Riflessioni su Yeshua l'Ebreo/Storie di Gesù: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
testo
testo
Riga 231:
Incapace di spiegare i meccanismi di come la Parola che era Dio si fece carne, sebbene fosse accaduto, Giovanni rinuncia alla narrazione di una nascita problematica e piena di difficoltà. Persino Gesù, come interpretato da Giovanni, evita una domanda che richiede si occupi della questione dell'[[Ebraicità del Cristo incarnato|incarnazione]]. Gli ebrei si chiedono in sua presenza: "Non è costui Gesù, il figlio di Giuseppe, del quale conosciamo il padre e la madre? Come mai ora dice: ‘Io sono disceso dal cielo’?" In risposta, Gesù ignora le loro domande e pronuncia un breve sermone sul Padre che si basa su un versetto in {{passo biblico2|Isaia|54:13}}: "E saranno ammaestrati da Dio". Giovanni riconosce che Gesù ha evitato la domanda e riferisce che, insoddisfatti della sua risposta, "da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui" ({{passo biblico2|Giovanni|6:41-71}}).
 
Niente metafore pericolose per lui. Giovanni era venuto a chiudere le porte alla speculazione, non ad aprirle.
 
Altrove, come nelle prime righe del Vangelo, Giovanni equipara Gesù a Dio. In una discussione con gli ebrei nel Tempio, Giovanni fa dire a Gesù: "Io e il Padre siamo uno" ({{passo biblico2|Giovanni|10:30}}), e in una discussione con Filippo, dice, un po' stizzito: "Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre; come mai tu dici: "Mostraci il Padre"? Non credi tu che io sono nel Padre e che il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico di mio; ma il Padre che dimora in me, fa le opere sue." ({{passo biblico2|Giovanni|14:8-10}}).<ref>Raymond E. Brown suggerisce che il Nuovo testamento identifica Gesù come Dio infrequentemente e ogniqualvolta tali invocazioni avvengono — {{passo biblico2|Giovanni|1:18,20:28}}; {{passo biblico2|Romani|9:5}}; {{passo biblico2|Ebrei|1:8}}, {{passo biblico2|2Pietro|1:1}} — i passi sono difficili e tendono ad avvenire in inni o dossologie. Brown considera ciò un'indicazione che il titolo "Dio" venne applicato prima in formule liturgiche piuttosto che nella letteratura narrativa o epistolare. Si veda, ''The Gospel According to John (i-xii)'' (Garden City, NY: Doubleday, 1966), 24.</ref> L'ultima citazione rivela la comprensione di Giovanni che, sebbene una certa distinzione debba essere fatta accidentalmente tra Gesù e Dio, in sostanza non vi è alcuna distinzione. Tradotto in termini teologici, Giovanni tenta di far crollare gli argomenti binitari sostenendo che ci sono due aspetti nell'insieme unico che è Dio.
 
Questo elemento nel pensiero di Giovanni è stato facilmente ricondotto al ''[[w:Siracide|Libro del Siracide]]'', composto all'inizio del II secolo p.e.v. Il poema narra che la Sapienza, formata da Dio all'inizio prima che il tempo esistesse per sempre ("prima dei secoli, fin dal principio, egli mi creò; per tutta l'eternità non verrò meno"), fu da lui inviata a dimorare in Israele ("Fissa la tenda in Giacobbe e prendi in eredità Israele" — {{passo biblico2|24:3-12}} e cfr. {{passo biblico2|Proverbi|8}}). Nel poema, la Sapienza condivide i suoi insegnamenti con il suo popolo. In Giovanni, sebbene il ''Logos''diventato Gesù faccia lo stesso, l'evangelista ha cancellato la distinzione tra Dio e Gesù. In Giovanni, Gesù è un avatar di Dio.<ref>Per riferimenti specifici sull'argomento, si veda il mio ''[[Ebraicità del Cristo incarnato]]''.</ref>
== Conclusioni ==
 
Quando esaminati attraverso la teocristologia di Giovanni intorno al 100-120 e.v., le difficoltà che i vangeli sinottici avevano nel chiarire ed esprimere la natura divina di Gesù come rivelata tramite ciò che egli apparentemente fece e disse, scompaiono. Nonostante molti punti in sospeso, individuabili nell'attacco non sistematico di Giovanni al binitarismo, il Vangelo propone un argomento teologico a cui gli insegnamenti, le storie e gli aforismi dei sinottici possono essere adattati e attraverso i quali poosono essere compresi.
 
