Utente:Monozigote/sandbox5: differenze tra le versioni

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= ''Poesie di Živago'' =
(Alla fine del romanzo e dopo l'Epilogo, Pasternak ha posto un appendice intitolata ''"Poesie di Jurij Zivago"'': 24 poesie, di cui la penultima - "Maddalena" - in due tempi)<ref>Le poesie sono tradotte direttamente dal russo e nell'ordine del testo originale in russo.</ref>
 
{{Div col}}
1. AMLETO<br/>
AMLETO.
 
S'è spento il brusio. Sono entrato in scena.<br/>
Poggiato allo stipite della porta,<br/>
vado cogliendo nell'eco lontana<br/>
quanto la vita mi riserva.<br/>
 
Un'oscurità notturna mi punta contro<br/>
mille binocoli allineati.<br/>
Se solo è possibile, "abba" padre,<br/>
allontana questo calice da me.<br/>
 
Amo il tuo ostinato disegno,<br/>
e reciterò, d'accordo, questa parte.<br/>
Ma ora si sta dando un altro dramma<br/>
e per questa volta almeno dispensami.<br/>
 
Ma l'ordine degli atti è già fissato,<br/>
e irrimediabile è il viaggio, sino in fondo.<br/>
Sono solo, tutto affonda nel farisaismo.<br/>
Vivere una vita non è attraversare un campo.<br/>
<br/>
2. MARZO<br/>
 
Il sole scalda da sudare sette camicie<br/>
MARZO.
e intontito s'agita il burrone.<br/>
Come quello d'una gagliarda mandriana<br/>
alla primavera ferve il lavoro fra le mani.<br/>
 
Langue la neve, consunta d'anemia,<br/>
Il sole scalda da sudare sette camicie
in ramificazioni di estenuate vene azzurrine.<br/>
e intontito s'agita il burrone.
Ma fumiga la vita nella stalla delle vacche<br/>
Come quello d'una gagliarda mandriana
e sprizzano salute i denti dei forconi.<br/>
alla primavera ferve il lavoro fra le mani.
 
Oh, queste notti, questi giorni e le notti!<br/>
Langue la neve, consunta d'anemia,
Tamburellare del gocciolio a metà del giorno,<br/>
in ramificazioni di estenuate vene azzurrine.
deperire dei ghiacciuoli del tetto,<br/>
Ma fumiga la vita nella stalla delle vacche
chiacchierio dei rigagnoli insonni!<br/>
e sprizzano salute i denti dei forconi.
 
Tutto è spalancato, la rimessa e la stalla.<br/>
Oh, queste notti, questi giorni e le notti!
I colombi nella neve beccano l'avena,<br/>
Tamburellare del gocciolio a metà del giorno,
e, d'ogni cosa vivificatore e imputabile,<br/>
deperire dei ghiacciuoli del tetto,
odora di fresca aria il letame.<br/>
chiacchierio dei rigagnoli insonni!
<br/>
3. NELLA SETTIMANA SANTA.<br/>
 
Intorno, ancora la notturna tenebra.<br/>
Tutto è spalancato, la rimessa e la stalla.
Ancora è così presto al mondo<br/>
I colombi nella neve beccano l'avena,
che in cielo le stelle non hanno numero<br/>
e, d'ogni cosa vivificatore e imputabile,
e ognuna ha il fulgore del giorno,<br/>
odora di fresca aria il letame
e, se potesse, la terra<br/>
si assopirebbe a Pasqua,<br/>
alla lettura del salterio.<br/>
 
Intorno, ancora la notturna tenebra.<br/>
NELLA SETTIMANA SANTA.
E' un'ora tanto mattutina sulla terra<br/>
che dal crocevia all'angolo<br/>
s'è coricata per un'eternità la piazza,<br/>
e fino all'alba e al tepore<br/>
manca ancora un millennio.<br/>
 
Ancora la terra è nuda nuda<br/>
Intorno, ancora la notturna tenebra.
e nelle notti non ha come<br/>
Ancora è così presto al mondo
dondolare le campane<br/>
che in cielo le stelle non hanno numero
e riecheggiare dall'aperto i cantori.<br/>
e ognuna ha il fulgore del giorno,
e, se potesse, la terra
si assopirebbe a Pasqua,
alla lettura del salterio.
 
E dal Giovedì Santo<br/>
Intorno, ancora la notturna tenebra.
fino a tutto il Sabato di Pasqua,<br/>
E' un'ora tanto mattutina sulla terra
l'acqua trapana le sponde<br/>
che dal crocevia all'angolo
e inanella mulinelli.<br/>
s'è coricata per un'eternità la piazza,
e fino all'alba e al tepore
manca ancora un millennio.
 
E il bosco è spoglio e scoperto<br/>
Ancora la terra è nuda nuda
e, nella settimana di Passione,<br/>
e nelle notti non ha come
sta come una schiera di oranti<br/>
dondolare le campane
la folla dei tronchi di pino.<br/>
e riecheggiare dall'aperto i cantori.
 
Ma in città, su un esiguo<br/>
E dal Giovedì Santo
spazio, come a un convegno,<br/>
fino a tutto il Sabato di Pasqua,
gli alberi nudi osservano<br/>
l'acqua trapana le sponde
oltre la cancellata della chiesa.<br/>
e inanella mulinelli.
 
E il boscoloro sguardo è spoglio e scopertoatterrito.<br/>
Una ragione ha quell'angoscia.<br/>
e, nella settimana di Passione,
I giardini escono dai recinti,<br/>
sta come una schiera di oranti
vacilla l'ordinamento della terra:<br/>
la folla dei tronchi di pino.
seppelliscono Iddio.<br/>
 
E vedono una luce al presbiterio,<br/>
Ma in città, su un esiguo
e il nero manto e la fila dei ceri,<br/>
spazio, come a un convegno,
le facce in lagrime,<br/>
gli alberi nudi osservano
e a un tratto la processione<br/>
oltre la cancellata della chiesa.
esce incontro a loro col sudario,<br/>
e le due betulle all'ingresso<br/>
devono tirarsi di lato.<br/>
 
E gira intorno allo spiazzo il corteo<br/>
E il loro sguardo è atterrito.
sul ciglio del marciapiede,<br/>
Una ragione ha quell'angoscia.
e dalla via la primavera porta<br/>
I giardini escono dai recinti,
sul sagrato primaverili discorsi<br/>
vacilla l'ordinamento della terra:
e un'aria sapida di ostie<br/>
seppelliscono Iddio.
e d'ebrietà primaverile. <br/>
 
E marzo sparge neve a manciate<br/>
E vedono una luce al presbiterio,
sulla folla degli storpi sul sagrato,<br/>
e il nero manto e la fila dei ceri,
come fosse uscito uno col ciborio<br/>
le facce in lagrime,
e, schiusa la porticina,<br/>
e a un tratto la processione
avesse tutto elargito fino al fondo.<br/>
esce incontro a loro col sudario,
e le due betulle all'ingresso
devono tirarsi di lato.
 
E il canto dura fino all'aurora<br/>
E gira intorno allo spiazzo il corteo
e, singhiozzati a sazietà,<br/>
sul ciglio del marciapiede,
dall'interno più sommessamente giungono,<br/>
e dalla via la primavera porta
giù sotto i lampioni,<br/>
sul sagrato primaverili discorsi
il salterio o l'apostolo.<br/>
e un'aria sapida di ostie
e d'ebrietà primaverile.
 
Ma taceranno a mezzanotte ogni creatura e la carne,<br/>
E marzo sparge neve a manciate
perché la primavera ha sparso la voce<br/>
sulla folla degli storpi sul sagrato,
che, solo appena torni bel tempo,<br/>
come fosse uscito uno col ciborio
si potrà vincere la morte<br/>
e, schiusa la porticina,
con lo sforzo della resurrezione.<br/>
avesse tutto elargito fino al fondo.
<br/>
4. LA NOTTE BIANCA.<br/>
 
Un'epoca lontana in sogno mi riappare,<br/>
E il canto dura fino all'aurora
la casa nel quartiere Pietroburgo.<br/>
e, singhiozzati a sazietà,
Figlia d'una modesta proprietaria della steppa<br/>
dall'interno più sommessamente giungono,
tu sei all'istituto, tu, nativa di Kursk.<br/>
giù sotto i lampioni,
il salterio o l'apostolo.
 
Sei carina e hai molti ammiratori.<br/>
Ma taceranno a mezzanotte ogni creatura e la carne,
In questa notte bianca noi due insieme,<br/>
perché la primavera ha sparso la voce
rincantucciati sul tuo davanzale,<br/>
che, solo appena torni bel tempo,
guardiamo giù da questo grattacielo.<br/>
si potrà vincere la morte
con lo sforzo della resurrezione.
 
Il mattino ha lambito col suo primo tremito<br/>
LA NOTTE BIANCA.
i lampioni, come farfalle di gas.<br/>
Ciò che sottovoce vado raccontandoti<br/>
somiglia tanto alle lontananze addormentate.<br/>
 
E noi siamo in preda a una medesima<br/>
Un'epoca lontana in sogno mi riappare,
trepidante dedizione al mistero,<br/>
la casa nel quartiere Pietroburgo.
come Pietroburgo col suo panorama<br/>
Figlia d'una modesta proprietaria della steppa
che si stende oltre la Neva sconfinata.<br/>
tu sei all'istituto, tu, nativa di Kursk.
 
Laggiù, lontano, dietro impenetrabili confini,<br/>
Sei carina e hai molti ammiratori.
Inin questa notte bianca noidi due insiemeprimavera,<br/>
con uno strepito d'inni gli usignuoli<br/>
rincantucciati sul tuo davanzale,
fanno echeggiare i limiti dei boschi.<br/>
guardiamo giù da questo grattacielo.
 
Il frenetico trillo dilaga.<br/>
Il mattino ha lambito col suo primo tremito
La voce del minuto, gracile uccellino<br/>
i lampioni, come farfalle di gas.
eccita all'entusiasmo e allo scompiglio<br/>
Ciò che sottovoce vado raccontandoti
nella profondità della foresta incantata.<br/>
somiglia tanto alle lontananze addormentate.
 
In quei posti, scalza viandante,<br/>
E noi siamo in preda a una medesima
penetra la notte lungo lo steccato,<br/>
trepidante dedizione al mistero,
e dietro lei dal davanzale si trascina<br/>
come Pietroburgo col suo panorama
l'orma del discorso origliato.<br/>
che si stende oltre la Neva sconfinata.
 
Fra gli echi di quel discorso sorpreso,<br/>
Laggiù, lontano, dietro impenetrabili confini,
nei giardini recinti d'assicelle<br/>
in questa notte bianca di primavera,
i rami dei meli e dei ciliegi<br/>
con uno strepito d'inni gli usignuoli
si vestono d'un colore bianchiccio.<br/>
fanno echeggiare i limiti dei boschi.
 
E, come fantasmi, gli alberi<br/>
Il frenetico trillo dilaga.
si riversano bianchi in folla sulla strada,<br/>
La voce del minuto, gracile uccellino
facendo come cenni d'addio<br/>
eccita all'entusiasmo e allo scompiglio
alla notte bianca che così tanto ha visto.<br/>
nella profondità della foresta incantata.
<br/>
5. FANGOSE STRADE DI PRIMAVERA<br/>
 
Si estinguevano le luci del tramonto.<br/>
In quei posti, scalza viandante,
Per una pista fangosa nel fitto d'una foresta,<br/>
penetra la notte lungo lo steccato,
verso una fattoria lontana degli Urali<br/>
e dietro lei dal davanzale si trascina
si trascinava un uomo a cavallo.<br/>
l'orma del discorso origliato.
 
