Riflessioni su Yeshua l'Ebreo/Sacrificio religioso: differenze tra le versioni

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La peggiore offesa nella religione sacrificale è prendere parte al sacrificio quando si è moralmente o ritualmente indegni. Ciò viene meravigliosamente espresso nel Salmo 24: "Chi salirà al monte del SIGNORE? Chi potrà stare nel suo luogo santo? Chi ha mani innocenti e cuore puro, che non eleva l'animo a vanità e non giura con il proposito di ingannare" ({{passo biblico2|Salmi|24:3-4}}). Si sale al monte del Signore per prendere parte al sacrificio. Il salmista definisce con la massima semplicità le condizioni in cui tale partecipazione è appropriata. Un altro aspetto di questa definizione è l'avvertimento implicito di non stare "nel suo luogo santo" a meno che non si abbiano "mani innocenti e cuore puro".<ref>Shalom Spiegel, "Prophetic Attestation of the Decalogue: Hosea 6:5. With Some Observations on Psalms 15 and 34", ''Harvard Theological Review'' 27, no. 2 (aprile 1934): 105-44.</ref>
 
Abbiamo notato che Paolo considerava il credente come avesse letteralmente consumato il corpo di Cristo. A causa della natura "spirituale" del corpo glorioso di Cristo risorto, c'è stata una certa confusione su questo punto. Tuttavia, se teniamo a mente i commenti di Héring e [[w:Ernst Käsemann|Käsemann]] che per Paolo lo spirituale non è immateriale ma "la sostanza della corporeità della risurrezione", capiremo che nel Pasto del Signore il cristiano si unisce al corpo di Cristo, che il cristiano considera l'unico vero corpo. Poiché Cristo non è più soggetto a decadimento o morte, solo lui esiste veramente come Dio intendeva l'esistenza prima del peccato di Adamo.
 
Nel giro di pochi anni dalla morte di Paolo, [[w:Ignazio di Antiochia|Ignazio di Antiochia]] dichiarò che quando il comunicante prende il pane e il vino dell'Eucaristia, prende parte alla "medicina dell'immortalità e al rimedio sovrano con cui sfuggiamo alla morte e viviamo in Gesù Cristo per sempre".<ref>Ignazio (di Antiochia), ''Ignatius: Epistle to the Ephesians'', in ''Early Christian Writings: The Apostolic Fathers'', curr. e tradd. {{en}} Maxwell Staniforth e Andrew Louth (Londra: Penguin, 1987), 66.</ref> Per Paolo, quando i cristiani partecipavano all'Eucaristia, la loro identificazione col Cristo risorto era altrettanto tangibile e concreta quanto lo erano le forme più antiche di consumare la vittima sacrificale, fosse essa umana o animale. C'era, tuttavia, una differenza importante: le vittime più anziane venivano consumate o durante il processo di macellazione o dopo essere state macellate. Solo Cristo viene consumato dopo essere passato attraverso la sacrificazione ed essere risorto per godere dell'unica esistenza veramente incorruttibile. Solo Cristo era quindi la vittima sacrificale per eccellenza a cui non può arrecarsi alcun danno.