Thomas Bernhard/Fuoco: differenze tra le versioni

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A metà del romanzo, come se lo stesse preparando per quella che equivale a una morte sacrificale, Bernhard descrive Paul in un modo che assomiglia in modo inquietante a un autoritratto: "Era l'osservatore più spietato e trovava costantemente occasione per accusare. Nulla sfuggiva alla sua lingua accusatrice. Coloro che vennero sottoposti al suo scrutinio sopravvivevano solo per poco tempo prima di venir straziati;... li criticava con le stesse parole che io stesso impiego quando sono indignato, quando sono costretto a difendermi e ad agire contro l'insolenza del mondo per non essere abbattuto e annientato da esso". Questa appannamento della distinzione tra narratore e protagonista pone le basi per una morte che Bernhard aveva a lungo contemplato ma che Paul avrebbe effettivamente messo in atto. Bernhard rivelerà che "Per anni mi ero rifugiato in una terribile meditazione suicida" e che "Ogni mattina al risveglio ero inevitabilmente coinvolto in questo meccanismo di meditazione suicida". Tuttavia, per fortuna, Paul "soffriva della stessa malattia", ed è lui, piuttosto che Bernhard, che acquisirà "l'odore di miseria e morte". Bernhard lo eviterà durante questo periodo terminale "perché avevo paura di un confronto diretto con la morte", pur riconoscendo il rapporto di fondo tra la morte di Paul e la sua stessa sopravvivenza: "Non è inverosimile dire che questo amico doveva morire per rendere la mia vita più sopportabile e persino, per lunghi periodi, possibile". Nella frase conclusiva del romanzo Bernhard suggerirà che l'amico, la cui vita era così intimamente connessa con la sua, sia stato ora espulso definitivamente: "Giace, come si suol dire, nel Cimitero Centrale di Vienna. A tutt'oggi non ho visitato la sua tomba ".<ref>Citazioni da ''Wittgensteins Neffe. Eine Freundschaft (Il nipote di Wittgenstein. Un'amicizia)'', pp. 60-61, 79, 80, 88, 93, 98-100.</ref>
 
La connessione sacrificale che Bernhard suggerisce tra la morte di Paul Wittgenstein e la sua stessa vita riappare nel romanzo ''Ja (Sì)'', in cui il suicidio della donna persiana è preparato dalla preoccupazione del narratore stesso per il suicidio. Questo motivo della vittima surrogata è chiaramente stabilito nella frase di apertura del romanzo, in cui il narratore si descrive in procinto di "scaricare" i suoi problemi sull'amico Moritz. In seguito, continuerà a fare queste rivelazioni sebbene riconosca che hanno "ferito" Moritz. Allo stesso modo, sottolineerà il ruolo della donna persiana come vittima surrogata quando si riferirà a lei come il "meccanismo sacrificale" ideale.<ref>Citazioni da ''Ja (Sì)'', pp. 30, 116.</ref>
 
Mentre la donna è letteralmente arrivata in questo angolo comicamente ottenebrato dell'Alta Austria perché il suo compagno, un ingegnere svizzero, l'ha scelto come il luogo ideale in cui costruire la sua nuova casa, il lettore riconosce questa motivazione realistica come un semplice pretesto per organizzare la morte sacrificale che Bernhard intende per lei. Intravediamo questo schema archetipico sin dall'inizio della sua narrativa, quando il narratore descrive la donna come "rigenerante" e percepisce l'arrivo della coppia come segno della sua (= del narratore) "redenzione". Mentre il narratore stesso non è mai stato in grado di agire sui propri impulsi suicidi, sono state le sue parole insinuanti, come apprendiamo nella frase conclusiva del romanzo, a provocare il suicidio della donna. Dopo che si è suicidata (gettandosi di fronte a un camion di cemento), ricorda di aver discusso del frequente suicidio dei giovani e di averle chiesto se un giorno si sarebbe suicidata, a cui risponde, nella parola conclusiva del romanzo, "Sì".<ref>Citazioni da ''Ja (Sì)'', pp. 15, 135.</ref>
 