Sobbalzava la milza alla bestia,<br/>
Fra gli echi di quel discorso sorpreso,
e i tonfi degli zoccoli che sguazzavano,<br/>
nei giardini recinti d'assicelle
li riecheggiava inseguendoli per via<br/>
i rami dei meli e dei ciliegi
l'acqua negli imbuti delle sorgenti.<br/>
si vestono d'un colore bianchiccio.
 
E,Ma come fantasmi,allentò glile alberiredini<br/>
e mise il cavallo al passo,<br/>
si riversano bianchi in folla sulla strada,
la piena rotolò lì accanto<br/>
facendo come cenni d'addio
tutto il suo rombo e il suo fragore.<br/>
alla notte bianca che così tanto ha visto.
 
Rideva qualcuno, qualcuno piangeva,<br/>
FANGOSE STRADE DI PRIMAVERA.
si frantumavano pietre contro selci<br/>
e in mulinelli precipitavano<br/>
ceppi divelti con tutte le radici.<br/>
 
SiE estinguevanodov'era le lucil'incendio del tramonto.<br/>
contro il nero lontano dei rami,<br/>
Per una pista fangosa nel fitto d'una foresta,
come una vibrante campana a stormo,<br/>
verso una fattoria lontana degli Urali
ecco la frenesia d'un usignuolo.<br/>
si trascinava un uomo a cavallo.
 
Dove il salice il velo vedovile<br/>
Sobbalzava la milza alla bestia,
chinava, penzolando in un burrone,<br/>
e i tonfi degli zoccoli che sguazzavano,
come l'antico Usignuolo brigante<br/>
li riecheggiava inseguendoli per via
zufolava a sette gole.<ref>''Usignuolo brigante'', personaggio del folklore russo, di cui si parla nel romanzo. L'espressione «a sette gole» vuol tradurre il «sulle sette querce» del testo che, oltre ad avere uno specifico riferimento a un motivo folkloristico, ha anche il significato di canto spiegato.</ref><br/>
l'acqua negli imbuti delle sorgenti.
 
A quale pena, a quale passione<br/>
Ma come allentò le redini
era destinato tanto ardore?<br/>
e mise il cavallo al passo,
Contro chi scaricava nella macchia<br/>
la piena rotolò lì accanto
i suoi grossi pallini di fucile?<br/>
tutto il suo rombo e il suo fragore.
 
Pareva che dal posto di sosta dei forzati<br/>
Rideva qualcuno, qualcuno piangeva,
dovesse sbucare come un demone silvestre<br/>
si frantumavano pietre contro selci
incontro ai picchetti a piedi o a cavallo<br/>
e in mulinelli precipitavano
dei partigiani della zona.<br/>
ceppi divelti con tutte le radici.
 
La terra e il cielo, il bosco e il campo<br/>
E dov'era l'incendio del tramonto
coglievano quel raro suono,<br/>
contro il nero lontano dei rami,
quei frammenti ritmati<br/>
come una vibrante campana a stormo,
di follia, di dolore, di felicità, di pena.<br/>
ecco la frenesia d'un usignuolo.
<br/>
6. DICHIARAZIONE.<br/>
 
La vita è tornata, così, senza motivo,<br/>
Dove il salice il velo vedovile
come allora che s'era stranamente interrotta.<br/>
chinava, penzolando in un burrone,
E sempre in quella stessa strada antica,<br/>
come l'antico Usignuolo brigante
sempre quello stesso giorno d'estate e a quell'ora.<br/>
zufolava a sette gole (98).
 
La stessa gente e le ansie, le stesse,<br/>
A quale pena, a quale passione
e l'incendio del tramonto ancora acceso:<br/>
era destinato tanto ardore?
come allora, contro il muro del Maneggio<br/>
Contro chi scaricava nella macchia
la sera di morte l'aveva in fretta inchiodato.<br/>
i suoi grossi pallini di fucile?
 
Donne in vesti da poco prezzo, come allora,<br/>
Pareva che dal posto di sosta dei forzati
a notte strascicano le scarpe.<br/>
dovesse sbucare come un demone silvestre
E poi sul tetto di lamiera,<br/>
incontro ai picchetti a piedi o a cavallo
come allora, le crocifiggono le soffitte.<br/>
dei partigiani della zona.
 
Ecco lei che a passi stanchi<br/>
La terra e il cielo, il bosco e il campo
lentamente si fa sulla soglia,<br/>
coglievano quel raro suono,
e, risalendo dall'interrato,<br/>
quei frammenti ritmati
taglia di traverso il cortile.<br/>
di follia, di dolore, di felicità, di pena.
 
Di nuovo io mi preparo pretesti,<br/>
DICHIARAZIONE.
e di nuovo mi è tutto indifferente.<br/>
E la vicina, svoltando all'angolo,<br/>
ci lascia l'un l'altro di fronte.<br/>
 
Non piangere, non increspare le labbra tumefatte,<br/>
La vita è tornata, così, senza motivo,
non gremirle di rughe.<br/>
come allora che s'era stranamente interrotta.
Riaprirai le croste già secche<br/>
E sempre in quella stessa strada antica,
dello sfogo di primavera.<br/>
sempre quello stesso giorno d'estate e a quell'ora.
 
Togli il palmo della mano dal mio petto,<br/>
La stessa gente e le ansie, le stesse,
noi siamo cavi sotto tensione.<br/>
e l'incendio del tramonto ancora acceso:
Attenta, l'uno verso l'altra, ancora<br/>
come allora, contro il muro del Maneggio
saremo spinti inavvertitamente.<br/>
la sera di morte l'aveva in fretta inchiodato.
 
Passeranno gli anni, ti sposerai,<br/>
Donne in vesti da poco prezzo, come allora,
dimenticherai i disordini.<br/>
a notte strascicano le scarpe.
Essere una donna è un grande passo,<br/>
E poi sul tetto di lamiera,
fare impazzire è un'eroica impresa.<br/>
come allora, le crocifiggono le soffitte.
 
Pure, io, di fronte al prodigio delle mani di donna,<br/>
Ecco lei che a passi stanchi
del dorso e delle spalle e del collo,<br/>
lentamente si fa sulla soglia,
con la devozione d'un servo<br/>
e, risalendo dall'interrato,
tutta la mia vita benedico.<br/>
taglia di traverso il cortile.
 
Ma per quanto la notte m'incateni<br/>
Di nuovo io mi preparo pretesti,
con anelli d'angoscia,<br/>
e di nuovo mi è tutto indifferente.
più forte al mondo è la spinta a fuggire<br/>
E la vicina, svoltando all'angolo,
e la passione invita alle rotture.<br/>
ci lascia l'un l'altro di fronte.
<br/>
7. ESTATE IN CITTÀ<br/>
 
Conversazioni a mezza voce,<br/>
Non piangere, non increspare le labbra tumefatte,
e, d'un gesto impaziente,<br/>
non gremirle di rughe.
in alto è raccolta la chioma<br/>
Riaprirai le croste già secche
a treccia sopra la nuca.<br/>
dello sfogo di primavera.
 
Di sotto a un pesante pettine<br/>
Togli il palmo della mano dal mio petto,
guarda una donna col casco,<br/>
noi siamo cavi sotto tensione.
rovesciando la testa<br/>
Attenta, l'uno verso l'altra, ancora
indietro con tutti i capelli.<br/>
saremo spinti inavvertitamente.
 
E nella via la caldissima<br/>
Passeranno gli anni, ti sposerai,
notte presagisce maltempo,<br/>
dimenticherai i disordini.
e strascicandosi si separano<br/>
Essere una donna è un grande passo,
per le loro case i passanti.<br/>
fare impazzire è un'eroica impresa.
 
Si odono sussulti di tuono<br/>
Pure, io, di fronte al prodigio delle mani di donna,
che si ripercuotono di colpo,<br/>
del dorso e delle spalle e del collo,
e agita il vento<br/>
con la devozione d'un servo
le tendine alla finestra.<br/>
tutta la mia vita benedico.
 
Succede il silenzio,<br/>
Ma per quanto la notte m'incateni
ma come prima si soffoca,<br/>
con anelli d'angoscia,
e nel cielo come prima<br/>
più forte al mondo è la spinta a fuggire
i lampi frugano e frugano.<br/>
e la passione invita alle rotture.
 
Ma quando lo sfavillante<br/>
ESTATE IN CITTA'.
mattino cocente<br/>
asciuga le pozze nei viali<br/>
dopo l'acquazzone notturno,<br/>
 
guardano accigliati<br/>
Conversazioni a mezza voce,
per il sonno interrotto,<br/>
e, d'un gesto impaziente,
secolari, odorosi<br/>
in alto è raccolta la chioma
tigli ancora in fiore.<br/>
a treccia sopra la nuca.
<br/>
8. IL VENTO<br/>
 
Io sono già morto e tu vivi ancora.<br/>
Di sotto a un pesante pettine
E il vento, con gemiti e pianto,<br/>
guarda una donna col casco,
fa oscillare il bosco e la dacia.<ref>''[[w:Dacia (abitazione)|Dacia]]'': specie di villa di campagna.</ref><br/>
rovesciando la testa
E non per proprio conto ogni pino,<br/>
indietro con tutti i capelli.
ma tutti insieme gli alberi<br/>
nella loro distesa sconfinata,<br/>
come armature di velieri<br/>
sulla superficie d'una baia.<br/>
E non per tracotanza<br/>
o per vano furore,<br/>
ma per trovare nell'angoscia le parole<br/>
d'un canto di culla per te.<br/>
<br/>
9. EBRIETÀ<br/>
 
Sotto il salice avvinto dall'edera,<br/>
E nella via la caldissima
cerchiamo scampo all'intemperie.<br/>
notte presagisce maltempo,
Ci ripara le spalle un mantello,<br/>
e strascicandosi si separano
intorno a te le mie braccia si avvincono.<br/>
per le loro case i passanti.
 
Ma no. Le piante nel folto<br/>
Si odono sussulti di tuono
non s'avvolgono d'edera, ma d'ebrietà.<br/>
che si ripercuotono di colpo,
Stendiamo, allora, questo mantello<br/>
e agita il vento
sotto di noi in tutta la sua ampiezza.<br/>
le tendine alla finestra.
<br/>
10. ESTATE DI SAN MARTINO<br/>
 
La foglia di ribes è ruvido tessuto.<br/>
Succede il silenzio,
In casa risate e tintinnano i vetri;<br/>
ma come prima si soffoca,
lì trinciano, fanno lievitare e impepano<br/>
e nel cielo come prima
e piantano chiodi di garofano nel marinato.<br/>
i lampi frugano e frugano.
 
Come per burla, il bosco rilancia<br/>
Ma quando lo sfavillante
questo rumore sullo scosceso pendio<br/>
mattino cocente
dove nocciuoli riarsi al sole<br/>
asciuga le pozze nei viali
stanno bruciacchiati come da un falò.<br/>
dopo l'acquazzone notturno,
 
Qui la strada si butta in un dirupo,<br/>
guardano accigliati
qui si ha pena di questi vecchi<br/>
per il sonno interrotto,
ceppi stecchiti e dell'autunno cencioso,<br/>
secolari, odorosi
che tutto ammassa in questo burrone.<br/>
tigli ancora in fiore.
 
Ed è una pena che l'universo sia più semplice<br/>
IL VENTO.
di quanto supponga qualcuno più scaltrito,<br/>
che il bosco sia così depresso,<br/>
e che per ogni cosa arrivi la fine.<br/>
 
Che sia assurdo non voler capire,<br/>
Io sono già morto e tu vivi ancora.
quando tutto ti si è bruciato dinanzi,<br/>
E il vento, con gemiti e pianto,
e la bianca caligine autunnale<br/>
fa oscillare il bosco e la dacia (99).
come una ragnatela si arrampica alla finestra.<br/>
E non per proprio conto ogni pino,
ma tutti insieme gli alberi
nella loro distesa sconfinata,
come armature di velieri
sulla superficie d'una baia.
E non per tracotanza
o per vano furore,
ma per trovare nell'angoscia le parole
d'un canto di culla per te.
 