Una delle molte funzioni delle narrazioni sulla natività era quella di rendere alquanto chiaro, anche ai lettori più ottusi, che il binitarismo non era un modo valido di considerare la relazione tra Gesù e Dio. Secondo Marco, Matteo e Luca, Gesù era divino ma non esattamente Dio, divino sì ma non del tutto Dio. Matteo lo disse più audacemente: egli era il figlio di Dio, ricolmo/pervaso da Dio. Giovanni, tuttavia, senza alcun riferimento ai Sinottici, affrontò la concezione binaria che era emersa dalle storie di Gesù-Dio nei termini di un cosmo all'interno del quale il tempo era collassato in modo che Gesù-Dio fosse onnipresente nel tempo e immanente in tutti i luoghi. Di conseguenza, il binitarismo poteva essere spiegato solo come un errore percettivo, una visione bidimensionale difettosa di una realtà tridimensionale.
 
Questa spiegazione dei Vangeli li legge come documenti formali e didattici, e interpreta la loro organizzazione e presentazione del materiale come parte di un programma. Sebbene questo sia il modo in cui i lettori contemporanei affrontano le storie di Gesù, le analisi precedenti di come gli ebrei nel II secolo e.v. le interpretavano al di fuori di un contesto evangelico, presume che le rispettive storie fossero di solito fluttuanti liberamente e non coordinate in alcun modo particolare, anche dopo che i Vangeli furono scritti.<ref>Schäfer sostiene che il Vangelo di Giovanni, il più antiebraico dei Vangeli, fosse noto agli [[w:Amoraim|Amoraim]], studiosi/insegnanti ebrei di Babilonia (l'Iraq moderno) citati nel [[w:Bavli|Talmud babilonese]]. Una qualche forma del suo Vangelo o, almeno, delle sue storie e dell'interpretazione degli eventi, era loro nota poiché forniscono alcune delle controstorie più truculente che confutano le versioni del Vangelo su punti specifici. Si veda ''Jesus in the Talmud'', 122-29.</ref>
 
== Conclusioni ==
Storie come quelle sopra considerate, conservate nei Vangeli ma raccontate individualmente senza l'esplicita teologia del "divino Gesù", non avrebbero né offeso né messo alla prova la credulità di molti ebrei, e avrebbero potuto convincerli che Gesù era divino semplicemente perché aveva fatto in passato quello che dicevano Dio facesse ogni giorno. Raccontate correttamente, le storie potevano essere cognitivamente coerenti con ciò che gli ebrei pensavano che Dio stesse operando nel mondo. Queste storie non sarebbero state ostacoli per loro perché non richiedevano alcun impegno nelle loro implicazioni. Gli ebrei avrebbero "capito" immediatamente i punti di queste storie, indipendentemente dal fatto che le considerassero credibili o meno.<ref>Una valutazione dei tipi di narrazioni che gli ebrei raccontavano sulle storie di Gesù si trova in Schäfer, ''Jesus in the Talmud''. Come dimostra Schäfer, alcune di queste erano controstorie, repliche ebraiche a varie affermazioni fatte su Gesù dai cristiani. Schäfer sottolinea che le storie ebraiche non sono importanti per gli studi storici su Gesù, ma di grande importanza per lo studio delle relazioni ebraico-cristiane dal secondo al settimo secolo.</ref>
 
Inoltre, per molti ebrei, in particolare quelli che credevano di vivere ancora nell'era biblica, non ci sarebbe stato nulla di particolarmente strano nell'idea che Dio assumesse forma umana e fosse present tra le persone. Le storie basate esattamente su questo appaiono nella Bibbia ebraica. Ad esempio, in {{passo biblico2|Genesi|18}}, Dio è uno dei tre sconosciuti che visitano Abramo, si lavano i piedi, si adagiano all'ombra di un albero e mangiano carne di vitello. Uno di loro parla sia con Abrahamo che con Sara, e poi decide con Abramo la sorte dei giusti a Sodoma.
 
 
Line 244 ⟶ 254:
<div style="height: 200px; overflow: auto; padding: 3px; border:1px solid #AAAAAA; reflist4" ><references/></div>
 
{{Avanzamento|75%|1112 agosto 2020}}
[[Categoria:Riflessioni su Yeshua l'Ebreo|Storie di Gesù]]