Questo meccanismo sacrificale, in cui il protagonista interpreta il ruolo di vittima surrogata del narratore, sembra raggiungere la sua espressione più completa in ''Der Untergeher (Il soccombente)'', un romanzo attraverso il quale riconosciamo il grado in cui il suicidio di Wertheimer, in effetti, risparmia la vita del narratore. Come in ''Wittgensteins Neffe'', Bernhard stabilisce affinità tra narratore e protagonista, rendendo l'uno virtualmente una copia carbone dell'altro. Sia il narratore che Wertheimer sono aspiranti alla gloria come virtuosi del pianoforte, entrambi vanno a Salisburgo per studiare con [[w:Vladimir Horowitz|Horowitz]] ed entrambi scoprono che i loro sogni di gloria sono terminati precipitosamente dall'incontro con [[w:Glenn Gould|Glenn Gould]]. Tuttavia, Wertheimer, come Paul Wittgenstein, sarà l'unico a subire le conseguenze terminali della ferita emotiva con la quale entrambi sono ugualmente afflitti.
{{Vedi anche|Thomas Bernhard/Opere|Emozioni e percezioni|Ragionamento sull'assurdo}}
 
Il racconto esplicito del narratore sul declino e sull'eventuale suicidio di Wertheimer è implicitamente la storia di come egli stesso – per ricordare la frase che Bernhard usa in ''Wittgensteins Neffe'' – evitò "il confronto diretto con la morte". Come Bernhard, che evita Paul Wittgenstein durante il periodo terminale della sua follia, il narratore di ''Der Untergeher'' non riesce a reagire ai segni della disintegrazione mentale di Wertheimer perché ciò interromperebbe il proprio lavoro sul suo manoscritto "Su Glenn Gould". Come capro espiatorio del romanzo, il destino di Wertheimer deve essere progressivamente sempre più paralizzato dal suo impossibile desiderio di essere Glenn Gould. Il suo vivere questa futile passione al suo estremo più disperato libera così il narratore da una passione che chiaramente condivide con lui. Grazie a Wertheimer ferito a morte dal suo incontro con Gould, il narratore scappa, non solo intatto, ma rigenerato.
 
Le ripetizioni verbali, segno distintivo dello stile di prosa di Bernhard, sono – come il meccanismo sacrificale che mette continuamente in scena nei suoi romanzi – motivate dal desiderio di sfuggire alla "malattia terminale" che è la comune afflizione dell'umanità. A differenza del meccanismo sacrificale, tuttavia, le ripetizioni verbali di Bernhard creano una '''[[w:catarsi|catarsi]]''' che – come gli effetti musicali che ora si sono trasposti nella narrazione – non dipende per il suo successo dalla persecuzione di una vittima surrogata.
 