Il recinto sfondato del giardino<br/>
EBRIETA'.
apre un varco che si perde tra le betulle.<br/>
In casa risate e tramestio di faccende,<br/>
e lo stesso tramestio e risate anche lontano.<br/>
<br/>
11. LO SPOSALIZIO<br/>
 
Attraversato il bordo del cortile,<br/>
Sotto il salice avvinto dall'edera,
passarono nella casa della sposa<br/>
cerchiamo scampo all'intemperie.
gli invitati a far baldoria<br/>
Ci ripara le spalle un mantello,
con l'armonica sino al mattino.<br/>
intorno a te le mie braccia si avvincono.
 
Dietro le porte dell'ospite<br/>
Ma no. Le piante nel folto
rivestite di feltro,<br/>
non s'avvolgono d'edera, ma d'ebrietà.
tacquero dall'una alle sette<br/>
Stendiamo, allora, questo mantello
i frammenti del chiacchierio.<br/>
sotto di noi in tutta la sua ampiezza.
 
Ma all'alba, in pieno sonno,<br/>
ESTATE DI SAN MARTINO.
– solo dormire e dormire –<br/>
cantò di nuovo l'armonica<br/>
congedandosi dallo sposalizio.<br/>
 
E dì nuovo il suonatore<br/>
La foglia di ribes è ruvido tessuto.
diffuse col suo "bajàn"<ref>''[[w:Bajan (strumento musicale)|Bajàn]]'': strumento musicale popolare.</ref> lo sciabordio<br/>
In casa risate e tintinnano i vetri;
d'un batter di mani, un brillio di collane,<br/>
lì trinciano, fanno lievitare e impepano
e il chiasso e lo strepito della festa.<br/>
e piantano chiodi di garofano nel marinato.
 
E ancora, ancora, ancora<br/>
Come per burla, il bosco rilancia
il parlottio delle "chastushki"<ref>''Chastushka'' (часту́шка): tipo tradizionale di breve canzone popolare umoristica russa o ucraina con alta frequenza di battute, che consiste in un distico a quattro righe, pieno di umorismo, satira o ironia.</ref><br/>
questo rumore sullo scosceso pendio
direttamente irruppe dal festino<br/>
dove nocciuoli riarsi al sole
sul letto dei dormienti.<br/>
stanno bruciacchiati come da un falò.
 
E una, bianca come neve,<br/>
Qui la strada si butta in un dirupo,
nel chiasso, negli stridi, nello strepito,<br/>
qui si ha pena di questi vecchi
di nuovo riprese a fluttuare<br/>
ceppi stecchiti e dell'autunno cencioso,
come una pavona, ancheggiando,<br/>
che tutto ammassa in questo burrone.
 
invitando con il capo<br/>
Ed è una pena che l'universo sia più semplice
e con la mano destra,<br/>
di quanto supponga qualcuno più scaltrito,
in quel ballabile sul lastrico,<br/>
che il bosco sia così depresso,
pavona, pavona, pavona.<br/>
e che per ogni cosa arrivi la fine.
 
A un tratto la foga e il chiasso giocoso,<br/>
Che sia assurdo non voler capire,
il trepestio del ballo in tondo,<br/>
quando tutto ti si è bruciato dinanzi,
sprofondando nel baratro,<br/>
e la bianca caligine autunnale
sparirono come nell'acqua.<br/>
come una ragnatela si arrampica alla finestra.
 
Si svegliava rumoroso il cortile.<br/>
Il recinto sfondato del giardino
Un'eco di faccende<br/>
apre un varco che si perde tra le betulle.
si mescolava ai discorsi<br/>
In casa risate e tramestio di faccende,
e agli scrosci di risa.<br/>
e lo stesso tramestio e risate anche lontano.
 
Nel cielo infinito, lassù,<br/>
LO SPOSALIZIO.
in un turbine di macchie azzurrognole,<br/>
a stormo fuggivano i colombi<br/>
staccandosi dalle colombaie.<br/>
 
Come se, scuotendosi nel sonno,<br/>
Attraversato il bordo del cortile,
li avessero mandati all'inseguimento<br/>
passarono nella casa della sposa
sulle tracce dello sposalizio<br/>
gli invitati a far baldoria
con un augurio di lunghi anni.<br/>
con l'armonica sino al mattino.
 
Anche la vita è un istante soltanto,<br/>
Dietro le porte dell'ospite
soltanto un dissolversi<br/>
rivestite di feltro,
di noi stessi in tutti gli altri,<br/>
tacquero dall'una alle sette
come offertici in dono.<br/>
i frammenti del chiacchierio.
 
Solo uno sposalizio che dal basso<br/>
Ma all'alba, in pieno sonno,
irrompe dentro le finestre,<br/>
- solo dormire e dormire -
solo una canzone, solo un sogno,<br/>
cantò di nuovo l'armonica
solo un colombo azzurrognolo.<br/>
congedandosi dallo sposalizio.
<br/>
12. AUTUNNO<br/>
 
Ho lasciato disperdersi i miei cari,<br/>
E dì nuovo il suonatore
tutti i miei sono da tanto chissà dove,<br/>
diffuse col suo "bajàn" (100) lo sciabordio
e, nel cuore e nella natura, tutto<br/>
d'un batter di mani, un brillio di collane,
è pieno della solitudine di sempre.<br/>
e il chiasso e lo strepito della festa.
 
Ed eccomi qui con te in questo capanno,<br/>
E ancora, ancora, ancora
nel bosco senza nessuno e deserto.<br/>
il parlottio delle "chastushki"
Come nella canzone, i viottoli e i sentieri<br/>
direttamente irruppe dal festino
già quasi li cancella l'erba.<br/>
sul letto dei dormienti.
 
Ora noi soli guardano<br/>
E una, bianca come neve,
rattristati i muri di tronchi.<br/>
nel chiasso, negli stridi, nello strepito,
Non promettemmo di assaltare ostacoli,<br/>
di nuovo riprese a fluttuare
poi periremo a viso aperto.<br/>
come una pavona, ancheggiando,
 
Ci sediamo all'una e ci alziamo alle tre,<br/>
invitando con il capo
eio con laun manolibro, tu con il destraricamo,<br/>
e all'alba non ci accorgiamo<br/>
in quel ballabile sul lastrico,
che abbiamo cessato di baciarci.<br/>
pavona, pavona, pavona.
 
Più sfarzose e più sfrenate ancora<br/>
A un tratto la foga e il chiasso giocoso,
stormite, scrollatevi, foglie,<br/>
il trepestio del ballo in tondo,
e con l'odierna angoscia fate<br/>
sprofondando nel baratro,
che trabocchi l'amaro calice di ieri.<br/>
sparirono come nell'acqua.
 
Attaccamento, trasporto, fascino!<br/>
Si svegliava rumoroso il cortile.
Disperdiamoci nello stormire di settembre!<br/>
Un'eco di faccende
Immergiti tutta nel fruscio dell'autunno!<br/>
si mescolava ai discorsi
Vieni meno o esci di senno!<br/>
e agli scrosci di risa.
 
Tu l'abito lasci andare, così,<br/>
Nel cielo infinito, lassù,
come il bosco lascia le foglie,<br/>
in un turbine di macchie azzurrognole,
quando cadi nell'abbraccio<br/>
a stormo fuggivano i colombi
con la vestaglia dal fiocco di seta.<br/>
staccandosi dalle colombaie.
 
Tu sei il bene d'un passo funesto,<br/>
Come se, scuotendosi nel sonno,
quando vivere dà più nausea d'un male.<br/>
li avessero mandati all'inseguimento
Ma la radice della bellezza è l'ardire,<br/>
sulle tracce dello sposalizio
e questo l'un verso l'altra ci attrae.<br/>
con un augurio di lunghi anni.
<br/>
13. FIABA<br/>
 
Al tempo dei tempi, una volta<br/>
Anche la vita è un istante soltanto,
in un paese di fiaba,<br/>
soltanto un dissolversi
andava un cavaliere,<br/>
di noi stessi in tutti gli altri,
correva fra le bardane.<br/>
come offertici in dono.
 
Alla battaglia correva,<br/>
Solo uno sposalizio che dal basso
e nella polvere della steppa<br/>
irrompe dentro le finestre,
un buio bosco incontro<br/>
solo una canzone, solo un sogno,
gli cresceva da lontano.<br/>
solo un colombo azzurrognolo.
 
Un presentimento stringeva<br/>
AUTUNNO.
senza tregua il suo cuore:<br/>
«Guardati dall'abbeveratoio<br/>
e stringi forte la sella.»<br/>
 
Non l'ascoltò il cavaliere<br/>
Ho lasciato disperdersi i miei cari,
e a spron battuto<br/>
tutti i miei sono da tanto chissà dove,
si librò d'impeto<br/>
e, nel cuore e nella natura, tutto
su un'altura boscosa.<br/>
è pieno della solitudine di sempre.
 
Svoltò a un tumulo,<br/>
Ed eccomi qui con te in questo capanno,
entrò in una valle inaridita,<br/>
nel bosco senza nessuno e deserto.
traversò una radura,<br/>
Come nella canzone, i viottoli e i sentieri
superò una montagna.<br/>
già quasi li cancella l'erba.
 
E s'inoltrò in un vallone,<br/>
Ora noi soli guardano
e, per un sentiero del bosco,<br/>
rattristati i muri di tronchi.
risbucò sulla pista<br/>
Non promettemmo di assaltare ostacoli,
delle belve all'abbeveratoio<br/>
poi periremo a viso aperto.
 
E sordo all'avviso,<br/>
Ci sediamo all'una e ci alziamo alle tre,
senza dar retta al suo istinto,<br/>
io con un libro, tu con il ricamo,
spinse il cavallo<br/>
e all'alba non ci accorgiamo
ad abbeverarsi al torrente.<br/>
che abbiamo cessato di baciarci.
 
Sul torrente una grotta,<br/>
Più sfarzose e più sfrenate ancora
davanti alla grotta il guado.<br/>
stormite, scrollatevi, foglie,
Come una fiamma di zolfo<br/>
e con l'odierna angoscia fate
ne illuminava l'entrata.<br/>
che trabocchi l'amaro calice di ieri.
 
E nel fumo purpureo<br/>
Attaccamento, trasporto, fascino!
che impediva la vista,<br/>
Disperdiamoci nello stormire di settembre!
il bosco risuonò<br/>
Immergiti tutta nel fruscio dell'autunno!
di un lontano richiamo.<br/>
Vieni meno o esci di senno!
 
E allora, trasalendo<br/>
Tu l'abito lasci andare, così,
insieme col burrone,<br/>
come il bosco lascia le foglie,
si slanciò il cavaliere<br/>
quando cadi nell'abbraccio
verso il grido che invocava.<br/>
con la vestaglia dal fiocco di seta.
 
E il cavaliere vide,<br/>
Tu sei il bene d'un passo funesto,
e infisse la lancia<br/>
quando vivere dà più nausea d'un male.
nella testa del drago,<br/>
Ma la radice della bellezza è l'ardire,
nella coda e nelle squame.<br/>
e questo l'un verso l'altra ci attrae.
 
