Torah per sempre/La Torah originale: differenze tra le versioni

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Dalla parte dei razionalisti [[w:Abraham ibn ‛Ezra|Abraham Ibn Ezra]] (1089-1164), nell'introduzione al suo ''Commentario alla Torah'', annotò cinque criteri di interpretazione biblica. Il quinto, suo preferito, considera le grafie ''plene'' e difettive come variazione arbitraria senza importanza; coloro che si basano su tale interpretazione fanno dell'omiletica e non spiegazione seria del significato biblico. [[w:David Kimchi|David Kimhi]], [[:en:w:Profiat Duran|Profiat Duran]] (m. 1414) e [[w:Isaac Abrabanel|Isaac Abravanel]] (1437-1508) accettarono la nozione di discrepanze testuali iniziali e di errori testuali,<ref>Levy, ''Fixing God's Torah'', 144.</ref> e a loro susseguirono [[w:Elia Levita|Elijah Levita]] ("Eliyahu Bahur", 1468/9-1549), il filologo ebreo, grammatico, lessicografo e insegnante di molti umanisti cristiani. L'approccio di Levita, riportato nel suo libro di storia classica ''Masoret hamasoret'', propende verso lo storico-critico; rifiuta drasticamente, per esempio, quella che egli ritiene un'affermazione caraita che i segni vocalici e altri accorgimenti masoretici originarono nel Sinai.<ref>Levita, ''Masoret hamasoret'', terza prefazione. Il protestante Louis Cappel (1585-1658), nel suo ''Hoc est arcanum punctationis revelatum'' seguì Levita nel negare l'antichità delle vocali e degli accenti. Johannes Buxtorf II, ''Tractatus de punctorum vocalium'', cita Levita come il solo tra ebrei e cristiani che attribuisse il sistema di vocalizzazione ai tiberiensi del V secolo, accettando invece contro Cappel l'opinione tradizionale circa l'antichità della punteggiatora masoretica.</ref>
 
Rabbini con tendenze cabalistiche rifiutarono di ammettere la possibilità di imperfezioni o arbitrarietà nel testo biblico ricevuto. A comment by Rabbi Yedidiah Solomon di Norzi (1560-1626) in ''Minḥat shai'' sulla parola ''umigvaot'' ("e dalle colline") in [[w:Numeri|Numeri]] {{passo biblico|Numeri|23,9}}, dove, notando che in alcune copie la parola è piena (''plene'') mentre in altre difettiva, Norzi sceglie la piena, aggiungendo che nei casi dove c'è una controversia nella Masorah entrambe le letture sono corrette, trasmettendo misteri profondi. Poi cita lo [[w:Zohar|Zohar]], che sostiene che una lettura è riportata nella ''metivta ila`a'' ("alta accademia [terrena]") e l'altra nella ''metivta derakia'' ("accademia del cielo", cioè in paradiso).<ref>Zohar iii.203''b''. Levy, ''Fixing God's Torah'', 197 nota 13, sottolinea la somiglianza dell'accademia celeste e terrena alla nozione islamica del Qur'an divino e terreno. Entrambi i concetti derivano indirettamente dall'insegnamento di Platone sulle idee. Norzi viene ulteriormente discusso in seguito in questo capitolo.</ref> Lo Zohar fu un'opera molto influente, poiché si credeva (e ancora lo si crede) che fosse stato composto dal rabbino del secondo secolo, [[w:Shimon bar Yohai|Shimon bar Yohai]]. Sono pochi coloro che leggono detta dichiarazione e che osino implicare che una qualsiasi variazione di lettura sia erronea; persino le letture varianti provengono dal Sinai e contengono significati profondi!
 
