservazioni di P. Brown, in ''Approaches to the Relig. Crisis of Third Century A.D.'', pp. 544 segg.</ref>
 
Credo tuttavia che le cause del ribaltamento della struttura ideologica della società classica e le origini della nuova spiritualità si debbano identificare nelle tensioni interne della società imperiale, nelle disarmonie strutturali latenti, anche durante l'"età d'oro" degli Antonini, nelle reazioni che questa società repressa e repressiva,<ref>In generale, cfr. Ch. G. Starr, ''Civilisation and the Caesars'', Ithaca, 1955; F.W. Walbank, ''The Awful Revolution'', pp. 40 segg. Cfr. anche, sugli sforzi e tensioni della corte imperiale, F. Millar, "Epictetus and the Imperial Court", ''JRS'', 1965, pp. 141-48. Sugli ideali conservatori dell'aristocrazia romana e le municipalità greco-orientali, cfr. F. Millar, ''A Study of Cassius Dio'', Oxford, 1964, pp. 108 segg.; ''JRS'', 1969, pp. 12 segg.</ref> stabilita da Augusto e alzatasi al suo apice evolutivo nel II secolo, risvegliò nelle coscienze più tormentate e instabili dei suoi membri; deve inoltre essere identificata nella lenta trasformazione sotterranea di certe strutture socio-economiche (per esempio: la modificazione delle relazioni tra produzioni agrarie, ed il nuovo rapporto tra città e campagna; l'emergere di nuove strutture municipali, con la relativa assunzione di numerosi uffici da parte della ''curia'' municipale; la creazione ed imposizione forzata del sistema liturgico).
 
È stato osservato che la [[w:Filologia romanza|Romanza]] rappresenta la forma letteraria peculiare del III secolo.<ref>67</ref> In essa si esemplifica la disintegrazione della forma artistica classica. La Romanza, in effetti, non venne mai inclusa nella stilistica classica tra i [[Infinità e generi|generi letterari]], e quindi mai vincolata dalle leggi che li regolavano: non è mai condizionata dalle unità aristoteliche di tempo, luogo, azione, né da una rigida selezione linguistica come quella dell'epica o lirica classiche. La Romanza, al contrario della forma "chiusa" di altri generi letterari classici – come l'epica o la tragedia – non è soggetta a norme generali: è una forma "aperta" (Lukács), che trova la propria forma in sé, parimenti la sua lingua, la sua unità e la sua struttura. In un saggio rinomato, Franz Altheim associa romanza e decadenza; la predominanza della prima nella vita letteraria del III secolo, dovrebbe essere l'indizio di una decadenza formale.<ref>68</ref> Io preferisco non parlare di decadenza, termine che ritengo ambiguo; piuttosto, preferirei sottolineare, seguendo L. Goldmann, le omologie tra la struttura della Romanza classica, e il ''Weltanschauung'' basilare della società del terzo secolo. Queste omologie possono veramente chiarire il significato ed il ruolo della Romanza quale struttura dinamica significativa (sempre nel senso goldmanniano)<ref>69</ref> per la trasformazione spirituale che segnò la disintegrazione della forma artistica classica ed il passaggio alla visione estetica ''Spätantike''. La forma "aperta" di romanza, e la destrutturazione della società urbana, nel III secolo, sono infine aspetti della stessa "realtà storica"; proprio come le "avventure" dei protagonisti nelle romanze tardo-antiche con scenari di una società ostile, "straniera" e "disgregata" traducono in un qualche modo le pressioni e reazioni delle varie classi sociali coinvolte in questa destrutturazione.<ref>70 </ref> Se la Romanza, come suggerì [[w:György Lukács|Lukács]], è la storia di una ricerca "degradata" ("demoniaca", secondo il filosofo ungherese), di una ricerca di valori "autentici" in un mondo anch'esso degradato, ciò può essere ancor più valido per la difficile situazione dell'epoca in questione, per questo inizio di ''Spätantike'' in cui la ricerca di nuovi valori si incontra con la critica e l'abbandono dei valori antichi, e col tentativo ansioso di creane di nuovi, nell'ambito del sistema di una nuova spiritualità. In questo senso, la Romanza, più che un'espressione di decadenza, potrebbe essere paradossalmnete chiamata l'espressione di una rivoluzione; o, almeno, la struttura ideologica di una data società. Tuttavia in questo senso, come per la romanza moderna, anche la romanza antica accompagna e commenta l'ascensione e gli atti di nuove classi sociali e di una nuova società.<ref>71</ref>