Dalle fauci fiammeggianti<br/>
FIABA.
un bagliore irraggiava,<br/>
avvolgendo nelle spire<br/>
con tre nodi una fanciulla.<br/>
 
Il collo del drago,<br/>
Al tempo dei tempi, una volta
come l'estremità d'una frusta,<br/>
in un paese di fiaba,
le s'attorcigliava alla gola<br/>
andava un cavaliere,
di sopra le spalle.<br/>
correva fra le bardane.
 
Era uso in quella landa,<br/>
Alla battaglia correva,
offrire in olocausto<br/>
e nella polvere della steppa
una bella prigioniera<br/>
un buio bosco incontro
al mostro della foresta.<br/>
gli cresceva da lontano.
 
Quel tributo riscattava<br/>
Un presentimento stringeva
dal drago-serpente<br/>
senza tregua il suo cuore:
gli abitanti del luogo<br/>
«Guardati dall'abbeveratoio
e le loro capanne.<br/>
e stringi forte la sella.»
 
Le stringeva le braccia,<br/>
Non l'ascoltò il cavaliere
le annodava la gola,<br/>
e a spron battuto
pago di quella vittima<br/>
si librò d'impeto
da torturare a sua voglia.<br/>
su un'altura boscosa.
 
Guardò il cielo il cavaliere,<br/>
Svoltò a un tumulo,
in un'invocazione:<br/>
entrò in una valle inaridita,
e per il combattimento<br/>
traversò una radura,
la lancia brandì.<br/>
superò una montagna.
 
Palpebre serrate.<br/>
E s'inoltrò in un vallone,
Altezze. Nubi.<br/>
e, per un sentiero del bosco,
Acque. Guadi. Fiumi.<br/>
risbucò sulla pista
Anni e secoli.<br/>
delle belve all'abbeveratoio
 
Il cavaliere senza più elmo,<br/>
E sordo all'avviso,
disarcionato in battaglia.<br/>
senza dar retta al suo istinto,
spinseIl ilfido cavallo con lo zoccolo<br/>
calpesta il serpente.<br/>
ad abbeverarsi al torrente.
 
Il cavallo e il cadavere del drago<br/>
Sul torrente una grotta,
accanto sulla sabbia.<br/>
davanti alla grotta il guado.
Il cavaliere è svenuto,<br/>
Come una fiamma di zolfo
la fanciulla è esanime.<br/>
ne illuminava l'entrata.
 
Splendeva la volta del mezzogiorno,<br/>
E nel fumo purpureo
tenero l'azzurro.<br/>
che impediva la vista,
Chi è lei? Figlia d'uno zar?<br/>
il bosco risuonò
Figlia della terra? Principessa?<br/>
di un lontano richiamo.
 
Ora, per la felicità,<br/>
E allora, trasalendo
lagrime a tre torrenti,<br/>
insieme col burrone,
ora l'anima in preda<br/>
si slanciò il cavaliere
al sogno e all'oblio.<br/>
verso il grido che invocava.
 
Ora, un ritorno di forze,<br/>
E il cavaliere vide,
ora, immobilità di vene<br/>
e infisse la lancia
per il troppo sangue perduto<br/>
nella testa del drago,
e lo sfinimento.<br/>
nella coda e nelle squame.
 
Ma il loro cuore batte.<br/>
Dalle fauci fiammeggianti
Ora lei, lui ora,<br/>
un bagliore irraggiava,
si sforzano di svegliarsi,<br/>
avvolgendo nelle spire
ma ricadono nel sonno.<br/>
con tre nodi una fanciulla.
 
Palpebre serrate.<br/>
Il collo del drago,
Altezze. Nubi.<br/>
come l'estremità d'una frusta,
Acque. Guadi. Fiumi.<br/>
le s'attorcigliava alla gola
Anni e secoli.<br/>
di sopra le spalle.
<br/>
14. AGOSTO<br/>
 
Come promesso, sempre di parola,<br/>
Era uso in quella landa,
il sole è filtrato di prima mattina<br/>
offrire in olocausto
con un'obliqua striscia di zafferano<br/>
una bella prigioniera
dalla tendina sino al sofà.<br/>
al mostro della foresta.
 
Ha ricoperto di calda ocra<br/>
Quel tributo riscattava
il bosco vicino, le case dei borgo,<br/>
dal drago-serpente
il mio letto, l'umido cuscino<br/>
gli abitanti del luogo
e l'orlo del muro dietro lo scaffale.<br/>
e le loro capanne.
 
Ho ricordato allora la ragione<br/>
Le stringeva le braccia,
di quelle umide tracce sul cuscino.<br/>
le annodava la gola,
In sogno, per darmi l'ultimo addio,<br/>
pago di quella vittima
mi seguivate in corteo per il bosco.<br/>
da torturare a sua voglia.
 
Andavate in fila, da soli e a coppie,<br/>
Guardò il cielo il cavaliere,
e a un tratto qualcuno rammentò che oggi<br/>
in un'invocazione:
era il sei agosto del vecchio calendario,<br/>
e per il combattimento
la Trasfigurazione dei Signore.<br/>
la lancia brandì.
 
Di solito una luce senza fiamma<br/>
Palpebre serrate.
emana in questo giorno dal Tabor,<br/>
Altezze. Nubi.
e l'autunno chiaro come un presagio<br/>
Acque. Guadi. Fiumi.
richiama a sé tutti gli sguardi.<br/>
Anni e secoli.
 
E voi passaste per il minuto, misero,<br/>
Il cavaliere senza più elmo,
nudo e trepido ontaneto,<br/>
disarcionato in battaglia.
fino al bosco del cimitero, rosso-zenzero,<br/>
Il fido cavallo con lo zoccolo
infuocato come un pan pepato nel forno.<br/>
calpesta il serpente.
 
Con le cime degli alberi azzittite<br/>
Il cavallo e il cadavere del drago
il cielo posava a vicino importante,<br/>
accanto sulla sabbia.
e delle voci dei galli<br/>
Il cavaliere è svenuto,
a lungo riecheggiavano gli spazi.<br/>
la fanciulla è esanime.
 
Nel bosco in mezzo al cimitero, stava,<br/>
Splendeva la volta del mezzogiorno,
agrimensore ufficiale, la morte<br/>
tenero l'azzurro.
guardando nel mio volto inanimato<br/>
Chi è lei? Figlia d'uno zar?
per scavarmi una fossa secondo misura.<br/>
Figlia della terra? Principessa?
 
Fisicamente ognuno percepiva<br/>
Ora, per la felicità,
accanto a sé una pacata voce;<br/>
lagrime a tre torrenti,
era la mia preveggente voce d'un tempo,<br/>
ora l'anima in preda
ora immune dalla decomposizione:<br/>
al sogno e all'oblio.
 
«Addio, azzurro della Trasfigurazione,<br/>
Ora, un ritorno di forze,
e oro della seconda festa del Salvatore.<br/>
ora, immobilità di vene
Mitiga con un'ultima carezza<br/>
per il troppo sangue perduto
di donna l'amarezza dell'ora fatale.<br/>
e lo sfinimento.
 
Addio, terribili anni.<br/>
Ma il loro cuore batte.
Donna che hai gettato una sfida all'abisso<br/>
Ora lei, lui ora,
delle umiliazioni, separiamoci!<br/>
si sforzano di svegliarsi,
lo sono il campo della tua battaglia.<br/>
ma ricadono nel sonno.
 
Addio, slancio appena accennato dell'ala,<br/>
Palpebre serrate.
libera ostinazione del volo,<br/>
Altezze. Nubi.
e immagine del mondo rivelata nella parola,<br/>
Acque. Guadi. Fiumi.
e creazione e dono dei miracoli!»<br/>
Anni e secoli.
<br/>
15. NOTTE D'INVERNO.<br/>
 
Tormenta, tormenta su tutta la terra<br/>
AGOSTO.
fino agli ultimi confini.<br/>
Una candela bruciava sul tavolo,<br/>
una candela bruciava.<br/>
 
Come promesso,uno sempresvolio di parolamoscerini,<br/>
d'estate, su una fiamma,<br/>
il sole è filtrato di prima mattina
così i fiocchi da fuori irrompevano<br/>
con un'obliqua striscia di zafferano
sul telaio della finestra.<br/>
dalla tendina sino al sofà.
 
La tormenta imprimeva sul vetro<br/>
Ha ricoperto di calda ocra
circoli e frecce.<br/>
il bosco vicino, le case dei borgo,
Una candela bruciava sul tavolo,<br/>
il mio letto, l'umido cuscino
una candela bruciava.<br/>
e l'orlo del muro dietro lo scaffale.
 
Sul soffitto illuminato<br/>
Ho ricordato allora la ragione
si coricavano le ombre.<br/>
di quelle umide tracce sul cuscino.
Incroci di braccia, incroci di gambe,<br/>
In sogno, per darmi l'ultimo addio,
incrocio di destini.<br/>
mi seguivate in corteo per il bosco.
 
E due scarpette cadevano<br/>
Andavate in fila, da soli e a coppie,
con un colpo sul pavimento,<br/>
e a un tratto qualcuno rammentò che oggi
e dal lume la cera a lagrime<br/>
era il sei agosto del vecchio calendario,
gocciolava sull'abito.<br/>
la Trasfigurazione dei Signore.
 
E tutto in una caligine di neve<br/>
Di solito una luce senza fiamma
canuta e bianca si perdeva.<br/>
emana in questo giorno dal Tabor,
Una candela bruciava sul tavolo,<br/>
e l'autunno chiaro come un presagio
una candela bruciava.<br/>
richiama a sé tutti gli sguardi.
 
Da un angolo sulla candela un alito,<br/>
E voi passaste per il minuto, misero,
e la febbre della tentazione<br/>
nudo e trepido ontaneto,
come un angelo alzava due ali<br/>
fino al bosco del cimitero, rosso-zenzero,
a forma di croce.<br/>
infuocato come un pan pepato nel forno.
 
La tormenta durò tutto febbraio,<br/>
Con le cime degli alberi azzittite
e ininterrottamente<br/>
il cielo posava a vicino importante,
una candela bruciava sul tavolo,<br/>
e delle voci dei galli
una candela bruciava.<br/>
a lungo riecheggiavano gli spazi.
<br/>
16. SEPARAZIONE<br/>
 
Dalla soglia un uomo guarda,<br/>
Nel bosco in mezzo al cimitero, stava,
non riconosce la casa.<br/>
agrimensore ufficiale, la morte
La sua partenza fu come una fuga.<br/>
guardando nel mio volto inanimato
Su tutto tracce di devastazione.<br/>
per scavarmi una fossa secondo misura.
 
Dovunque nelle stanze un caos.<br/>
Fisicamente ognuno percepiva
Non s'accorge per le lacrime<br/>
accanto a sé una pacata voce;
della gravità dei disastro,<br/>
era la mia preveggente voce d'un tempo,
e per un'improvvisa emicrania.<br/>
ora immune dalla decomposizione:
 
Dal mattino ha nelle orecchie come un rumore.<br/>
«Addio, azzurro della Trasfigurazione,
P, proprio in sé, o sogna?<br/>
e oro della seconda festa del Salvatore.
E perché sempre in mente gli torna<br/>
Mitiga con un'ultima carezza
un pensiero continuo del mare?<br/>
di donna l'amarezza dell'ora fatale.
 
Quando di là dalla brina alla finestra,<br/>
Addio, terribili anni.
più non traspare il mondo di Dio,<br/>
Donna che hai gettato una sfida all'abisso
doppiamente una disperata tristezza<br/>
delle umiliazioni, separiamoci!
somiglia al deserto dei mare.<br/>
lo sono il campo della tua battaglia.
 
Gli era così cara, lei,<br/>
Addio, slancio appena accennato dell'ala,
in qualunque suo tratto,<br/>
libera ostinazione del volo,
come al mare son vicine le sponde<br/>
e immagine del mondo rivelata nella parola,
lungo la linea' della risacca.<br/>
e creazione e dono dei miracoli!»
 
