Thomas Bernhard/Fuoco: differenze tra le versioni

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Le ripetizioni potenzialmente imbarazzanti e infelici che Bernhard adopera per scopi estetici in questi passaggi sono anche evidenti nel suo continuo ricorso al discorso riportato, che richiede che il narratore secondario ripeta le parole dei testimoni da cui dipende per il suo resoconto degli eventi. Il narratore di ''Das Kalkwerk'' esemplifica questo dispositivo quando riconosce i vari abitanti locali che hanno contribuito alla sua conoscenza degli eventi che hanno preceduto e seguito l'omicidio della moglie da parte di Konrad. In tutto il romanzo, comprendiamo che il resoconto che stiamo ascoltando nella sua voce ha le proprie origini nelle voci delle quali è diventato, per così dire, un trasmettitore.
 
Bernhard sottolinea questa qualità imitativa della voce narrativa in modi sempre più espliciti nei suoi romanzi successivi. Pertanto il narratore di ''Korrektur'' baserà la sua narrazione sulle note frammentarie che Roithamer aveva scritto prima della sua morte. Per tutta la seconda parte della sua narrazione, spesso punteggerà il suo testo con interpolazioni sotto forma di chiarimenti come "ha scritto Roithamer" o "così Roithamer". In questo modo richiamerà costantemente l'attenzione sul fatto che la voce narrativa, che altrimenti gli attribuiremmo istintivamente, è in realtà Roithamer. Allo stesso modo, in ''Alte Meister'' pensiamo di ascoltare l'inimitabile voce di Reger, le cui formidabili denunce ci risuonano ancora nelle orecchie molto tempo dopo aver completato la nostra lettura. In realtà, tuttavia, come Bernhard ci ricorderà periodicamente, abbiamo effettivamente ascoltato dall'inizio alla fine una "registrazione" di questa voce magistrale che è passata, prima, attraverso un manoscritto lasciato da Atzbacher e, poi, attraverso la "performance" di questo manoscritto messo in scena per noi dal narratore anonimo.
 
La rappresentazione più memorabile di Bernhard di un oratore la cui voce presumibilmente personale fa effettivamente eco alle voci degli altri si trova nella raccolta ''Der Stimmenimitator (L'imitatore di voci)'', dove nella trama del titolo, un imitatore professionista entusiasma il pubblico con la sua straordinaria capacità di imitare perfettamente il modo di parlare di varie rinomate personalità. Quando, tuttavia, gli viene chiesto di imitare la propria voce, è costretto ad ammettere che non riesce a farlo. Come il protagonista di questa particolare vignetta, il narratore della raccolta stessa "si esibirà" per i suoi lettori citando le parole di testimoni anonimi e le relazioni dei giornali riguardo a storie di "interesse umano" che egli racconta.
{{Vedi anche|Thomas Bernhard/Opere|Emozioni e percezioni|Infinità e generi|Ragionamento sull'assurdo}}
 
L'uso del discorso da parte di Bernhard – che consente ai suoi narratori di parlarci solo a condizione che ripetano le parole degli altri – serve come risposta creativa alle ansie potenzialmente distruttive provocate dalla scoperta della propria "tardività". Ognuno dei romanzi di Bernhard mette in primo piano la paura di perdere la propria personalità distintiva attraverso il contatto con un'altra personalità più dominante. Il narratore di ''Holzfällen'', ad esempio, allude ripetutamente alla sua convinzione che, nel consentire alla sua personalità di essere plasmata dall'alto ceto viennese, da cui è stato, per così dire, adottato, ha perso (come l'imitatore di voci, sotto questo aspetto) il contatto con il suo sé autentico. Si lamenta che tutta la sua vita sia stata "simulata" (60) e si rammarica della vita che ha inevitabilmente trascorso come "scimmia della società" (87) e come "buffone di Salisburgo".<ref>Citazioni da ''Holzfällen. Eine Erregung'' (''A colpi d'ascia. Un'irritazione'', 1990), 1984, pp. 60, 87, 89.</ref>
 
