Thomas Bernhard/Fuoco: differenze tra le versioni

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Questa storia di un aspirante alla fama distrutto dall'incontro con il suo rivale ha come controparte, tuttavia, la storia contrastante dell'incontro creativo tra un maestro e un discepolo che è ispirato a produrre i suoi risultati creativi unici. "Citando" i suoi propri precursori nei suoi romanzi, Bernhard è libero, a sua volta, di essere Schopenhauer, Montaigne, [[w:Blaise Pascal|Pascal]] o uno qualsiasi dei suoi altri modelli, senza per un momento rischiare l'agonia potenzialmente suicida che ha portato alla morte di Wertheimer o mai sospettando che egli stesso sia semplicemente un epigone derivato. I costanti omaggi di Bernhard ai suoi precursori attirano l'attenzione sul modo molto originale in cui egli crea una "ripetizione velata" delle caratteristiche del loro lavoro. Così Schopenhauer, Montaigne e Pascal, come anche [[w:Johann Sebastian Bach|Bach]] e Wittgenstein, ritornano nella ''oeuvre'' di Bernhard non solo come nomi piamente recitati ma nella forma inquietante delle creazioni romanzesche a cui hanno contribuito. Bernhard, in effetti, li fa risorgere all'interno di un reame di attività culturale – la fantasia narrante – in cui i loro successi non avrebbero mai potuto concedere d'entrare.
 
Bernhard aveva memorabilmente espresso l'effetto potenzialmente distruttivo dell'incontro tra l'ammirato maestro e il suo discepolo quando descrisse la sua problematica relazione con Ludwig Wittgenstein: "La domanda è se posso scrivere anche solo per un momento su Wittgenstein senza distruggere lui (Wittgenstein) o me stesso (Bernhard)... Wittgenstein è un richiamo a cui non posso rispondere... Quindi, non scrivo di Wittgenstein non perché non posso, ma piuttosto perché non posso reagire a lui."<ref>Aldo Gargani, ''La frase infinita di Thomas Bernhard'', Editori Laterza, 1990, p. 8.</ref> In ''Der Untergeher'' Bernhard rappresenta nella persona di Wertheimer il destino del discepolo che non sfugge mai all’''impasse'' in cui il maestro lo ha condotto. Allo stesso tempo egli implica, attraverso l'attività creativa del narratore, la possibilità di incontrare il maestro senza sacrificare la propria originalità.
 
Wertheimer è portato a un atto di autodistruzione dalla sua tragica incapacità di voler essere chiunque altro diverso da Glenn Gould. La sua folle convinzione che l'esecuzione di Gould delle ''[[w:Variazioni Goldberg|Variazioni Goldberg]]'' sia il modello irraggiungibile che deve, lottando contro ogni speranza, cercar di emulare nella propria interpretazione lo condanna alla totale disperazione. L'autodisprezzo a cui è guidato dalla sua ossessione lo porta, poco prima del suo suicidio, ad acquistare "un pianoforte a coda di nessun valore, un pianoforte atrocemente scordato. Uno strumento di nessun valore, uno strumento atrocemente scordato" sul quale eseguirà una versione grottescamente autodeprecante della musica, la cui ''performance'' da parte di Glenn Gould aveva terminato catastroficamente le sue stesse aspirazioni alla grandezza.<ref> </ref>Citazioni da ''Il soccombente'', p. 186.</ref>
 