Come affonda i giunchi<br/>
NOTTE D'INVERNO.
il mareggiare dopo la burrasca,<br/>
s'immersero così nel fondo della sua anima<br/>
quei lineamenti e le forme.<br/>
 
Negli anni delle traversie, nei tempi<br/>
Tormenta, tormenta su tutta la terra
di un'esistenza impensabile,<br/>
fino agli ultimi confini.
un'ondata del destino<br/>
Una candela bruciava sul tavolo,
gliel'aveva emersa dal fondo.<br/>
una candela bruciava.
 
Fra ostacoli senza numero,<br/>
Come uno svolio di moscerini,
superando ogni insidia,<br/>
d'estate, su una fiamma,
l'onda l'aveva sospinta, sospinta<br/>
così i fiocchi da fuori irrompevano
e congiunta a lui strettamente.<br/>
sul telaio della finestra.
 
Ed ecco, adesso è partita;<br/>
La tormenta imprimeva sul vetro
vi è stata costretta, forse.<br/>
circoli e frecce.
Il distacco tutti e due consuma,<br/>
Una candela bruciava sul tavolo,
fino alle ossa l'angoscia li morde.<br/>
una candela bruciava.
 
E l'uomo si guarda intorno:<br/>
Sul soffitto illuminato
al momento di partire<br/>
si coricavano le ombre.
lei ha buttato tutto per aria<br/>
Incroci di braccia, incroci di gambe,
nei cassetti del comò.<br/>
incrocio di destini.
 
Lui s'aggira e fin quando fa buio<br/>
E due scarpette cadevano
ripone nei cassetti<br/>
con un colpo sul pavimento,
le pezze di stoffa sparpagliate<br/>
e dal lume la cera a lagrime
e un modello di taglio.<br/>
gocciolava sull'abito.
 
E pungendosi con il cucito<br/>
E tutto in una caligine di neve
a un ago dimenticato,<br/>
canuta e bianca si perdeva.
rivede a un tratto tutta lei,<br/>
Una candela bruciava sul tavolo,
e prende a piangere quasi di nascosto.<br/>
una candela bruciava.
<br/>
17. CONVEGNO<br/>
 
La neve riempie le strade,<br/>
Da un angolo sulla candela un alito,
s'ammucchia sui tetti spioventi.<br/>
e la febbre della tentazione
Uscendo a sgranchirmi le gambe,<br/>
come un angelo alzava due ali
io ti vedrò dalla porta:<br/>
a forma di croce.
 
sola nel paltò autunnale,<br/>
La tormenta durò tutto febbraio,
senza cappello e calosce,<br/>
e ininterrottamente
che lotti col tuo turbamento<br/>
una candela bruciava sul tavolo,
e mordi la neve alle labbra.<br/>
una candela bruciava.
 
Gli alberi con gli steccati<br/>
SEPARAZIONE.
s'allontanano nel buio.<br/>
Sola, sotto la nevicata,<br/>
là, all'angolo stai tu.<br/>
 
Dalla sogliatreccia unti uomoscivola guarda,l'acqua<br/>
sulle maniche, dentro il risvolto.<br/>
non riconosce la casa.
E tra i capelli ti luccicano<br/>
La sua partenza fu come una fuga.
goccioline di rugiada.<br/>
Su tutto tracce di devastazione.
 
E c'è una ciocca bionda<br/>
Dovunque nelle stanze un caos.
che t'illumina il viso,<br/>
Non s'accorge per le lacrime
il "fichu"<ref>''Fichu'' è un grande scialle quadrato indossato dalle donne per riempire la scollatura bassa di un corpetto. Nacque nel Regno Unito nel XVIII secolo e rimase popolare lì e in Francia fino al XIX secolo con molte varianti, come anche negli Stati Uniti. Il ''fichu'' era generalmente di tessuto di lino ed era piegato in diagonale in un triangolo e legato, appuntato o nascosto frontalmente nel corpetto.</ref> e la figura<br/>
della gravità dei disastro,
e quel tuo paltoncino.<br/>
e per un'improvvisa emicrania.
 
Neve acquosa sulle tue ciglia,<br/>
Dal mattino ha nelle orecchie come un rumore.
angoscia dentro i tuoi occhi,<br/>
P, proprio in sé, o sogna?
e tutto il tuo aspetto è composto<br/>
E perché sempre in mente gli torna
come in un unico blocco.<br/>
un pensiero continuo del mare?
 
Quasi che con un ferro<br/>
Quando di là dalla brina alla finestra,
intinto nell'antimonio<br/>
più non traspare il mondo di Dio,
t'avessero tracciata<br/>
doppiamente una disperata tristezza
a tratto sul mio cuore.<br/>
somiglia al deserto dei mare.
 
E lì, per sempre s'è incisa<br/>
Gli era così cara, lei,
la dolcezza di quelle linee,<br/>
in qualunque suo tratto,
ed ecco che non m'importa<br/>
come al mare son vicine le sponde
che il mondo abbia un cuore di pietra.<br/>
lungo la linea' della risacca.
 
Ed è così che si sdoppia<br/>
Come affonda i giunchi
tutta questa notte di neve<br/>
il mareggiare dopo la burrasca,
e io non so tracciare un segno<br/>
s'immersero così nel fondo della sua anima
di confine tra te e me.<br/>
quei lineamenti e le forme.
 
Perché, chi siamo e di dove,<br/>
Negli anni delle traversie, nei tempi
noi due già morti al mondo,<br/>
di un'esistenza impensabile,
quando son solo le chiacchiere<br/>
un'ondata del destino
quel che resta di questi anni?<br/>
gliel'aveva emersa dal fondo.
<br/>
18. LA STELLA DI NATALE<br/>
 
Era pieno inverno.<br/>
Fra ostacoli senza numero,
Soffiava il vento dalla steppa.<br/>
superando ogni insidia,
E aveva freddo il neonato nella grotta<br/>
l'onda l'aveva sospinta, sospinta
sul pendio della collina.<br/>
e congiunta a lui strettamente.
 
L'alito del bue lo riscaldava.<br/>
Ed ecco, adesso è partita;
Animali domestici<br/>
vi è stata costretta, forse.
stavano nella grotta,<br/>
Il distacco tutti e due consuma,
sulla culla vagava un tiepido vapore.<br/>
fino alle ossa l'angoscia li morde.
 
Scossi dalle pelli le paglie del giaciglio<br/>
E l'uomo si guarda intorno:
e i grani di miglio,<br/>
al momento di partire
dalle rupi guardavano<br/>
lei ha buttato tutto per aria
assonnati i pastori gli spazi della mezzanotte.<br/>
nei cassetti del comò.
 
Lontano, la pianura sotto la neve, e il cimitero<br/>
Lui s'aggira e fin quando fa buio
e recinti e pietre tombali<br/>
ripone nei cassetti
e stanghe di carri confitte nella neve,<br/>
le pezze di stoffa sparpagliate
e sul cimitero il cielo tutto stellato.<br/>
e un modello di taglio.
 
E lì accanto, mai vista sino allora,<br/>
E pungendosi con il cucito
più modesta d'un lucignolo<br/>
a un ago dimenticato,
alla finestrella d'un capanno,<br/>
rivede a un tratto tutta lei,
traluceva una stella sulla strada di Betlemme.<br/>
e prende a piangere quasi di nascosto.
 
Bruciava come un pagliaio, in disparte<br/>
CONVEGNO.
dal cielo e da Dio,<br/>
come il riverbero d'un incendio,<br/>
come una fattoria a fuoco e le fiamme in un granaio.<br/>
 
Si levava come un'infiammata bica<br/>
La neve riempie le strade,
di paglia e di fieno<br/>
s'ammucchia sui tetti spioventi.
in mezzo a tutto l'universo<br/>
Uscendo a sgranchirmi le gambe,
inquieto per quella nuova stella.<br/>
io ti vedrò dalla porta:
 
Un sempre più acceso bagliore rosseggiava<br/>
sola nel paltò autunnale,
su di lei, intenso di presagio,<br/>
senza cappello e calosce,
e accorrevano tre astrologi<br/>
che lotti col tuo turbamento
all'appello dei fuochi sconosciuti.<br/>
e mordi la neve alle labbra.
 
Li seguivano cammelli che portavano doni.<br/>
Gli alberi con gli steccati
E asinelli bardati, uno più piccolo<br/>
s'allontanano nel buio.
dell'altro, a passettini calavano dal monte.<br/>
Sola, sotto la nevicata,
E, in una strana visione dei tempi venturi,<br/>
là, all'angolo stai tu.
appariva in lontananza ogni cosa che poi avvenne.<br/>
Tutti i pensieri dei secoli, tutti i sogni, i mondi,<br/>
tutto il futuro delle gallerie e dei musei,<br/>
tutti gli scherzi delle fate, tutte le opere dei maghi,<br/>
tutti gli alberi di Natale al mondo, tutti i sogni dei bambini.<br/>
 
Tutto il tremolio delle candele accese, tutti i festoni,<br/>
Dalla treccia ti scivola l'acqua
tutta la magnificenza del variopinto luccichio...<br/>
sulle maniche, dentro il risvolto.
... sempre più aspro e furioso soffiava il vento della steppa...<br/>
E tra i capelli ti luccicano
... tutte le mele e i globi dorati...<br/>
goccioline di rugiada.
 
Una parte dello stagno era dietro gli ontani,<br/>
E c'è una ciocca bionda
ma l'altra anche di là si scorgeva,<br/>
che t'illumina il viso,
oltre i nidi dei corvi e le cime degli alberi.<br/>
il "fichu" e la figura
E potevano distinguere i pastori<br/>
e quel tuo paltoncino.
gli asini e i cammelli lungo l'argine.<br/>
«Andiamo anche noi, inchiniamoci al prodigio,»<br/>
dissero legandosi le pelli.<br/>
 
Camminare nella neve li aveva riscaldati.
Neve acquosa sulle tue ciglia,
Tracce di piedi nudi, come fogli di mica,
angoscia dentro i tuoi occhi,
guidavano alla capanna per la pianura luminosa.
e tutto il tuo aspetto è composto
Contro quelle tracce, come alla fiamma d'un moccolo,
come in un unico blocco.
ringhiavano i cani alla luce della stella.
 
La notte di gelo somigliava a una fiaba:<br/>
Quasi che con un ferro
dai monti nevosi, lungo tutto il cammino<br/>
intinto nell'antimonio
scendeva, invisibile, qualcuno fra loro.<br/>
t'avessero tracciata
I cani esitavano, guardavano inquieti<br/>
a tratto sul mio cuore.
e, in paurosa attesa, si stringevano ai pastori.<br/>
 
Per quella stessa via, per le stesse contrade<br/>
E lì, per sempre s'è incisa
degli angeli andavano, mescolati alla folla.<br/>
la dolcezza di quelle linee,
L'incorporeità li rendeva invisibili,<br/>
ed ecco che non m'importa
ma a ogni passo lasciavano l'impronta d'un piede.<br/>
che il mondo abbia un cuore di pietra.
 