In ''Verstörung (Perturbamento)'', il primo dei suoi romanzi ad essere stato tradotto in italiano, le ripetizioni sintattiche che conferiscono ai suoi romanzi la loro inconfondibile trama bernhardiana sono esemplificate dal monologo che crea per il principe Saurau. Fino a questo punto, la narrativa è stata raccontata in modo relativamente convenzionale da un giovane ragazzo che sta seguendo suo padre, un medico, mentre compie i suoi giri di consultazioni mediche. Quando, tuttavia, entrano nel castello del principe, il principe stesso si lancerà in una narrazione che annuncia le radicali deviazioni di Bernhard dalla narrativa tradizionale. La "coazione a ripetere" generata dalla sua narrazione porta, ad esempio, al seguente resoconto di un uomo che ha cercato lavoro nel castello del principe:
{{q|Tutto quell'uomo con quei suoi abiti comodi ma di poco prezzo, non era altro che l'immagine stereotipata di tutta la miseria e l'inettitudine umana. Quello che dicevo ''io'' e quello che diceva ''lui'', tutto quello che facevo ''io'' e accadeva in ''me'', tutto quello che faceva, diceva di fare ''lui'', quello che dicevo di fare ''io'' e quello che accadeva in ''lui'', tutto rientrava in questo cliché, in questa immagine stereotipata della inettitudine, della miseria, della precarietà, della dappocaggine, della stanchezza di morte dell'umana esistenza, e io avevo avuto immediatamente l'impressione... che in casa mia fosse entrato un uomo malato, di avere a che fare con un uomo malato, con un uomo ''bisognoso d’aiuto''. Quello che dicevo era dettoa un malato, caro dottore, e quello che mi toccava sentire, caro dottore, veniva dalla bocca di un malato, veniva da un cervello del tutto succube, morboso, da un cervello pieno di figuracce ridicole, da lui certo inventate in maniera assai fantasiosa, ma pur sempre le più morbose che ci si possa immaginare... Quell'uomo non sapeva affatto quello che voleva e io glielo dimostrai nel modo più efficace possibile, gli dissi che il suo era un agire morboso, che tutta la sua vita era una vita morbosa, che la sua esistenza era un'esistenza morbosa, per cui tutto quello che faceva era insensato per non dire assurdo.|''Perturbamento'', pp. 93-94}}
Qui, come ovunque nella sua ''oeuvre'' successiva, Bernhard usa la ripetizione verbale per creare un'opera letteraria la cui ispirazione fondamentale non è narrativa, ma '''musicale'''. Possiamo immaginare, a questo proposito, l'interesse con cui Bernhard deve aver contemplato l'omaggio pagato alla musica dal suo amato Schopenhauer: "Sta da sola, distaccata da tutte le altre arti. In essa non riconosciamo l'imitazione o la riproduzione di nessun'Idea delle creature nel mondo. Eppure è un'arte così grande e gloriosa, il suo effetto sull'intima natura dell'uomo è così potente, ed è così completamente e così profondamente compresa da lui nella sua più intima coscienza come un linguaggio perfettamente universale la cui chiarezza supera anche quello del mondo percepibile stesso ".<ref name="Schopen">Arthur Schopenhauer, ''The World as Will and Representation'', citato in [https://www.brainpickings.org/2016/04/28/schopenhauer-on-the-power-of-music/ "Schopenhauer on the Power of Music"], in ''brainpickings.org''</ref>
 
L'affermazione di Schopenhauer secondo cui "la musica è del tutto indipendente anche dal mondo fenomenico, lo ignora del tutto, potrebbe finanche esistere se non esistesse il mondo"<ref name="Schopen"/> avrebbe fatto potente appello a uno scrittore come Bernhard, disperatamente alla ricerca di un "mondo alternativo". Parimenti, la sua insistenza sulla superiorità della musica che, a differenza di quelle altre arti che parlano solo di "ombre", parla della vera "essenza" del mondo, sicuramente deve aver confermato il disprezzo di Bernhard per i dispositivi tradizionali della narrazione convenzionale – tra cui trama, ambientazione, caratterizzazione, ecc. – che sembravano inevitabilmente condannarlo alla contaminazione da parte del mondo fenomenico.
 
Lo stesso Schopenhauer credeva che un linguaggio di semplici parole non potesse mai raggiungere la profondità e l'universalità raggiunte dal linguaggio della musica che, a suo avviso, tradiva il suo destino collaborando troppo strettamente con le parole: "Quindi se la musica prova ad attaccarsi troppo da vicino alle parole e cerca di adattarsi all'episodio e all'istanza, si sta sforzando di parlare una lingua che non è la sua".<ref name="Schopen"/> Bernhard, tuttavia, trasgredendo tutte le convenzioni narrative (in particolare, l'ingiunzione contro la ripetizione inutile) che tradizionalmente impediscono alla narrativa di raggiungere la perfezione della musica, confuterà in effetti le restrizioni del suo maestro contro un linguaggio puramente verbale. Creerà una composizione ibrida, musicale e narrativa che, con la sua pervasiva dipendenza dal tema e dalla variazione come principio strutturante, porterà ai suoi lettori precisamente la gratificazione emotiva che i suoi protagonisti si erano sforzati invano di raggiungere attraverso una catarsi violenta. L'opera principale di Bernhard includerà sia la ricerca irrequieta della gratificazione sia i risultati ricorrenti che Schopenhauer aveva attribuito all'interazione tra melodia e [[w:Tonica (musica)|tonica]] in una composizione musicale: "la natura della melodia è una costante digressione e deviazione dalla nota statica in mille modi... tuttavia, alla fine segue sempre un ritorno alla tonica: in tutte queste escursioni la melodia esprime le molte e diverse forme della volontà che si sforza, ma sempre anche la sua gratificazione, tornando infine a un intervallo armonioso e ancor di più, alla tonica."<ref name="Schopen"/>
 
