Pensare Maimonide/Dio nel Talmud: differenze tra le versioni

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====''RAHMANA''====
Aramaico. Anche in ebraico: '''''HaRachaman''''' (''Rahman'' – رحمن" in arabo; radice ''R-Ḥ-M'' ebr. רחם‎) — Questo nome significa "Il Misericordioso" in [[w:lingua aramaica|aramaico]]. Appare molto frequentemente nel Talmud. Curiosamente, questo nome è spesso associato a Dio nel ruolo di Legislatore; cioè, è spesso usato nelle discussioni legali per indicare un comando divino nella Torah o per introdurre un versetto portato come testo base: "Il Misericordioso ha detto / scritto..." [[w:Solomon Schechter|Solomon Schechter]] ha quindi suggerito che questo nome "dimostra, tra l'altro, quanto poco nella mente dei rabbini la Legge fosse collegata alla durezza e al castigo. Per loro è stata un'effluenza della misericordia e della bontà di Dio."<ref>Solomon Schechter, ''Aspects of Rabbinic Theology: Major Concepts of the Talmud'', Schocken Books, 1961 (publ. orig. 1909), p. 34.</ref> Chiamare Dio "Rahmana" può anche essere inteso a sollecitare il riconoscimento dell'interesse e dell'amore di Dio per le Sue creature anche quando sembrano soffrire: Rav Huna disse nel nome di Rav nel nome di Rabbi Meir, e così è stato insegnato nel nome di Rabbi Akiva: "Una persona dovrebbe sempre avere l'abitudine di dire che tutto ciò che il Misericordioso fa, lo fa per il bene e per sempre (''Berakhot'' 60b)." Sorprendentemente, la forma ebraica ''"Ha-Rahaman"'', appare solo una volta nel Talmud, quando un rabbino prega che "Ha-Rahaman ci salvi (cioè, me) dall'inclinazione al male (''Kiddushin'' 81b)".
 
====''SHEKHINAH''====
'''[[w:Shekhinah|Shekhinah]]''' (leggi: ''sce-chi-nà'' – in ebraico: שְׁכִינָה‎?; in arabo: السكينة‎) appare alla fine di questo elenco perché esiste in realtà in un punto tra nome e concetto. La parola "Shekhinah" deriva dalla radice ''s, kh, n,'' che significa permanenza o dimora, e quindi designa la manifestazione dello spirito e della presenza di Dio nel mondo. "Shekhinah" indica la vicinanza e l'intimità di Dio con gli esseri umani in un dato momento e/o in un determinato luogo. Se la Shekhinah permane direttamente su una persona in particolare significa che questa riceve profezie: Hillel il vecchio aveva ottanta discepoli; trenta di loro erano degni come Mosè, il nostro maestro, di far permanere la Shekhinah su di loro (''Sukkah'' 28a; vedi anche ''Sotah'' 48b, ''Mo’ed Katan'' 25a). I luoghi in cui appare la Shekhinah possono essere variabili e multipli; può manifestarsi in molti luoghi contemporaneamente, così come il sole può splendere su molti luoghi contemporaneamente (''Sanhedrin'' 39a; vedi anche ''Bava Batra'' 25a). Inoltre, anche se la Shekhinah una volta permaneva sul Tempio (almeno il prima, se non anche il secondo) a Gerusalemme, Dio faceva permanere la Sua Shekhinah anche in luoghi umili come il roveto ardente della prima esperienza profetica di Mosè, o su un bassa montagna come il Sinai (''Shabbat'' 67a e ''Sotah'' 5a, rispettivamente).<ref>Queste due fonti sono significative anche in quanto mostrano la Shekhinah come un aspetto di Dio e sotto il controllo attivo di Dio; nella letteratura rabbinica la Shekhinah non è l'entità e l'aspetto quasi indipendente della divinità che sarebbe venuta ad essere in alcuni settori successivi della tradizione ebraica.</ref> La Shekhinah rappresenta la vicinanza di Dio agli esseri umani e al popolo di Israele, in particolare nella misura in cui partecipa al dolore della persona sofferente (Mishnah ''Sanhedrin'' 6:5), veglia su coloro che sono malati (''Shabbat'' 12b) e persino accompagna le persone in esilio (''Megillah'' 29a). D'altra parte, fonti rabbiniche suggeriscono che gli esseri umani, mediante le loro azioni, possono far avvicinare o allontanare la Shekhinah: è presente quando gli ebrei studiano, pregano o siedono insieme come in corte (''Berakhot'' 6a), mentre quelli che sono arroganti o peccano in segreto "spingono contro i piedi della Shekhinah" (''Berakhot'' 43b, ''Hagigah'' 16a, ''Kiddushin'' 31a) e quindi la fanno allontanare.
 