Una folla di popolo si accalcava presso la rupe.<br/>
Ed è così che si sdoppia
Albeggiava. Apparivano i tronchi dei cedri.<br/>
tutta questa notte di neve
E a loro, «chi siete?» domandò Maria.<br/>
e io non so tracciare un segno
«Noi, stirpe dì pastori e inviati del cielo,<br/>
di confine tra te e me.
siamo venuti a cantare lodi a voi due.»<br/>
«Non si può, tutti insieme. Aspettate alla soglia.»<br/>
 
Nella foschia di cenere, che precede il mattino,<br/>
Perché, chi siamo e di dove,
battevano i piedi mulattieri e allevatori.<br/>
noi due già morti al mondo,
Gli appiedati imprecavano contro quelli a cavallo;<br/>
quando son solo le chiacchiere
e accanto al tronco cavo dell'abbeveratoio,<br/>
quel che resta di questi anni?
mugliavano i cammelli, scalciavano gli asini.<br/>
 
Albeggiava. Dalla volta celeste l'alba spazzava,<br/>
LA STELLA DI NATALE.
come granelli di cenere, le ultime stelle.<br/>
E della innumerevole folla solo i Magi<br/>
Maria lasciò entrare nell'apertura rocciosa.<br/>
 
Lui dormiva, splendente, in una mangiatoia di quercia,<br/>
Era pieno inverno.
come un raggio di luna dietro un albero cavo.<br/>
Soffiava il vento dalla steppa.
Invece di calde pelli di pecora,<br/>
E aveva freddo il neonato nella grotta
le labbra d'un asino e le nari d'un bue.<br/>
sul pendio della collina.
 
I Magi, nell'ombra, in quel buio di stalla,<br/>
L'alito del bue lo riscaldava.
sussurravano, trovando a stento le parole.<br/>
Animali domestici
A un tratto qualcuno, nell'oscurità,<br/>
stavano nella grotta,
con la mano scostò un poco a sinistra<br/>
sulla culla vagava un tiepido vapore.
dalla mangiatoia uno dei tre Magi;<br/>
e quello si voltò: sulla soglia, come in visita,<br/>
alla vergine guardava la stella di Natale.<br/>
<br/>
19. L'ALBA<br/>
 
Tutto significavi tu nel mio destino.<br/>
Scossi dalle pelli le paglie del giaciglio
Poi venne la guerra, lo sfacelo,<br/>
e i grani di miglio,
e per tanto, tanto tempo, di te<br/>
dalle rupi guardavano
non una notizia, non una parola.<br/>
assonnati i pastori gli spazi della mezzanotte.
 
E dopo tanti, tanti anni<br/>
Lontano, la pianura sotto la neve, e il cimitero
di nuovo la tua voce mi ha turbato.<br/>
e recinti e pietre tombali
Tutta la notte ho letto il tuo messaggio<br/>
e stanghe di carri confitte nella neve,
riprendendomi come da un deliquio.<br/>
e sul cimitero il cielo tutto stellato.
 
Ho voglia d'andare fra la gente, nella folla,<br/>
E lì accanto, mai vista sino allora,
fra la loro animazione mattutina.<br/>
più modesta d'un lucignolo
Sono pronto a mandare tutto in schegge<br/>
alla finestrella d'un capanno,
e a mettere tutti in ginocchio.<br/>
traluceva una stella sulla strada di Betlemme.
 
E corro giù per la scala,<br/>
Bruciava come un pagliaio, in disparte
come se uscissi per la prima volta<br/>
dal cielo e da Dio,
su queste strade di neve,<br/>
come il riverbero d'un incendio,
sul lastrico deserto.<br/>
come una fattoria a fuoco e le fiamme in un granaio.
 
Dovunque ci si alza, luci e intimità,<br/>
Si levava come un'infiammata bica
e chi prende il tè, chi s'affretta ai tram:<br/>
di paglia e di fieno
bastano pochi minuti<br/>
in mezzo a tutto l'universo
e la città ha tutto un altro volto.<br/>
inquieto per quella nuova stella.
 
Nei portoni la tormenta tesse<br/>
Un sempre più acceso bagliore rosseggiava
una rete di fiocchi fitti fitti,<br/>
su di lei, intenso di presagio,
e per fare in tempo tutti corrono,<br/>
e accorrevano tre astrologi
senza finir di bere e di mangiare.<br/>
all'appello dei fuochi sconosciuti.
 
Io per loro, per tutti sento<br/>
Li seguivano cammelli che portavano doni.
come se fossi nella loro pelle,<br/>
E asinelli bardati, uno più piccolo
anch'io mi sciolgo come si scioglie la neve,<br/>
dell'altro, a passettini calavano dal monte.
anch'io come il mattino aggrotto le ciglia.<br/>
E, in una strana visione dei tempi venturi,
appariva in lontananza ogni cosa che poi avvenne.
Tutti i pensieri dei secoli, tutti i sogni, i mondi,
tutto il futuro delle gallerie e dei musei,
tutti gli scherzi delle fate, tutte le opere dei maghi,
tutti gli alberi di Natale al mondo, tutti i sogni dei bambini.
 
E' come me gente senza nome,<br/>
Tutto il tremolio delle candele accese, tutti i festoni,
alberi, bambini, persone casalinghe.<br/>
tutta la magnificenza del variopinto luccichio...
'''Da loro tutti io sono vinto,<br/>
... sempre più aspro e furioso soffiava il vento della steppa...
e solo in questo è la mia vittoria.'''<br/>
... tutte le mele e i globi dorati...
<br/>
20. MIRACOLO<br/>
 
Andava da Betania a Gerusalemme,<br/>
Una parte dello stagno era dietro gli ontani,
oppresso anzi tempo dalla tristezza dei presentimenti.<br/>
ma l'altra anche di là si scorgeva,
Sull'erta, un cespuglio riarso;<br/>
oltre i nidi dei corvi e le cime degli alberi.
fermo, lì su una capanna, il fumo,<br/>
E potevano distinguere i pastori
e l'aria infocata e immobili i giunchi<br/>
gli asini e i cammelli lungo l'argine.
e assoluta la calma del Mar Morto.<br/>
«Andiamo anche noi, inchiniamoci al prodigio,»
dissero legandosi le pelli.
 
E, in un'amarezza più forte di quella del mare,<br/>
Camminare nella neve li aveva riscaldati.
andava con una piccola schiera di nuvole<br/>
Tracce di piedi nudi, come fogli di mica,
per la strada polverosa verso un qualche alloggio,<br/>
guidavano alla capanna per la pianura luminosa.
in città, a una riunione di discepoli.<br/>
Contro quelle tracce, come alla fiamma d'un moccolo,
ringhiavano i cani alla luce della stella.
 
E così immerso nelle sue riflessioni,<br/>
La notte di gelo somigliava a una fiaba:
che il campo per la melanconia prese a odorare d'assenzio.<br/>
dai monti nevosi, lungo tutto il cammino
Tutto taceva. Soltanto lui là in mezzo.<br/>
scendeva, invisibile, qualcuno fra loro.
E la contrada giaceva inerte in un deliquio.<br/>
I cani esitavano, guardavano inquieti
Tutto si confondeva: il calore e il deserto,<br/>
e, in paurosa attesa, si stringevano ai pastori.
e le lucertole e le fonti e i torrenti.<br/>
 
[[Un fico secco|Un fico]] si ergeva lì dappresso<br/>
Per quella stessa via, per le stesse contrade
senza neppure un frutto, solo rami e foglie.<br/>
degli angeli andavano, mescolati alla folla.
E lui gli disse: «A cosa servi?<br/>
L'incorporeità li rendeva invisibili,
Che gioia m'offre la tua aridità?<br/>
ma a ogni passo lasciavano l'impronta d'un piede.
 
Io ho sete e fame, e tu sei un fiore infecondo,<br/>
Una folla di popolo si accalcava presso la rupe.
e l'incontro con te è più squallido che col granito.<br/>
Albeggiava. Apparivano i tronchi dei cedri.
Come è offensiva la tua sterilità!<br/>
E a loro, «chi siete?» domandò Maria.
Resta così, dunque, sino alla fine degli anni.»<br/>
«Noi, stirpe dì pastori e inviati del cielo,
Per il legno passò il fremito della maledizione<br/>
siamo venuti a cantare lodi a voi due.»
come la scintilla del lampo nel parafulmine.<br/>
«Non si può, tutti insieme. Aspettate alla soglia.»
E il fico divenne cenere all'istante.<ref>Cfr. il Wikibook: ''[[Un fico secco]]'', 2020.</ref><br/>
 
Avessero avuto allora un attimo di libertà<br/>
Nella foschia di cenere, che precede il mattino,
le foglie, i rami, le radici e il tronco,<br/>
battevano i piedi mulattieri e allevatori.
le leggi della natura sarebbero forse intervenute,<br/>
Gli appiedati imprecavano contro quelli a cavallo;
Ma un miracolo è un miracolo e il miracolo è dio.<br/>
e accanto al tronco cavo dell'abbeveratoio,
Quando siamo smarriti, allora, in preda alla confusione,<br/>
mugliavano i cammelli, scalciavano gli asini.
istantaneo ci coglie alla sprovvista.<br/>
<br/>
21. LA TERRA<br/>
 
Nelle palazzine di Mosca<br/>
Albeggiava. Dalla volta celeste l'alba spazzava,
irrompe d'impeto la primavera.<br/>
come granelli di cenere, le ultime stelle.
Svolazzano via le tarme dall'armadio<br/>
E della innumerevole folla solo i Magi
e strisciano sui cappelli estivi,<br/>
Maria lasciò entrare nell'apertura rocciosa.
mentre si ripongono le pellicce nei bauli.<br/>
 
Lungo i mezzanini di legno<br/>
Lui dormiva, splendente, in una mangiatoia di quercia,
vengono esposti vasi di fiori<br/>
come un raggio di luna dietro un albero cavo.
con violacciocche d'ogni colore,<br/>
Invece di calde pelli di pecora,
e le stanze respirano aria aperta,<br/>
le labbra d'un asino e le nari d'un bue.
e sanno di polvere le soffitte.<br/>
 
La via è in rapporti molto familiari<br/>
I Magi, nell'ombra, in quel buio di stalla,
con quella finestra mezzo cieca,<br/>
sussurravano, trovando a stento le parole.
e la notte bianca e il tramonto<br/>
A un tratto qualcuno, nell'oscurità,
non riescono a incontrarsi presso il fiume.<br/>
con la mano scostò un poco a sinistra
dalla mangiatoia uno dei tre Magi;
e quello si voltò: sulla soglia, come in visita,
alla vergine guardava la stella di Natale.
 
E si può udire nel corridoio<br/>
L'ALBA.
ciò che succede nella vastità,<br/>
di cosa aprile discorra<br/>
con la goccia in casuale colloquio:<br/>
lui conosce mille storie<br/>
a proposito di pene umane.<br/>
E sugli steccati continuano a gelare<br/>
le luci dell'aurora e del crepuscolo,<br/>
con l'aria di tirarla ancora in lungo.<br/>
 
Ed è un eguale misto di fuoco e di sgomento<br/>
Tutto significavi tu nel mio destino.
all'aperto e nell'intimo delle dimore.<br/>
Poi venne la guerra, lo sfacelo,
E dappertutto l'aria non è più se stessa.<br/>
e per tanto, tanto tempo, di te
Così i trasparenti rami dei salici,<br/>
non una notizia, non una parola.
così i turgori delle bianche gemme,<br/>
sia alla finestra che al crocevia,<br/>
per la strada e nell'officina.<br/>
 
Perché mai piange lo spazio in una bruma<br/>
E dopo tanti, tanti anni
e ha un odore amaro la terra?<br/>
di nuovo la tua voce mi ha turbato.
Proprio in questo è la mia vocazione,<br/>
Tutta la notte ho letto il tuo messaggio
che non immalinconiscano gli spazi,<br/>
riprendendomi come da un deliquio.
che oltre l'ultima periferia<br/>
non soffra in solitudine la terra.<br/>
 
Per questo, appena è primavera,<br/>
Ho voglia d'andare fra la gente, nella folla,
gli amici si raccolgono da me,<br/>
fra la loro animazione mattutina.
e le nostre serate sono commiati,<br/>
Sono pronto a mandare tutto in schegge
i nostri festini ultime volontà:<br/>
e a mettere tutti in ginocchio.
perché la segreta corrente del dolore<br/>
riscaldi il freddo dell'esistenza.<br/>
<br/>
22. GIORNI CATTIVI<br/>
 
Quando nell'ultima settimana<br/>
E corro giù per la scala,
lui entrò a Gerusalemme,<br/>
come se uscissi per la prima volta
gli osanna gli risuonavano incontro,<br/>
su queste strade di neve,
dietro gli correva la gente con rami di palma.<br/>
sul lastrico deserto.
 