[[w:David ben Solomon ibn Abi Zimra|David ben Solomon ibn Abi Zimra]] (1479-1573), noto come ''Radbaz'', un profugo spagnolo, era il capo ufficiale della comunità ebraica d'Egitto dal 1517 al 1552, e per il resto dei suoi giorni una figura importante in Terra d'Israele. Fu un ardente difensore dell'autenticità del testo ricevuto e numerosi suoi ''[[w:Storia dei responsa nell'ebraismo|responsa]]'' trattano di questioni testuali. Sebbene fosse egli stesso un cabalista, rifiutò di permettere agli scribi di cambiare da una grafia difettiva ad una ''plene'' la parola ''oto'' in due posizioni della Torah al fine di accordarla con un'interpretazione dello Zohar;<ref>Ibn Abi Zimra, ''[[w:Storia dei responsa nell'ebraismo|responsa]]'', vol. iv, ''responsum'' 1172 (p. 101). Discussione e bibliografia in Levy, ''Fixing God's Torah'', cap. 2.</ref> nonostante ciò, egli insistette che tutte le varianti venivano "dal Sinai".
 
Abbiamo già detto come i Tosafisti medievali e, in seguito, Rabbi Akiva Eger, si preoccupavano delle divergenze tra il testo ricevuto e quello citato nel Talmud. In merito alla grafia ''plene'' e a quella difettiva, le autorità [[w:Aschenaziti|aschenazite]] medievali si disperarono e rassegnarono, dichiarando che non si poteva più insistere su un rotolo della Torah perfettamente accurato poiché era impossibile essere certi di tali ortografie. Sebbene il [[w:Sefarditi|sefardita]] [[w:Joseph ben Ephraim Karo|Joseph Karo]] deliberasse, seguendo il Talmud,<ref>Rabbi Ammi, in TB ''Ket.'' 19''b'', decise che un rotolo della Torah non corretto non debba essere tenuto per più di trenta giorni.</ref> che "si si rinviene un errore in un rotolo della Torah quando viene letto [in pubblico] se ne deve portare un altro [al suo posto] e la lettura ripresa da quel punto", l'aschenazita [[w:Moshe Isserles|Moses Isserles]] (ca.1520-72) annotò la glossa: "Ciò solo se è un vero errore, ma non se ne deve portare un altro nel caso di una ''plene'' e difettiva poiché i nostri rotoli della Torah non sono così accurati da poter dire che uno sia meglio dell'altro."<ref>Karo, ''Beit yosef'', "Yoreh de`ah" 279. Le sue decisioni sono riportate nel ''[[w:Shulchan Arukh|Shulḥan arukh]]'', "Oraḥ ḥaym" 143:4 e "Yoreh de`ah" 275:2.</ref>
 
L'opinione codificata da Isserles si basa sun una tradizione ben consolidata; deriva in ultimo dall'ammissione talmudica che "noi" non siamo più esperti nel contare né le lettere né le parole della Torah.<ref>TB ''Kid.'' 30''a''.</ref> Tuttavia né il Talmud né Isserles ammettono la possibilità che il testo "originale" fosse in alcun modo indefinito; il Talmud concede solo che noi non siamo altrettanto bravi a contare le lettere e le parole quanto lo erano i nostri avi e Isserles riconosce inoltre che nin ci si poteva fidare che i nostri scribi copiassero accuratamente le ortografie ''plene'' e difettive. Entrambi erano d'accordo che un testo preciso era stato ricevuto da Mosè al Sinai e che il testo attualmente in nostra mano è per la maggior parte e a tutti gli effetti identico.
 
La prima Bibbia ebraica stampata apparve in Spagna verso il 1480. L'introduzione della stampa, come anche l'interesse generale del Rinascimento per il recupero di testi antichi autentici, portò un nuovo senso d'urgenza nello stabilire il testo biblico "corretto"; per gli ebrei ci fu l'incentivo aggiuntivo di difesa contro la polemica cristiana, come si può constatare in un ''responsum'' di [[w:Leone Modena|Judah Aryeh (Leone) da Modena]] (1571-1648).<ref>Modena, ''Ziknei yehudah, responsum'' nr. 115 a p. 165.</ref>
 
==Edizioni moderne della Bibbia==