 
===Pregare Dio===
In una varietà di punti – in particolare nel trattato ''Berakhot'' ("Benedizioni") ma anche sparsi in tutto il Talmud – i rabbini considerano la comunicazione umana con Dio attraverso la preghiera. Rivolgendosi domande come ciò per cui preghiamo, come possiamo rivolgerci a Dio, cosa non si può dire di Dio, rivelano importanti indizi su come comprendano la natura di Dio, il ruolo di Dio nella nostra vita e il rapporto Divino-umano .
 
Fin dai primi strati di scritti rabbinici, Dio è riconosciuto come l'autore di tutto ciò che accade nel mondo e alle persone. Mishnah ''Berakhot'', per esempio, elenca molte benedizioni che dovrebbero essere dette quando si gustano vari cibi, si osserva una varietà di fenomeni naturali fuori dal comune, si incontra un posto speciale o si ha una buona fortuna. Il mancato conferimento di una benedizione è una specie di furto fatto a Dio.
 
Ma Dio è l'autore di tutto, non solo del bene. Questa interpretazione è espressa, ad esempio, in Mishnah ''Berakhot'' 9:2 e 5:
:"Per cattive notizie (si benedice) «Beato il giudice della verità»
:"Una persona è tenuta a benedire per il male, proprio come si benedice per il bene..."
Sulla base di questo principio, i rabbini sono in grado di spiegare ancora un'altra sezione di Mishnah (''Berakhot'' 5:3 e un parallelo quasi esatto in ''Megillah'' 4:9): "Uno che dice (mentre conduce la preghiera)... «Possa il tuo nome essere ricordato per sempre» ... lo azzittiamo. Perché è così? Il Talmud risponde (''Berakhot'' 33b; ''Megillah'' 25a): implica "per il bene", ma non per il male, tuttavia viene insegnato: «Bisogna benedire per il male...» Mentre Rava elabora ulteriormente (e altri rabbini tentano di dimostrare dalle Scritture) in risposta a Mishnah ''Berakhot'' 9:5, la benedizione per il male così come si benedice per il bene significa che si deve accettare il male da Dio con la stessa sincerità di quando si riceve buona fortuna.
 
Altrove, i rabbini suggeriscono che la preghiera (anche se il termine non sarebbe stato ancora creato per molti secoli) è un'attività [[w:Don Chisciotte della Mancia|donchisciottesca]]. Dio è vasto e potente oltre la comprensione umana, e quindi, nonostante il nostro obbligo di offrire lode e preghiera a Dio, Dio è anche al di là delle capacità umane di espressione. Un modo in cui i rabbini affrontano questo dilemma è attingendo a modelli e precedenti biblici. In Deuteronomio {{passo biblico|Deut|10:17}}, Mosè descrisse Dio come "il Dio grande, forte e tremendo" – ''ha’el ha-gadol ha-gibor v’hanora'' – i rabbini hanno incorporato questa frase nel paragrafo iniziale di ogni preghiera di [[w:Amidah|Amidah]]. Due passaggi paralleli, ''Berakhot'' 33b e ''Megillah'' 25a, raccontano che quando un certo uomo guidava la preghiera alla presenza di Rabbi Hanina, lodò Dio come "il Dio grande, forte, tremendo, glorioso, maestoso, riverito e potente, poderoso, lodevole e onorato."<ref>Qui seguo la versione più lunga del passo, da ''Berakhot''.</ref> Il rabbino, tuttavia, lo rimproverò: "Hai finito con tutte le lodi del tuo Signore?" Potremmo mai finire tali lodi una volta iniziate? E se lo facessimo di meno, la nostra lode incompleta a Dio non sarebbe forse una specie di insulto? Il Talmud propone una parabola: se uno dovesse lodare un re per i suoi grandi tesori d'argento, non lo starebbe insultando ignorando i suoi tesori ancora più grandi in oro? Solo perché abbiamo l'esempio stabilito per noi da Mosè possiamo sfuggire a questo vincolo problematico, recitando le sue tre lodi di Dio e non di più.
 
