Ebraicità del Cristo incarnato/Concetti divini: differenze tra le versioni

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= Mappatura dei concetti greco-romani di divinità nell'ebraismo =
[[File:PLATE4DX.jpg|230px|left|thumb|[[w:Sommo sacerdote|Sommo Sacerdote]] e [[w:Levita|Levita]] nel [[w:Regno di Giuda|Regno di Giuda]]<br/><small>(le illustrazioni della [[w:Menorah|Menorah]] e degli altri oggetti sacri sono ispirati dai bassorilievi dell'[[w:Arco di Tito|Arco di Tito]])</small>]]
Negli ultimi anni, come ha osservato Michael Peppard, un certo numero di specialisti di storia greco-romana hanno ribaltato ipotesi di vecchia data su come il mondo antico considerava la divinità, in particolare per quanto riguarda se un imperatore o un re potesse o meno essere divino.<ref>Michael Peppard, ''The Son of God in the Roman World: Divine Sonship in its Social and Political Context'' (Oxford: Oxford University Press, 2011), 31–44.</ref> Nel vecchio paradigma della divinità, gli studiosi presumevano che le persone non adorassero imperatori o re viventi perché "c'era una linea di demarcazione assoluta tra il reame del divino e il reame dell'umano".<ref>Peppard, ''The Son of God'', 34.</ref> Ciò dipendeva in gran parte dagli scritti di antichi intellettuali come come Cicerone e Varrone e un'interpretazione errata delle visioni del mondo platoniche e cristiane: questi studiosi presumevano che Dio fosse "totalmente Altro" e quindi non avesse nulla a che fare con il reamegno umano.<ref>Peppard, ''The Son of God'', 35. Da notare che qui Peppard cita e traduce da [[w:Rudolf Otto|Rudolf Otto]], che affermava che Dio era ''das ganz Andere''.</ref> Per estensione, supponevano anche che, per gli antichi, i termini Dio e divino fossero sinonimi, cosicché solo gli dei del pantheon greco-romano, e nulla di ciò che era stato creato, potevano essere definiti come "divini". Questa tendenza è particolarmente evidente nel lavoro dello studioso tedesco [[:de:w:Otto Weinreich|Otto Weinreich]], che scrive:
{{q|Se parliamo di "umanità divina", allora riuniamo due concetti tra i quali sembra trovarsi una distanza assoluta: Dio e Umano. Più assoluta è l'essenza di Dio, più fragile è l'essenza dell'umano, tanto più profondo è il divario abissale, tanto più grande è la tensione tra i due poli.<ref>Otto Weinreich, "Antikes Gottmenschentum", in ''Neue Jahrbücher für Wissenschaft und Jugenbildung'' 2 (1926): 633; rist. in ''Römischer Kaiserkult'', cur. Antoinie Wlosok; Wege der Forschung 372 (Darmstadt: Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1978), 55. Per una trad. da {{de}} a {{en}} cfr. Peppard, ''Son of God'', 34–35.</ref>}}
In contrasto, ora – come ha notato Peppard – molti studiosi greco-romani sostengono una comprensione più scalare della divinità, intesa non in termini di essenza assoluta, ma piuttosto di grado e potenza (vedi anche le mie discussioni nel Capitolo II).<ref>In effetti, Peppard nota esplicitamente come molti storici greco-romani ora vedano la "divinità nel mondo romano" non come "un'essenza o natura, ma come concetto di ''status'' e potenza nello spectrum cosmico che non aveva linee di divisione assolute". Cfr. Peppard, ''Son of God'', 31.</ref> Citando testimonianze archeologiche da antiche iscrizioni su papiri, e da amuleti e giuramenti comuni, questi studiosi dimostrano che le persone adoravano l'imperatore anche mentre era in vita, o almeno adoravano il suo ''[[w:Genio (divinità)|genius]]'' o ''[[w:numen|numen]]''. Per "gli antichi", dicono gli storici, "la linea di demarcazione tra dio e uomo non era così costante e netta, o l'intervallo così ampio, come pensiamo naturalmente".<ref>Arthur Darby Nock, "Notes on Ruler Cult I-IV", ''JHS'' 48 (1928): 31; rist. in ''Essays on Religion and the Ancient World'', 2 voll., cur. Zeph Stewart (Cambridge, Mass.: Harvard University Press, 1972), 1:145</ref> Parimenti, poiché l'imperatore era il ''[[w:pontefice massimo (storia romana)|pontifex maximus]]'', la frattura apparente tra Dio e umanità era "non [così] completamente incolmabile" come si potrebbe supporre.<ref>Hans-Josef Klauck, ''Die religiöse Umwelt des Urchristentums II: Herrscher- und Kaiserkult, Philosophie, Gnosis'' (Kohlhammer-Studienbücher Theologie 9.2; Stuttgart: Kohlhammer, 1996), 72.</ref> Alla luce di questa evidenza, altri sono persino arrivati ​​al punto di abbandonare del tutto l'assunzione dei poli fissi di umanità e divinità e hanno invece sostenuto che la divinità nel mondo antico era un continuum dinamico, un gradiente cosmico piuttosto che un divario incolmabile.<ref>Ittai Gradel, ''Emperor Worship and Roman Religion'' (Oxford: Clarendon Press, 2002).</ref>
 
In questo capitolo, propongo che in vari scritti ebraici prodotti al volgere dell'era volgare, il Sommo sacerdote ebreo – come l'imperatore del mondo greco-romano – si trovava in un punto diverso su questo continuum dinamico della divinità di quanto non si sia precedentemente presupposto; e che partecipando alle azioni stesse dell'Altissimo Dio di Israele, egli assumeva corporalmente qualcosa dell'essenza del Dio supremo di Israele. Naturalmente, ciò non significa che gli ebrei pensassero che il Sommo sacerdote fosse Dio incarnato. Per fare una simile affermazione, avrebbero dovuto credere che il Sommo sacerdote, come il Dio supremo, fosse un essere increato, mentre tutti i testi di questo periodo descrivono chiaramente il Sommo sacerdote all'interno del reame creato.<ref>Filone, ''Somn.'' 2.189, che discuterò di seguito, presenta un quadro leggermente modificato di questa affermazione, ma la condizione del Sommo sacerdote come né creato né increato si verifica solo in un particolare giorno dell'anno, quando il Sommo sacerdote entra nel [[w:Santo dei Santi|Santo dei Santi]] per espiare i peccati della popolazione.</ref> Molti autori di questi testi ebbero persino un contatto diretto con gli attuali Sommi sacerdoti al potere a Gerusalemme. Conoscendo personalmente le carenze di questi uomini, tali autori probabilmente avrebbero negato categoricamente che il Sommo sacerdote fosse il Sommo Dio di Israele. In effetti, una simile affermazione sarebbe stata considerata blasfema.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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