Il desiderio fondamentale suscitato dalle melodie narrative di Bernhard è il desiderio di una totale espulsione catartica della tensione psichica. In ''Das Kalkwerk'', Konrad aveva parlato del suo desiderio, mentre scriveva, di girare "la testa, improvvisamente, da un momento all'altro, capovolgendola spietatamente per far cadere tutto dalla sua testa al foglio, tutto in un solo movimento". Fallendo in questo tentativo, fa fuoriuscire invece il cervello di sua moglie e poi cerca rifugio in una fossa di letame. Bernhard, tuttavia, raggiunge l'obiettivo che è sfuggito a Konrad inventando una prosa altamente ritmata e ritualizzata, che produce una forma letteraria di esorcismo. Le sue incessanti ripetizioni scendono nel nucleo della "malattia terminale" dell'umanità, malattia che poi viene espulsa catarticamente. Reger, l'eroe di ''Alte Meister (Antichi maestri)'', è lui stesso un praticante particolarmente abile dell'arte verbale di Bernhard, come dimostra il suo inveire ritmico contro [[w:Martin Heidegger, la vita e l'opera|Martin Heidegger]], "Quel ridicolo filisteo nazista in calzoni alla zuava":
{{q|Heidegger è un buon esempio di come non rimanga nulla di una moda filosofica che un tempo aveva attanagliato l'intera Germania, niente altro che un numero di fotografie ridicole e un numero di scritti ancora più ridicoli. Heidegger era un filosofo mercante che portava al mercato solo beni rubati, tutto di Heidegger è di seconda mano, egli era ed è il prototipo del ripensatore, a cui mancava tutto, ma veramente tutto, il pensiero indipendente. Il metodo Heidegger consisteva nella trasformazione senza scrupoli delle grandi idee di altre persone in piccole idee sue, e questo è un dato di fatto. Heidegger ha così ridotto tutto ciò che è grande facendolo diventare compatibile con il tedesco, capisci: compatibile con il tedesco, ha detto Reger. Heidegger è il piccolo borghese della filosofia tedesca, l'uomo che ha posto sulla filosofia tedesca il suo berretto da notte kitsch, quel berretto da notte nero kitsch che Heidegger indossava sempre, in tutte le occasioni. Heidegger è il filosofo dei tedeschi in pantofole e berretto da notte, nient'altro.|''Antichi maestri'', p. 43}}
Oppure consideriamo il suo racconto sprezzante di un'udienza papale:
{{q|Vai ad un'udienza del Papa, disse, e prendi sul serio il Papa e il pubblico, inoltre per il resto della tua vita; ridicola, la storia del papato è piena solo di caricature, disse. Certo, San Pietro è grandiosa, ha detto, ma è comunque ridicola. Basta entrare in San Pietro e liberarsi completamente di quelle centinaia e migliaia e milioni di bugie cattoliche sulla storia, non devi aspettare molto prima che l'intera San Pietro ti sembri ridicola. Vai a un'udienza privata e aspetti il Papa, ancor prima che arrivi egli ti sembrerà ridicolo, e ovviamente è ridicolo quando entra nelle sue vesti kitsch di pura seta bianca.|''Antichi maestri'', p. 58}}
 
 
{{Vedi anche|Thomas Bernhard/Opere|Emozioni e percezioni|Infinità e generi|Ragionamento sull'assurdo}}
==Note==
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