Nello ''Yoma'' 69b, tuttavia, Rabbi Yehoshua ben Levi afferma che sebbene questa frase abbia avuto origine con Mosè, furono i membri della Grande Assemblea a fissarla come parte della preghiera ebraica. O meglio, la restaurarono — essendo attenti lettori della Bibbia, considerano un passo in Geremia, dove il profeta si riferisce a Dio come "il grande, forte [ma non tremendo] Dio", e un altro in Daniele, dove manca l'attributo di "forte".
 
I rabbini immaginano i processi mentali dei due profeti e, nel farlo, considerano come Dio possa rimanere forte e tremendo anche in circostanze in cui potrebbe apparire diversamente. Nel corso della discussione, i rabbini fanno fatica a capire come un Dio onnipotente possa permettere che un danno venga arrecato al popolo di Dio. Se il potere di Dio non si manifesta nel mondo, significa che è stato sconfitto? I rabbini tentano di spiegare che il potere di Dio può essere evidente in altri modi, per esempio nel Suo contenimento. Dobbiamo lodare Dio, i rabbini insegnano, e cercare di sentire Dio come "il Dio grande, forte e tremendo". Eppure, allo stesso tempo essi sanno che a volte non sentiamo Dio in quel modo, e dirlo può persino essere una specie di menzogna, che è essa stessa un affronto a Dio. La nostra preghiera – i rabbini si rendono conto e lo ammettono – vive in tensione e nel paradosso.
 
===Dio nell'Aggadah===
Quando i rabbini del Talmud raccontano storie su Dio o sugli incontri tra il regno divino e quello umano – che coinvolgono personaggi biblici o loro stessi – che tipo di storie raccontano? Come descrivono Dio e il rapporto tra Dio e gli umani, tra Dio e Israele? In che modo queste storie si relazionano e illuminano altre cose che i rabbini ebbero a dire sulla natura di Dio o sulla relazione umano-divino?
 
[[w:Jacob Neusner|Jacob Neusner]] ha scritto che "Fu nel Talmud babilonese in particolare che Dio è rappresentato come una personalità completamente esposta, come l'uomo".<ref>[[w:Jacob Neusner|Jacob Neusner]], ''The Foundations of the Theology of Judaism'', Volume 1: ''God'', Jason Aronson, 1991, p. 137.</ref> In effetti, i rabbini non evitano le immagini antropomorfizzate di Dio, descrivendo nelle loro storie un Dio chi prova emozioni simili e si impegna in attività simili a come fanno gli esseri umani. Ciò non significa, ovviamente, che Dio sia paragonabile al normale essere umano. Da un lato, Dio è il modello del più potente degli umani, il re che governa il suo popolo ed è responsabile del suo benessere, sia nel mantenere la giustizia sia nel provvedere ai loro bisogni. Dall'altro, poiché i rabbini credevano che l'ideale umano fosse d'essere come Dio, allora Dio deve fornire il modello per loro e per le loro forme di pratica ebraica. Questi due elementi delle attività di Dio possono essere visti in una fonte di ''[[w:Avodah Zarah|Avodah Zarah]]'' (3b) che descrive il programma quotidiano di Dio: un quarto del giorno per lo studio della Torah, un quarto per giudicare il mondo, un quarto per fornire sostentamento a tutte le creature del mondo e l'ultimo quarto della giornata per giocare col [[w:Leviatano|Leviatano]].
 
Anche Dio, come i rabbini, prega. Quale preghiera prega Dio (e a Chi, uno si potrebbe chiedere, se osasse)? ''Berakhot'' 7a dà la seguente risposta:
:Rav Zutra bar Tuvia ha detto nel nome di Rav: "Possa essere la Mia volontà che le Mie misericordie prevalgano sulla Mia ira e che le Mie misericordie siano rivelate al di sopra del Mio attributo di giustizia, e che Io debba agire verso i Miei figli con l'attributo della misericordia e riceverli oltre la misura di rigorosa giustizia."
 
==''Conclusione''==
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[[Categoria:Pensare Maimonide|Dio nel Talmud]]