Ma poi, giorni sempre più cupi e crudeli,<br/>
Dovunque ci si alza, luci e intimità,
quando i cuori sono sordi all'amore,<br/>
e chi prende il tè, chi s'affretta ai tram:
il disprezzo solleva i sopraccigli,<br/>
bastano pochi minuti
ed ecco ch'è l'epilogo, la fine.<br/>
e la città ha tutto un altro volto.
 
Con tutta la sua pesantezza di piombo<br/>
Nei portoni la tormenta tesse
il cielo si schiacciava sulle strade.<br/>
una rete di fiocchi fitti fitti,
I farisei cercavano le proves<br/>
e per fare in tempo tutti corrono,
trisciandogli dinanzi come volpi.<br/>
senza finir di bere e di mangiare.
 
E dalle oscure forze del tempio<br/>
Io per loro, per tutti sento
fu dato in giudizio alla feccia:<br/>
come se fossi nella loro pelle,
con l'ardore con cui prima lo esaltavano,<br/>
anch'io mi sciolgo come si scioglie la neve,
maledizioni gli lanciavano adesso.<br/>
anch'io come il mattino aggrotto le ciglia.
 
Quelli dei quartieri intorno<br/>
E' come me gente senza nome,
sbirciavano oltre i cancelli;<br/>
alberi, bambini, persone casalinghe.
s'accalcavano spingendosi a ondate,<br/>
'''Da loro tutti io sono vinto,
attendendo la conclusione.<br/>
e solo in questo è la mia vittoria.'''
 
E, bisbigliate, corsero voci<br/>
MIRACOLO
nel vicinato e in molte altre parti.<br/>
E la fuga in Egitto e l'infanzia<br/>
già ricordavano come in un sogno.<br/>
 
Ricordavano il pendio maestoso<br/>
Andava da Betania a Gerusalemme,
del deserto e il dirupo da dove<br/>
oppresso anzi tempo dalla tristezza dei presentimenti.
Satana lo tentò con l'offerta<br/>
Sull'erta, un cespuglio riarso;
dell'impero dell'universo.<br/>
fermo, lì su una capanna, il fumo,
e l'aria infocata e immobili i giunchi
e assoluta la calma del Mar Morto.
 
E il banchetto di nozze a Cana,<br/>
E, in un'amarezza più forte di quella del mare,
e la tavola stupita del miracolo,<br/>
andava con una piccola schiera di nuvole
e il mare su cui camminando<br/>
per la strada polverosa verso un qualche alloggio,
tra la nebbia raggiunse la barca.<br/>
in città, a una riunione di discepoli.
 
E la ressa dei poveri nel tugurio,<br/>
E così immerso nelle sue riflessioni,
e la discesa con la candela nel sotterraneo,<br/>
che il campo per la melanconia prese a odorare d'assenzio.
che a un tratto s'era spenta atterrita<br/>
Tutto taceva. Soltanto lui là in mezzo.
quando il resuscitato si levò...<br/>
E la contrada giaceva inerte in un deliquio.
<br/>
Tutto si confondeva: il calore e il deserto,
23. MADDALENA<br/>
e le lucertole e le fonti e i torrenti.
 
'''I'''<br/>
[[Un fico secco|Un fico]] si ergeva lì dappresso
E' appena notte ed ecco qui il mio demone,<br/>
senza neppure un frutto, solo rami e foglie.
l'espiazione per il mio passato.<br/>
E lui gli disse: «A cosa servi?
Vengono e mi mordono il cuore<br/>
Che gioia m'offre la tua aridità?
i ricordi della dissolutezza,<br/>
quando, schiava dei capricci maschili,<br/>
ero una stolida ossessa<br/>
e la strada era il mio asilo.<br/>
 
Rimangono pochi minuti,<br/>
Io ho sete e fame, e tu sei un fiore infecondo,
poi verrà un silenzio di sepolcro.<br/>
e l'incontro con te è più squallido che col granito.
Ma prima che i minuti trascorrano,<br/>
Come è offensiva la tua sterilità!
la mia vita, arrivata all'orlo,<br/>
Resta così, dunque, sino alla fine degli anni.»
come un vaso d'alabastro<br/>
Per il legno passò il fremito della maledizione
infrango dinanzi a te.<br/>
come la scintilla del lampo nel parafulmine.
E il fico divenne cenere all'istante.<ref>Cfr. il Wikibook: ''[[Un fico secco]]'', 2020.</ref>
 
Oh, dove mai sarei adesso,<br/>
Avessero avuto allora un attimo di libertà
Maestro mio e mio Salvatore,<br/>
le foglie, i rami, le radici e il tronco,
se durante le notti accanto al tavolo<br/>
le leggi della natura sarebbero forse intervenute,
non mi aspettasse l'eternità,<br/>
Ma un miracolo è un miracolo e il miracolo è dio.
come un nuovo cliente, adescato<br/>
Quando siamo smarriti, allora, in preda alla confusione,
da me nella rete del mestiere.<br/>
istantaneo ci coglie alla sprovvista.
 
Ma di' cosa vuol dire peccato<br/>
LA TERRA
e morte e inferno, e fiamma e zolfo,<br/>
quando sotto gli occhi di tutti,<br/>
con te, come un pollone a un tronco,<br/>
mi sono congiunta nella mia angoscia senza fine.<br/>
 
Quando, Gesù, poggiati<br/>
Nelle palazzine di Mosca
i tuoi piedi alle mie ginocchia,<br/>
irrompe d'impeto la primavera.
apprendo forse ad abbracciare<br/>
Svolazzano via le tarme dall'armadio
la trave quadrangolare della croce<br/>
e strisciano sui cappelli estivi,
e, nello smarrimento dei sensi, sul tuo corpo<br/>
mentre si ripongono le pellicce nei bauli.
mi precipito preparandoti al seppellimento.<br/>
<br/>
'''II'''<br/>
Prima delle feste la gente fa le pulizie.<br/>
In disparte da tutto il tramestio,<br/>
io lavo con l'unguento dell'anfora<br/>
i tuoi purissimi piedi.<br/>
 
Cerco e non trovo più i sandali.<br/>
Lungo i mezzanini di legno
Non vedo nulla per le lagrime.<br/>
vengono esposti vasi di fiori
Sugli occhi in un velo mi sono ricadute<br/>
con violacciocche d'ogni colore,
le ciocche dei capelli disciolti.<br/>
e le stanze respirano aria aperta,
e sanno di polvere le soffitte.
 
Sul lembo della sottana ho posto i tuoi piedi,<br/>
La via è in rapporti molto familiari
li ho bagnati di lagrime, Gesù,<br/>
con quella finestra mezzo cieca,
ho intrecciato intorno a loro il filo di perle,<br/>
e la notte bianca e il tramonto
nei capelli li ho nascosti come in un burnus.<ref>''[[w:Burnus|Burnus]]'':ampio mantello con cappuccio di lana, perlopiù bianco, che costituisce l'elemento più tipico dell'abbigliamento maschile nell'Africa del Nord.</ref><br/>
non riescono a incontrarsi presso il fiume.
 
Vedo il futuro così nitidamente<br/>
E si può udire nel corridoio
come se tu l'avessi fermato.<br/>
ciò che succede nella vastità,
Mi sento adesso di presagire<br/>
di cosa aprile discorra
con fatidica chiaroveggenza di sibilla.<br/>
con la goccia in casuale colloquio:
lui conosce mille storie
a proposito di pene umane.
E sugli steccati continuano a gelare
le luci dell'aurora e del crepuscolo,
con l'aria di tirarla ancora in lungo.
 
Domani cadrà la tenda nel tempio;<br/>
Ed è un eguale misto di fuoco e di sgomento
noi ci raccoglieremo tutti insieme, in disparte,<br/>
all'aperto e nell'intimo delle dimore.
e vacillerà la terra sotto i piedi<br/>
E dappertutto l'aria non è più se stessa.
mossa forse a pietà di me.<br/>
Così i trasparenti rami dei salici,
così i turgori delle bianche gemme,
sia alla finestra che al crocevia,
per la strada e nell'officina.
 
Si ricomporranno le file della scorta,<br/>
Perché mai piange lo spazio in una bruma
e cominceranno a muoversi i cavalieri.<br/>
e ha un odore amaro la terra?
Come tromba d'aria, sopra la testa<br/>
Proprio in questo è la mia vocazione,
verso i cieli si tenderà questa croce.<br/>
che non immalinconiscano gli spazi,
che oltre l'ultima periferia
non soffra in solitudine la terra.
 
Mi getterò ai piedi della crocifissione,<br/>
Per questo, appena è primavera,
mi gelerà il cuore, mi morderò le labbra.<br/>
gli amici si raccolgono da me,
Per un troppo grande amplesso le braccia<br/>
e le nostre serate sono commiati,
tu allargherai alle estremità della croce.<br/>
i nostri festini ultime volontà:
perché la segreta corrente del dolore
riscaldi il freddo dell'esistenza.
 
Per chi al mondo tanta ampiezza,<br/>
GIORNI CATTIVI
tanto tormento e così grande forza?<br/>
Tante anime e vite sono al mondo?<br/>
Tanti i luoghi abitati e i fiumi e i boschi?<br/>
 
Ma trascorreranno tre giorni tali<br/>
Quando nell'ultima settimana
e apriranno un cosi grande vuoto,<br/>
lui entrò a Gerusalemme,
che in questo terribile frattempo<br/>
gli osanna gli risuonavano incontro,
avrò raggiunto la massima pienezza<br/>
dietro gli correva la gente con rami di palma.
per il momento della resurrezione.<br/>
<br/>
24. L'ORTO DEL GETSEMANI<br/>
 
Lo scintillio di lontane stelle un'indifferente<br/>
Ma poi, giorni sempre più cupi e crudeli,
luce gettava alla curva della strada.<br/>
quando i cuori sono sordi all'amore,
La strada aggirava il Monte degli Ulivi,<br/>
il disprezzo solleva i sopraccigli,
giù, sotto di lei, scorreva il Cedron.<br/>
ed ecco ch'è l'epilogo, la fine.
 
A metà strada la radura era interrotta.<br/>
Con tutta la sua pesantezza di piombo
Dietro cominciava la Via Lattea.<br/>
il cielo si schiacciava sulle strade.
Canuti, argentei ulivi tentavano<br/>
I farisei cercavano le proves
nell'aria passi verso la lontananza.<br/>
trisciandogli dinanzi come volpi.
 
In fondo, c'era un orto, un podere.<br/>
E dalle oscure forze del tempio
Lasciati i discepoli di là dal muro,<br/>
fu dato in giudizio alla feccia:
disse loro: «L'anima è triste fino alla morte,<br/>
con l'ardore con cui prima lo esaltavano,
rimanete qui e vegliate con me.»<br/>
maledizioni gli lanciavano adesso.
 
E rinunciò senza resistenza,<br/>
Quelli dei quartieri intorno
come a cose ricevute in prestito,<br/>
sbirciavano oltre i cancelli;
all'onnipotenza e al dono dei miracoli,<br/>
s'accalcavano spingendosi a ondate,
e fu allora come un mortale, come noi.<br/>
attendendo la conclusione.
 