Il narratore, tuttavia, trasformerà il suo incontro con Glenn Gould nell'occasione creativa del romanzo che sta per scrivere: "Scrivendo su uno (Glen Gould), farò chiarezza in me stesso sull'altro (Wertheimer), pensai, sentendo di continuo, per poter scrivere su di esse, la ''Variazioni Goldberg'' (e l’''Arte della fuga'') dell'uno (di Glenn). riuscirò a sapere e dunque ad annotare sempre più cose sull'arte (o la non arte!) dell'altro (di Wertheimer), pensai" (p. 173). Come Wertheimer, che si preparò alla morte ascoltando le ''Variazioni Goldberg'', il narratore concluderà la sua storia su Wertheimer ascoltando una registrazione di questo pezzo: "Se la cosa mi poteva in qualche modo interessare, disse Franz rivolgendosi a me, un giorno mi avrebbe descritto che cosa furono a Traich i giorni e le settimane che seguirono. Io pregai Franz di lasciarmi da solo per un po' nella stanza di Wertheimer e misi il disco della ''Variazioni Goldberg'' di Glenn che avevo visto appoggiato sul piatto del grammofono di Wertheimer, che ra ancora aperto" (p. 186). Piuttosto che competere con Gould secondo i termini del pianista, il narratore ripeterà i di lui successi sotto forma di un'opera letteraria che, con il suo tema e la sua struttura di variazioni, sarà parallela alla registrazione a cui ha ascoltato.
 
Alludendo alle ''Variazioni Goldberg'' nella frase conclusiva del romanzo, Bernhard riconosce la fonte del suo romanzo, non tanto nei vari dettagli della vita di Wertheimer a Traich che Franz gli avrebbe fornito, quanto nel geniale risultato musicale che ora emulerà. La sopravvivenza del narratore al suo incontro con Glenn Gould è in parallelo con il successo di Gould nell'incontro con Bach, senza ''soccombere'' alle ansie per la propria tardività. Il fatto che Gould abbia raggiunto l'immortalità come interprete dell'opera di uno dei più grandi compositori musicali mai esistiti, prefigura l'appropriazione letteraria di Bach da parte di Bernhard, non solo in ''Der Untergeher'', ma in tutta la sua intera ''oeuvre'' letteraria.
 
Come ha osservato Heinz Kuehn, la chiave per comprendere la grandezza di Bernhard sta nel riconoscere il modo letterario profondamente originale in cui si è appropriato dei suoi modelli filosofici. Kuehn sostiene giustamente che "Non si può prendere alla lettera Bernhard" e che leggerlo come se fosse un filosofo "significherebbe fraintenderlo" (550). Riconosce a Bernhard il merito di aver portato alla visione pessimistica che eredita dai suoi precursori un linguaggio narrativo radicalmente originale:
{{q|È una prosa che martella senza pietà i nervi del lettore con la ripetizione senza fine e l'elaborazione di alcuni temi di base, ma lo costringe anche a guardare, se uno vuole, "verso il cielo", per lasciarsi commuovere da quei brani in cui l'amore di Bernhard per la natura, per le persone semplici, per i bambini e gli animali, per un buon matrimonio e una buona vita familiare, per la compassione verso la sofferenza e i derelitti, irrompe e redime la desolazione e l'oscurità che pervadono le sue storie. A rafforzare e talvolta contraddire, per non dire negare, l'ambiguità del suo credo nichilista sta la sua gioia nel giocare con le parole e inventarne di nuove – un'inventiva quasi persa anche nella migliore delle traduzioni italiane – e la sua ovvia gioia nello scrivere.<ref>Heinz Kuehn, "On Reading Thomas Bernhard." Sewanee Review 105 (1997): 550-51.</ref>}}
La '''prosa mantrica''' di Bernhard, infatti, esegue per i suoi lettori l'opera redentrice che Kuehn le attribuisce. Altrettanto importante, permette a Bernhard stesso di affermare la sua totale originalità, assorbendo allo stesso tempo le miriadi di influenze dei suoi predecessori. Le sue ripetizioni creative della loro opera – che trascendono il doppio vincolo di emulazione e autonomia che avevano portato i suoi protagonisti all'autodistruzione – producono uno dei risultati letterari più profondi e affermativi del trascorso millennio.
{{Vedi anche|Thomas Bernhard/Opere|Emozioni e percezioni|Infinità e generi|Ragionamento sull'assurdo|etichetta3=Generi letterari}}
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<references/></div>
 
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[[Categoria:Thomas Bernhard|Fuoco]]