Il narratore non è, tuttavia, solo, poiché in questo romanzo il destino di ogni personaggio è di abbandonare l'autenticità personale per svolgere un ruolo il cui compimento richiede la sua autoalienazione. Riconosce, ad esempio, che i suoi ospiti, gli Auersberger, sono essi stessi "scimmie" e che Jeannie Billroth – "la Virginia Woolf viennese" – possiede una reputazione che la eleva attraverso l'associazione con un genio riconosciuto, ma che consegna i suoi successi a un mero stato derivato. La trasformazione autoalienante di Jeannie nell'immagine di [[w:Virginia Woolf|Virginia Woolf]] è essa stessa il modello di una serie di autotradimenti in cui gli autori scambiano la loro autenticità con il successo letterario:
{{q|Mentre Jeannie ha sempre avuto la sua fissazione di Virginia Woolf e quindi ha sofferto di una specie di malattia viennese di Virginia Woolf, Schreker ha sempre avuto la fissazione di [[w:Marianne Moore|Marianne Moore]] e [[w:Gertrude Stein|Gertrude Stein]] e ha sofferto della malattia di Marianne Moore e Gertrude Stein. All'inizio degli anni sessanta, entrambi trasformarono improvvisamente le loro follie letterarie e le loro fissazioni letterarie, che negli anni Cinquanta erano senza dubbio pazzie e vere e proprie malattie, in una posa, una posa letteraria appositamente costruita, una posa letteraria multiuso, al fine di rendersi attraenti a politici munifici, uccidendo così senza scrupoli qualsiasi letteratura avessero dentro di loro per amore di un'esistenza venale come destinatari del patrocinio dello stato.|''A colpi d'ascia'', pp. 144-45}}
La paura che le nostre azioni non siano le nostre, che siano, piuttosto, i sottoprodotti dell'influenza esercitata su di noi dagli altri, è memorabilmente espressa in ''Der Untergeher (Il soccombente)'' da Wertheimer, l'omonimo protagonista che si lamenta con il narratore: "noi non esistiamo, siamo fatti esistere" (47). Lo stesso Wertheimer mostra in modo grottesco l'incapacità di pensiero e d'azione autonomi a cui i personaggi di Bernhard e, per inferenza, tutti gli esseri umani sono inclini. Come spiega il narratore: "Wertheimer non era capace di vedere ''se stesso come un essere unico al mondo'', mentre in effetti è così che ciascuno di noi può e deve concedersi di vedere se stesso se non vuole cadere in balìa della disperazione, ogni essere umano, comunque sia fatto, è un essere unico al mondo, io stesso me lo dico di continuo e con questo son salvo... Wertheimer invece non aveva questa possibilità,
perciò volle sempre essere soltanto Glenn Gould o appunto [[w:Gustav Mahler|Gustav Mahler]] o [[w:Wolfgang Amadeus Mozart|Mozart]] e compagni, pensai" (p. 105). Il narratore diagnostica Wertheimer come "emulatore inconsolabile" che non può resistere cercando di essere come chiunque egli consideri suo superiore. Così poi l'unico intento di Wertheimer "è stato quello di diventare quel che si dice un secondo Schopenhauer II, un secondo Kant, un secondo [[w:Novalis|Novalis]], sottolineando queste sue titubanze pseudofilosofiche con [[w:Johannes Brahms|Brahms]] e [[w:Georg Friedrich Händel|Händel]], [[w:Fryderyk Chopin|Chopin]] e [[w:Sergej Vasil'evič Rachmaninov|Rachmaninov]]" (p. 121). Il suo destino profondamente ironico è quindi quello di diventare "il soccombente", che era stato fin dall'inizio il soprannome datogli da Glenn Gould.
 
Questa storia di un aspirante alla fama distrutto dall'incontro con il suo rivale ha come controparte, tuttavia, la storia contrastante dell'incontro creativo tra un maestro e un discepolo che è ispirato a produrre i suoi risultati creativi unici. "Citando" i suoi propri precursori nei suoi romanzi, Bernhard è libero, a sua volta, di essere Schopenhauer, Montaigne, [[w:Blaise Pascal|Pascal]] o uno qualsiasi dei suoi altri modelli, senza per un momento rischiare l'agonia potenzialmente suicida che ha portato alla morte di Wertheimer o mai sospettando che egli stesso sia semplicemente un epigone derivato. I costanti omaggi di Bernhard ai suoi precursori attirano l'attenzione sul modo molto originale in cui egli crea una "ripetizione velata" delle caratteristiche del loro lavoro. Così Schopenhauer, Montaigne e Pascal, come anche [[w:Johann Sebastian Bach|Bach]] e Wittgenstein, ritornano nella ''oeuvre'' di Bernhard non solo come nomi piamente recitati ma nella forma inquietante delle creazioni romanzesche a cui hanno contribuito. Bernhard, in effetti, li fa risorgere all'interno di un reame di attività culturale – la fantasia narrante – in cui i loro successi non avrebbero mai potuto concedere d'entrare.
 
{{Vedi anche|Thomas Bernhard/Opere|Emozioni e percezioni|Infinità e generi|Ragionamento sull'assurdo|etichetta3=Generi letterari}}
==Note==
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<references/></div>
 
{{Avanzamento|75%|12 gennaio 2020}}
[[Categoria:Thomas Bernhard|Fuoco]]