Le distanze della notte ora parevano<br/>
E, bisbigliate, corsero voci
la landa dell'annichilimento e dell'inesistenza.<br/>
nel vicinato e in molte altre parti.
La distesa dell'universo disabitata,<br/>
E la fuga in Egitto e l'infanzia
e solo l'orto un luogo capace di vita.<br/>
già ricordavano come in un sogno.
 
E guardando quei neri sprofondi,<br/>
Ricordavano il pendio maestoso
vuoti, senza principio né fine,<br/>
del deserto e il dirupo da dove
perché quel calice di morte via da lui passasse<br/>
Satana lo tentò con l'offerta
in un sudore di sangue pregò il padre suo.<br/>
dell'impero dell'universo.
 
Lenito dalla preghiera lo spasimo mortale,<br/>
E il banchetto di nozze a Cana,
tornò di là dalla siepe. Per terra<br/>
e la tavola stupita del miracolo,
i discepoli, vinti dal sonno,<br/>
e il mare su cui camminando
giacevano nell'erba sul ciglio della strada.<br/>
tra la nebbia raggiunse la barca.
 
Li destò: «Il Signore vi ha scelti a vivere<br/>
E la ressa dei poveri nel tugurio,
nei miei giorni, ed eccovi crollati come massi.<br/>
e la discesa con la candela nel sotterraneo,
L'ora del figlio dell'uomo è venuta.<br/>
che a un tratto s'era spenta atterritaquando il resuscitato si levò...
Egli si darà in mano ai peccatori.»<br/>
 
E aveva appena parlato che, chissà da dove,<br/>
MADDALENA
ecco una folla di servi, una torma di vagabondi,<br/>
torce e spade e, davanti a tutti, Giuda<br/>
col bacio del tradimento sulle labbra.<br/>
 
Pietro tenne testa con la spada agli sgherri<br/>
1
e un orecchio a uno di loro mozzò.<br/>
E' appena notte ed ecco qui il mio demone,l'espiazione per il mio passato.Vengono e mi mordono il cuorei ricordi della dissolutezza,quando, schiava dei capricci maschili,ero una stolida ossessae la strada era il mio asilo.Rimangono pochi minuti,poi verrà un silenzio di sepolcro.Ma prima che i minuti trascorrano,la mia vita, arrivata all'orlo,come un vaso d'alabastroinfrango dinanzi a te.Oh, dove mai sarei adesso,Maestro mio e mio Salvatore,se durante le notti accanto al tavolonon mi aspettasse l'eternità,come un nuovo cliente, adescatoda me nella rete del mestiere.Ma di' cosa vuol dire peccatoe morte e inferno, e fiamma e zolfo,quando sotto gli occhi di tutti,con te, come un pollone a un tronco,mi sono congiunta nella mia angoscia senza fine.Quando, Gesù, poggiatii tuoi piedi alle mie ginocchia,apprendo forse ad abbracciarela trave quadrangolare della crocee, nello smarrimento dei sensi, sul tuo corpomi precipito preparandoti al seppellimento.MADDALENA.2Prima delle feste la gente fa le pulizie.In disparte da tutto il tramestio,
Ma sente: «Non col ferro si risolve la contesa,<br/>
io lavo con l'unguento dell'anforai tuoi purissimi piedi.Cerco e non trovo più i sandali.Non vedo nulla per le lagrime.Sugli occhi in un velo mi sono ricadutele ciocche dei capelli disciolti.Sul lembo della sottana ho posto i tuoi piedi,li ho bagnati di lagrime, Gesù,ho intrecciato intorno a loro il filo di perle,nei capelli li ho nascosti come in un burnus.Vedo il futuro così nitidamentecome se tu l'avessi fermato.Mi sento adesso di presagirecon fatidica chiaroveggenza di sibilla.Domani cadrà la tenda nel tempio;noi ci raccoglieremo tutti insieme, in disparte,e vacillerà la terra sotto i piedimossa forse a pietà di me.Si ricomporranno le file della scorta,e cominceranno a muoversi i cavalieri.Come tromba d'aria, sopra la testaverso i cieli si tenderà questa croce.Mi getterò ai piedi della crocifissione,mi gelerà il cuore, mi morderò le labbra.Per un troppo grande amplesso le bracciatu allargherai alle estremità della croce.Per chi al mondo tanta ampiezza,tanto tormento e così grande forza?Tante anime e vite sono al mondo?Tanti i luoghi abitati e i fiumi e i boschi?Ma trascorreranno tre giorni talie apriranno un cosi grande vuoto,che in questo terribile frattempoavrò raggiunto la massima pienezzaper il momento della resurrezione.
rimetti a posto la tua spada, uomo.<br/>
L'ORTO DEL GETSEMANI.Lo scintillio di lontane stelle un'indifferenteluce gettava alla curva della strada.La strada aggirava il Monte degli Ulivi,giù, sotto di lei, scorreva il Cedron.A metà strada la radura era interrotta.Dietro cominciava la Via Lattea.Canuti, argentei ulivi tentavanonell'aria passi verso la lontananza.In fondo, c'era un orto, un podere.Lasciati i discepoli di là dal muro,disse loro: «L'anima è triste fino alla morte,rimanete qui e vegliate con me.»E rinunciò senza resistenza,come a cose ricevute in prestito,all'onnipotenza e al dono dei miracoli,e fu allora come un mortale, come noi.Le distanze della notte ora parevanola landa dell'annichilimento e dell'inesistenza.La distesa dell'universo disabitata,e solo l'orto un luogo capace di vita.E guardando quei neri sprofondi,vuoti, senza principio né fine,perché quel calice di morte via da lui passassein un sudore di sangue pregò il padre suo.Lenito dalla preghiera lo spasimo mortale,tornò di là dalla siepe. Per terrai discepoli, vinti dal sonno,giacevano nell'erba sul ciglio della strada.Li destò: «Il Signore vi ha scelti a viverenei miei giorni, ed eccovi crollati come massi.L'ora del figlio dell'uomo è venuta.Egli si darà in mano ai peccatori.»E aveva appena parlato che, chissà da dove,ecco una folla di servi, una torma di vagabondi,torce e spade e, davanti a tutti, Giuda
col bacio del tradimento sulle labbra.Pietro tenne testa con la spada agli sgherrie un orecchio a uno di loro mozzò.Ma sente: «Non col ferro si risolve la contesa,rimetti a posto la tua spada, uomo.Pensi davvero che il padre mio di legioni alatequi, a miriadi, non m'avrebbe armato?E allora, impotenti a torcermi un capello,i nemici si sarebbero dispersi senza traccia.Ma il libro della vita è giunto alla paginapiù preziosa d'ogni cosa sacra.Ora deve compiersi ciò che fu scritto,lascia dunque che si compia. Amen.Il corso dei secoli, lo vedi, è come una parabolae può prendere fuoco in piena corsa.In nome della sua terribile grandezzascenderò nella bara fra volontari tormenti.Scenderò nella bara e il terzo giorno risorgerò,e, come le zattere discendono i fiumi,per il giudizio, a me, come chiatte in carovana,affluiranno i secoli dall'oscurità.»
 
Pensi davvero che il padre mio di legioni alate<br/>
qui, a miriadi, non m'avrebbe armato?<br/>
E allora, impotenti a torcermi un capello,<br/>
i nemici si sarebbero dispersi senza traccia.<br/>
 
Ma il libro della vita è giunto alla pagina<br/>
più preziosa d'ogni cosa sacra.<br/>
Ora deve compiersi ciò che fu scritto,<br/>
lascia dunque che si compia. Amen.<br/>
 
Il corso dei secoli, lo vedi, è come una parabola<br/>
NOTE.60. - "Tiutcev": Fëdor I. Tjutcev, poeta russo (1803-1873).61. - "Arzamàs": società letteraria di cui fu membro, accanto ad altri poeti escrittori, anche il giovane Pushkin.62. - «Och-nìs! Och-nis! Och-nìs!»: «Ridestati, ritorna in te!»63. - "fughe di scolaretti... in America": da un racconto di Cechov.64. - "kasha": sorta di polentina russa di grano saraceno.65. - "Leiba": sinonimo di giudeo nel linguaggio popolare.66. - "trudovik": del partito dei Trudoviki, d'orientamento populista.67. - "Lìdochka": diminutivo di Lida, nome femminile, qui in tono ironico.68. - "kulici": pane pasquale.69. - "paschi": dolce pasquale.70. - "Il sabotatore ...": Invece di "sabotaznik" (sabotatore), Goshka dice"savataznik": da qui, scomponendo la parola in "so" (con) e "vataga" (banda),la spiegazione.
e può prendere fuoco in piena corsa.<br/>
71. - "stàrosta": l'anziano, il capo della comunità.72. - "domovòj": lo spirito protettore della casa.73. - L'affinità fra il testo del Salmo e la corruzione popolare, fondatanell'originale su parole ed espressioni male intese, si perde naturalmente quasidel tutto con la traduzione.74. - "Duchobory": setta religiosa che respinge i dogmi e la Chiesa.75. - "kurgàn": tumulo.76. - "opríchnik": guardie di Ivan il Terribile, rappresentanti dell'arbitrio edello strapotere dell'autocrazia.77. - "rusalka": ondina, sirena.78. - "Cronache di Nòvgorod e di Ipat'ev": cronache dell'antica Russia (sec.decimo-sedicesimo).79. - "Gubzdràc": comitato di sanità.80. - "Gubono": comitato distrettuale dell'istruzione popolare.81. - "uomo nell'astuccio": dall'omonimo racconto di Cechov.82. - "Oblzdràv": comitato regionale di sanità.83. - "Lama ... Chutucht": sacerdoti e dignitari della Mongolia.84. - "churultai: parlamento mongolo.85. - "ispolkòm": comitato esecutivo.86. - "Egorij il Coraggioso": San Giorgio.87. - "Georgii il Vittorioso": San Giorgio.88. - "studenti «con le fodere bianche»": allusione al berretto con le foderinebianche degli studenti dell'epoca.89. - "delle vie Tverskaja e Jamskaia": vie malfamate della Moscaprerivoluzionaria,90. - "papacha": berretto di pelliccia.91. - "e dicevano «sta così»": cioè adottavano forme del linguaggio popolare.92. - "zags": sigla di "Zapis' aktov grazdanskogo sostjanija" (Registrazionedegli atti di stato civile).93. - "senza diritti": in russo: "lishenec", cioè chi, prima della Costituzione del1936, era privo di diritti civili, per motivi di censo.94. - "besprizòrnye": ragazzi abbandonati, nel periodo della guerra civile.95. - "Gulag": sigla di "Gosudarstvennoe Vpravlenie Lagerei" (Direzionestatale dei campi).96. - "Ezov" commissario agli interni.97. - "Bezòzoceredeva": come a dire «fuori fila», e fila è la parola usata per lecode davanti ai negozi eccetera, specie in tempo di tesseramento.98. - Usignuolo brigante, personaggio del folklore russo, di cui si parla nelromanzo. L'espressione «a sette gole» vuol tradurre il «sulle sette querce» deltesto che, oltre ad avere uno specifico riferimento a un motivo folkloristico, haanche il significato di canto spiegato.99. - Specie di villa di campagna.100. - Strumento musicale popolare
In nome della sua terribile grandezza<br/>
scenderò nella bara fra volontari tormenti.<br/>
 
Scenderò nella bara e il terzo giorno risorgerò,<br/>
e, come le zattere discendono i fiumi,<br/>
per il giudizio, a me, come chiatte in carovana,<br/>
affluiranno i secoli dall'oscurità.»<br/>
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